18/09/20

Ryan O'Neal e sua figlia Tatum: Da "Paper Moon" all'inferno personale


Ryan O' Neal e la figlia Tatum in "Paper Moon" di Peter Bogdanovich, 1973


Un nuovo capitolo di vite e destini: Ryan O' Neal con la figlia Tatum (allora decenne) girarono insieme un meraviglioso film di Peter Bogdanovich, "Paper Moon" che valse alla piccola Tatum l'Oscar per la migliore attrice non protagonista e innumerevoli altri premi. 

Le vite per Ryan e per sua figlia, però, furono tutt'altro che rosee.

Ryan aveva avuto Tatum, e un altro figlio, il fratello Griffin, dall'attrice Joanna Moore

Alcoolizzata e debilitata dalla droga, Joanna fu privata dei figli, che vennero affidati a Ryan

Cominciò però per Tatum un altro inferno, che lei riuscì a denunciare solo molto più tardi: fu infatti abusata dal pusher che vendeva droga a suo padre. Lo stesso Ryan avrebbe inflitto per anni molestie e pressioni psicologiche alla figlia, nei brevi periodi nei quali era stato presente nella sua vita.

Ryan, dopo l'acme del successo, scelto come protagonista da Stanley Kubrick per il capolavoro "Barry Lindon", precipitò nel suo cupio dissolvi

Da lì a poco intraprese una nuova relazione con l'attrice Farrah Fawcett da cui ebbe un altro figlio, Redmond. 

Nel 2007 Ryan fu arrestato per aver sparato al figlio Griffin e l'anno dopo arrestato con il figlio per possesso di stupefacenti. 

La vita di Tatum non è stata da meno. Dopo un fidanzamento lampo e misterioso con Michael Jackson, si sposò al tennista John Mc Enroe da cui ebbe tre figli.

Anche lei, come era successo alla madre, perse la custodia dei tre figli per via della dipendenza dall'eroina. 

Mentre nel 2008 fu arrestata per strada a New York con una busta di crack e una di cocaina nella borsa. 

 Al funerale della Fawcett, che morì il 22 giugno 2009 - il giorno esatto in cui è morto Michael Jackson - Tatum e Ryan, figlia e padre, si riabbracciarono dopo una lunga assenza. 

Ryan però non la riconobbe e tentò perfino di flirtare con lei. 

Ryan O' Neal ha oggi 79 anni ed è fortemente provato nel fisico e nella mente. L'ultima sua fugace apparizione sullo schermo è stato in Knights of Cup di Terrence Malick (2016).

Fabrizio Falconi 

17/09/20

Marcel Proust e l'ultimo incontro con Jeanne Pouquet - la fine di una illusione


Nelle ultime pagine del meraviglioso libro appena letto -'La storia d'amore come opera d'arte' di Dan Hofstadter - scopro una vicenda relativa a Marcel Proust che non ho mai saputo.
E' noto che - da giovane - Proust corteggiò a lungo Jeanne Pouquet, figlia di un agente di cambio cattolico di destra, che essendo assai graziosa, fece rapidamente ingresso nei salotti della buona società di Parigi.
Proust conobbe Jeanne insieme a Gaston de Caillavet, suo amico dai tempi del militare, uno dei pochissimi amici eterosessuali di Marcel.
Jeanne si innamorò subito di Gaston, ma usò per diversi anni lo "schermo" di Marcel, che era a sua volta dichiaratamente innamorato di lei (e che più tardi usò Jeanne come proto-tipo per la Gilberte della "Recherche"): il padre di Jeanne infatti era un conservatore cattolico e non avrebbe mai gradito che la figlia fosse corteggiata da un liberale semiateo quale era Gaston. Jeanne allora, con la alacre collaborazione della madre, sfruttò cinicamente la presenza di Marcel che fu convocato sempre, ogni qualvolta si desiderava invitare Gaston, fuori e dentro Parigi, perché la cosa non destasse sospetto.
Con il passare degli anni, quando finalmente la resistenza del padre di Jeanne fu vinta e il matrimonio con Gaston poté andare in porto, a Marcel fu dato l'immediato benservito.
Marcel soffrì molto e per i successivi 15 anni si rifiutò di mettere mai piede nella casa di Jeanne e Gaston nonostante i ripetuti inviti.
Jeanne aveva rappresentato per Proust (che morì senza mai dichiarare in pubblico la propria omosessualità), l'ultima possibilità di una vita "normale": se Jeanne avesse corrisposto il suo amore egli forse avrebbe potuto evitare a se stesso la vergogna di essere "invertito" e di doverlo oltretutto nascondere alla amata madre (cosa che fece infatti fino alla morte di lei).
A Jeanne e Marcel il destino offrì poi una seconda chance: Gaston infatti morì prematuramente, a 50 anni. Marcel, sconvolto dalla perdita improvvisa dell'amico, cercò di rivedere Jeanne.

E qui andò in scena l'incredibile, perché nonostante le ripetute lettere, inviti reciproci, questo incontro continuò a tardare per impedimenti di ogni tipo, finché un giorno Proust non avvertì Jeanne che quella sera sarebbe andata a trovarla a casa.
Marcel arrivò alle undici di sera a bordo di un taxi. Suonò il campanello, ma nessuno aprì. Lo scrittore però non si rassegnò. Tornò in macchina ad aspettare, guardò i tre grandi finestroni spenti, poi ordinò al tassista di suonare il clacson, cosa che fu fatta ripetutamente.
Nessuno comunque venne ad aprire.
Marcel tornò sconsolato a casa.
Dall'incrocio delle lettere e diari superstiti esiste la spiegazione che Jeanne non abbia volutamente aperto, e che fosse con il suo amante (che aveva già dai tempi del matrimonio con Gaston, il quale era a sua volta un incallito fedifrago).
L'incontro avvenne parecchio tempo dopo, a casa di Marcel, nella sua camera da letto appesantita dai vapori che usava per combattere la sua fortissima asma, ma fu tristissimo.
Marcel morì nel 1922.
Jeanne molti molti anni dopo nel 1961, ed è passata alla storia unicamente per la sua "amicizia" con Proust, che lei - una volta lo scrittore divenuto celebratissimo (soltanto dopo la sua morte, con la pubblicazione della Recherche) - sfruttò editorialmente con un volume contente i suoi ricordi su Proust (ampiamente manipolati), che andò a ruba.
La scena di Proust sotto casa sua di notte e di quella porta chiusa mi ha ricordato moltissimo il finale de "L'età dell'innocenza" di Edith Wharton e il film che Martin Scorsese ne ha fatto.
Mi sembra un topos narrativo di incredibile dolore e bellezza, come del resto è solo la grande letteratura o la grande vita.

Fabrizio Falconi - 2020

15/09/20

Paul Auster: "L'America è in pericolo! Gli scrittori si stanno mobilitando



"Il momento che stiamo affrontando e' terribile e urgente, perché mancano solo due mesi alle elezioni. Sono entrato a far parte di un nuovo gruppo che si chiama Writers Against Trump e stiamo facendo tutto il possibile per convincere la gente ad andare a votare, soprattutto i giovani che non votano di solito perché scontenti dei candidati democratici che non considerano abbastanza progressisti". 

Lo ha detto Paul Auster in diretta streaming con Peter Florence in una delle 'Interviste impossibili' del Festival Letteratura di Mantova. 

Writers Against Trump "in dieci giorni e' arrivato a 1.100 scrittori di ogni eta' etnia e genere letterario. Ci sono anche scrittori di canzoni, chiunque scriva puo' entrare a farne parte. Con l'aiuto di alcuni giovani, tra cui mia figlia, siamo anche online

In www.writersagainsttrump.org si possono scoprire tutti i nostri progetti.

Proprio l'altro giorno ho fatto una diretta su Instagram con persone che guardavano e facevano domande" ha raccontato lo scrittore americano. 

"Stiamo lavorando da ogni angolazione possibile. Al momento ci stiamo concentrando sul far votare i piu' giovani. Ci stiamo preparando anche al caos post 3 novembre che sembra inevitabile negli Stati Uniti. Se l'elezione non avra' un esito certo per via delle schede elettorali inviate per posta, c'e' la seria possibilita' che Trump e i Repubblicani dichiarino vittoria anche se non avranno vinto. Oppure potrebbe vincere Biden, ma Trump potrebbe rifiutarsi di riconoscere i risultati e lasciare l'incarico" ha spiegato preoccupato Paul Auster.

"Questo non e' mai accaduto negli Stati Uniti. Siamo stati un Paese afflitto dai problemi, ma abbiamo sempre seguito i protocolli e le leggi. Da oltre 200 anni il potere e' transitato pacificamente. Ogni volta che e' stato eletto un nuovo presidente gli elettori e la fazione opposta accettano l'esito e si va avanti pacificamente. Ma questa volta e' tutto molto incerto" afferma. 

E ha aggiunto: "Credo una cosa: l'intero esperimento americano e' in pericolo in questo momento. Stiamo correndo il rischio di vedere questa democrazia imperfetta evolversi in una forma di governo autoritario. Una volta accaduto, non so se riusciremo mai a tornare all'esperimento americano. Sara' finita. Per questo tutti noi stiamo lavorando per cercare di fare quel poco che possiamo. Ci sono centinaia di gruppi in tutta America che fanno quel che possono. Vedremo se sara' sufficiente. Non ne ho idea" ha detto lo scrittore. 

"In questo momento io e Siri pensiamo che non possiamo restare fermi a guardare e sentirci infelici per tutto senza fare qualcosa. Lo stiamo facendo come scrittori perché scriviamo e presentiamo dichiarazioni, ma soprattutto come cittadini che sono disperatamente preoccupati per quello che stiamo vivendo" ha sottolineato facendo riferimento anche alla moglie, la scrittrice Siri Hustvedt. 

Nella diretta streaming a Mantova lo scrittore ha parlato anche del suo prossimo libro. "Non e' un romanzo. E' un libro sulla vita e sulle opere di Stephen Crane, lo scrittore americano di cui mi sono interessato molto. Dopo '4 3 2 1' leggevo un sacco di libri, volevo fare una pausa dalla scrittura. Ho ricominciato a leggere Crane che non leggevo dai tempi della scuola e mi sono reso conto di quanto fosse ricco e grande. Poi ho letto la sua vita, una delle piu' avventurose, folli e imprevedibili che si possano immaginare e ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere un libro su Crane. Qualcosa di breve, 200 pagine o giu' di li'. Bene, il manoscritto e' di 1000 pagine. E' enorme" ha raccontato lo scrittore. "Cosa mi ha spinto a passare tutto questo tempo a scrivere di questo giovane che mori' a 28 anni nel XIX secolo?", si e' chiesto Paul Auster. "A un certo punto mi sono reso conto che Crane e' l'incarnazione vivente del giovane che cercavo di rappresentare nel mio romanzo". 

14/09/20

"Never Gone - Mai Andati Via" , un corto rievoca il tragico eccidio nazista del 28 dicembre 1943 a Cardito Vallerotonda




Il cortometraggio che pubblico oggi,  Never Gone - Mai andati via, è di grande interesse perché ricostruisce vicende storiche che non bisognerebbe mai dimenticare e che appartengono al nostro recente passato e in particolare a una delle numerose stragi compiute dall'esercito nazista nelle regioni dell'Appennino del centro Italia, dopo l'8 settembre 1943. 

Pur nella limitatezza dei mezzi a disposizione, il corto è assai bello ed è fatto per richiamare l'attenzione delle generazioni più giovani che oggi raramente dispongono di una memoria viva (nonni) diretta e  orale a cui attingere. 

Gli attori sono tutti dilettanti e sono stati scelti direttamente tra la popolazione attuale del piccolo paese, Cardito Vallerotonda, che si trova nel basso Lazio al confine con il Molise. 

Qui sotto il riassunto della vicenda storica:

28 dic.1943

Nell’ottobre 1943 un giovane del paese uccise due soldati tedeschi e ne ferì un terzo, causando la rappresaglia. Nel novembre venne ucciso un giovane di sedici anni. 

La zona divenne luogo di transito o di rifugio dei soldati italiani sbandati che cercavano di passare il fronte e dei prigionieri alleati fuggiti essenzialmente dal campo di Sulmona. Due ufficiali americani installarono a Vallerotonda una stazione radio trasmittente che per molto tempo dette informazioni agli Alleati sulla dislocazione delle truppe tedesche e sulle localizzazioni delle piazzole per l’artiglieria, installate nei dintorni di Vallerotonda. 

Vane furono le ricerche e le intercettazioni tedesche per individuare la trasmittente. Dopo aver affisso bandi e minacciato la popolazione, la rappresaglia portò alla fucilazione di 5 paesani e la morte di un sesto “in seguito ai lavori forzati”. 

Infatti, Vallerotonda era visitata tutti i giorni dalle SS tedesche che rastrellavano uomini per i lavori di fortificazione nel fronte di guerra. 

Secondo una testimonianza, si apprende che quando venivano avvistati i camion tedeschi dall’alto del paese, gli uomini si davano alla fuga e rientravano la sera al cessare del pericolo. 

Ma la più sconvolgente tragedia è l’eccidio di Collelungo. 

Il 28 dicembre 1943, per 42 persone – tra i quali bambini da 2 a 12 anni d’età – della frazione di Cardito e di zone limitrofe, compresi 4 soldati italiani sbandati che si erano uniti al gruppo accampato sul greto di un torrente, fu decisa senza alcuna ragione plausibile la loro uccisione dal Comando tedesco; una quarantina di Alpenjaeger tedeschi effettuarono l’esecuzione e dopo coprirono i corpi dei morti e dei sopravvissuti sotto la neve e il frascame. 

Al tramonto gli scampati, compreso uno dei quattro soldati, si districarono dal mucchio delle vittime e raggiunsero la montagna. 

Amara fu la liberazione di Vallerotonda, avvenuta il 14 gennaio 1944 per opera delle truppe di colore del Corpo di Spedizione francese che furono protagoniste di violenze e soprusi sulla popolazione.




 

11/09/20

Compare un nuovo misterioso Cratere in Siberia: è il nono dal 2013



Continua il mistero in Siberia: 

un cratere profondo 50 metri e largo 20, quasi perfettamente simmetrico: e' la scoperta fatta quest'estate nella tundra siberiana: si tratta, riporta la Cnn, del nono buco di questo tipo avvistato nella regione a partire dal 2013

Gli scienziati non sono ancora sicuri di come si siano formati: le prime teorie incontrollate che sono circolate a partire dalla prima scoperta spaziavano dall'impatto di meteoriti al crollo di un deposito militare sotterraneo segreto fino a un atterraggio Ufo


Ma ora l'opinione prevalente e' che questi buchi siano legati all'esplosione di accumuli di gas metano, forse un effetto collaterale del riscaldamento delle temperature nella regione. 



10/09/20

Scoperta a Malafede, vicino Roma, una misteriosa Vasca Monumentale lunga oltre 40 metri


Una vasca monumentale lunga oltre 40 metri, un'articolata stratificazione di edifici e costruzioni, 2 ettari di terreno, oltre 8 secoli di storia e sofisticate tecniche di scavo che hanno permesso la scoperta e lo studio dello straordinario contesto tra via Ostiense e via di Malafede.

Il ritrovamento e' avvenuto a partire dal giugno 2019, grazie alle indagini di archeologia preventiva dirette dalla Soprintendenza Speciale di Roma, in una porzione di territorio molto ampia.

Il territorio in cui e' compreso anche il fosso di Malafede, abitato fin dall'eta' preistorica, e' stato soggetto a numerose trasformazioni nel corso del tempo, spiegano dalla Soprintendenza, come testimoniano anche i preziosi reperti recuperati durante le indagini archeologiche. 

La forte presenza di acqua di falda e di risalita dal Tevere, ha reso le indagini archeologiche difficili e necessario l'impiego di sofisticate tecniche con dispositivi per prosciugare vaste porzioni di terreno. 

I resti piu' antichi risalgono all'inizio del V secolo a.C., con un successivo insediamento che si sviluppa in un monumentale edificio in blocchi di tufo, di cui sono state scoperte le fondamenta. La presenza di numerosi frammenti in terracotta dipinti indica una probabile area sacra. 

Connesso con questo primo edificio il ritrovamento piu' importante: una struttura di imponenti dimensioni risalente al IV secolo a.C. e ancora in corso di scavo: una vasca larga circa 12 metri, che si snoda per 48 metri di lunghezza in direzione della attuale via Ostiense. 

La funzione di questa costruzione è sconosciuta e ancora in fase di studio. Potrebbe ricordare vasche di decantazione, recinti rituali, contenitori di concime animale, raccolta di acqua per uso agricolo, per allevamenti o per impianti produttivi e altro ancora. 

Tuttavia la grande vasca di Malafede ha pochi termini di confronto per l'epoca di costruzione, le grandi dimensioni, la presenza di uno scivolo, i possenti blocchi di tufo che la delimitano abbinati alla mancanza di una pavimentazione di fondo. 

Sul finire del III secolo a.C. l'area attraversa una prima importante modifica: la costruzione piu' antica venne completamente spogliata, colmata e rasata con spessi strati di terra di riporto. 

Sopra il luogo di culto venne infatti costruito un complesso con funzione produttiva o commerciale, mentre la grande vasca rimase ancora attiva. 

Sara' l'analisi dei materiali che potra' offrire indicazioni preziose per definire le diverse funzioni di questa grande infrastruttura. 

I legni depositati sul fondale potrebbero fornire la soluzione all'enigma della vasca di Malafede: spicca un frammento con una scritta in alfabeto etrusco. 

08/09/20

Caetano Veloso: "I diritti e la libertà sono sotto minaccia"



"Ho sempre avuto una memoria micidiale, alla mia testa piace molto ricordare, figuriamoci quei giorni li', ma quando ho avuto tra le mani quei fogli, il verbale del mio interrogatorio e gli appunti della mia detenzione, di cui ignoravo l'esistenza, non nascondo di essermi emozionato molto", e anche se con il filtro freddo del collegamento zoom da Rio de Janeiro l'emozione prosegue a distanza per Caetano Veloso quando racconta il film che lo vede protagonista. 

Si tratta di Narciso Em Ferias, Narciso in vacanza, evento speciale fuori concorso a Venezia 77.

Diretto da Renato Terra e Ricardo Calil, fa leva sui ricordi e sulle riflessioni di Veloso su quei 54 giorni di carcere sotto la dittatura militare brasiliana, nel 1969, con il pretesto di aver cambiato le parole di una canzone

Raccontando nel dettaglio quei giorni scolpiti nella sua memoria, il musicista, tra i fondatori del Tropicalismo che e' stato un movimento non solo musicale ma anche culturale d'avanguardia, ricorda e interpreta le canzoni di quegli anni e le storie molto spesso simili di altri artisti, tra cui Gilberto Gil, che fu arrestato lo stesso giorno.

"Fare memoria per me e' stato catartico, sono uscito di casa pensando di fare un'intervista e invece mi sono ritrovato indietro di 50 anni con un racconto rimasto per tanto tempo segreto e sono stato sopraffatto dall'emozione".

Erano anni, quelli della dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, meno nota dei vicini Cile e Argentina ma certo non meno traumatica, in cui anche una canzone poteva portare in carcere. 

E oggi? Gli intellettuali incidono ancora nella societa' rappresentando un pericolo per il potere? "Dietro una parvenza di democrazia c'e' una minaccia piu' subdola, meno chiara, all'epoca c'era una struttura autoritaria, ora invece c'e' quasi una contaminazione, una trama che cerca di infiltrarsi tra le maglie della democrazia, impedendo di fatto la circolazione delle idee, l'affermazione dei diritti e per la cultura e' piu' difficile incidere, anche se ha sempre la possibilita' di mettere in scacco e in crisi l'establishment se vuole. La situazione e' diversa dal '68, ma il modo di gestire la cosa pubblica spesso nel mio Paese non e' democratico. Oggi poi le nostre paure sono legate al timore di perdere i diritti acquisiti, allora non ne avevamo proprio". 

La quarantena, la situazione attuale ancora nella pandemia, anche per motivi sanitari, ha accentuato in Brasile, ma anche in tutto il mondo, il potere di controllo sui cittadini cosa ne pensa? "C'e' il tentativo di controllo totale, il Covid 19 suggerisce fantasie di dominio sulle persone, ma per me non e' una sorpresa, era gia' nell'aria e la comunicazione, i media, in questo hanno grande responsabilita'. Ma non voglio essere catastrofico ne' complottista, la situazione e' in evoluzione, dobbiamo imparare a convivere con lo sviluppo della scienza, l'intelligenza artificiale e la gestione degli algoritmi cercando di conservare autonomia delle coscienze". 

Caetano Veloso, mettendo a nudo il suo passato di 50 anni fa, spera di arrivare ai giovani e far conoscere quel desiderio di liberta' che avevano i ragazzi come lui, sottolineato da quell'Hey Jude, la canzone immortale dei Beatles, che ha riarrangiato per il documentario Narciso Em Ferias in uscita anche come album. 

Italia per Veloso infine significa cinema, Michelangelo Antonioni, "un'amicizia durata anni sull'onda del mio amore per i film italiani, da La Strada di Fellini che vidi a 15 anni, alle opere di Rossellini. Tutte cose che sono state importantissime per la mia formazione". 

Fonte: Alessandra Magliaro per ANSA

07/09/20

Il Pigneto, da set di Pasolini a movida romana



Una scena di Accattone di Pier Paolo Pasolini 
girato in gran parte al quartiere Pigneto


Il Pigneto, da set di Pasolini a movida romana.

Quello che oggi è conosciuto come Pigneto, uno dei quartieri più vivaci e dediti alla vita notturna, riscoperto negli ultimi anni grazie alla proliferazione di locali e ristorantini alla moda era, agli inizi del secolo scorso, come molti quartieri oggi periferia di Roma, per gran parte un latifondo appartenente ad una ricca famiglia romana, i Tavoletti, i quali disponevano di questi sconfinati prati estesi a perdita d'occhio, delimitati da filari di pini mediterranei, alcuni dei quali sono sopravvissuti e visibili in via Fanfulla da Lodi.

Agli inizi degli anni Venti, il Pigneto, come molti altri latifondi, divenne terreno di una rapidissima urbanizzazione,  che popolò di grandi caseggiati questa porzione di territorio tra la via Casilina e la via Prenestina. Da Acuto, un paesino in provincia di Frosinone, Enrico Necci raggiunge il miraggio della capitale nel 1921. Sarà lui ad aprire, tre anni più tardi, il primo bar della zona, che poi prenderà il pomposo nome di "Gelateria Impero". 

Il terreno tufaceo all'epoca, era pieno di cavità che presto cominciarono ad essere usate dai residenti come cantine. E ancora oggi, le grotte dove i bambini giocavano a nascondino, e dove durante la seconda guerra mondiale furono allestiti rifugi antiaereo, sono ancora visitabili (i bombardamenti degli alleati nel 1943, che colpirono soprattutto San Lorenzo, fecero molti danni anche al Pigneto, dove un intero palazzo fu raso al suolo in quella che una volta si chiamava Via Benito Mussolini, e oggi si chiama Via Fortebraccio; e altri furono gravemente danneggiati in Via Fanfulla da Lodi.

A dare notorietà internazionale al quartiere, pensò però, indirettamente, Pier Paolo Pasolini, il quale, nel 1961 riuscì finalmente a realizzare il sogno di girare questo film, estremamente semplice, che voleva raccontare la vita del sottoproletariato di Roma, città dalla quale il poeta friulano era stato adottato, ai tempi in cui insegnava nella scuola media a Ciampino e nei quali cominciò il suo apprendistato nel cinema al seguito dei grandi maestri di allora.

Proprio in Via Fanfulla da Lodi (tutti gli esterni e gli interni del bar nel quale si ritrovano i protagonisti del film furono girati in questa strada) Pasolini ambientò infatti una gran parte di Accattone, che dopo le polemiche suscitate alla sua presentazione al Festival di Venezia del 1961, divenne in breve tempo uno dei film più studiati all’estero,  straordinario affresco di una generazione dimenticata dall'Italia del boom economico, ritratta con crudezza e poesia allo stesso momento.

Diversi documentari furono realizzati in seguito, con le foto di scena di quel film e il backstage pasoliniano, dove sono perfettamente riconoscibili i luoghi, le case del quartiere del Pigneto, che ancora mantiene la memoria di quella epopea memorabile del cinema italiano.


Una foto d'epoca della Gelateria Impero al Pigneto


06/09/20

Poesia della Domenica: "Il Pellicano" di Alfred de Musset





Il Pellicano 



Quando il pellicano, stanco da un lungo viaggio,
Nelle nebbie della sera ritorna al suo canneto
I suoi piccoli, affamati, corrono sulla riva
Vedendolo  cadere sulle acque.
Già, credendo di catturare e condividere le loro prede,
Corrono al padre con grida di gioia
Scuotendo il loro becco sul loro gozzo orrido.
Lui, lentamente guadagnando un alto scoglio,
Mettendo al riparo dell’ala la sua covata,
Pescatore di malinconia, guardò il cielo.
Il sangue scorre a lunghi fiotti nel petto aperto
Invano ha cercato la profondità dei mari;
L’oceano era vuota e deserta spiaggia;
Per tutto nutrimento egli fornisce il suo cuore
Scuro e tranquillo, disteso sulla pietra
Partecipando ai suoi figli le sue interiora di padre,
Nel suo amore sublime egli culla il suo dolore,
E, guardando colare la sua insanguinata mammella;
Sul suo festino di morte, egli vacilla e crolla,
Ubriaco di voluttà, tenerezza e orrore.
Ma a volte nel bel mezzo del sacrificio divino
Stanco di morire in troppo  lungo supplizio,
Egli teme che i suoi figli non lo lascino in vita
Allora si alza e apre le sue ali al vento
E, strappandosi il suo cuore con un grido selvaggio,
Urla nella notte un così addio funebre,
Che gli  uccelli disertano la riva al mare
E il viaggiatore attardato sulla spiaggia
Sentendo passare la morte, si raccomanda a Dio.
Poeta, è così che fanno i grandi poeti.
Lasciano la gioia  a chi vivono un tempo;
Ma i festini umani che servono alle loro feste
Sono simili per la maggior parte a quelli dei pellicani
Quando parlano così di speranze ingannate,
Di tristezza e di oblio, di amore e di dolore,
Questo non è un concerto a dilatare il cuore.
Le loro declamazioni sono come spade
Essi disegnare un cerchio in aria abbagliante
Ma vi pende sempre qualche goccia di sangue.


Alfred de Musset (1810-1857)


Le Pélican


Lorsque le pélican, lassé d’un long voyage,
Dans les brouillards du soir retourne à ses roseaux, 
Ses petits affamés courent sur le rivage 
En le voyant au loin s’abattre sur les eaux. 
Déjà, croyant saisir et partager leur proie, 
Ils courent à leur père avec des cris de joie 
En secouant leurs becs sur leurs goitres hideux. 
Lui, gagnant à pas lents une roche élevée, 
De son aile pendante abritant sa couvée, 
Pêcheur mélancolique, il regarde les cieux. 
Le sang coule à longs flots de sa poitrine ouverte ; 
En vain il a des mers fouillé la profondeur ; 
L’Océan était vide et la plage déserte ; 
Pour toute nourriture il apporte son coeur. 
Sombre et silencieux, étendu sur la pierre 
Partageant à ses fils ses entrailles de père, 
Dans son amour sublime il berce sa douleur, 
Et, regardant couler sa sanglante mamelle, 
Sur son festin de mort il s’affaisse et chancelle, 
Ivre de volupté, de tendresse et d’horreur.
Mais parfois, au milieu du divin sacrifice, 
Fatigué de mourir dans un trop long supplice, 
Il craint que ses enfants ne le laissent vivant ; 
Alors il se soulève, ouvre son aile au vent, 
Et, se frappant le coeur avec un cri sauvage, 
Il pousse dans la nuit un si funèbre adieu, 
Que les oiseaux des mers désertent le rivage, 
Et que le voyageur attardé sur la plage, 
Sentant passer la mort, se recommande à Dieu. 
Poète, c’est ainsi que font les grands poètes. 
Ils laissent s’égayer ceux qui vivent un temps ; 
Mais les festins humains qu’ils servent à leurs fêtes 
Ressemblent la plupart à ceux des pélicans. 
Quand ils parlent ainsi d’espérances trompées, 
De tristesse et d’oubli, d’amour et de malheur, 
Ce n’est pas un concert à dilater le coeur. 
Leurs déclamations sont comme des épées :
Elles tracent dans l’air un cercle éblouissant, 
Mais il y pend toujours quelque goutte de sang.


05/09/20

5 Settembre 1960 - 60 anni fa a Roma nasceva il mito di Cassius Clay/Mohammed Alì, il più grande



Cinque settembre 1960, la nascita di un mito universale

Anche se un giornalista locale, vedendo in azione Cassius Clay durante quell'Olimpiade romana, disse avventatamente "io quel negretto li' lo vedo male". Una caduta di tono, peraltro bilanciata dalla previsione di Sport Illustrated ("Clay e' il miglior candidato per una medaglia d'oro americana") e smentita da quel match per l'alloro dei mediomassimi in cui il 18enne statunitense, che due anni prima aveva annunciato che avrebbe vinto ai Giochi e gia' strafottente e sfrontato, alle parole fece seguire i fatti e sul ring distrusse il polacco Zbigniew Pietrzykowski. 

Questi, 'dilettante di Stato', aveva dieci anni piu' del rivale e ai Giochi si era gia' preso il bronzo nel '56 a Melbourne. Aveva anche vinto tre volte l'oro agli Europei e in semifinale a Roma aveva battuto l'azzurro Giulio Saraudi, ma contro Clay non ci fu nulla da fare. 

Dopo una prima ripresa equilibrata, il mancino Pietrzykowski venne annientato: uno sul quadrato 'scherzava' col destro e faceva il doppio passo, l'altro perdeva sangue dalla bocca e dal naso, e alla fine del terzo round il verdetto fu unanime. 

 All'Olimpiade romana il giovanissimo Clay era arrivato battendo nei Trials americani Henry Hooper per ko, Fred Lewis ai punti e Allen Hudson per ko, ma soprattutto il rivale piu' insidioso: la paura di volare.

Lo racconto' lui stesso: dopo aver fatto tanto, stava per rinunciare proprio perche' non se la sentiva di prendere l'aereo, e i dirigenti di Team Usa dovettero sudare sette camicie per fargli capire che non era il caso di viaggiare verso l'Italia in nave.

Continuava a ripetere che "se Dio avesse voluto farci volare, ci avrebbe fatto le ali" e lo imbarcarono sul volo per Roma quasi a forza. 

Nella sua autobiografia Clay racconta che "viaggiai indossando un paracadute che avevo comprato a un svendita militare, col cavo stretto in pugno: ero pronto a lanciarmi se l'aereo avesse cominciato ad agitarsi". 

 Alla fine arrivo' e in breve divenne uno dei 'sindaci' del Villaggio Olimpico, non smettendola mai di parlare: stringeva decine di mani, si presentava dicendo che avrebbe vinto l'oro, parlava in continuazione e nei primi giorni al Villaggio aveva gia' posato per foto ricordo con una trentina delegazioni e firmato centinaia di autografi

Quando usciva, lo faceva con altri pugili e con un gruppo di quelli dell'atletica, fra i quali una ragazza, anzi una 'gazzella', per la quale sembra che avesse preso una cotta: la sprinter Wilma Rudolph, ventesima di 22 fratelli e altra stella di quelle Olimpiadi. 

Ma lei gli preferi' l'azzurro Livio Berruti, e poi Eduard Crook junior, un altro pugile, con il quale si sarebbe sposata. 

Del giovane Clay in libera uscita qualcuno a Roma ancora ricorda che cercava delle t shirt con l'immagine del Colosseo in un bar-souvenir shop dalle parti di piazza Venezia. 

Nel villaggio Olimpico viveva con gli altri nelle stanze con letti a castello della delegazione Usa. Clay racconta nella sua biografia che prima di allora non aveva mai visto un bidet e la prima volta, li' a Roma, lo aveva scambiato per una fontanella. 

Si era meravigliato, poi aveva cercato di bere.

McClure, con cui divideva la camera, non aveva piu' smesso di ridere. Dopo la vittoria del 5 settembre non si toglieva mai la medaglia d'oro dal collo, nemmeno quando andava a dormire. Rimase al villaggio, incontro' il campione del mondo dei massimi Floyd Patterson, in visita di cortesia, e promise a se stesso che un giorno lo avrebbe battuto. 

Poi avendo gia' a quei tempi inclinazioni letterarie scrisse la sua prima poesia: "il mio scopo e' rendere l'America piu' grande, quindi ho battuto i russi (Gennady Shatkov , nei quarti n.d.r.) e i polacchi, e ho vinto la medaglia d'oro per gli Usa. Gli italiani mi hanno detto 'sei piu' grande dell'antico Cassio. Ci piace il tuo nome e come ti batti, se vorrai Roma sara' la tua casa. Io risposi che apprezzavo ma che gli Usa sono ancora il mio paese". 

Che poi lo tradi', rendendolo l'uomo capace di gettare la sua medaglia olimpica "che non perdevo d'occhio neanche per un momento", nel fiume quando, tornato a casa, gli impedirono di entrare in un bar perche' di colore. Penso' che a Roma, dove quel 5 settembre il mondo si accorse di lui, non gli sarebbe successo e comincio' a diventare The Greatest. 

02/09/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


100 film da salvare alla fine del mondo: 71. "Il servo" ("The Servant") di Joseph Losey, 1963 


The Servant è considerato a ragione il capolavoro che il grande Joseph Losey ha diretto nel 1963. Il film porta la prestigiosa firma di Harold Pinter, che adattò il romanzo di Robin Maugham del 1948. 

Il servo fu presentato per la prima volta al Warner Theatre di Londra il 14 novembre 1963 ed è la prima delle tre collaborazioni cinematografiche di Pinter con Losey, che includono anche Accident (1967) e The Go-Between (1971).

Il film mette in scena le relazioni tra quattro personaggi centrali alle prese con questioni relative alla classe sociale, servitù e noia delle classi superiori. 

Tony (James Fox) è un giovane londinese ricco che sta lavorando alla costruzione di nuove città in Brasile e si trasferisce nella sua nuova casa, assumendo Hugo Barrett (Dirk Bogarde) come suo servitore. 

Inizialmente, Barrett sembra accettare facilmente il suo nuovo lavoro, e lui e Tony formano un legame tranquillo, mantenendo i loro ruoli sociali. 

Le relazioni iniziano a cambiare, tuttavia, e cambiano con l'arrivo di Susan (Wendy Craig), la ragazza di Tony, che è sospettosa di Barrett e odia tutto ciò che rappresenta. Vuole che Tony licenzi Barrett, ma lui rifiuta.  

Proprio come il biblico Abramo fece due volte con sua moglie Sarah ( Genesi 12: 10-20 e Genesi 20: 1-18), Barrett porta allora la sua amante Vera (Sarah Miles), che presenta come sua sorella, nella casa di Tony come serva. 

Barrett convince Vera a sedurre Tony, così può controllarlo. 

Attraverso le manipolazioni di Barrett e Vera, le coppie invertono i ruoli; Tony diventa sempre più dissipato, sprofondando ulteriormente in quello che percepisce come il livello di Barrett e Vera; mentre Barrett diventa più arrogante e dominante; il padrone e il servo insomma si scambiano i ruoli. 

Nella scena finale, Tony è diventato completamente dipendente da Barrett, e Susan viene esiliata definitivamente dalla casa dal servo che voleva licenziare.

Un film elegante e ambiguo, perfetto ancora dopo quasi sessant'anni.

01/09/20

"Nei giovani la vergogna ha preso il posto del Senso di Colpa." Una bellissima intervista a Gustavo P. Charmet



Pubblico un brano di questa intervista allo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet realizzata da Roberta Scorranese per il Corriere della Sera che si può leggere in integrale QUI.  E' una delle cose più interessanti e acute lette ultimamente.


«A ottantadue anni non mi fa paura il futuro, temo piuttosto il passato. Perché il passato ti raggiunge all’improvviso con una potenza critica che instilla dubbi. E condiziona il presente». Oltre cinquant’anni di carriera consentono piccoli vezzi: l’ironia sulla propria età, le ciabatte estive nello studio milanese, la nonchalance con la quale Gustavo Pietropolli Charmet evita il lettino dell’analista in pelle nera al centro della stanza.

«Ho deciso di fare lo psichiatra pur avendo un padre medico che considerava con disprezzo questa scelta. Per farmi cambiare idea mi fece fare un tirocinio estivo nel peggior manicomio bresciano. Mi appassionai ancora di più».
E finalmente ha deciso di raccontare mezzo secolo di lavoro nel cervello altrui in un libro, «Il motore del mondo», edito da Solferino.
«Tra le cose che più mi hanno dato soddisfazione di recente».


In Italia la psicoanalisi ha avuto un cammino ad ostacoli. Nel 1949 sul «Corriere della Sera» Alberto Savinio firmava un articolo dal titolo «Perché noi italiani non amiamo la psicanalisi» (per inciso: non riusciamo ad ammettere la morte).
«Da un lato il marxismo, dall’altro la Chiesa: erano attacchi continui. Peccato, perché la giusta alleanza tra medicina, psichiatria e psicoanalisi, come avviene per esempio in Francia, avrebbe aiutato nella cura dei disagi psichici, evitando i problemi di oggi»
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Quali problemi?
«Per esempio la medicalizzazione delle malattie mentali. Abbiamo chiuso i manicomi per affollare gli ospedali e consentire un uso disinvolto degli psicofarmaci. Mi sono battuto per promuovere residenze per malati che fossero delle comunità terapeutiche, dove curare i pazienti non in “ghetti”, ma nel giusto contesto».
La chiusura dei manicomi è stata un errore?
«Nel modo in cui è stata fatta, certo. A me è capitato di chiudere un reparto psichiatrico: non è stato facile far reinserire nella società delle persone che per una vita sono state in manicomio. Poi che dovessero cambiare le regole e che si dovessero eliminare certe aberrazioni all’interno dei manicomi, be’, questo è sicuro».
Lei ha speso una vita a curare i giovani ed è uno dei «cardini» di Minotauro, istituto milanese che fa ricerca e dà sostegno ai ragazzi in difficoltà. Come stanno cambiando gli adolescenti?
«Prima di tutto in loro è evaporato il senso di colpa e si è fatta strada la vergogna. Mi spiego. Prima c’erano autorità precise: il padre, il prete, la fede politica. C’erano i castighi e i premi che definivano il valore dei gesti e delle persone. Oggi questo non c’è più».
E che cosa vede?
«Si è deciso che i bambini non vanno ostacolati nella ricerca autonoma del loro valore, ma sostenuti. Nei ragazzi così sparisce la paura, sparisce il Super Io ma arriva Narciso. In sostanza: davanti vedono solo modelli irrealizzabili di bellezza e successo e se da una parte non temono più il castigo (e dunque non provano il senso di colpa) dall’altra si vergognano di non essere all’altezza. Alcuni fanno sparire il proprio corpo».
Con l’anoressia, per esempio?
«Alcuni si muovono in direzione della chirurgia estetica, altri chiedono di cambiare genere, altri si accaniscono con tatuaggi. Sembra che facciano di tutto per non entrare nell’adolescenza».
Forse la qualità della vita infantile è migliorata al punto che la si lascia a malincuore, come lei nota nel libro?
«Imprigionati in una fragilità permalosa, molti bambini non se la sentono di affrontare la competizione a scuola o i bulli. E di ritrovarsi in un corpo che cresce. Tanti si richiudono nelle camerette. La parola chiave dei nostri tempi è vergogna. Ci si sente umiliati da chi non ci considera, da chi ci snobba. Sì, anche sui social».
Narciso spiega anche l’aumento delle violenze contro le donne?
«Certo. Lo stalker è un personaggio che ritiene di aver subito una grave offesa e la reazione è del tipo “o stai con me o non stai con nessuno”. Il trionfo di Narciso».
Odiare è diventato più facile?
«Vedo che in molti si struttura in un sentimento costante e convinto, mentre un tempo non era convenzionale odiare ed essere sempre arrabbiati con tutti e tutto. Oggi la diffusione dell’odio sembra essere l’espressione di una meticolosa sobillazione di marca sociopolitica. Consumare insieme l’odio e i suoi riti rinsalda i legami sociali, batte la noia e la solitudine: odiare insieme è l’alternativa al pregare assieme».
A proposito, sembra che la nuova religione sia diventata la scienza, nel senso che le si chiedono miracoli e anche immediati: il vaccino, l’abbattimento della curva dei contagi da Covid-19.
«Sì ma mi lasci dire una cosa: sono sei mesi che i virologi parlano, parlano, parlano e che cosa hanno in mano? Nulla!».

L'intervista allo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet realizzata da Roberta Scorranese per il Corriere della Sera continua a leggerla QUI.