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19/11/18

Thom Yorke (Radiohead) intervistato da Repubblica: "Internet e social network stanno generando un nuovo fascismo".




"La gente ha cambiato modo di pensare per colpa di internet e dei social network. È fascismo: ma non nel vecchio senso. Non è nemmeno reale ma non per questo è meno pericoloso: il nuovo fascismo è questo, è la gente non si sente più responsabile per il proprio comportamento".

In un'intervista rilasciata a Repubblica, Thom Yorke parla di social network e dei riflessi negativi che il loro utilizzo ha avuto sulla volontà delle persone.

Si legge su Repubblica:

"Sono sceso in piazza l'altro sabato nella grande manifestazione contro la Brexit. Temo di essere letteralmente terrorizzato. E del resto: non siete terrorizzati anche voi in Italia? O siete ancora tutti paralizzati? (...) Jaron Lanier (uno dei pionieri della realtà virtuale, oggi molto critico, ndr) dice che la rabbia della gente cresce perché attraverso un algoritmo finisce in un gioco di specchi dove le opinioni diventano sempre più estreme".

Quello che lo spaventa non è l'onda conservatrice che ha investito i governi di molti paesi in quest'ultimo periodo. Ma ciò che ha spinto verso la salita al potere di questi governi.

"Il pericolo non è uno stupido governo conservatore che finirà per divorare sé stesso. Per ritornare a Suspiria e alla metafora della danza: noi siamo come la danzatrice che sotto un incantesimo che non capisce si butta di qua e di là - fino a uccidere sé stessa. Quella danzatrice siamo noi che non abbiamo più fede nella nostra capacità di cambiare le cose: perché stiamo vivendo in una specie di vuoto"

Social che impoveriscono il linguaggio, le discussioni, i pensieri e i ragionamenti. Dando l'illusione di esser parte attiva. "Scrivere due frasi su Twitter non significa che stai facendo una discussione. E scrivere la tua opinione con la bava alla bocca su Facebook non significa che stai partecipando a un dibattito politico. Non c'è differenza tra quello e il tracciare tremebondi graffiti nella toilette".

Fonte: Huffington Post/ La Repubblica

30/08/18

"Con un poco di zucchero" - Un bellissimo intervento di Pier Aldo Rovatti: Siamo sempre più una "società melliflua". Per buttare giù l'amaro della realtà.



Avevo appena iniziato l’università e cercavo qualcosa da fare. Mi capitò anche una prova per un’agenzia pubblicitaria di Milano: ipotizzai un piccolo copione per un “carosello” (allora, parlo di cinquant’anni fa, era la pubblicità televisiva per eccellenza). Presentai così la mia ideuzza che consisteva in una scena vuota e in essa due personaggi, come quelli di “Aspettando Godot” di Beckett, che si riferivano a un prodotto indefinito ma molto appetibile fuori dalla scena. La mia esperienza finì lì e ricordo che il responsabile dell’agenzia pronunciò, prima di liberarsi di me, solo queste lapidarie parole: «Troppo poco zucchero nel caffè».


L’episodio evidentemente mi colpì, e adesso riemerge nella mia mente a forza di leggere e ascoltare la parola “edulcorare”, ripetuta per giorni dai media in riferimento ai modi con cui si è andato formando il cosiddetto “governo del cambiamento”, quello appunto che sta cominciando a governarci. Ma è solo un aggancio possibile perché un po’ ovunque, nel gioco politico, la tendenza ad aggiungere cucchiaini di zucchero per attenuare l’amaro delle situazioni è molto diffusa. Per non parlare delle relazioni private nelle quali quasi tutti noi riversiamo normalmente dosi di dolcificanti per evitare di viverle come insopportabili.



Se ci mettiamo a osservare episodi, significati e conseguenze che intrecciano questa “società melliflua” nella quale - a quanto sembra - ci siamo accomodati con scarsa reattività, anzi volentieri, potremmo incontrare per esempio l’“incidente del curriculum” che è toccato all’attuale presidente del Consiglio, nel momento in cui apparve semisconosciuto sulla ribalta governativa. Il fatto che avesse edulcorato il curriculum, ingigantendo un poco la sua carriera di studioso dalle numerose esperienze internazionali, produsse una relativa sorpresa, ma è difficile negarne il carattere di sintomo, non solo nel senso di un cattivo vezzo accademico, non solo perché alla fine manifestamente inutile, bensì proprio perché è indice di un comportamento generalizzato.



Con aria maliziosa un collega che insegna sociologia mi ha raccontato che adesso nei curriculum si trova anche il contrario, come dichiarazioni di insuccessi e mancanze accademiche. Complimenti - ho pensato - ma vorrei poi vedere quale risultato possa ottenere un simile curriculum. Potremmo riconoscere qui un’inedita onestà. Dopo un attimo, tuttavia, rifletteremmo silenziosamente che si tratta di un gesto autolesionistico, una specie di autogol.
Allargando lo sguardo a quello che sta accadendo nei modi di stare a tavola, per dir così, dei nostri attuali governanti, si potrebbe subito obiettare che i gesti che sembrano prevalere non hanno nulla di dolce. I toni del discorso “populistico” non sembrano conoscere la moderazione: sono toni alti e pochi stanno reclamando che vengano abbassati, mentre molti li apprezzano proprio per il loro vigore, e ancor più viene condiviso il fatto che ai toni alti corrispondano finalmente gesti decisi rivolti a scuotere il sonno delle istituzioni europee, come nel caso della chiusura dei porti alle navi delle Ong che raccolgono i migranti. Ecco finalmente una politica autorevole che per funzionare richiede un po’ di autoritarismo!



Allora, dove starebbe la pratica dell’edulcorare? Non c’è nessuna contraddizione: intanto, gli atteggiamenti forti vengono introdotti non solo alzando la voce ma contemporaneamente con una serie di ammiccamenti, come se si trattasse di ovvietà molto desiderate (pensiamo alle annunciate strette sulla sicurezza), del tutto normali dunque e con lo scopo di migliorare le nostre esistenze grazie a un sovrappiù di tranquillità. “State sereni, italiani” è la musica di accompagnamento che ci pare di ascoltare.



Segue, partendo da qui, qualcosa di più significativo e meno banalmente retorico. Viene allo scoperto ciò che l’edulcorazione nasconde, proprio come lo zucchero copre l’amaro. Il messaggio ha da essere positivo e perciò tende a scansare ogni elemento di tristezza, di drammaticità e di angoscia. Se fa leva spesso sulla paura, non è certo per invitare a guardarci dentro bensì per esorcizzarla un attimo dopo averla evocata. Perciò ci si riferisce solo a quelle realtà che potranno essere ammansite e si evita ciò che produce problemi inquietanti. Ci si volta dall’altra parte, quando si rischierebbe che gli occhi vedano ciò che la propaganda non riuscirebbe a contenere nella sua rete.



E quando, come nel caso dell’affaire romano venuto alla luce con le recenti inchieste giudiziarie sulla corruzione, il nuovo ceto politico giallo-verde avverte il rischio di restare impaniato, è facile osservare che le reazioni di difesa sono del tipo: “Cose marginali di poca importanza”, “Un equivoco che si chiarirà entro qualche giorno”. Traducendo queste reazioni nel discorso che sto facendo, ecco un altro esempio di tecnica dolcificante adoperata quando il sapere di amaro tende a offendere troppo il palato.



Sarebbe però un errore restringere la questione ai comportamenti che si danno a vedere nell’attuale contingenza di governo, nell’idea presente di “governamentalità”. Infatti, bisogna valutare in che misura questi atteggiamenti siano lo specchio di una società intera (un attimo fa l’ho definita una “società melliflua”), quella stessa che il voto di marzo, rinforzato dagli ultimi sondaggi, ha manifestato chiaramente. Concordo che i cosiddetti “ultimi” sono rimasti in silenzio o sono stati silenziati, perché il popolo che ha avuto voce è il popolo dei “penultimi”, sostanzialmente disinteressato alla povertà e alla disperazione e soprattutto attento alla difesa dei propri piccoli privilegi.



La “società melliflua”, erede di una borghesia diventata piccolissima e totalizzante, non vuole saperne di amarezze. Per rimuoverle sembra disponibile ad accettare una falsificazione quotidiana che selezioni ciò che è gradevole, e viene presentato come tale, da ciò che è sgradevole e che dovrebbe restare nell’ombra. Abbiamo, a mio parere, una prova evidente di quanto ho appena detto se spiamo dentro le case e nelle vite individuali. Qualcuna fa eccezione? L’amaro è lì e lo sappiamo bene, però facciamo di tutto per tenerci su, per essere presentabili senza identificarci con un eterno lamento.



I lamenti preferiamo riservarli agli sfigati, noi invece cerchiamo di sorridere e di riscuotere il sorriso degli altri, scegliamo di frequentare quelli che contano o che comunque ci potrebbero promettere il guadagno di un piccolo gradino sociale.

Pier Aldo Rovatti, da L'Espresso 19 giugno 2018

09/08/18

Il Fascismo secondo Ennio Flaiano.


Credo che nessuno meglio di Ennio Flaiano abbia descritto in così poche lapidarie parole, il senso del Fascismo, indipendentemente dalla ideologia che porta questo nome: non quindi come insieme di idee e dogmi politici, quanto invece come mentalità, come modo di pensiero e di comportamento (che prescinde e precede ogni ideologia canonizzata, racchiusa in una teoria e messa in modo in una pratica).  Sono parole che sono utili da rileggere oggi:


Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.

Ennio Flaiano
tratto da: Don't forget (1967-1972), pubblicato nel 1976, attualmente introvabile in commercio. 


29/06/18

Perché l'Italia non cambia mai (nonostante i Pifferai magici).



"I più pericolosi nemici d'Italia non sono gli Austriaci, sono gli Italiani. 

E perché ? Per la ragione che gli italiani hanno voluto far una Italia nuova, e loro rimanere gli Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio;

perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro, perché l'Italia, come tutti i popoli, non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero, come contro i settari dell'interno, libera e di propria ragione, finché grandi e piccoli mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere, e non la faccia bene, o almeno il meglio che può.

Ma fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; 

e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una parola sola, il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. 

E purtroppo si va ogni giorno verso il polo opposto: purtroppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gli Italiani". 

27/06/18

Il più grande Programma politico che sia mai stato scritto.


sono passati 2.000 anni eppure non conosco programma politico più grande di questo.
(Discorso della Montagna, Mt, 5)


Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.



Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.



Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.


Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.


Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.



Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.



Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.



Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!


Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella GeennaE se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.


Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran reNon giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.



Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dentema io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.  E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 


Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalleAvete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiustiInfatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


15/03/18

La celebre foto di Benigni e Berlinguer: un ricordo personale.


Avevo 24 anni e quel giorno era un magnifico pomeriggio di giugno, quando Roma ancora non si era trasformata in una città dal clima sub-tropicale, con temperature a 40 gradi e siccità terribile. 

Sulla terrazza del Pincio soffiava il ponentino, e noi ragazzi - che frequentavamo Villa Borghese come il nostro magnifico jardin d'été - fummo attratti dai suoni amplificati di una band che provava un concerto sul palco allestito proprio dirimpetto alla balaustra del Valadier. 

Era per l'esattezza venerdì 17 giugno del 1983 e il Partito Comunista aveva organizzato diverse manifestazioni in giro per Roma, di cui questa al Pincio. 

Di lì a qualche giorno, il 26 giugno si sarebbe votato per le elezioni politiche, quelle che avrebbero visto un deciso calo della Democrazia Cristiana e il PCI quasi al 30 per cento (dopo quelle elezioni il presidente del Consiglio sarebbe diventato, per la prima volta, il socialista Bettino Craxi). 

Al contrario di come si è immaginato dopo quella celebre foto, c'era pochissima gente di fronte al palco in quel pomeriggio - non più di un centinaio di persone, perlopiù curiosi come noi che erano venuti ad assistere alle prove del concerto, in programma qualche ora più tardi. 

Sul palco c'era già però Roberto Benigni, che era già molto amato e che qualche anno prima, nel 1977, aveva interpretato il film diretto da Giuseppe Bertolucci, Berlinguer ti voglio bene

Benigni, come era suo stile, accorgendosi che già un po' di pubblico s'era radunato, mise in scena un ironico comizio di una decina di minuti, facendo sbellicare i presenti. Ma la vera sorpresa accade qualche minuto dopo. 

Successe infatti che sul palco si materializzò all'improvviso nientemeno che il segretario del PCI  Enrico Berlinguer, il quale in quei giorni di campagna elettorale girava per Roma visitando i diversi palchi allestiti in città.

Forse aveva promesso a Benigni - e al giovanissimo Walter Veltroni che aveva organizzato la manifestazione del Pincio e che si intravvede infatti chiaramente in piedi sullo sfondo nella fotografia - di fare una apparizione. 

Non appena Benigni lo scorse, di lato al palco, lo chiamò, lo fece venire al microfono di fianco a sé e disse, dopo avergli stretto la mano: “io vorrei prenderlo in collo ma lui non si farà prendere, sarebbe il mio sogno prendere in collo Enrico Berlinguer”. 


Così avvenne: sotto i nostri occhi stupefatti, subito dopo lo prese effettivamente in braccio per pochi secondi. Berlinguer non si sottrasse al gesto e sorrise di gusto allo scherzo del toscanaccio. 


La scena fu la fortuna di un paio di paparazzi, che si trovavano lì per l'occasione e che realizzarono una foto divenuta poi incredibilmente famosa, anche all'estero.

Enrico Berlinguer, protagonista della svolta "eurocomunista"" – aveva da poco portato il PCI, il maggior partito comunista nell’Europa occidentale, al miglior risultato mai raggiunto, il 34,4 per cento alle elezioni politiche del 1976. 

Era poi seguito, appena due anni più tardi il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il suo assassinio, che inaugurarono una stagione difficilissima per l'Italia e anche e soprattutto per la sinistra italiana. 

Berlinguer morì appena un anno dopo questa foto: l’11 giugno 1984, a Padova, dopo l'ictus che lo aveva colpito quattro giorni prima, mentre stava tenendo un comizio in piazza della Frutta. 

Si concludeva così, drammaticamente, una intera stagione politica. 

A noi, giovani di allora, aver assistito al bagliore - questo sì, assai romantico - di questo fecondo tramonto. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata.


12/03/18

Il trionfo degli incompetenti e il rischio per la democrazia: un importante studio di Tom Nichols, in un nuovo libro.


The Death of Expertise di Tom Nichols – tradotto in italiano da Chiara Veltri con il titolo La conoscenza e i suoi nemici  è uno di quei libri che bisognerebbe far leggere a tutti per la rilevanza dei temi che tratta e per la loro assoluta attualità. 

Come non è difficile comprendere dal titolo originale, il libro parla della crisi dell’expertise e del trionfo dell’incompetenza che la accompagna

È senza dubbio qualcosa cui assistiamo spesso di questi tempi, e –come sostiene con buona vigoria retorica l’autore- è qualcosa che dovrebbe preoccuparci se teniamo alla democrazia e ai suoi valori.   Sempre più di frequente il parere di esperti e professionisti viene messo alla berlina e non solo rifiutato ma guardato con rabbia inusitata. Non si tratta così di indifferenza ma di vera e propria ostilità rispetto a chiunque esibisca competenza.

Al pregiudizio in favore della propria opinione o bias di conferma, che ci fa preferire le tesi che la rinforzano indipendentemente dalle prove che si hanno a sostegno, si aggiunge sovente un bias egualitario che forse è il più pericoloso di tutti. Questa forma di pregiudizio basato sull’eguaglianza ci sussurra all’orecchio «io valgo quanto te!». 

Ma se è vero che, in democrazia, siamo eguali nei diritti fondamentali, non è affatto vero che siamo eguali al cospetto di opinioni che richiedono un expertise. Per metterla giù chiaramente, se parliamo di relatività generale la mia opinione non è eguale a quella di un fisico teorico e se parliamo di vaccini o di ogm l’opinione di un ignorante in materia non vale tanto quanto quella di uno specialista.

Ora, come l’autore sottolinea correttamente, non è che gli esperti non sbaglino mai. Tutt’altro. Ma bisogna riconoscere che sul tema di cui sono esperti è probabile che sbaglino meno degli altri. Come mai allora una verità tanto evidente non è colta da tutti? In parte lo si deve alle nuove tecnologie a cominciare da Internet. Il web moltiplica a tal punto la quantità di informazione che diventa difficile un controllo serio, e i social media non fanno altro che peggiorare il caos.

I rimedi dovrebbero essere costituiti da giornalismo e sistema dell’istruzione, ma le cose si complicano quando l’informazione si confonde sempre più con l’intrattenimento e quando scuole e università trattano gli studenti come «clienti». 

Il tutto è assai rischioso per la democrazia, come ci disse tra i primi Platone, perché le decisioni pubbliche sono troppo spesso dettate da ignoranza e disinformazione. 

D’altra parte ciò è stato evidente a tutti nella campagna di che preceduto Brexit e in quella che ha visto l’elezione di Trump.

La campagna di Trump in particolare rappresenta quasi un modello per chi – come il nostro Nichols – guarda con preoccupazione alla fine della competenza. Trump infatti in pochi giorni –durante la campagna in questione è riuscito: a ammettere che gran parte della sua informazione in politica estera derivava dai programmi televisivi del mattino; a insinuare che il giudice di destra della Corte Suprema Antonino Scalia non fosse morto di cause naturali ma assassinato; a suggerire che Barak Obama non fosse americano e che addirittura dovesse dare prove esplicita di avere la cittadinanza US; a elogiare il potere distruttivo delle armi nucleari; a fare dichiarazioni sui rapporti tra i generi sessuali che in America non sono assolutamente ammissibili; a accusare uno dei suoi rivali per la nomination repubblicana (Ted Cruz) di avere un padre implicato nel “complotto” che condusse all’omicidio di John Kennedy; a schierarsi con i no-vax.

Ora, siamo tutti consapevoli che i comizi elettorali costituiscono un terreno sdrucciolevole, ma qui si tratta non di semplici passi falsi ma di errori clamorosi

Eppure Trump ce l’ha fatta: ha vinto prima la competizione per la nomination repubblicana ed è diventato poi Presidente degli Stati Uniti. Non è chiaro se gli elettori americani si siano accorti degli errori di Trump, e neppure è lecito sapere se –una volta consapevoli- lo abbiano poi perdonato in nome della sua personalità “forte”.

La cosa importante è che, consapevoli o no, alla fine della fiera lo hanno votato assai più del previsto. Difficile non pensare a questo punto che Trump sia stato premiato per avere impersonato quella diffusa ostilità verso gli esperti di cui parla Nichols nel libro.

Come si è detto, favorire l’incompetenza non è solo un problema epistemologico, è anche politicamente rischioso. Dovessi dire perché, sosterrei che la causa principale del pericolo in questione consiste nella sostanziale mancanza di fiducia nelle élites che così si rivela. Ma la fiducia è un carburante indispensabile per far lavorare bene una democrazia, così come lo è l’equilibrio tra expertise e popolo. Questo prezioso saggio ci mostra una frattura pericolosa all’interno di questo equilibrio. E ci fa riflettere sulla necessità di correre ai ripari per cercare di salvare la democrazia dalla tirannia dell’incompetenza.


21/02/18

Al MAXXI di Roma dal 16 marzo una Installazione per ricordare il rapimento e la morte di Aldo Moro.



In occasione del quarantennale della strage di via Fani, il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXIsecolo rende onore alla memoria di Aldo Moro

 E lo fa attraverso lo sguardo di un artista, Francesco Arena: la sua opera 3,24 mq, che riproduce in dimensioni reali l'angusto spazio nel quale Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni, sara' esposta dal 16 marzo al 9 maggio (date del rapimento e del ritrovamento del corpo) nel cuore del museo, nella galleria che ospita la collezione permanente con ingresso libero dal martedi' al venerdi'. 

Durante i 55 giorni di esposizione - lo stesso del tempo della prigionia (tanti quanti furono quelli in cui lo statista democristiano rimase prigioniero delle Brigate Rosse prima che venisse ucciso e che il suo corpo venisse fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault Rossa parcheggiata nella capitale in pieno centro storico) - saranno organizzati incontri con storici, studiosi, giornalisti, scrittori: per non dimenticare.



Un'iniziativa particolarmente importante oggi, con la grave notizia che e' stata imbrattata da ignoti, con svastiche, la lapide commemorativa, in Via Mario Fani.

"Avevamo gia' in programma questa celebrazione, ma oggi piu' che mai ci sembra necessaria- spiega Giovanna Melandri, presidente della Fondazione che gestisce il museo delle arti e dell'architettura del XXI secolo - Anche un'istituzione come il MAXXI deve fare la sua parte per contrastare ogni segnale di imbarbarimento del clima culturale e sociale del nostro Paese. Ci auguriamo che vengano in tanti, soprattutto giovani, ad assistere agli incontri e a vedere con i propri occhi un'opera d'arte che ci fa rivivere in modo profondamente toccante uno dei momenti piu' tragici della nostra storia recente". 

fonte askanews e ansa

02/02/18

Libro del Giorno: "La Mediocrazia" di Alain Deneault.


Abbiamo già parlato del libro in questo blog,  proponendo una intervista ad Alain Denault, qualche settimana fa. 

Si tratta di un saggio che ha avuto un certo successo in molti paesi, preannunciato da un battage  accattivante: "Come e perché i mediocri hanno preso il potere" e pubblicato in Italia da Neri Pozza. 

In realtà il lancio del libro è abbastanza fuorviante perché  Denault, docente di Scienze Politiche presso l'Università di Montreal, non è interessato qui a proporre un saggio analitico per esaminare le cause che hanno portato ad un ritrarsi delle élites - élites culturali, politiche, etiche -  dalla vita pubblica, lasciando il potere, ogni potere, in mano dei "mediocri", gente che non ha né cultura né scrupoli e che è interessata soltanto alla proliferazione dei profitti e del guadagno personale. 

Lungi dall'affrontare un testo organico su questo argomento, Denault compone una specie di moderno pamphlet, politicamente molto arrabbiato, sulle oscenità e sulle malefatte del potere, perlopiù concentrato dalla visuale di un paese marginale - il Canada - e di una regione - il Quebec - della quale almeno qui in Italia si parla molto poco. 

Canada e Quebec sono però per Denault, lo specchio dell'andazzo mondiale: tutto il mondo, ci dice il filosofo canadese va così. 

Così come ? Il libro parte proprio dal mondo dell'università - la parte più convincente del volume - dove si dovrebbero formare gli esperti e soprattutto le coscienze del futuro. Le grandi università sono invece oggi, secondo Denault fabbriche del consenso, strutture completamente asservite allo statu quo, e alla logica dei grandi apparati economici.  Anziché insegnare a pensare, le grandi università dunque, indicano quello che va fatto, quello che serve per restare nel seminato stantio delle ingiustizie e di un sapere sempre più massificato. 

Ma Denault va oltre: e la politica e l'economia non vanno meglio, anzi. Così come la cultura:  Dal principio di democrazia ormai corrotto emerge un nuovo regime che risponde al nome di "governance". L'università corrotta si trasforma in un istituto di analisi e perizie commerciali. L'economia corrotta dà origine all'oligarchia finanziaria, fonte di diseguaglianze spaventose. Le istituzioni di giustizia corrotte si concentro su istanze private e dispendiose per la composizione di vertenze varie. 

Questa catena di corruzione porta sempre più in alto la concentrazione del potere: qualsiasi attività umana viene organizzata in modo che aumenti il capitale di chi la sovrintende. Questo, dice Denault, ci rende poveri sotto tutti gli aspetti. 

Il difetto del libro è la frammentazione, la mancanza di un quadro di insieme e si spiega col fatto che Denault ha qui riunito le idee e le parole contenute in molti suoi articoli pubblicati in questi anni in riviste e testi universitari. 

L'analisi di Denault, post marxista se così la possiamo chiamare, chiama ad un grande processo di co-rottura, cui sono - siamo chiamati tutti - per far sì che le cose cambino, e cambino davvero. Soltanto con l'impegno personale di tutti, si potrà combattere la corruzione, la degenerazione di questa forma di mondo così cinica, affidata e in mano a personalità prive di etica e di intelligenza. 

Fabrizio Falconi





25/12/17

"L'Europa ha contratto un male terribile: il pessimismo." Mario Vargas LLosa



Mi ha molto colpito questo passaggio dell'ultima intervista rilasciata due giorni fa da Mario Vargas LLosa a Barcellona all'inviato del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo.  E' qualcosa su cui vale la pena di meditare, a proposito del destino di noi abitanti nativi dell'Europa. Qui l'intervista completa. 



Non trova che gli italiani tra loro si somiglino ?

Proprio gli italiani confermano la mia idea. Da voi non esistono neppure le regioni. Lei conosce due toscani che si assomiglino ? I pisani non amano i livornesi, i pistoiesi rivaleggiano con i lucchesi; e tutti insieme detestano i fiorentini; per tacere delle contrade senesi. L'immagine della tribù felice contro il resto del mondo è un imbroglio ideologico. 

L'Europa però non gode di buona salute.

Gli Europei hanno contratto un male terribile: il pessimismo. In realtà viviamo un tempo grandioso. Uomini e popoli si stanno integrando tra loro. Se l'Europa è così male come ci raccontiamo, perché milioni di africani lasciano la loro terra, corrono ogni sorta di pericoli, rischiano la vita, per arrivare qui ? Soltanto per migliorare la loro condizione ?

Per cos'altro se no ?

Non cercano solo pane e lavoro. Cercano legalità. Fuggono la barbarie. Scappano da regimi orribili, da dittature spaventose, in cui non hanno certezze né diritti. Cercano una terra che offra la sicurezza di poter avere al fianco la propria donna, di professare la propria religione, di crescere i propri figli. Questa per loro è l’Europa. Dovremmo esserne un po’ più fieri. C’è qualcosa di grandioso nelle migrazioni: c’è il riconoscimento della grande cultura giuridica europea, la prova del primato della democrazia.


20/11/17

"Il mondo è dei mediocri - E la politica in Primis". L'intervista a Alain Deneault.


è da leggere questo saggio di Alain Deneault, filosofo canadese, ora tradotto anche in Italia da Neri Pozza.  Analizza un fenomeno oramai diffuso in tutto l'Occidente e che ha ormai riscontri da tempo anche nel nostro paese.  Perché i mediocri hanno in mano la politica ? Perché le èlites e le eccellenze, ma più in generale le intelligenze, si tengono lontano dalla politica ? Risponde Alain Deneault, in questa intervista rilasciata a Sara Ricotta Vaza per la Stampa di Torino. 

Il mondo è dei mediocri. Sarà che è un assunto non difficile da sperimentare - e anche consolatorio per spiegarsi certi successi o insuccessi ugualmente distanti dalle vette del genio e dagli abissi dell’indegnità - ma il saggio La mediocrazia(Neri Pozza, pp. 239,  18) del filosofo canadese Alain Deneault a un anno dall’uscita è ormai un longseller internazionale. E dire che in centinaia di pagine, dense di pensiero e di citazioni, ne ha davvero per tutti. In politica, da Trump a Tsipras, vede solo un «estremo centro», nell’impresa la «religione del brand», il «consumatore-credente», la «dittatura del buonumore». Nel lavoro «devitalizzato» individua la skill fondamentale nel «fare propria con naturalezza l’espressione: alti standard di qualità nella governance nel rispetto dei valori di eccellenza». E, in ogni ambito, rileva certi tic verbali come «stare al gioco», «sapersi vendere», «essere imprenditori di se stessi». Insomma, dice, «non c’è stata nessuna presa della Bastiglia ma l’assalto è avvenuto: i mediocri hanno preso il potere».  

Lo abbiamo incontrato a Milano dove ha parlato al Wired Fest, il festival dell’innovazione, altra parola che non manca nel vocabolario mediocratico. Oggi sarà al Circolo dei Lettori di Torino.  

Professor Deneault, l’ha colpita questo successo? Anche perché a molti che la leggono lei dice in faccia che sono dei mediocri…  

«Mi aspettavo un’eco molto più ristretta, ma questo libro parla di un malessere sociale condiviso da molti. Detto ciò, ho cercato di evitare moralismi e di puntare il dito. Lo scopo era indicare la pressione sociale molto forte che incoraggia a restare persone “qualunque”». 

Lei è stato particolarmente duro con il mondo accademico a cui appartiene. Qualcuno si è offeso?  
«Sì, visto che sono stato bandito. Tengo corsi stagionali, la mia presenza è episodica. Gli ambienti universitari formano sempre meno una élite capace di gettare luce sulla strada giusta da seguire per l’uomo comune. Sono più simili a una corte d’altri tempi, vendono risultati di ricerca a dei finanziatori. Molta autocensura, molti format replicati per far piacere al potere».  

Ha avuto critiche «non mediocri»?  
«Nell’era della mediocrazia non si discute più… i pensieri seguono dei corridoi, si preferisce ricevere notizie che confortino». 

Perché bisogna temere la mediocrazia?  
«Perché fa soffrire. Chiede a persone impegnate nel servizio pubblico di gestire come si trattasse di una organizzazione privata, così si trovano in conflitto perché avevano un’etica diversa; chiede a ingegneri di progettare oggetti che si rompano in maniera deliberata perché vengano sostituiti, chiede ai medici di diagnosticare malattie che potrebbero diventare davvero pericolose a 130 anni… Senza parlare della manipolazione dei consumatori da parte del marketing». 

La mediocrazia è anticamera di dittature, anche edulcorate?  
«La dittatura è psicotica, la mediocrazia è perversa. Psicotica perché la dittatura non ha alcun dubbio su chi deve decidere. Hitler, Mussolini, Tito sono stati tutti personaggi ipervisibili, affascinanti, che schiacciano con le loro parole; la mediocrazia è perversa perché cerca di dissolvere l’autorità nelle persone facendo in modo che la interiorizzino e si comportino come fosse una volontà loro». 

L’inglese standard è la lingua ufficiale della mediocrazia?  
«L’inglese manageriale sì, e uccide l’inglese. È un suicidio linguistico parlare questa lingua quando si è anglofoni, non si può pensare il mondo nella sua complessità o qualsiasi fenomeno sociale utilizzando un vocabolario che non è utile se non alla organizzazione privata». 

Tecnologia, social, colossi del web. Anche lì domina la mediocrazia?  
«Dobbiamo immunizzarci da un certo lessico che parla di progresso, innovazione, eccellenza. Mi interessa che si utilizzino questi strumenti ma si deve analizzare l’impatto che hanno su pensiero, morale, politica. Un utilizzo mirato dei social media, per esempio durante le elezioni, può rendere le persone estremamente manipolabili».  

Il contrario del mediocre è il superuomo, l’eroe?  
«No. L’antidoto è il pensiero critico, perché smaschera l’ideologia, che è un discorso di interessi sotto la parvenza di scienza. E fa subire un trattamento critico analitico a una nozione che qualcuno ci vuole ficcare nel cervello, per esempio l’inevitabilità della vendita di armi o di una nuova autostrada». 

È più ottimista sul futuro?  
«Qualsiasi impegno politico è a metà tra lo scoraggiamento e la speranza. Ed è proprio quando la situazione è scoraggiante che ci vuole il coraggio». 

09/10/17

Il 9 Ottobre 1967, esattamente 50 anni fa, la morte di Ernesto Che Guevara.




Il 10 ottobre 1967, una ventina di giornalisti e quattro fotografi arrivarono su un aereo militare nel remoto villaggio boliviano di Villagrande. Dovevano essere i testimoni della morte di Ernesto Guevara, e pochi giorni dopo la fotografia del cadavere del Che divenne pubblica. La stampa mondiale diffuse quell'immagine potente e dal grande significato politico, che mostrava il corpo del rivoluzionario argentino, disteso su una vasca di cemento e circondato da militari. Magro, con i folti capelli scuri scompigliati, la barba lunga, gli occhi spalancati.


Il Che era stato catturato dai soldati boliviani l'8 ottobre 1967 e il giorno dopo fucilato in una scuola. Aveva 39 anni. Lunedì 9 ottobre 2017 è il 50esimo anniversario della sua morte, avvenuta mentre tentava di "esportare" la rivoluzione in America Latina. Nei decenni, il Comandante è stato mito, riferimento e oggetto di culto per generazioni di giovani, simbolo di ribellione nonché icona pop stampata sugli oggetti di quella rivoluzione capitalista che combatteva. Grazie a un'altra celebre fotografia, cioé il ritratto che ne fece il cubano Alberto Korda, il suo volto dallo sguardo fiero campeggia su bandiere, magliette, poster e souvenir d'ogni tipo.


Il mausoleo di Santa Clara, a Cuba, con la tomba del rivoluzionario non ha mai smesso di essere una meta per devoti e turisti, dopo che a inaugurarlo fu il 'lider maximo' Fidel Castro, deciso a onorare in maniera eterna il guerrigliero. Santa Clara ospita i resti dal 1997, quando furono recuperati da una tomba 'anonima' in Bolivia, e non fu scelta a caso. Si tratta della località conquistata nel 1958 dalle truppe guidate dal Comandante, nella battaglia decisiva della rivoluzione cubana a seguito della quale fuggì il dittatore Fulgencio Batista.


A Cuba, Che Guevara resta un eroe nazionale. Ricordato per il suo lavoro volontario nella costruzione di case o nel caricare sacchi di zucchero, è stato scelto anche come volto delle banconote da tre pesos, ritratto mentre taglia canna da zucchero nei campi. Fu governatore della banca centrale e ministro dell'Industria, nei primi anni del governo di Fidel Castro. Ma dopo una fallita spedizione in Congo nel 1965, lasciò l'isola nel 1966, per iniziare una nuova rivoluzione nella giungla della Bolivia orientale nella speranza di creare "due, tre, molti Vietnam" in America Latina. Poco dopo l'arrivo con 47 uomini nell'arida regione di Nancahuazú, il gruppo guidato dal guerrigliero perse però i contatti con Cuba, i viveri iniziarono a scarseggiare, lui combatteva con l'asma e tutti con le malattie. Gli Usa presto seppero della sua presenza in Bolivia. "Non sparate, sono il Che. Valgo più vivo, che morto", sarebbe l'ultima frase detta ai militari che lo catturarono. La sua rivoluzione finì a occhi aperti su una vasca di cemento, e in un mito.


Il cinquantesimo anniversario arriva, però, in un momento difficile per gli 'eredi' di Guevara in Sudamerica. In pochi anni, vari governi hanno virato verso destra, tra cui quelli di Argentina, Brasile, Perù e Paraguay. Mentre il Venezuela in cui l'ex presidente Hugo Chavez aveva restituito vita al sogno socialista è diventato, con il successore Nicolas Maduro, un Paese dove il cibo scarseggia e la democrazia è incrinata. E in Colombia, la rivoluzione armata che il Comandante imbracciò ha ceduto: dopo oltre cinquant'anni le Farc hanno reso le armi. Intanto, Fidel Castro è morto a fine 2016 e Cuba si è avvicinata all'eterno nemico, gli Stati Uniti allora guidati dal presidente Barack Obama.


08/05/17

Bansky dice la sua sulla Brexit con un graffito che appare a Dover.





Banksy ha voluto esprimere il suo parere con un murale sulla "Brexit" apparso sull'edificio della cittadina di Dover, vicino alle Bianche Scogliere del Kent. 

Nel dipinto appare un operaio con un martello e scalpello in mano intento a rimuovere una delle stelle della bandiera dell'Unione Europea.

L`opera, la cui autenticità è stata confermata da un portavoce dell`artista, è apparsa in una location non casuale. Dover ospita infatti uno dei porti più importanti del Regno Unito, distante solamente 34 km dalle coste francesi, dal quale partono ogni giorno numerosi traghetti

La stella che incarna la UE negli "ideali di unità, solidarietà e armonia tra le popolazioni dell`Europa", è il primo commento ufficiale da parte del writer britannico sull`esito della votazione sull`uscita del Regno Unito dall'Unione europea dello scorso 23 giugno 2016.



04/07/16

Bauman: "Trump, Le Pen, Boris Johnson: ecco perché la gente vuole i Demagoghi."



La lettura del momento storico che stiamo vivendo, con eventi epocali - migrazioni, guerre sante, ascesa dei nazionalismi e dei populismi - è sempre più complesso. 

Credo sia molto riflettere su queste considerazioni che traggo dalla intervista di Wlodek Goldkorn a Zygmunt Bauman uno dei maggiori pensatori contemporanei. 

La prima domanda  riguarda proprio la sconfitta delle élite, che - dopo la Brexit, la crisi della UE e del sistema americano occidentale, con l'avvento di personaggi come Trump - sembra un fenomeno sempre più diffuso. 

L'élite politica - dice Bauman - nel suo modo di pensare (e di agire) è sempre più globalizzata, perché costretta a confrontarsi con potenze e poteri indipendenti dalla politica e sempre più extraterritoriali. Si tratta di una élite che ha altre preoccupazioni e diverso linguaggio rispetto alle angosce che attanagliano la gente che essa in teoria dovrebbe rappresentare.   

I vari Trump,Orbàn, Boris Johnson, Kaczynski o Le Pen (è un elenco che cresce ogni giorno) hanno il vantaggio di dire pane al pane.  E sanno quanto sia facile alle emozioni della moltitudine, della massa amorfa.  Basta descrivere la realtà adattando il modo di raccontare agli orizzonti mentali dei propri ascoltatori; usare lo stesso idioma che utilizzano i commensali al pub quando dopo un paio di boccali di birra condividono sentimenti di rabbia e di odio nei confronti dei presunti colpevoli delle proprie angosce. 

Solo difficoltà di comunicazione o invece furbizia dei nuovi leader senza scrupoli ? 

C'è una seconda parte della mia analisi, forse più significativa. Per quale motivo Trump e i suoi simili si trovano così numerosi a grati ascoltatori ?  Qui dobbiamo tornare alla prima domanda. Il voltare le spalle alle autorità politiche che definirei "ortodosse" o tradizionali, con tutti i loro difetti, è dovuto principalmente all'uso ormai abituale delle autorità statali a non mantenere le promesse.  I demagoghi hanno quindi un'ottima base per attribuire l'incapacità delle autorità di mantenere la parola data alla corruzione, all'ignoranza, alla viltà, o addirittura alle cattive e perfide intenzioni.  E' sempre più diffusa quindi la convinzione che la democrazia abbia fallito e tradito i suoi compiti. Che sia inefficiente e indolente. Che è debole e incapace di agire.  In parole povere: è da buttar via. Meglio rivolgersi ai demagoghi.

E cosa chiediamo a loro ?

Il ritorno a un certo passato, per quanto i nostri ricordi siano avvolti dalla nebbia, o artificialmente colorati. In concreto: vogliamo un capo potente in grado di imporre il governo della mano forte. Vogliamo un potere che si assuma la responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni, togliendola dalle nostre spalle.
Bentornato quindi, grande capo, e tutto il passato sarà dimenticato o comunque perdonato (direbbe Nietzsche: abbasso tu, Apollo, con la tua disgraziata predilezione per l'armonia delle diversità; torna dal tuo esilio Dioniso a capo di una massa che avanza ballando a righe serrate). 


tratto da l'Espresso n.27 del 7 luglio 2016. 


20/06/16

La Profezia di Pasolini (1975): "Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia".




Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. 
Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso... Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. 
La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come. 


Da Luisella Re, Pasolini: Il nudo e la rabbia, Stampa sera, 9 gennaio 1975.

30/05/16

Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).






Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).



Questa lettera è indirizzata al nuovo sindaco di Roma che tra tre settimane sarà insediato a Palazzo Senatorio (il più antico palazzo municipale del mondo). 

E' una lettera da parte di un comune romano - come si diceva una volta di sette generazioni - nato e cresciuto e vissuto in questa città. 

L'amore per questa città - l'ho sperimentato io stesso - non deriva da un legame di sangue, né da un generico amor soli,  amore del luogo dove si è nati. La vita è troppo piena di esempi di persone che non solo non hanno alcun legame affettivo con il luogo nel quale si è nati, ma anzi manifestano una vera e propria insofferenza, rancore o odio, per il suolo che li ha ospitati alla nascita. 

Eppure è proprio l'amore per il luogo, il primo requisito che vorrei chiedere al sindaco che verrà a governare questa città. 

In modo esagerato e guascone, i romani di una volta dicevano che Roma non si discute, si ama. 

Ma negli ultimi tempi, dolorosi e depressi, sembra proprio che Roma sia il luogo di cui soltanto si discute, e che fondamentalmente nessuno ama

Roma è una città depressa e rassegnata.  A deprimerla e a rassegnarla intorno al suo destino, ci abbiamo pensato prima di tutto noi romani, con il nostro pressappochismo, con la nostra assuefazione alla bellezza che abbiamo sempre sotto gli occhi, e di cui non ci curiamo più. 

Ma ancora di più, ci hanno pensato gli amministratori.  Francesco De Gregori, tempo fa ha descritto Roma come una cagna in mezzo ai maiali. 

Mai immagine fu più adeguata.  Lungi dall'essere la Lupa di un tempo, la Roma di oggi assomiglia sempre di più ad una cagna gravida (di problemi, di cause sbagliate, di impotenze e impossibilità), che maiali avidi si contendono ferocemente, pezzo a pezzo e morso a morso. 

La bellezza di Roma è ormai un orpello che serve a pretesto per girare film grotteschi o nostalgici (che piacciono tanto agli americani), a rimpiangere il passato, o a giustificare l'insostenibile presente. 

Bande senza scrupoli venute da ogni dove e partorite come un tumore dallo stesso tessuto urbano dell'immensa città, si dividono il territorio e il diritto usurpato di fare carneficina di ogni scampolo di residua bellezza. 

Ogni cosa va lordata, dispersa, rinchiusa, segregata. 

Eppure Roma è ancora viva. 

Miracolosamente viva, nonostante i problemi di una città ormai meticcia, decaduta più che decadente, senza un soldo, senza un progetto, senza futuro. 

Il mio appello è proprio questo:  non parlateci più di progetti.  Il nuovo sindaco che arriverà - e che io non voterò perché nessuna delle figure che io vedo presentarsi al via, nella disperata speranza di essere smentito, risponde al criterio di decenza - non ci parli di progetti.  Non dica cosa vuole fare, non pronunci parole vane e vacue, non si faccia bello con l'immagine di una città che nella sua storia ha visto imperatori e papi, tribuni e re, e che non sa che farsene dei mezzi figuri di oggi. 

Non parli di progetti. Dimostri, nuovo sindaco, con la sua faccia - se ne ha una - cosa vuol fare per restituire a questa onorata città, una decenza che non ha più.

La Decenza, infatti, è la grande assente a Roma, da fin troppo tempo. Questa parola che deriva dalla lingua degli antenati ( è il participio passato del verbo decere, cioè  "esser conveniente"; affine a dec-us, ossia "decoro", dig-nus ovvero "degno") rappresenta tutto quello che questa città non è più, e non è più da molto tempo. Una città non conveniente, cioè indecorosa e indegna, cioè indecente. 

Eppure, Roma è ancora viva.

Migliaia di giovani vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore, e fanno, disordinatamente e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di lavoratori vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore e fanno, disordinatamente e spesso invano e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di madri continuano a far nascere i loro figli a Roma, anche se vengono da lontano (e per molte di loro Roma è una parola magica), e li allevano e li fanno crescere, senza nessun sostegno, ma lo fanno.

Poi è deprimente sì, ed è fonte di rassegnazione, ed è indecente, che Roma offra ogni giorno a questi uomini e queste donne, l'immagine indecorosa e indegna di una città in ginocchio.

Eppure Roma è viva.

Le periferie pullulano di vita. Le associazioni, i volenterosi, i saggi, sono ancora fra noi. Lei, nuovo sindaco che arriverà, invece di nominare la parola progetti, faccia affidamento su costoro. Li incoraggi, se può, non li abbandoni, come hanno fatto tutti.

Dimostri, in una parola, quell'amore così sparito, così disperso.

Offra a questa cagna una dignità, se ne è capace, e tenga i molti maiali affamati lontani, a distanza.


Fabrizio Falconi