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21/09/15

"L'Assenzio" di Edgar Degas. Il quadro della condizione umana.



L'absinthe o Dans un café fu dipinto da Edgar Degas tra il 1875 e 1876.

Anche il  Café de la Nouvelle Athènes, dove la scena è ambientata, ha una lunga storia: si trovava a Place Pigalle ed era un famoso ritrovo degli impressionisti. Il Café prendeva il nome da un quartiere di Parigi di fine Ottocento.  Nel corso degli anni il caffè cambio nome più volte: negli anni quaranta, divenuto un locale di spogliarelliste, venne chiamato Sphynx divenne il luogo di incontro dei militari nazisti prima e statunitensi poi. Più recentemente, tra gli anni ottanta e gli anni novanta, fu chiamato New Moon. Il caffè fu poi chiuso definitivamente nel 2004 ed il palazzo che lo ospitava, completamente ristrutturato. 

La terrazza del Café offriva ai pittori impressionisti un luogo ideale da cui ritrarre i loro modelli. 

Degas ne sceglie due particolari: l'attrice Ellen Andrée e il pittore Marcellin Desboutin, un aristocratico caduto in disgrazia divenuto un vagabondo pieno di orgoglio e dignità e pittore senza troppa fortuna.  

L'uomo ha il gomito sul tavolo, la pipa in bocca e guarda fuori dal locale.   La donna, come ipnotizzata davanti ad un bicchiere di assenzio - bevanda poi definitivamente abolita, definita la droga dei poveri - con lo sguardo perso nel vuoto. 

I due sono vicini, ma non hanno nulla in comune. Sembrano ciascuno dei due prigionieri del proprio mondo, delle proprie fantasie, della propria visione del mondo

L'isolamento popola questa tela, la abita.

Lo sguardo di Ellen è la diagonale che attraversa il quadro, e fuoriesce da esso verso un altrove sconosciuto.  Il bicchiere sembra non ancora sfiorato.  Il liquido verdognolo lo riempie fin quasi all'orlo. Ma la caraffa è vuota. E forse, anzi, certamente, quello non è il primo bicchiere. 

Desboutin ha gli occhi rossi e il suo aspetto arruffato - il cappello inclinato - testimonia il dissidio aperto con il mondo. 

I giornali sono avvolti nelle stecche, in primo piano.  Nessuno li vuol leggere, non servono. La scena si svolge ben oltre l'attualità, l'ordinarietà della vita.   Soltanto la firma di Degas si può leggere sopra. 

Ellen e Marcellin sono incompleti. 

Aspettano qualcosa che forse - o quasi certamente -  non arriverà mai. Aspettano. 

Edgar Degas, L'absinthe, olio su tela, 92 x 68 cm, lascito del conte Isaac de Comondo, 1911, Musée d'Orsay, Parigi. 

Fabrizio Falconi









30/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)


La  musica fra l’altro, ebbe, nella famiglia di Roger, un'importanza del tutto particolare:
una zia aveva studiato virtuosismo pianistico addirittura con Hans Von Bulow e  Franz Liszt.  E anche Geneviève, la sorella che condividerà con Roger l’avventura della fondazione della Comunità, prima di raggiungere il fratello a Taizè,  studiava musica pensando di diventare una concertista.  Questa familiarità con la musica spiega bene la scelta dei canti e della meditazione musicale, come mezzo privilegiato di comunione e condivisione, che verrà realizzato molti anni dopo a Taizé.

Il giovane Roger era cagionevole di salute: durante l'adolescenza si ammalò di tubercolsi polmonare e diverse ricadute fecero temere il peggio.  Una volta guarito però, contro la volontà del padre che lo voleva teologo, manifestò l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Lettere per diventare scrittore.  Ma raggiunta Parigi, dove portò con sé un primo scritto – intitolato: Evoluzione di una giovinezza puritana – cambiò idea, finendo proprio per iscriversi alla facoltà di Teologia, prima a Losanna e  poi a Strasburgo. 

Al termine di questo, periodo, nel 1940, quando l’Europa bruciava ormai del conflitto mondiale, viaggiando in bicicletta,  Roger riuscì a raggiungere la Francia, che significava per lui un ritorno alle origini della sua famiglia materna: il giovane si sentiva chiamato a ripercorrere le orme della anziana nonna, Marie-Louise Marsauche-Delachaux, che durante il primo conflitto mondiale si era prodigata, nelle sue terre, per dare rifugio agli scampati dalla guerra. Rimasta vedova, all'inizio del primo conflitto mondiale, infatti,  viveva nella Francia del Nord, a pochi chilometri dal fronte, dove combattevano tre dei suoi figli. La sua casa, finché il pericolo non la costrinse a riparare in Svizzera, era divenuta rifugio per donne incinte, vecchi, bambini. Fu a quanto pare proprio la nonna, ad inculcare nel nipote l’importanza della riconciliazione tra  i cristiani d’Europa, per scongiurare conflitti così crudeli come quello a cui lei aveva assistito.  Da giovane, raccontò il Frère un giorno,  sono partito in bicicletta, per trovare una casa dove pregare, dove accogliere e dove ci sarebbe stata un giorno questa vita di comunità.  Idee già molto radicate e chiare, dunque.

E Roger trovò questo posto dove stabilirsi, proprio in Borgogna, vicino a Cluny, dove sorge una delle più antiche abbazie d’Europa, fondata nel 910 d.C. centro del monachesimo occidentale benedettino.

Un racconto riferito dallo stesso Frère, vuole che egli fu spinto a scegliere il piccolo villaggio di Taizè, poco distante da Cluny, proprio a seguito del calore con cui fu accolto dai suoi abitanti, e in particolare delle suppliche di una vecchia contadina, una certa Henriette Ponceblanc, che invitatolo a pranzo, gli disse: "Resti qui, siamo così soli".   Una frase che, come riferì più tardi, a Roger sembrò proferita dal Cristo stesso attraverso le parole di quella donna.  

Quella scelta fu davvero provvidenziale: Taizé sorgeva infatti vicinissima alla linea di confine che divideva in due la Francia, dopo l’invasione nazista, ed era il punto di passaggio ideale dei molti rifugiati che cercavano scampo al sud, sfuggendo all’occupazione dei tedeschi.

In condizioni molto precarie – con l’aiuto di un prestito e della sorella Geneviève accorsa dalla Svizzera -  Roger comprò una vecchia casa abbandonata, insieme a due casupole adibite a dimora dei contadini.   Si mise al lavoro e in breve tempo riuscì a rendere gli edifici abitabili. L’acqua era quella di un pozzo, si mangiava quel poco che si riusciva a comperare al mulino del paese. 


Eppure, in condizioni così povere, così modeste, Frère Roger cominciò a edificare le fondamenta della sua grande opera, decidendosi ad offrire rifugio a decine di ebrei in fuga dalla Francia occupata. In quei mesi drammatici, pregava da solo per tre volte al giorno  in un piccolo oratorio, come farà poi la futura comunità che aveva già in mente. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

11/05/14

La poesia della domenica - 'Incontro nel Viale dei castagni' di Rainer Maria Rilke.




All'ingresso l'avvolse il buio verde
come in un fresco mantello di sera;
e mentre ancora al corpo s'accordava
ecco lontana nella trasparente

opposta estremità, da un sole verde
come da vetri verdi, luminosa,
emerse una sola figura bianca
e restò a lungo lontana; poi luci
spiovendo ad ogni passo l'inondarono

e all'indietro le corse un chiaro brivido i capelli
timido propagarsi nel biondo.
Ma a un tratto l'ombra si fece profonda
e occhi vicini erano aperti

ora in un volto nuovo, chiaramente visibile
e fermo come in un ritratto
in quell'istante che tornò a dividerli:
prima era per sempre e poi non era più.

Parigi, estate 1908, prima del 15 luglio

Rainer Maria Rilke, da Nuove poesie, a cura di Giacomo Cacciapaglia, Einaudi, 1995.

17/10/13

Dieci grandi anime - 2. Andrej Tarkovskij (1./)




2. (Dieci grandi anime) - Andrej Tarkovskij (1) 

Per una di quelle circostanze che decidono i destini degli uomini – in questo caso l’essere nato in un periodo storico di feroci opposizioni e blocchi contrapposti – il corpo del grande Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi autori della storia del cinema, riposa lontano dal suo paese, il paese dove è nato e dove hanno vissuto i suoi predecessori.  La tomba di Tarkovskij non è infatti a Zavraz’e, il piccolo villaggio sulle rive del Volga dove il regista nacque il 4 aprile del 1932  e nemmeno in nessun’altro cimitero della sconfinata Russia, ma al cimitero ortodosso di Saint-Géneviève-des-Bois, nei pressi di Parigi.

Se Tarkovskij fu seppellito in Francia e non nel suo paese, fu dovuto alla decisione della moglie Larisa, che rifiutò l’offerta da parte delle autorità sovietiche di far rimpatriare il corpo del grande regista perché fosse sepolto a Mosca.  La decisione era del tutto conseguente a una estenuante guerra, cominciata molti anni prima, con le autorità sovietiche che – da sempre, dall’inizio, da L’infanzia di Ivan, girato nel 1962 – avevano mal sopportato i contenuti dei film di Tarkovskij, l’ermetismo e il forte simbolismo delle immagini, e soprattutto i riconoscimenti tributati all’estero ad un autore considerato genialmente innovativo.   Il conflitto con le autorità di controllo dello spettacolo sale, pellicola dopo pellicola, fino alla decisione di Tarkovskij, inevitabile, di usufruire nel luglio del 1979 di un permesso di espatrio, per raggiungere l’Italia e lavorare finalmente liberamente ad un nuovo progetto.  Decisione, alla quale il regime sovietico darà una risposta durissima, impedendo alla moglie del regista Larisa, e al figlio Andrej – che all’epoca ha solo nove anni – di raggiungere Tarkovskij.  I tre – marito da una parte, moglie e figlio dall’altra – resteranno separati per sette lunghi anni,  fino a pochi mesi prima della morte del regista, avvenuta appunto nel dicembre del 1986 a Parigi.

Una testimonianza irripetibile di questi anni, ma anche di quello che accade prima, nella mente e nell’anima del regista, costretto a fare i conti con una realtà limitante – che diventerà poi soffocante – è contenuta nei diari che Tarkovskij inizia a scrivere il 30 aprile del 1970, a trentotto anni, quando è già un regista affermato che ha vinto il Leone d’Oro a Venezia con L’infanzia di Ivan nel 1963  e stupito il mondo con Andrei Rublev  terminato nel 1966 ma presentato al Festival di Cannes soltanto tre anni dopo nel 1969, e distribuito in patria addirittura cinque anni dopo, nel 1971.

Nel 1970, quando comincia a scrivere i suoi Diari, Tarkovskij è già un uomo disilluso.  Il potere sovietico lo boicotta. I suoi progetti vengono quasi sempre bocciati, osteggiati,  boicottati.   Il regista è isolato dall’invidia dei colleghi, dalla ottusità della burocrazia,  dall’arroganza dei dirigenti statali.  Rivive su di sé la stessa amara frustrazione del padre Arsenij, grande poeta insignito dell’Ordine della Stella Rossa, la più alta onorificenza sovietica, per il suo eroismo durante la guerra contro i nazisti, che si vede rifiutare la pubblicazione del primo volume, nel 1946, con la motivazione che i versi tanto più sono talentuosi, tanto più “sono nocivi e pericolosi.”

E’ forse anche per sublimare questa frustrazione, e non soccombervi, che Andrej comincia dunque a stilare questi diari, che copriranno un arco di vita di sedici anni.  Si tratta di sette quaderni autografi, scritti in lingua russa, rilegati dallo stesso autore, che contengono anche schizzi e disegni, ma che soprattutto rappresentano una importantissima testimonianza del processo creativo, dei tormenti, delle crisi e della vita spirituale del grande regista. (1) 

(segue -1./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata

1.      I Diari di Andrej Tarkovskij sono stati pubblicati finalmente in forma completa nella accurata e meritevole edizione italiana con il titolo di Diari – Martirologio (1970-1986),  da Edizioni della Meridiana di Firenze,2002,  curati dal figlio del grande regista, Andrej A. Tarkovskij, tradotti da Norman Mozzato, sfruttando la imponente documentazione custodita dall’Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij che ha sede a Firenze, e con la collaborazione della Sovrintendenza Archivistica per la Toscana e dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.  Le citazioni contenute nel testo, tratte dai Diari di Tarkovskij, fanno riferimento a questa edizione. 

15/10/13

"Pasolini e Roma" - Una grande esposizione alla Cinematheque francese di Parigi.




Pasolini e Roma, un legame inscindibile e un rapporto di scambio tra il regista, sceneggiatore, poeta e scrittore, nato a Bologna il 5 marzo 1922, uno dei maggiori artisti e intellettuali del XX/o secolo, ma anche il piu' "scandaloso e controverso", e la capitale italiana (dove si e' trasferito dal 1950 fino alla morte nel 1975). E' il tema dell'ampia e ricca esposizione che si apre domani alla Cinematheque francaise di Parigi (fino al 26 gennaio) organizzata in collaborazione con il Centro de cultura contemporanea di Barcellona (dove e' stata in cartellone fino al 15 settembre), il Palazzo delle esposizioni di Roma (in cui fara' tappa dal 3 marzo all'8 giugno 2014) e il Martin-Gropius-Bau di Berlino (in mostra dall'11 settembre 2014 al 5 gennaio 2015). Gli archivi di Bologna e Firenze e l'Istituto Luce, con il contributo della cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, custode dell'eredita' letteraria del maestro, hanno messo a disposizione lettere autografe, sceneggiature, foto, film, documenti inediti, libri, locandine, dipinti, disegni e oggetti personali e intimi. 

Il percorso espositivo di 'Pasolini-Roma' e' cronologico e la voce di Pasolini accompagna il visitatore attraverso le varie sezioni che sono anche i luoghi della capitale che il maestro frequentava.

"La mostra - dice il direttore della Cineteca, Serge Toubiana - cerca di rendere conto dell'importanza e della complessita' dell'uomo attorno a un tema preciso, Roma vista attraverso lo sguardo Pasolini: i film, le amicizie, i suoi lavori come l'incarico di professore in un liceo di Ciampino, le case in cui ha abitato. Pasolini si e' impregnato di questa citta' per ridipingerla a suo modo".

Si parte con il suo arrivo in "una casa di poveri" nella periferia di Roma dal Friuli, quindi l'appartamento in via Fonteiana 86, nel quartiere di Monteverde, dove porta a compimento il suo primo romanzo 'Ragazzi di vita', quello in via Giacinto Carini 45, dove visse dal 1959 al 1993, nello stesso palazzo di Bernardo Bertolucci, il quale e' diventato poi il suo assistente, e poi l'ultima residenza in Via Eufrate e la trattoria di Ostia dove ha cenato prima di essere assassinato. Nel mezzo vari flash back: Piazza del popolo e il bar Rosati dove era solito incontrare gli amici, Elsa Morante, Alberto Moravia e Laura Betti, la collaborazione con Fellini sul set de 'Le notti di Cabiria'. Ma anche le frequentazioni con Ungaretti e Calvino, i viaggi a New York, Parigi e in Africa, la relazione professionale e di profonda amicizia con Ninetto Davoli (presente all'inaugurazione della mostra che lo ricorda con grande affetto e fierezza), le sue 33 denunce e l'accanimento della giustizia nei suoi confronti, tra l'altro, per vilipendio alla religione con il film 'La ricotta', per una presunta tentata rapina ai danni dell'addetto a un distributore di benzina, per censurare 'Accattone' e per le parolacce in 'Mamma Roma'. Ci sono anche estratti e sceneggiature di film (in programma nella sala della Cinematheque fino al 2 dicembre) da 'Accattone' (1961), a 'Il vangelo secondo Matteo' e 'Comizi d'amore' (1964), 'Uccellacci e uccellini' (1966), 'Teorema' (1968), 'Medea' (1969), 'Salo' e le centoventi giornate di sodoma' (1975). Tra le novita' della mostra un percorso virtuale sulla Roma di Pasolini disponibile sul web. Oltre a spettacoli, letture, giornate di studi. Persino due stazioni della metropolitana parigina dedicate a Pasolini.

"Questa esposizione non e' assolutamente commemorativa, Pasolini non deve diventare un monumento - spiega il curatore francese, Alain Bergala -: Pasolini non e' morto, il suo pensiero non e' morto". "Nel XX/o secolo gli artisti che hanno meglio interpretato o incarnato Roma non erano romani, salvo due eccezioni, Roberto Rossellini e Alberto Moravia - ricorda anche Gianni Borgna -. Pasolini, bolognese e friulano, fa cadere il velo che nascondeva la Roma di periferia. Nei suoi romanzi e film mostra un'altra Roma, a tal punto che si puo' dire che c'e' una Roma prima e dopo Pasolini".


05/04/13

La splendida Mole Antonelliana di Torino compie 150 anni.




Alla Mole Antonelliana ho dedicato uno dei capitoli del nuovo libro, Monumenti Esoterici d'Italia, in uscita tra poche settimane in tutte le librerie.  La celebre, bellissima Mole compie proprio in questi giorni, 150 anni di vita. 

Osservando il solido monumento che da oltre un secolo simboleggia Torino, pochi immaginerebbero che subito dopo essere stata ultimata la Mole Antonelliana fosse sul punto di crollare. 

Il Comune aveva fatto predisporre un piano di evacuamento della zona e tentato di puntellare l'edificio, che aveva retto fino al consolidamento in cemento armato realizzato negli anni Venti del Novecento. 

 Lo ha raccontato l'architetto Gianfranco Gritella, responsabile dell'ultimo restauro, un cantiere di otto anni che ha trasformato la mancata sinagoga commissionata dalla comunita' ebraica torinese il 7 aprile 1863 nell'attuale sede del Museo Nazionale del Cinema. 

In occasione dei 150 anni, la Mole e' al centro di numerose iniziative, a partire da uno speciale di Bell'Italia illustrato questa sera a Torino dal direttore del magazine Emanuela Rosa-Clot. All'appuntamento anche l'assessore alla Cultura del Comune, Maurizio Braccialarghe, e lo scrittore Giuseppe Culicchia, che al monumento ha dedicato il suo ultimo libro Badabum, in uscita da Feltrinelli. 

E' un monologo di 150 pagine in cui Antonelli, ossessionato dalla contemporanea costruzione della Tour Eiffel a Parigi, rivela come prevarico' la committenza ebraica per realizzare l'ardita architettura che da allora segna lo sky-line torinese. Per Rosa-Clot, la Mole Antonelliana e' ''l'icona stravagante di una citta' altrettanto originale: poco italiana, paradossalmente - anche se da qui e' partita' l'Unita' nazionale - e molto europea''. 

Ed e' stato proprio per non superare i suoi 167,5 metri, che Renzo Piano ha dovuto fermare al di sotto di quell'altezza il nuovo grattacielo che sta costruendo a Torino. L'edificio, ha ricordato Gritella, avrebbe dovuto ospitare la sinagoga, un asilo, dei negozi e perfino una stazione di posta. Il progetto approvato dagli ebrei torinesi prevedeva una costruzione di 47 metri. Ma quando fu chiaro che Antonelli ignorava i committenti e si spingeva sempre piu' in alto, la comunita' ebraica si rifiuto' di continuare a pagare. Della Mole dovette cosi' farsi carico il Comune di Torino mentre l'architetto, ormai novantenne, si faceva issare in una cesta tirata da carrucole per seguire da vicino i lavori. 

 Oggi la Mole viene scalata dall'esterno da Maurizio Puato, che per un intero anno vi si appese allo scopo di monitorarne la salute in occasione dell'ultimo restauro. E' lui che ha montato il 'collare' tricolore che ha cinto la base della guglia nel 2011, lui che ha realizzato le fotografie che illustrano il servizio di Bell'Italia. 

E' ormai conosciuto come 'lo scalatore della Mole', tanto da essere diventato il protagonista di un fumetto di Espress Edizioni nel quale gli fanno scoprire un diario del maestro, in realtà inesistente.

''La Mole - sostiene l'alpinista - e' come una montagna, dalla cupola in su e' fatta di granito e pietra di Luserna. Sono certo che Antonelli nel progettarla si sia ispirato al Monviso, che le svetta di fronte''. Per chi volesse tentare una scalata meno pericolosa, e' in programma l'apertura al pubblico entro la prossima estate di una parte dell'edificio finora rimasta occulta, l'intercapedine con scala interna che sale dal livello terra fino in cima alla cupola. Da quel punto verso l'alto nessuno e' ammesso, anche se l'affilata guglia e' stata ricostruita molto solidamente dopo il crollo avvenuto nel 1954 durante un temporale.

04/04/13

Somerset Maugham e Alister Crowley, la "Bestia": un incontro ad alta tensione.





E' circondato da un alone di mistero - ma molto affascinante - l'incontro che ebbe luogo, un certo giorno del 1906 a Parigi, tra uno dei più grandi scrittori del novecento, William Sumerset Maugham, autore di libri famosissimi come Il filo del rasoio, Schiavo d’amore, La luna e sei soldi e Aleister Crowley, detto La Bestia, il grande occultista (e satanista). 

Nella capitale francese Maugham era nato, nel 1874 e ad essa era tornato dopo l’infanzia e l’adolescenza trascorsa in Inghilterra, dove era stato allevato dallo zio, un pastore protestante e dopo aver peregrinato per mezza Europa. 

A Parigi, dunque, Maugham – che è sempre divorato da una fame incontenibile di incontri e di scoperte di caratteri umani, vero serbatoio per la sua ispirazione – incontra, in un noto caffè - Le Chat Blanc in rue d’Odessa – quell’Aleister Crowley, di cui ha già sentito molto parlare negli scandalizzati salotti della ville lumière: forse soltanto un abile ciarlatano dalla conversazione fin troppo brillante, provocatore, irriverente, vagamente minaccioso, dall’aspetto inquietante, calvo e con occhi magnetici che sembrano in grado di trapassare l’interlocutore.  


Anche Crowley ha trovato a Parigi terreno fertile: nella capitale francese l’occultismo sembra essere diventato una nuova moda, dopo la pubblicazione di un libro maledetto, firmato da Joris-Karl Huysmans, Là-bas, ovvero L’abisso, pubblicato nel 1891, testo che aveva messo a soqquadro i salotti buoni di Parigi con la sua minuziosa descrizione di una messa nera. 

Non sappiamo esattamente cosa accadde in quell’incontro: Maugham, incuriosito da Crowley e da quel che si racconta su di lui, dai trucchi (o quelli che vengono ritenuti tali) che usa per spaventare gli ospiti durante le sue serate parigine, ne ricava sicuramente una impressione negativa, di totale repulsione, pur avvertendone, evidentemente, le doti carismatiche. 

Usa Crowley, plasma completamente su di lui il personaggio di Oliver Haddo, il protagonista del suo nuovo romanzo The Magician, il Mago, pubblicato qualche anno più tardi, nel 1908. 

Uno strano romanzo, nel quale Maugham descrive la discesa agli inferi di una giovane donna, Margaret, promessa sposa di un medico, abbandonato per fuggire con il ripugnante Haddo e precipitare con lui là bas, nell’abisso per l’appunto. In The Magician, Maugham esplora i misteri della psiche umana e del male, annidato nell’anima di alcuni uomini, capace di contagiare chiunque e di proliferare come le cellule malate di un organismo. 

Crowley, all’uscita del libro, quasi si compiace di tanta attenzione, al punto di scriverne la recensione sulle pagine di Vanity Fair, firmandosi proprio con il nome di Oliver Haddo. 

Su quel romanzo poi, la Grande Bestia, tornerà ancora più tardi: nei suoi libri e nei suoi diari si vanterà di essere l’autore di molte delle frasi che Maugham ha usato nel suo libro e accuserà lo scrittore di averlo tradito, insultandolo e accusandolo di aver costruito un artificioso pasticcio di materiale rubato. 

Ciò che comunque aveva interessato Maugham, era proprio la capacità di Crowley di plagiare i suoi adepti, un fenomeno non nuovo nella storia, ma certamente moderno nelle modalità – le stesse che gli valsero le accuse, in Sicilia su quel che di scandaloso si svolgeva nelle stanze della Abbazia di Thelema - precursore di molte di quelle sette, esoteriche o parareligiose, che vedremo poi proliferare in tutto il Novecento, in Occidente.

© Fabrizio Falconi

27/04/12

Saint-Exupery: scoperto abbozzo inedito del "Piccolo Principe". All'asta il 16 maggio.



Un abbozzo sconosciuto di "IlPiccolo Principe", il capolavoro dello scrittore-aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry (1900 -1944), sara' venduto dalla casa d'asteArtcurial a Parigi il 16 maggio.

Il manoscritto, custodito gelosamente da un collezionista privato che intende restare anonimo, e' stimato tra i 40.000 e i 50.000 euro, sei volte il prezzo di una singola pagina autografa del romanziere.

Si tratta di due pagine autografe inedite, che furono stese da Saint-Exupéry nel 1941, due anni prima della pubblicazione dell'edizione originale del racconto, e probabilmente sono anteriori anche al dattiloscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia.

Le pagine manoscritte, vergate con una grafia minuta e difficile da leggere, fanno riferimento ad una bozza dei capitoli XVII e XIX, in cui il Piccolo Principe, dopo avere percorso sei pianeti, arriva sulla Terra, il settimo pianeta.

"I passaggi di questi capitoli sono perfettamente riconoscibili anche se sono formulati diversamente da come li conosciamo nella versione a stampa e anche l'ordine e' stato invertito, ma soprattutto presentano alcune significative varianti", ha spiegato Olivier Devers, esperto di Artcurial, che con Benoit Puttemans ha fatto la scoperta.

Ma non questo non e' l'unico cimelio legato a Saint-Exupery che va all'asta a Parigi.

L'11 maggio la casa Christie's mettera' in vendita sei lettere dello scrittore indirizzate a Lucie-Marie Decour, dove racconta il suo debutto da pilota e la sua vita in Argentina. Vendute separatamente, sono stimate tra 10.000 e 22.000 euro.