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26/10/17

A Roma, la Grande Bellissima mostra antologica su Monet (fino all'11 febbraio 2018).

La mostra Monet, ospitata dal 19 ottobre 2017 all’11 febbraio 2018 nella sede del Complesso del Vittoriano - Ala Brasini di Roma, propone al pubblico 60 opere del padre dell’Impressionismo prevenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, quelle stesse opere che l’artista conservava nella sua ultima, amatissima, dimora di Giverny e che il figlio Michel donò al Museo. 

Il percorso espositivo rende conto, oltre che dell’evoluzione della carriera di Monet, anche delle sue molteplici sfaccettature, restituendo la ricchezza artistica della sua produzione. Dalle celebri caricature della fine degli anni 50 dell’800 ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville - e delle sue tante dimore; dai ritratti dei figli alle tele dedicate ai fiori del suo giardino, fino alla modernissima resa dei salici piangenti, del viale delle rose o del ponticello giapponese, e poi alle monumentali Ninfee, che deflagrano nel pulviscolo violetto e nella nebbia radiosa.
Tra i capolavori in mostra: Portrait de Michel Monet bébé (1878), Ninfee (1916-1919), Le Rose (1925-1926), Londres. Le Parlement. Reflets sur la Tamise(1905).
Monet trasformò la pittura en plein air in rituale di vita e - tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e l’impero del sole - riuscì a tramutare i colori in tocchi purissimi di energia, riuscendo nelle sue tele a dissolvere l’unità razionale della natura in un flusso indistinto, effimero eppure abbagliante.
Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, la mostra Monet, curata da Marianne Mathieu, è promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Regione Lazio ed è prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi.

BIGLIETTI

Intero € 15,00 (audioguida inclusa)
Ridotto € 13,00 (audioguida inclusa)

Date di apertura 

dal 19 10 2017
al 11 02 2018

Orari: 
Dal lunedì al giovedì 9.30 - 19.30
Venerdì e sabato 9.30 - 22.00
Domenica 9.30 - 20.30
(La biglietteria chiude un'ora prima)

Via di San Pietro in Carcere, 
00186 Roma

T +39 06 678 0664
Per info e prenotazioni + 39 06 87 15 111

02/10/17

Le meravigliose Gallerie dell'Accademia di Venezia compiono 200 anni storia ! Una grande mostra.


Sette anni, dal 1815 al 1822, a testimonianza di rilancio culturale per una citta', Venezia, che era uscita con le "ossa rotte" dalla stagione napoleonica, sul piano politico con la fine della millenaria Repubblica "Serenissima" e la cessione all'Austria e sul piano artistico con i beni trafugati da palazzi e chiese. 

 Attorno a questi anni cruciali per la "nuova" Venezia - segnati dal ritorno da Parigi dei Cavalli di San Marco, sul finire del 1815, e la morte di Antonio Canova, il 13 ottobre 1822 - si sviluppa la mostra promossa dalle Gallerie dell'Accademia, aperta al pubblico dal 29 settembre al 2 aprile 2018, a cura di Fernando Mazzocca, Paola Marini e Roberto De Feo, in occasione del bicentenario dell'inaugurazione delle prime cinque sale delle Gallerie, il 10 agosto 1817

Un'esposizione di 130 opere, articolata in dieci sezioni a pianterreno, ma che si espande nella 'permanente' ai piani superiori, che ruota attorno a tre personaggi chiave: il conte Francesco Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia, Canova e Francesco Hayez


La narrazione della mostra - "Canova, Hayez, Cicognara. L'ultima gloria di Venezia" attraverso dipinti, sculture, disegni, libri - si sviluppa a partire dal ruolo centrale svolto dai tre nella "rinascita" culturale lagunare, ma offre spunti sui grandi temi che l'hanno caratterizzata: dal ritorno a Venezia delle opere d'arte asportate dai francesi, all'acquisizione della collezione di disegni del segretario dell'Accademia di Belle Arti di Milano Giuseppe Bossi, dalla ricostruzione dell'Omaggio delle Province Venete all'Austria nel 1817, in occasione delle quarte nozze dell'Imperatore Francesco I d'Austria con Carolina Augusta di Baviera, alla produzione degli artisti d'allora, fino agli albori del Romanticismo.


La mostra, di fatto, e' anche un modo per guardare alle origini per porre le basi per il futuro, con le Gallerie veneziane impegnate, grazie anche al Mibact e ai comitati privati, in una serie di acquisizioni di dipinti e disegni, di formazione, di restauri, come per il ciclo delle Storie di Sant'Orsola di Carpaccio, di prossime mostre, come per Tintoretto e forse Leonardo. 

05/09/17

Cominciate a segnare sull'agenda: Una mostra strepitosa su Van Gogh a Vicenza, ad Ottobre.



La nascita e la formazione del genio di Van Gogh attraverso 43 meravigliosi dipinti e 86 straordinari disegni: e' la grande mostra allestita dal 7 ottobre all'8 aprile negli spazi della Basilica Palladiana di Vicenza

In primo piano, un focus mai fatto prima d'ora dei cinque anni di permanenza in Olanda, quando il dolore e la disperazione del vivere diventano per l'artista le uniche modalita' dell'esistenza, da cui pero' scaturiranno le sue immagini, le sue visioni, il suo colore. 

Con il titolo 'Van Gogh. Tra il grano e il cielo',l'importante esposizione segna il ritorno di Marco Goldin aVicenza con una selezione strepitosi capolavori, resa possibile grazie all'apporto decisivo di quello scrigno vangoghiano che e' il Kroller-Muller Museum in Olanda e ai prestiti concessi da una decina di musei internazionali.

La mostra, "con un taglio del tutto diverso rispetto ad altre che ho curato su o attorno a Van Gogh negli ultimi quindici anni - sottolinea lo storico dell'arte - studia dapprincipio, e in modo approfondito, i cinque anni della permanenza olandese dell'artista, nel Brabante, da Etten nella primavera del 1881 fino all'autunno del 1885 a Nuenen. Ma anche i mesi meravigliosi trascorsi nell'autunno del 1883 nella regione del Drenthe, quella piu' amata dai paesaggisti olandesi e nella quale Van Gogh realizza alcuni fogli di squisita eleganza". 

 Il percorso espositivo ideato dal curatore punta proprio a "fare entrare nel laboratorio dell'anima di Van Gogh, in quel luogo segreto, solo a lui noto, nel quale si sono formate le sue immagini. Spesso nella condivisione dei temi in primo luogo con Jean-Francois Millet e poi con gli artisti della cosiddetta Scuola dell'Aia, una sorta di versione olandese della Scuola di Barbizon". 

Dando grande spazio al disegno, da cui Van Gogh parti' quando decise di votarsi interamente all'arte, al modo dei celebrati maestri dell'antico. 

 Ma la mostra, dopo l'inedito approfondimento sugli esordi olandesi, proseguira' con i dipinti piu' famosi del maestro, per far comprendere quanto quella lunga formazione da autodidatta sia stata in realta' l'"indispensabile grammatica, della mano e dello spirito, per accendere quel colore nuovo che Van Gogh ha fatto vibrare come luogo di un cuore turbato e di un'anima lacerata". 

Una profondita' di indagine e ricerca che si riversera' in qualunque tipo di immagine prenda corpo sulla tela, dagli interni dei ristoranti parigini ai ritratti, dalle nature morte al ponte levatoio appena fuori Arles, fino agli ulivi di Provenza o ai campi di grano ad Auvers. 

 Ecco dunque sfilare nella Basilica Palladiana i quadri piu' conosciuti del periodo parigino e di quello provenzale, tra Arles e Saint-Remy, e dei 70 giorni conclusivi della sua vita a Auvers-sur-Oise, dove morira' alla fine di luglio del 1890

Protagonista e' sempre piu' la natura, diventa il luogo della sua tormentata interiorita', uno "spazio - conclude Goldin - riempito di colori, di visioni, di sogni, di urla e di strepiti. Di sospiri e respiri singhiozzanti, di improvvise e cosi' brevi accensioni di felicita'. Quello spazio che solo Van Gogh, prima e poi, ha saputo dipingere in questo modo". 

21/06/17

Individuata la Cascata dipinta da Giotto nel "Miracolo della sorgente" dipinto nel 1300.




Due speroni rocciosi sedimentari, l'acqua che cade verso un pianoro, la pietra divisa da una spaccatura a forma di 'V': la cascata del torrente Rovigo, nella zona di Firenzuola (Firenze), è il paesaggio riprodotto da Giotto di Bondone nel Miracolo della sorgente dipinto tra il 1295 e il 1300 come parte del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco che ornano la Basilica superiore di Assisi (Perugia). 

E' quanto sostiene, individuando il luogo, Riccardo Nencini, viceministro dei Trasporti ma anche scrittore e storico attento alle vicende toscane del Medioevo e del Rinascimento.

La tesi e' riportata nel libro 'Il magnifico ribelle. Il Mugello diGiotto' (pp. 72, euro 10, ed. Polistampa) con testi introduttivi di Cristina Acidini e Franco Cardini, ma anche un pensiero del critico d'arte Vittorio Sgarbi che apprezza lo studio di Nencini parlando di "confronti suggestivi e convincenti". 

Se le vette artistiche raggiunte da Giotto restano manifeste e indiscutibili, fa osservare il comunicato, molti dubbi aleggiano ancora sulla sua biografia. 


Cosi', impugnando gli strumenti dello storico, Nencini affronta un viaggio verso la Firenze della seconda meta' del Duecento - e i suoi dintorni - per svelare, grazie a testimonianze e documenti inediti alcuni dei misteri che avvolgono le origini del grande pittore e il suo ruolo nel tempo. 

Chi era veramente Giotto di Bondone, dove era nato, da dove aveva attinto per il suo genio tradotto in segno e in colore? E nei suoi affreschi c'e' davvero traccia del paesaggio mugellano, che lui conosceva cosi' bene? La ricerca, che comprende l'analisi dei documenti storici cosi' come il confronto con la critica d'arte, fa emergere elementi poco conosciuti della biografia di Giotto. 

"Quest'indagine mancava", scrive nell'introduzione lo storico Franco Cardini, "ed e' supremamente giusto che sia stato un mugellano di nascita e fiorentino d'adozione, un politico ch'e' anche scrittore e storico, a sollevare non uno ma un bouquet, anzi una foresta, di problemi". 

La pubblicazione sara' presentata il 26 giugno alle 21 nella Sala Consiliare del Comune di Firenzuola.

23/05/17

Ai Musei Capitolini una imperdibile mostra dedicata al grande Pintoricchio.




Una mostra affascinante che raccoglie splendidi dipinti e racconta storie cortigiane della Roma tardo quattrocentesca.

 I protagonisti sono un Papa, il controverso Alessandro VI al secolo Rodrigo Borgia (1431, Papa dal 1492 al 1503), una dama raffinata e bellissima, Giulia Farnese (1475-1524), amante adolescente e concubina non troppo nascosta dello stesso Papa, e uno degli artisti più estrosi del nostro Rinascimento, Bernardino di Betto, detto il Pontoricchio (c.1454-1513). 

Un pontificato, quello di Alessandro VI, che assecondò intrecci dinastici, veleni di palazzo, calunnie e gelosie, ma nello stesso tempo incoraggiò le arti con la chiamata a Roma del Pintoricchio autore di uno dei cicli pittorici più famosi della storia dell’arte: quello del nuovo appartamento papale in Vaticano. 


L’appartamento Borgia, ricco di contenuti umanistici e teologici, opera fortemente innovativa per la sensibilità quasi rivoluzionaria con cui Bernardino di Betto interpretò col suo linguaggio “all’antica” il programma ideologico e politico di Alessandro VI.

Ammirata e osannata da quanti visitarono il nuovo appartamento papale, l’opera fu quasi totalmente ignorata da Giorgio Vasari che manifestò, invece, il suo interesse solo per la scena che ritraeva il Papa in ginocchio davanti alla Madonna col Bambino benedicente, ritenuta – secondo una diffusa voce di corte – il ritratto dell’amante del papa, la giovane e conturbante Giulia Farnese: “Sopra la porta d’una camera la Signora Giulia Farnese per il volto d’una Nostra Donna: et nel medesimo quadro la testa di esso Papa Alessandro”.

Il dipinto raffigura una Madonna col Bambino benedicente e, ai loro piedi, un Papa adorante. Ma l’opera, per la presunta presenza di Giulia Farnese nella figura della Madonna, causò infiniti scandali: fu prima coperta, poi strappata dalle pareti, infine dispersa in più frammenti. 


L’esatta composizione del dipinto, tuttavia, non andò perduta grazie a una copia realizzata nel 1612 dal pittore Pietro Fachetti. Per l’esposizione sono state selezionate 33 opere del nostro Rinascimento: ritratti della famiglia Borgia e raffinati dipinti di Bernardino di Betto, dalla Crocifissione della Galleria Borghese, alle Madonne della Pace di San Severino Marche e delle Febbri di Valencia fanno da giusta cornice alla ritrovata Madonna e al Bambin Gesù delle mani.

Saranno, inoltre, presentate 7 antiche sculture di età romana, provenienti dalle raccolte capitoline, poste in stretto dialogo con i dipinti dell’Appartamento Borgia (riproposti in mostra con fedeli gigantografie) con la finalità di documentare quanto il Pintoricchio abbia attinto all’antico per promuovere la “rinascita” artistica e culturale di Roma

Curatore/i Cristina Acidini; Francesco Buranelli; Claudia La Malfa; Claudio Strinati 
Catalogo Gamgemi Editore 
Luogo Musei Capitolini 
Orario Dal 19 maggio al 10 settembre 2017 
Tutti i giorni ore 9.30-19.30 
 La biglietteria chiude un'ora prima

11/04/17

Apre Venerdì la Mostra di Pasqua: "Da Caravaggio a Bernini", alle Scuderie del Quirinale.




Attraverso una straordinaria selezione di dipinti e sculture, la mostra Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna riflette gli strettissimi legami politici e le strategie culturali stabilite tra la corte spagnola e gli stati italiani nel corso del XVII secolo.

Ad arricchire le raccolte d’arte della dinastia asburgica contribuirono i frequenti doni diplomatici da parte dei governanti italiani, determinati a guadagnarsi il favore dei sovrani di Spagna che con i loro possedimenti – il Viceregno di Napoli e lo Stato di Milano – condizionarono dalla metà del Cinquecento l’evoluzione della complessa situazione politica italiana.

È questo il caso di due tra i dipinti più spettacolari in mostra, Lot e le figlie di Guercino e La conversione di Saulo di Guido Reni, donati a Filippo IV dal principe Ludovisi allo scopo di garantire la protezione spagnola sul minuscolo Stato di Piombino.

Moltissime altre opere d’arte, tra le quali il magnifico Crocifisso del Bernini proveniente dal Monastero di San Lorenzo del Escorial, opera raramente accessibile al grande pubblico, vennero commissionate o acquistate da mandatari del re; altre ancora vennero ordinate o comprate, come nel caso della Salomè di Caravaggio, dai rappresentanti della monarchia spagnola in Italia (ambasciatori e viceré) inviati presso la corte pontificia o a Napoli, alla morte dei quali le opere andarono ad accrescere le collezioni reali.

L’interesse per la cultura italiana da parte dei sovrani spagnoli si riflette inoltre negli inviti a lavorare a corte rivolti a maestri quali il napoletano Luca Giordano, attivo in Spagna per un decennio.

Ed è testimoniato infine dai viaggi in Italia di alcuni artisti spagnoli, come José de Ribera, che giunse a Roma nel 1606 e trascorse la maggior parte della sua vita a Napoli.

Di questo artista la mostra espone cinque capolavori tra cui il celebre Giacobbe e il gregge di Labano. 

Il primo soggiorno di Velázquez in Italia, tra il 1629 e il 1630, si rivelò fondamentale per la sua pittura, come dimostra l’eccezionale Tunica di Giuseppe, tra i maggiori raggiungimenti della sua intera opera, mentre il suo trionfo come ritrattista presso la corte pontificia avvenne in occasione del suo secondo viaggio italiano tra il 1649-1650.

 Nel 1819, per volere del re Ferdinando VII, venne creato il Museo Real – in seguito Museo del Prado – in cui furono raccolte opere provenienti per la maggior parte dalle Collezioni Reali. Quelle che non vennero trasferite nel museo rimasero presso le residenze a disposizione dei monarchi, i cosiddetti Reales Sitios.

Nel 1865 la regina Isabella II rinunciò alla proprietà personale dei beni ereditati dai propri antenati e ne cedette la gestione allo Stato, ponendo le basi di quello che oggi è Patrimonio Nacional.

E’ da questo straordinario fondo collezionistico, a tutt’oggi sottoposto alla tutela di Patrimonio Nacional, che i capolavori oggi presentati a Roma sono stati selezionati sulla base del loro eccezionale valore artistico e storico.


Da Caravaggio a Bernini.
Capolavori del Seicento italiano nelle collezioni reali di Spagna 
Scuderie del Quirinale
 14 aprile – 30 luglio 2017 
 a cura di Gonzalo Redín Michaus 
Immagine: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Salomé con la testa del Battista, 1607Madrid, Patrimonio Nacional. Palazzo Reale di Madrid

15/03/17

"Il senso del Rosso" - Apre oggi a Palazzo Barberini una splendida mostra sulla pittura veneziana.



Straordinarie invenzioni compositive, uso suggestivo della luce che anticipa di quasi un secolo Caravaggio, fulgide tonalità dal cremisi allo scarlatto: e' la piccola, eppure molto preziosa rassegna, allestita dal 15 marzo all'11 giugno alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di PalazzoBarberini, che propone alcuni capolavori di Lorenzo Lotto, Giovanni Gerolamo Savoldo e Giovanni Cariani, prestati da grandi musei internazionali come il Louvre, il Prado, Metropolitan Museum of Art e da eccellenze italiane quali l'Accademia Carrara di Bergamo. 

Una selezione attenta che pone al centro quel 'senso del rosso' dei pittori veneti fortemente collegato alla realta' sociale, produttiva e commerciale della citta' lagunare. Intitolata 'Venezia scarlatta: Lotto, Savoldo, Cariani', la mostra, ha spiegato il direttore delle Gallerie Flaminia Gennari Santori intervenuta alla vernice per la stampa, prende le mosse dalla meravigliosa tela di Lorenzo Lotto, dal titolo 'Matrimonio mistico di Santa Caterina d'Alessandria' (1524), conservata a Palazzo Barberini. 

Grazie a "una serie di collaborazioni avviate con i piu' importanti musei per valorizzare le rispettive collezioni e promuoverne la conoscenza e lo studio", il capolavoro, aggiunge il curatore Michele di Monte, e' stato affiancato da opere realizzate nello stesso periodo storico da maestri tra loro molto vicini, al fine di riportare alla luce "intrecci biografici, cromatici e tessili".

Lotto, Savoldo, Cariani, ha proseguito, costituivano una triade minore della pittura veneziana, tutti e tre attivi nella provincia, "ma non erano da meno degli artisti piu' celebrati". Basti pensare al magnifico 'San Matteo e l'angelo' di Giovanni Gerolamo Savoldo, in cui il gioco tra luci e ombre ne fa, con molti decenni di anticipo, un precursore di Caravaggio. O alle soluzioni geniali del Lotto, pittore riservato e misterioso, che come nessun altro infiamma le sue tele di tutte le tonalita' dello scarlatto. 

La mostra pero' vuole offrire un'indagine ancor piu' approfondita, su un'epoca e su un mondo, fiorito sulla laguna tra XV e XVI secolo, seguendo il filo del colore perfetto, il rosso appunto. Le industrie tessili e le botteghe dei tintori, vanto della citta' non meno di quelle dei pittori, facevano infatti a gara per assicurarsi la tonalita' perfetta, il lussuoso 'scarlatto veneziano', frutto di una pratica gelosamente custodita e tramandata, e quindi il nome di un tipo di stoffa prima che di un colore.

Di conseguenza, i pittori veneziani si facevano quasi un punto d'onore nel restituire questa complessa qualita', sviluppando un peculiare "senso del rosso' e trasmutando la materia della loro pittura in una pittura della materia". Questione di sfumature, dunque, sociali oltreche' tonali. E' questo denso ordito che interessa ai committenti e che viene richiesto all'arte dei pittori. Cariani, Savoldo e Lotto, spesso a lavoro per una committenza 'di terraferma', dove la cultura materiale era motivo di orgoglio civico persino piu' che in laguna, esplorano con talento tali sottili variazioni, che sono altrettanti simboli di status e di valore: dal paludato raso cremisi di Giovanni Benedetto Caravaggi (Accademia Carrara), dottore in medicina immortalato da Cariani, al misterioso velluto rutilante del San Matteo di notte (Met), raffigurato da Savoldo, dal vermiglio assoluto delle madonne di Lotto, che si declina nella miracolosa tunica del Cristo portacroce (dal Louvre) fino al carminio di seta della ritrosa consorte di messer Marsilio ('Ritratto di Marsilio Cassotti e Faustina Assonica' del Prado).

 Nelle trame dipinte, sottolinea Michele di Monte, non si intreccia pero' solo il gusto per una materia preziosa, ma si sviluppa anche la narrazione di riconoscimenti biografici, affetti mondani, passioni religiose, devozioni private. Con una sorprendente liberta' di invenzione iconografica, Cariani effigia il suo ritratto come un'icona veneziana, mentre Lotto celebra il sontuoso sposalizio allegorico di Cristo e Caterina direttamente a casa del committente, che era nientemeno che il padrone di casa cui l'artista doveva un anno di pigione. E siccome era un appassionato di tappeti, ne decora l'interno con uno pregiato che fa da sfondo, rivoltandone persino un lembo per far ammirare la perfezione della trama. 

E se Savoldo coglie l'evangelista Matteo come fosse l'umanista solitario e notturno vagheggiato da Petrarca, finisce per vestirlo con gli stessi panni del Cristo portacroce di Lotto, che interpella lo spettatore piu' personalmente e immediatamente di qualunque altro ritratto.

fonte: Nicoletta Castagni per ANSA

13/02/17

Botticelli conquista l'America : una grande mostra in Virginia con una splendida Venere.



Una delle sole due Veneri solitarie di Botticelli, solitamente visibile alla GalleriaSabauda di Torino, e' esposta per la prima volta in Usa nella piu' grande e importante mostra dedicate al maestro negli Stati Uniti, inaugurata oggi al Muscarelle Museum of Art diWilliamsburg, Virginia, dove restera' sino al 7 aprile, prima di approdare al Museum of Fine Arts di Boston

In tutto 16 opere provenienti da musei e chiese italiane che rappresentano ogni fase della sua carriera. 

La mostra, intitolata "Botticelli and the Search for the Divine: Florentine Painting Between the Medici and the Bonfires of the Vanities", comprende anche sei rari dipinti del maestro di Botticelli, Filippo Lippi; alcune opere di Filippino Lippi, figlio di Filippo e studente di Botticelli; un dipinto e una statuetta di bronzo di Antonio Pollaiuolo, nonche' due dipinti di Fra Bartolomeo. 

"Sono toccato - ha detto l'ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti Armando Varricchio - dalla meraviglia di questi dipinti, alcuni dei quali sono esposti per la prima volta in questo prestigioso museo che desidero ringraziare per l'eccellente collaborazione con l'Ambasciata d'Italia". 

 "Siamo estremamente orgogliosi di portare in questo Paese una esibizione innovativa di uno dei piu' grandi artisti del mondo", ha osservato Aaron De Groft, direttore del Muscarelle Museum of Art. "La mostra continua una tradizione di importanti esibizioni internazionali, facendo seguito a Michelangelo, Caravaggio e Leonardo da Vinci negli anni recenti", ha aggiunto. 

02/01/17

Il ritratto di Velazquez di Innocenzo X alla Galleria Doria – Pamphilj (di Fabrizio Falconi).





Il Palazzo Doria, uno dei più magnifici di Roma, sorge con la sua elegante facciata rococò sul lato sinistro di Via del Corso, subito prima di arrivare in Piazza Venezia. Fu edificato nel 1400 dai cardinali ospitati nella vicina diaconia di Santa Maria in Via Lata, e acquistato successivamente (e ampliato) dai Della Rovere, dagli Aldobrandini e infine dai Pamphilj che si estinsero nei Doria.

All’interno, il sontuoso cortile cinquecentesco permette di accedere alla Galleria Doria-Pamphilj una delle più importanti raccolte di quadri di Roma (e anche d’Italia e d’Europa) dove tra le celebri opere di Tintoretto, Correggio, Raffaello, Lotto, Tiziano, Caravaggio e moltissimi altri è possibile ammirare nella seconda sala del Gabinetto ottagonale, il ritratto di Innocenzo X Pamphilj realizzato da Diego Velàzquez, l’opera più insigne del maestro esistente in Italia.

Dipinto che ha una storia particolare.

 Diego Velàzquez, oltre che essere un incredibile artista, pittore di camera del sovrano di Spagna, Filippo IV svolgeva anche mansioni diplomatiche, rivestendo anche la carica di cavaliere dell’Ordine di San Giacomo.

 Nel 1649, Velàzquez arrivò a Roma, per incarico del suo sovrano: aveva accettato di buon grado l’incarico, bramoso di confrontarsi con le bellezze classiche della città eterna e di trovarne ispirazione per la sua opera.

 Una presenza così importante non sfuggì ai più stretti collaboratori del Papa, che gli consigliarono di farsi ritrarre.

 Innocenzo X però, che aveva un carattere piuttosto aspro, rispose che non conosceva la maestria di quel pittore.

 Velàzquez, allora, si cimentò con il ritratto di uno dei suoi, uno spagnolo di nome Juan de Pareja, che era discendente dei mori (il celebre ritratto è oggi conservato al Metropolitan Museum di New York che se lo aggiudicò nel 1997 nel corso di un’asta da Christie’s a Londra per la cifra stratosferica di cinque milioni e mezzo di dollari) e quest’opera impressionò talmente Innocenzo da convincerlo a posare per il grande artista.



Quando vide il dipinto finito, il Papa rimase ammirato e allo stesso tempo turbato: non soltanto vi riconosceva infatti i suoi tratti fisici, ma anche tutte le ombre del suo carattere.

Le cronache dell’epoca riferiscono che commentò, osservandolo: “Troppo vero!”

Innocenzo – che all’anagrafe si chiamava Giovanni Battista Pamphilj – si sentì messo a nudo quasi come Velàzquez, con qualche strana dote magica, fosse riuscito a carpire i segreti della sua anima.

Ubbie e gelosie, tormenti e brame derivavano a quel Papa anche a causa della discussa amicizia con quella che fu definita la donna più potente di Roma, Donna Olimpia Maldaichini. Il popolo dell’Urbe la chiamava la Pimpaccia, mutuando il soprannome che alla temuta dama aveva affibbiato l’irriverente Pasquino ( e che derivava dal geniale gioco di parole: «Olim pia, nunc impia», ovvero, una volta religiosa, adesso peccatrice). Nata a Viterbo nel 1592 da una famiglia modesta, Olimpia Maidalchini era riuscita a farsi sposare in seconde nozze da Pamphilio Pamphilj, fratello di quel cardinale, Giovanni Battista, che pochi anni dopo sarebbe diventato papa con il nome di Innocenzo X. La cognata divenne dunque con il passare degli anni, una consigliera molto influente del papa, e in poco tempo così ricca che alla morte lasciò l’incredibile somma di due milioni di scudi d’oro.

I Pamphilj, originari di Gubbio, dal 1470 avevano scalato i vertici del potere nobiliare romano dopo che un antenato della famiglia, Antonio aveva comperato un palazzo vicino Piazza Navona, primo nucleo del futuro grandioso Palazzo Pamphilj.

 La scalata al potere della famiglia si consolidò nei due secoli successivi, grazie a una serie di matrimoni fortunati e al trionfo definitivo che si concretizzò proprio con l’elezione al soglio pontificio di Innocenzo X. Giovanni Battista Pamphilij era un uomo severo, che aveva a cuore la sorte dei diseredati e la gloria di Roma, che prima di lui aveva dovuto subire ingenti operazioni di spoglio anche da parte dei suoi predecessori (in particolare da Urbano VIII Barberini).

 Avvalendosi dei più grandi architetti e artisti dell’epoca, in primis Bernini e Borromini, Innocenzo cambiò il volto alla città e per far questo dovette tessere relazioni diplomatiche con le più potenti famiglie e confraternite, missione alla quale si dedicò infaticabilmente proprio Olimpia Dopo la morte di Pamphilio, il fratello del futuro papa, che aveva sposato in seconde nozze e che era più vecchio di lei di trent’anni, Olimpia si era ritrovata nel 1639 libera da impegni coniugali: Il sodalizio che si generò con il cognato alimentò dicerie e veleni di ogni tipo, specie dopo l’elezione di Giovanni Battista a Papa.

 Si cominciò a diffondere la maldicenza che i due fossero o fossero stati amanti, e che fosse stata la stessa Olimpia ad avvelenare nel sonno il marito. Fatto sta che non v’era praticamente affare importante che a Roma potesse essere deciso senza aver prima consultato Olimpia, divenuta una sorta di papessa. Al figlio della nobildonna, Camillo, fu inoltre concesso l’onore di diventare dapprima capo della flotta e delle forze dell’Ordine della Chiesa, e poi di divenire a sua volta Cardinale, ricevendo la porpora nel concistoro del 1644 direttamente dalle mani dello zio paterno.

Oltre ai numerosi scandali faceva discutere la gestione del denaro, da parte di Olimpia, accusata di esigere laute prebende per ogni questione le fosse affidata, ivi comprese le commissioni degli artisti. Ma forse l’episodio più infamante è quello che riguarda la morte di Innocenzo X che fino a che fu in vita protesse e preservò la cognata dalle vendette e dalle invidie di corte, e anche dalle maldicenze del popolo.

 Innocenzo morì il 7 gennaio 1655, all’età di ottantuno anni. Pare che, quando il cadavere del pontefice era ancora caldo, Olimpia non si fece problemi a sottrarre, da sotto al suo letto, due casse piene d’oro, e al contempo, professandosi come ‘una povera vedova’ si rifiutò di pagare una degna cassa da morto. L’ingrata cognata non volle saper nulla né di esequie né di sepoltura o dei convenzionali, lussuosi abiti da lutto che si imponevano al pontefice morto: con il risultato che la salma di Innocenzo fu abbandonata per tre giorni in una segreta del Vaticano, dove venne vegliata da tre operai i quali si incaricarono quanto meno di proteggere il cadavere dall’insidia dei topi (una sorte che ricorda da vicino quella di papa Borgia, Alessandro VI).

Sembra incredibile, ma anche la poverissima bara e le esequie furono poi pagate da due generosi maggiordomi (uno dei quali fra l’altro era stato dal papa perfino malamente licenziato), nella indifferenza totale della cognata Olimpia.

L’onore dei Pamphilj fu salvato dal nipote Camillo che fece erigere un degno sepolcro, opera di Giovanni Battista Majno, nella Chiesa di Sant’Agnese in Agone, che è possibile ancora oggi visitare. In quanto a Olimpia, che sopravvisse di cinque anni il più celebre cognato, dopo la sua morte, per aver contratto la peste, a San Martino del Cimino, non valse l’incredibile somma lasciata in eredità – ben due milioni di scudi – a cancellarle la leggenda nera di dosso: si tramutò in uno dei più celebri fantasmi della storia di Roma, più volte avvistato in circostanze spaventose, sulla collina del Gianicolo, sul Ponte Garibaldi (dove sembra si presentasse a bordo di un cocchio infuocato) e nelle vie dell’odierno quartiere Monteverde dove un grande viale (di Donna Olimpia) porta ancora il suo nome.



Tratto da Fabrizio Falconi, Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma 2016

01/01/17

Il Sentimento Romantico come risposta al disincanto: una conferenza il 10 gennaio a Roma !




Martedì 10 gennaio 2017 il Comitato "Dante" di Roma invita a partecipare alla conferenza “Il sentimento romantico come risposta al disincanto”. 

La lezione, a cura della dottoressa Fulvia Strano, inserita nel ciclo predisposto per l’anno sociale 2016/2017 su “La pittura in Italia e in Europa nel secolo XIX, si svolgerà a Palazzo Firenze (Piazza di Firenze, 27 – Roma) e avrà inizio alle ore 17. 

La delusione prodotta dalla caduta di Napoleone e dalla Restaurazione degli antichi privilegi nella società europea innesca un fenomeno, largamente condiviso dalla generazione di artisti attivi tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento, di progressivo ripiegamento su una dimensione più intimistica e soggettiva della storia

All’adesione filologica al passato e agli ideali della classicità, si sostituisce un approccio sentimentale che, in modi diversi a seconda delle differenti culture in ambito europeo, determina una varietà di espressioni artistiche in cui prevale la visione soggettiva ed emozionale del racconto, in una sorta di isolamento eroico dell’artista nei confronti della committenza e del pubblico.

 Al Romanticismo tedesco, caratterizzato da una forte spinta verso la dimensione assoluta del sublime, la Francia contrappone un maggiore interesse per l’attualità storica in chiave di realismo pittorico. In Italia, complice anche la cultura cattolica di cui è permeato l’ambiente sociale, si predilige una deriva più intimista e incline alla dimensione familiare e domestica, andando a ricercare nel Medioevo le matrici di riferimento del nuovo linguaggio artistico

Nasce così il fenomeno del Purismo, attorno ad alcune figure di letterati (Antonio Bianchini) e artisti (Tommaso Minardi, Pietro Tenerani, Friedrich Overbeck) che reagiscono al rigore accademico neoclassico promuovendo un ritorno all’arte del Trecento e Quattrocento, espressione di una religiosità pura, capace di trasmettere sentimenti di profonda spiritualità in una forma lineare e didascalica

Molte le assonanze con i Nazareni, artisti tedeschi già attivi a Roma nel secondo e terzo decennio del secolo e dei quali fa parte lo stesso Overbeck; ma anche con i Preraffaelliti inglesi che pure muoveranno da posizioni simili a quelle dei puristi. 

Ciò che accomuna tutte queste esperienze e caratterizza il linguaggio di una intera generazione di artisti è il cambio di prospettiva operato nei confronti della storia, di cui si cercano ora le molte matrici culturali legate a momenti e luoghi diversi, secondo una visione particolare e non più assoluta del Bello, come era stato invece per gli ideali etici ed estetici del Neoclassicismo. Emblematica la figura di Francesco Hayez, artista romantico per eccellenza, che incarna la nuova sensibilità in una poetica pittorica di straordinaria forza e bellezza, in cui appaiono evidenti i richiami alla letteratura e al melodramma

09/12/16

Una grande mostra alla Galleria Borghese, "L'origine della Natura Morta. Caravaggio e il Maestro di Hartford" fino al 19 febbraio, con aperture straordinarie.

il Cesto di Frutta di Caravaggio alla Galleria Borghese di Roma

A seguito della grande richiesta di prenotazioni per visitare la mostra "L'origine della Natura Morta. Caravaggio e il Maestro di Hartford", il Museo Galleria Borghese effettuerà delle aperture straordinarie.
A partire da venerdì 16 dicembre infatti, e per tutta la durata della mostra che si concluderà domenica 19 febbraio, il Museo rimarrà aperto sia il venerdì che il sabato fino alle ore 22, con ultimo accesso alle ore 20.30.

La Galleria Borghese di Roma presenta la mostra “L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford” con cui, proseguendo l’opera di valorizzazione del proprio patrimonio artistico, si analizzano le origini della natura morta italiana nel contesto romano della fine del XVI secolo, seguendo i successivi sviluppi della pittura caravaggesca nei primi tre decenni del '600.

La mostra è curata da Anna Coliva, storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese e da Davide Dotti, storico e critico d’arte che si occupa di barocco italiano e in particolare dei temi del vedutismo e della natura morta.

Da alcuni anni la Galleria Borghese porta avanti un programma di mostre, varie per argomento e approccio ma tutte orientate sulla sua natura, sulla sua perfetta e intensa storicità di edificio e di collezione. In ogni mostra la Galleria non è la location ma la protagonista indispensabile allo svolgimento del tema delle mostre stesse.

Quella che si inaugura oggi è l’occasione, prettamente storiografica e filologica, per inserirsi nei percorsi della Galleria narrando il tema dell’origine del genere pittorico che solo molto più tardi verrà chiamato “natura morta”. La critica d’arte seicentesca infatti denominava tali quadri come “oggetti di ferma”, con l’esatto moderno significato di “modelli immobili”, al pari della locuzione anglosassone still life.

La mostra vuole fare il punto sull’avanzamento degli studi critici ed esamina, con i contributi degli specialisti nei saggi in catalogo, questioni filologiche molto complesse che riguardano provenienze, autografie, appartenenze a gruppi stilistici di artisti di cui purtroppo non conosciamo l’identità anagrafi-ca a causa del silenzio delle fonti documentarie, ma che sono ben noti dal punto di vista dello stile, tanto da essere raggruppati dalla critica sotto name-pieces molto suggestivi: innanzi tutto il Maestro di Hartford, che è il soggetto principale poiché la sua produzione di still life si lega strettamente ad alcuni lavori di Caravaggio, tra cui l’Autoritratto come Bacco (Bacchino malato), il Ragazzo con cesta di frutta, il Suonatore di liuto e la Cena in Emmaus Mattei.

Per molto tempo inoltre, Federico Zeri ha ritenuto di identificare il Maestro di Hartford con Caravaggio giovane. Per attestare come la lezione del Maestro di Hartford e del primo Caravaggio fu raccolta dai pittori attivi a Roma nei primi due decenni del '600, sono esposte le opere del Maestro del vasetto, del Maestro delle mele rosa, di Pensionante del Saraceni, e di altri specialisti di primissimo piano.
Natura Morta del Maestro di Hatford

24/10/16

Anche la Vergine delle Rocce di Leonardo alla Mostra "Maria Mater Misericordiae" che si apre a Sinigallia venerdì prossimo.



Maria Mater Misericordiae
a cura di Giovanni Morello e Stefano Papetti
28 ottobre 2016 – 29 gennaio 2017
Palazzo del Duca, Senigallia

UN VIAGGIO ARTISTICO ALLE RADICI DEL SACRO

Prima fra tutte giunge a Senigallia La Vergine delle Rocce di Leonardo, capolavoro assoluto che completa l’importante corpus di opere in esposizione per la mostra Maria Mater Misericordiae aperta al pubblico a Palazzo del Duca di Senigallia (AN) dal 28 ottobre 2016 al 29 gennaio 2017. 

La rassegna, organizzata dal Comune di Senigallia e dalla Regione Marche, oltre all’emblematico capolavoro leonardiano presenta significative opere di inestimabile valore, fra cui quelle di Perugino, Rubens, Carlo Crivelli, Lorenzo Monaco, che insieme costituiscono un affascinante racconto per immagini affidato ai più grandi artisti del Rinascimento italiano sul forte sentimento devozionale nei confronti di Maria, Madre Misericordiosa

E’ questo il senso profondo di Maria Mater Misericordiae, la terza rassegna promossa nell’ambito del programma di eventi sul Giubileo della Misericordia. Curata da Giovanni Morello e Stefano Papetti, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l’ANCI Marche, propone un nucleo di dipinti e sculture provenienti dalle più prestigiose raccolte internazionali quali i Musei Vaticani, la Galleria degli Uffizi, la Pinacoteca Nazionale di Siena, la Galleria Nazionale delle Marche, la Galleria Borghese di Roma, il Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, l’Accademia Carrara di Bergamo.

Al centro della narrazione artistica troviamo i mutamenti iconografici ai quali è sottoposta l’immagine della Madonna della Misericordia alla quale i fedeli chiedono un’opera di intercessione per salvare la comunità urbana minacciata dalla peste.

Nella mostra di Senigallia verrà esposta la più antica rappresentazione iconografica di questo soggetto: la Madonna della Misericordia dipinta da Barnaba da Modena tra il 1375 e il 1376, conservata nella Chiesa dei Servi di Genova. 

Si tratta di un artista che ha operato nel palazzo ducale di Genova, nel monumentale Camposanto di Pisa, in altre città del nord Italia e le cui opere sono oggi esposte presso il Museum of Fine Arts a Boston, nella collezione Cruz di Santiago del Cile e alla National Gallery di Londra.

Eseguita per una confraternita genovese, la tavola, può ragionevolmente essere considerata come il prototipo più antico nell’arte della penisola della nuova iconografia della Madonna della peste o delle frecce. La Madonna della Misericordia è raffigurata nell’atto di offrire protezione sotto il proprio mantello alla popolazione della città, esposta ad un’inarrestabile pioggia di frecce scagliate dagli angeli e dal Figlio, la cui immagine è perduta. Nell’esercizio della giustizia celeste il Signore è assistito da una milizia di creature angeliche armate: l’immunità dagli strumenti della collera divina offerta dalla Madonna ai devoti è resa concreta mediante la raffigurazione dei dardi che si spezzano contro il mantello, mentre i supplici che ne sono rimasti fuori cadono trafitti dalle armi del castigo di Dio.

Tra i capolavori assoluti che sarà possibile ammirare nella mostra senigalliese va senz’altro annoverata l’opera la Madonna della Misericordia con i Santi Stefano e Girolamo e committenti di Pietro Perugino, oggi conservata nel museo comunale di Bettona. Si tratta di un dipinto eseguito nei primi anni del secondo decennio del Cinquecento per chiesa di Sant’Antonio. Qui l’ampio manto della Vergine, quasi una tenda, è usato come simbolo di protezione e accoglie Santo Stefano, San Girolamo e i committenti raffigurati alle loro spalle. La Vergine dal volto sereno e dalle morbide fattezze assume l’atteggiamento dolce e materno di chi è invocata a propria protezione.

Grande interesse assume anche la presenza in mostra della Madonna della peste, opera eseguita nel 1472 da Benedetto Bonfigli e conservata nella chiesa parrocchiale di Corciano. Questo pittore definito dal Vasari il più grande artista umbro prima dell’ascesa del Perugino lavorò sia in Vaticano, sia soprattutto nella sua città natale, Perugia nella cui Galleria Nazionale è esposto il suo più importante ciclo di affreschi eseguito per la cappella di Palazzo dei Priori del capoluogo umbro. Nell’opera esposta a Senigallia la funzione tutelare assicurata dalla Madonna della Misericordia trova tangibile espressione nel manto di broccato sul quale si frantumano i dardi della punizione celeste; i santi patroni ai lati, sono intenti a supplicare l’Eterno affinché risparmi la città, raffigurata ai piedi di Maria.

Altra opera di straordinaria bellezza che impreziosisce ulteriormente la mostra è la Madonna del latte di Carlo Crivelli, conservata nella pinacoteca parrocchiale della chiesa dei santi Pietro, Paolo e Donato di Corridonia. La tavola databile al 1472 ed eseguita per la chiesa di sant’Agostino costituisce la parte centrale di un polittico, forse smembrato e le cui parti laterali sono ormai definitivamente perdute. Considerata opera eccelsa, in questo dipinto il Crivelli abbandona il tradizionale fondo oro e raffigura Maria seduta su un trono con il tipico drappo alla veneziana che cala coprendo lo schienale, ed è attorniata da una gloria di cherubini e serafini e dipinge uno sfondo di colore azzurro. Il Bambino, attaccato al seno della Madre, volge lo sguardo verso lo spettatore quasi a voler dialogare e intessere una relazione con chi sta osservando la scena. Un gesto umano, come umano e divino allo stesso tempo e il Salvatore.
Sacro e terreno si uniscono in questo semplice racconto dove la Madonna tiene il Bambino in braccio, lo allatta e lo guarda con la tenerezza di una madre e con l’inquietudine di chi conosce già il dolore che l’attende.

L’immagine scelta per la mostra propone il dipinto che il pittore camerte Girolamo di Giovanni eseguì nel 1463. Si tratta della Madonna della Misericordia esposta al museo civico della città dei Da Varano e l’opera evoca il nome di Piero della Francesca per le affinità formali con la tavola centrale del polittico di Borgo San Sepolcro. L’imponente figura della Vergine che apre il mantello sotto il quale si riparano i devoti, assieme ai santi Venanzio e Sebastiano, rappresenta in modo emblematico l’aspetto della madre misericordiosa, madre che protegge amorevolmente la prole la Mater Dei che accoglie in grembo coloro che hanno vissuto la grazia e per garantire un destino di salvezza alla propria anima.

Il termine Misericordia è, infatti, l’incontro di due parole: miseria e cuore; l’incontro tra la miseria della condizione umana e il cuore di Dio. 

Rachùm, in ebraico il misericordioso, evoca il termine che la lingua ebraica riserva al grembo materno: rèchem. E allora ecco Maria che con il suo ampio mantello ripara e protegge il genere umano dai colpi della minacciosa collera divina. L’immagine iconografica della Madonna della Misericordia raffigura la Vergine che sotto il proprio ampio mantello ripara i devoti dalla pioggia di frecce scagliate da un Dio irato per la condotta immorale del genere umano.

Dalla chiesa di Sant’Ermete in Pisa proviene l’opera Vergine col Bambino e angeli di Lorenzo Monaco. L’artista che viene ricordato per essere l’ultimo esponente importante dello stile giottesco, prima della rivoluzione rinascimentale di Beato Angelico che fu suo allievo e del Masaccio, esegui la tavola che sarà esposta a Senigallia nel 1412 e di lui vanno ricordate l’Incoronazione della Vergine del 1412 e l’Adorazione dei Magi, del 1420-1422 entrambe esposte alla Galleria degli Uffizi di Firenze, me la sue straordinarie opere sono sparse nei musei di tutto il mondo, con una particolare concentrazione alla Galleria dell’Accademia di Firenze ed alla National Gallery di Londra, al Metropolitan Museum of Art di New York.

La mostra di senigallia fa parte del progetto regionale “Le mostre del Giubileo della Misericordia delle Marche”; fino all’8 gennaio 2017 è possibile visitare a Loreto, a poca distanza da Senigallia la mostra “La Maddalena tra peccato e penitenza”, a cura di Vittorio Sgarbi, e a Osimo, presso Palazzo Campana, fino al 15 gennaio 2017, la mostra “Lotto Artemisia Guercino. Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi”.

Le tre mostre sono visitabili con un coupon sconto disponibile presso gli uffici turistici, gli alberghi e, inoltre è scaricabile da: eventi.turismo.marche.it
La Mostra Maria Mater Misericordiae allestita nel Palazzo del Duca di Senigallia rimarrà aperta dal 28 ottobre 2016 al 29 gennaio 2017 con i seguenti orari:
dal martedì al mercoledì dalle 15.00 alle 20.00 dal giovedì alla domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 20.00 telefono 366 - 67.97.942
sito internet. www.senigalliaturismo.it

06/10/16

I misteriosi sposi di Lorenzo Lotto, all'Ermitage di San Pietroburgo. Un quadro meraviglioso.



Ci sono quadri che non smettono mai di interrogare, di affascinare, come questo Ritratto di sposi, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo, dipinto da Lorenzo Lotto nel 1523.

E' un dipinto pieno di allegorie piuttosto misteriose, che nel corso dei secoli hanno dato adito alle più varie interpretazioni. 

Innanzitutto, nonostante le molte ricerche, non si è riuscito a dare una identità alla coppia degli sposi ritratti, anche se per l'analogia del tema con il quadro gemello  - Il Ritratto di Marsilio Cassotti e della sua sposa Faustina conservato nel Museo del Prado di Madrid - si ritiene si tratti anche in questo caso di una coppia di coniugi bergamaschi. 

Subito però colpisce l'atmosfera del ritratto, che è ben diversa dall'altro quadro: se quello infatti si presenta come una celebrazione festosa del matrimonio, questo ha un aspetto assai cupo, quasi lugubre. 

Si adegua al tono scurissimo dello sfondo, il paesaggio che si intravvede attraverso la finestra aperta: un paesaggio serale e autunnale, il cielo corrusco con un sole smorto e il vento che piega le cime degli alberi. 

Ma altri particolari sono straordinari: primo fra tutte lo scoiattolo che si vede disteso sulla tavola (ricoperta da una tovaglia incredibilmente dipinta)  vicino alla mano del marito, che fa da pendant al cagnolino in grembo alla donna. 

Secondo alcune interpretazioni lo scoiattolo, che è raffigurato dormiente, potrebbe avere una valenza moralistica, in quanto simboleggiava la lussuria. Un'altra tradizione medievale sosteneva che lo scoiattolo, d'inverno quando scarseggia il cibo, scaccia dalla tana la femmina. 

Il marito mostra con la mano sinistra un foglio su cui è scritta la frase: "homo numquam".

Dalla scritta si deduce che l'uomo non farà mai ciò che sta facendo lo scoiattolo, cioè dormire, dimenticando nel sonno i drammi della vita. 

Il fatto che la donna sia su un piano più alto rispetto al consorte - fatto del tutto inconsueto per le abitudini dei ritratti dell'epoca - e che abbia un'incarnato cereo e quasi spettrale, hanno fatto ipotizzare che il ritratto sia stato realizzato post-mortem della donna e che quindi sia un elogio alla virtù del vedovo che non dimentica la sposa. 

Fabrizio Falconi 




03/10/16

Uno dei più bei ritratti di sempre: Il "giovane uomo" di Andrea del Sarto.



E' a mio avviso uno dei più bei ritratti al mondo. 

Il Ritratto di giovane è un dipinto eseguito da Andrea del Sarto, colui che fu definito dal Vasari il pittore "senza errori", tra il 1517 e il 1518. 

È facile vederlo dal vero, essendo conservato nella National Gallery di Londra, e al contrario di quanto è riportato nella voce di Wikipedia italiana, è esposto. Esattamente nella Room 8 del secondo piano della meravigliosa galleria londinese. 

E' un quadro misterioso e bellissimo.  Il mistero riguarda il  soggetto del ritratto che è di difficile identificazione. Per molto tempo lo si è ritenuto relativo a Giovan Battista Puccini, protettore del pittore e dalla cui collezione il dipinto proviene; ma all'epoca dell'esecuzione Puccini avrebbe avuto cinquantaquattro anni e il ritratto sembra realizzato dal vivo. 

Il misterioso giovane - di finissimi lineamenti - è seduto di tre quarti e rivolge il viso verso l'osservatore come se fosse stato colto, sorpreso mentre è completamente immerso nel suo lavoro. 

Fra l'altro non si sa bene neanche che cosa tenga stretto tra le mani: se un libro o un piccolo blocco di marmo: la pittura di Andrea del Sarto infatti è modernissima, fatta di pennellate su disegno, ombre e macchie di colore sfumate. 

Difficile riuscire a sfuggire al fascino di questo ritratto - grande 70 cm. circa per 50.  Un'altra grande testimonianza del genio del Rinascimento italiano. 

Fabrizio Falconi

12/04/16

Trovare un quadro in soffitta e scoprire che è (forse) di Caravaggio.


Una tela scoperta nella soffitta di una casa nel Sud-Est della Francia e un'opera "autentica" di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. 

Lo sostiene l'esperto Eric Turquin, che oggi ha tenuto una conferenza stampa a Parigi.

"Questa illuminazione particolare, questa energia tipica del Caravaggio, senza correzioni, con una mano sicura e i materiali pittorici fanno sì che la tela sia autentica" ha detto Turquin. Sul dipinto "ci saranno più controversie che expertise" ha aggiunto l'esperto, i cui colleghi sono molto più prudenti. 

La tela, che raffigura una Giuditta nell'atto di tagliare al testa di Oloferne, era stata scoperta nell'aprile 2014 dai proprietari di una casa nella regione di di Tolosa, che avevano aperto un sottotetto per porre rimedio a un'infiltrazione d'acqua, ha raccontato Turquin all'AFP

Il dipinto è poi transitato dall'ufficio di un banditore, che ha contattato Turquin in qualità di esperto

 Il ministero della Cultura il 31 marzo aveva "respinto il certificato di esportazione richiesto per la tela attribuito forse a Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, in attesa di un parere degli esperti. 

Per il ministero la tela merita di essere "mantenuta sul territorio come una testimonianza molto importante del caravaggismo, il cui percorso e la cui attribuzione restano da approfondire". 

10/03/16

"Francesco nell'arte, da Cimabue a Caravaggio", una splendida mostra a Ascoli Piceno.

Caravaggio, San Francesco in meditazione

Si inaugura sabato 12 marzo alle ore 17:00 presso la Sala della Ragione Palazzo dei Capitani la mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio” curata da Giovanni Morello e Stefano Papetti. 

Dopo l’inaugurazione seguirà la visita guidata alla mostra allestita nella Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno. 

“Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio ” è la prima delle quattro grandi mostre che la Regione Marche dedica al Giubileo della Misericordia, unica regione ad onorare il Giubileo indetto da Papa Francesco con mostre importantissime

Il 2016, un anno straordinario, raccoglie come chiave tematica unitaria un programma di esposizioni unico in Italia per valore degli allestimenti, preziosità delle opere ospitate e prestigio dei curatori che si sono impegnati per realizzare progetti espositivi di livello internazionale. 

Stefano Papetti, curatore della mostra e direttore della Pinacoteca civica, ha sottolineato come la mostra di Ascoli Piceno, con numerosissimi prestiti da tutta Italia, sarà anche l’occasione non solo per i visitatori ma anche per gli studiosi di avere un raffronto sull’iconografia di San Francesco , da Cimabue al Piazzetta , che non è stata , al contrario di altri Santi, univoca

“Una ricerca – ha ricordato il critico d’arte - anche sulle diverse raffigurazioni del saio, della postura, la tonsura e le stigmate. Ma sarà anche un modo per conoscere l’arte francescana di Ascoli Piceno dove Francesco sostò più di due mesi nel 1215 per la sua predicazione convincendo a seguirlo molti rampolli delle più nobili famiglie ascolane.” 

La mostra “Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio”, inserita in un più ampio contesto di iniziative culturali che coinvolgeranno la città di Ascoli Piceno nel corso del 2016, intende ricordare la figura di San Francesco in occasione dell’ottavo centenario della sua venuta nel Piceno. 

Il fondatore dell’ordine francescano, in virtù della sua precoce popolarità è stato infatti rappresentato dai maggiori artisti italiani e stranieri, a partire da alcuni tra i più autorevoli esponenti dell’arte gotica che ebbero modo di conoscerlo o di ricevere dai suoi più diretti seguaci informazioni attendibili circa il suo aspetto fisico. 

Nelle tavole dipinte da Margaritone d’Arezzo, da Bonaventura Berlinghieri e da Cimabue viene dunque fissato un modello rappresentativo al quale si sono attenuti gli artisti dei secoli successivi, attenti a rispettare scrupolosamente alcuni dettagli iconografici che consentivano facilmente ai devoti di riconoscere, tra gli altri santi, la presenza di Francesco. 

Nelle Marche le visite da lui effettuate, il grande seguito che ha raccolto e soprattutto la precoce istituzione di conventi maschili e femminili legati alla regola francescana, l’origine ascolana del primo papa francescano (Niccolò IV, 1288-1292) hanno determinato lo svilupparsi di una intensa iconografia legata alla figura del santo d’Assisi ed alle sue vicende personali: non è un caso che proprio nella chiesa di san Gregorio ad Ascoli Piceno si conservi un affresco del XIII secolo che per la prima volta riproduce la predica agli uccelli, un tema che nei secoli successivi è stato spesso rappresentato fino ad assumere la caratteristica di un vero e proprio topos utile a dimostrare l’attenzione di Francesco verso tutto il creato. Grazie ai prestiti richiesti ai maggiori musei italiani, sarà possibile ripercorrere l’evoluzione della figura di Francesco nella pittura dal Medioevo alla Controriforma, quando, in base alle norme relative all’arte sacra sancite in occasione del Concilio di Trento, venne ribadita la necessità di rappresentarlo rispettando la tradizione iconografica stabilita fin dal XIII secolo, come attesta nel suo “Dialogo sugli errori de’ pittori circa le istorie” il sacerdote fabrianese Giovanni Andrea Gilio (1564)

Nell’imponente Sala della Vittoria della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, saranno quindi collocati i dipinti della mostra che si aggiungeranno ai due capolavori legati al tema francescano già presenti nelle raccolte comunali: la grande tela di Tiziano raffigurante San Francesco che riceve le stigmate e la tavola di Cola dell’Amatrice raffigurante il santo di Assisi con altri confratelli. Idealmente la mostra troverà un suo sviluppo nella Sala del piviale dove è esposto il prezioso paramento liturgico ricamato in opus anglicanum donato alla città di Ascoli dal Pontefice Nicolò IV, il primo francescano ad essere asceso alla cattedra di san Pietro.

Francesco nell’arte. Da Cimabue a Caravaggio 
Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica 
12 marzo / 30 giugno 2016 
a cura di Giovanni Morello e Stefano Papetti

13/11/15

Raffaello, Parmigianino, Barocci: una mostra imperdibile ai Musei Capitolini fino al 10 gennaio.





“Raffaello, Parmigianino, Barocci”: è un confronto a tre quello che andrà in scena fino al 10 gennaio 2016 ai Musei Capitolini, un’esposizione di sguardi incrociati: quello degli autori antichi sul Parmigianino e Barocci e la loro relazione con Raffaello; quello dei due pittori su Raffaello e, infine, lo sguardo stesso dei tre artisti rivolto allo spettatore negli autoritratti selezionati

La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura e allo Sport di Roma - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo in collaborazione con il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, è organizzata da MetaMorfosi con Zètema Progetto Cultura ed è curata dalla direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Marzia Faietti. Catalogo Palombi Editori. 

Una selezione assai mirata di dipinti richiamerà i nodi tematici principali offerti dalla grafica. Lo sguardo dei protagonisti di quell’ideale dialogo artistico, attraverso i loro autoritratti (lo straordinario Autoritratto giovanile di Raffaello e l'Autoritratto di mezza età di Barocci, entrambi dalla Galleria degli Uffizi, e i due Autoritratti del Parmigianino dall'Albertina di Vienna e da Chatsworth), introdurrà il percorso originale di quest'esposizione. 

In programma visite didattiche e laboratori per le scuole di ogni ordine e grado e visite didattiche dedicate al pubblico non scolastico.

Info e prenotazioni allo 060608. 


Di seguito il link dal quale è possibile scaricare alcune immagini delle opere in mostra: