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14/04/18

E' morto il grande Milos Forman !



E' morto all'eta' di 86 anni nel Connecticut il famoso regista ceco, Milos Forman. Lo ha comunicato oggi all'agenzia Ctk la moglie, Martina Formanova.

Forman e' deceduto ieri dopo una breve malattia. "Se ne e' andato tranquillo, circondato dalla famiglia", ha detto Formanova.

Ed è veramente un brutto colpo per il cinema mondiale, e per gli appassionati di cinema di tutto il mondo. Scompare infatti uno dei più grandi autori del Novecento, la cui vita personale è stata forgiata dalla lotta ai totalitarismi.

I genitori di Forman infatti furono deportati e uccisi ad Auschwitz, la Cecoslovacchia comunista lo costrinse a fuggire e, una volta negli Stati Uniti di cui divenne cittadino nel 1975, non smise di combattere ogni sistema di potere, questa volta incarnato nel mondo capitalista.

Milos Forman (Jan Tomas Forman il suo vero nome) era nato a Cáslav, una piccola citta ad est di Praga, il 18 febbraio 1932 da una famiglia ebrea deportata e sterminata nel campo di concentramento di Auschwitz.

Fece parte di quella nouvelle vague di giovani registi della Cecoslovacchia che tanta parte ebbero nella Primavera di Praga prima che fosse messa a tacere dai carri armati russi.

E cosi' fu costretto a fuggire, prima in Francia, poi negli Usa.

Prima di trasferirsi studio' alla Scuola di Cinema di Praga, firmando "Gli amori di una bionda" (1965), manifesto della Nova Vlna praghese, e "Al fuoco, pompieri!" (1967), che fece scandalo suscitando le proteste dei vigili del fuoco cecoslovacchi e vietato dal presidente Novotny.

Milos Forman sul set di Qualcuno volò sul Nido del Cuculo, 1976

Ma i suoi capolavori arrivano negli anni settanta, negli Stati Uniti.

Vincitore di due premi Oscar come miglior regista nel 1976 per "Qualcuno volo' sul nido del cuculo", il film con Jack Nicholson che ha raccontato con poesia il disagio degli istituti psichiatri, e nel 1985 con "Amadeus", per i quali vinse anche due Golden Globe.

A questi se ne aggiunge un terzo, vinto nel 1996, per "Larry Flynt - Oltre lo scandalo".

Amadeus di Milos Forman, 1985

Tra i suoi lavori piu' amati anche il musical contro la guerra in Vietnam "Hair", "Ragtime" e "Man on the Moon", orso d'Argento a Berlino, con Jim Carrey dedicato al comico Andy Kaufman, dal quale prendono nome anche i suoi due figli: Jim ed Andy.

Le riprese di Amadeus gli permisero anche di rientrare in Patria con un permesso speciale e sotto la supervisione della Polizia segreta. Les bien-aime's (2011) con Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve e' stato scelto come film di chiusura del 64esimo festival di Cannes.

Fonte Askanews e ANSA 

24/04/17

Liberazione: ricordiamo l'incredibile figura di Irene Sendler.



Nella prossimità dell'anniversario della Liberazione, rendiamo omaggio a una delle figure più grandi (e per molto tempo misconosciute) della resistenza europea al Nazifascismo: Irena Sendler (Varsavia, 15 febbraio 1910 – Varsavia, 12 maggio 2008).

Irene  è stata una infermiera e assistente sociale polacca, che collaborò con la Resistenza nella Polonia occupata durante la Seconda guerra mondiale. 

Durante la seconda guerra mondiale, Irena, ha ottenuto il permesso di lavorare nel ghetto di Varsavia, come Idraulica specialista

Era al corrente dei piani che i nazisti avevano per gli ebrei (essendo tedesca). 

Irena portò in salvo migliaia di neonati nascondendoli nel fondo della sua cassetta degli attrezzi che portava nel retro del suo camion. I bambini più grandi li nascondeva in un sacco di iuta.



07/03/17

"Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento..." Dietrich Bonhoeffer, 1944.



Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali; e nello stesso tempo ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo stile di nobiltà che coinvolge uomini provenienti da tutti gli strati sociali attualmente esistenti. 

La nobiltà nasce e si mantiene attraverso il sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò cui uno è tenuto nei confronti di se e degli altri; esigendo con naturalezza il rispetto dovuto a se stessi e con altrettanta naturalezza portandolo agli altri, sia in alto che in basso. 

Si tratta di riscoprire su tutta la linea esperienze di qualità ormai sepolte, si tratta di un ordine fondato sulla qualità

La qualità è il nemico più potente di qualsiasi massificazione. 

Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca delle posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la scelta della cerchia intima degli amici, significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica. 

Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura.  
Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda


Dietrich Bonhoeffer (Breslavia, 4 febbraio 1906 – campo di concentramento di Flossenbürg, 9 aprile 1945) teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo.

20/01/17

"Al di là della filosofia" di Emil M. Cioran (Recensione).




E' una storia intensa e struggente quella che si racconta in questo piccolo e prezioso libro: all’inizio degli anni ’40, nella Parigi occupata dalle milizie naziste, due intellettuali di origine rumena, Emil Cioran e Benjamin Fondane, entrambi influenzati dal filosofo russo Lev Šestov, stringono un rapporto di intensa amicizia.

Ma il sodalizio avrò breve durata: nel marzo del 1944, infatti, l’“ebreo errante” Fondane, arrestato dalla polizia del regime collaborazionista di Vichy, viene prima internato a Drancy, poi deportato ad Auschwitz (con il penultimo convoglio partito per quel campo), dove troverà la morte tra il 2 e il 3 ottobre dello stesso anno. 

Cioran inutilmente tenta dapprima di sottrarre l’amico all’arresto, e poi, una volta a Drancy riesce a ottenere una promessa di liberazione, ma soltanto per lui. La sorella dello scrittore dovrà comunque partire per i campi.  Fondane non accetta di separarsi dalla sorella, abbandonandola al suo destino. Preferisce rinunciare alla liberazione - e anche alla moglie che lo aspetta - e va incontro insieme alla sorella, al suo tragico destino. 

Cioran omaggia Fondane con un toccante ritratto, pubblicato sulla rivista Non Lieu (1978) e successivamente negli Exercices d’admiration (1986).

Le tre interviste raccolte in questo volume (in compagnia di Leonard Schwartz (1986), Ricardo Nirenberg (1988) e Arta Lucesco Boutcher (1992) ) , incentrate sul ricordo personale di Cioran della figura e dell’opera di Benjamin Fondane, restituiscono l’immagine di un uomo di grande integrità morale, visionario e pessimista, cultore del dubbio e in cerca di fede, autore di primissimo piano sulla scena culturale europea del primo Novecento. 


Per Cioran, Fondane è un uomo superiore che viveva la sua superiorità senza orgoglio alcuno, nella semplicità del tormento di esistere, senso di una vita dedita alla ricerca. “rassegnato alla fatalità” e allo stesso tempo “attratto dalla catastrofe”, un “credente senza religione”.  

Non faceva niente per passare inosservato tra le strade di Parigi, ricorda Cioran, rifiutandosi anche di portare l’obbligatoria stella di David.

Rispetto a Cioran - di cui nel libretto sono riportate le farneticanti parole scritte a ventidue che esaltavano Hitler e la dittatura in generale - una vera infatuazione per la retorica abietta delle camicie brune -  Fondane non perse mai la lucidità.   Seppure la sua ostentazione e il suo rifiuto di nascondersi, lo portasse dritto incontro ad una fine tragica. 

Ma forse è proprio questo che Fondane, ebbro di ricerca, ebbro di non concludere, cercava, nella sua drammatica esperienza di vita. 


Emil M Cioran
Al di là della Filosofia
a cura di Antonio Di Gennaro
Traduzione Irma Carannante
Mimesis Edizioni, Collana Minima Volti, Milano 2014  
pag. 112 

04/11/16

Una poesia scritta a mano da Anna Frank (e sconosciuta finora) va all'asta ad Amsterdam.




Una poesia scritta a mano da Anna Frank poco prima che si nascondesse con la famiglia ad Amsterdam, un pezzo "estremamente raro", sarà venduta all'asta a fine novembre a Haarlem, in Olanda

Lo ha annunciato  la casa d'aste olandese Bubb Kuyper. Il valore di questo testo scoperto in un album di ricordi scolastici di "Cricri" (Christiane) van Maarsen, sorella maggiore della sua migliore amica Jacqueline, si situa fra i 30 e i 50.000 euro, secondo Bubb Kuyper. Il testo reca la data del 28 marzo 1942, poco prima che Anna Frank e la famiglia si nascondessero nell'alloggio segreto per sfuggire ai nazisti dove vi resteranno fino all'agosto 1944, quando furono denunciati e deportati.

Secondo il quotidiano NRC.Next, è la quarta volta soltanto che un testo manoscritto da Anna Frank viene messo all'asta. Una serie di lettere di Anna e della sorella Margot a dei destinatari americani era stata aggiudicata nel 1988 per 165.000 dollari. Un libro di fiabe, con le firme di Anna e di Margot, è stato invece venduto a maggio a New York per 62.500 dollari, più del doppio del prezzo stimato. La poesia che sarà messa all'asta è firmata da queste parole: "in ricordo di Anna Frank". 

Le quattro prime righe sono state probabilmente ricopiate da una periodico del 1938, ma le quattro righe successive non sono state ritrovate fino a questo momento in altre fonti. 

La Casa di Anna Frank di Amsterdam, che non pensa di fare una offerta, sostiene che sia "assolutamente straordinario scoprire ancora, dopo tanti anni, un manoscritto sconosciuto", ha commentato una portavoce, citata da NRC.Next

fonte askanews e Afp

21/10/16

Che cosa è la libertà ? (Bonhoeffer)



"Colui che è responsabile agisce nella libertà della sua persona, senza mettersi al riparo dei suoi simili, delle circostanze o di certi principi, ma tenendo conto di tutte le circostanze di carattere umano e ambientale e delle considerazioni di principio. 

Il fatto che nulla lo può difendere, che non può scaricarsi se non sui suoi atti e su se stesso, è la prova della sua libertà. Egli stesso deve osservare, giudicare, pesare, decidere, agire; lui solo dovrà esaminare i motivi, le possibilità di riuscita, il valore e il senso della sua azione. Ma né la purezza della motivazione né le condizioni favorevoli, né il valore, né la scelta giudiziosa dell'azione progettata potrà diventare la regola, dietro la quale trincerarsi o dalla quale possa essere giustificato e assolto. Altrimenti non sarebbe più realmente libero."

"La struttura della vita responsabile è determinata da due fattori: dal vincolo con l'uomo e con Dio, e dalla libertà della vita personale.  Quel vincolo dà origine alla libertà della vita del singolo.  Non esiste responsabilità al di fuori di quel vincolo e di quella libertà.  La vita che quel vincolo ha reso altruistica e disinteressata è l'unica veramente libera di esplicarsi e di agire in modo personale.  Il vincolo assume la forma di una sostituzione a favore del prossimo e di un atteggiamento conforme alla realtà, mentre la libertà si esprime nell'autocritica della vita e dell'azione e nel rischio della decisione concreta."

"Responsabilità e libertà sono concetti correlativi. La responsabilità presuppone oggettivamente -- non cronologicamente -- la libertà, così come la libertà non può sussistere se non nella responsabilità. La responsabilità è la libertà dell'uomo data solo nel legame con Dio e con il prossimo."

"E' infinitamente più facile soffrire ubbidendo ad un ordine dato da un uomo, che nella libertà dell'azione responsabile personale.
E' infinitamente più facile soffrire comunitariamente che in solitudine.
E' infinitamente più facile soffrire pubblicamente e ricevendone onore, che appartati e nella vergogna.
E' infinitamente più facile soffrire nel corpo che nello spirito.
Cristo ha sofferto nella libertà, nella solitudine, appartato e nella vergogna, nel corpo e nello spirito, e da allora molti cristiani con lui."

Dietrich Bonhoeffer (Breslavia, 4 febbraio 1906 – campo di concentramento di Flossenbürg, 9 aprile 1945) teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo.


16/09/16

Il film del giorno: "Giulia" di Fred Zinnman (1978).



Pluricandidato all'Oscar '78 Giulia, opera del grande Fred Zinnemann, e uno dei più bei film sull'amicizia e sulla solidarietà femminile.  

E' ambientato in due diverse fasi storiche ed è ispirato dal romanzo Pentimento di Lilian Hellman, scrittrice americana morta a Tisbury nel 1984. 

Tutto si svolge intorno all'amicizia passionale e quasi morbosa di due ragazze, la Hellman (Jane Fonda) e Giulia (Vanessa Redgrave), iniziata e sbocciata in solitari castelli di proprietà degli aristocratici nonni di Giulia e conclusasi durante la guerra, quando dopo molte peripezie, Giulia viene dapprima sfigurata durante l'occupazione nazista di Vienna, e poi ritrova la sua amica, parecchi anni più tardi, quando è arruolata in una organizzazione segreta e ha una figlia piccola da salvare. 

Un film incredibilmente lucido e mai compiaciuto, con la fotografia del grande Douglas Slocombe, e ricostruzioni storiche accuratissime. 

Ne viene fuori la figura di due donne molto diverse ma profondamente umane in un momento storico in cui anche Hollywood finalmente cominciò a interessarsi di storie e psicologie femminili non convenzionali. 

La Redgrave conquistò per questo film l'Oscar come migliore attrice non protagonista, anche se il suo ruolo è il vero fulcro del film. 

Oscar per il migliore attore non protagonista a Jason Robards. 





05/01/16

Pubblicati i Quaderni neri di Heidegger: Donatella Di Cesare: "serve riflettere e non fuggire".



All'indomani della pubblicazione dei "Quaderni neri" qualcuno si e' accanito a difendere i testi di Martin Heidegger; qualcuno ha girato le spalle al filosofo tedesco e qualcun altro ha adottato la terza via: riflettere. 

E farlo anche sulla "coscienza infelice", quella che deriva dalla riconoscenza dell'allievo verso il maestro. 

E' questo il caso di Donatella Di Cesare, che dopo "Heidegger e gli ebrei" del 2014, lo scorso novembre ha dato alle stampe "Heidegger & sons", titolo che richiama la "ditta" costituita da soci ed eredi dell'autore di "Essere e tempo", ma anche da investitori in fuga: esemplare il caso di Gunter Figal, autore di cinque libri e numerosi articoli sul filosofo, dal 2003 al 2015 presidente della fondazione Heidegger, che ha improvvisamente dichiarato "la fine dell'heideggerismo". 

Poco amata dalla famiglia Heidegger, e soprattutto dal figlio del filosofo, Hermann (custode a quanto pare poco disinteressato della proprieta' intellettuale del padre), anche Di Cesare nel marzo 2015 si e' vista costretta a lasciare la fondazione (dal 3 marzo vive sotto scorta per le minacce subite dall'estrema destra), senza per questo "diseredarsi", neanche dopo quella che lei stessa definisce la "tempestosa resa dei conti" con il filosofo di Messkirch, che nei suoi Quaderni e' arrivato a sostenere l'aberrante tesi dell'autoannientamento degli ebrei

Di Cesare non fa l'avvocato difensore del filosofo, ma non ama i rottamatori: "Il 'caso Heidegger' e soprattutto la pubblicazione dei Quaderni neri hanno fatto emergere un fenomeno altrimenti inconsueto nella filosofia, quello dell'incursione del rottamatore che si presenta nell'agorà non per discutere, bensì per fare piazza pulita. A questo scopo ha bisogno che tutto sia bianco o nero. Il terzo e' escluso, cosi' come e' escluso quel chiaroscuro che e' il luogo in cui, sopportando l'indecisione e la domanda aperta, soggiorna e si sofferma la filosofia".

 Hans Georg Gadamer, che di Heidegger fu allievo, avrebbe detto che "il comprendere e' l'originario modo di compiersi dell'esserci". 

 Ma la tentazione di proscrivere Heidegger e' molto diffusa e Di Cesare mette in guardia da che potrebbe essere una facile scappatoia: "La filosofia tedesca, incapace di uscire dal cono d'ombra proiettato dal suo pensiero, prova a demolirne la figura. Cosi' diventa molto piu' facile cancellare con un colpo di spugna non solo Heidegger, ma anche il passato recente che pesa sempre di piu': la fine dell'ebraismo tedesco, le leggi di Norimberga, la Shoah"

 Hannah Arendt, che di Heidegger fu allieva e amante, dopo l'adesione del filosofo al partito nazista e l'elezione a rettore nell'ateneo di Friburgo (mentre lei fuggiva prima di essere rinchiusa nel campo di internamento di Gurs) dira' di lui che e' un "potenziale assassino"

Questo non le impedisce, a guerra finita, tornata in Europa da New York, di incontrarlo di nuovo e fare marcia indietro sui suoi giudizi. 

Ma dal dopoguerra fino alla morte, avvenuta nel '76, Heidegger non ha mai pronunciato una parola di condanna della Shoah e dopo la pubblicazione dei Quaderni neri e' chiaro che la sua non era la posizione di un antipolitico per scelta, di cui si servi' persino il suo allievo Herbert Marcuse, il cui "L'uomo a una dimensione" fu "la rilettura in chiave rivoluzionaria di 'Essere e tempo'", spiega Di Cesare

L'autrice definisce quello di Heidegger un "antisemitismo metafisico", accentuandone cosi' la gravita'. 

Del resto il filosofo "ha aderito al nazismo per convinzione - scrive Di Cesare - muovendo dal suo pensiero. Percio' si e' trattato, non di un 'errore', bensi' di un rapporto lungo, profondo, complesso che non si e' esaurito con la fine della guerra". 

 E qui Di Cesare avverte che i Quaderni neri sono motivo per meditare non solo sull'antisemitismo del passato, ma anche su quello a venire". E intravede tracce di razzismo laddove le parole giocano a nascondersi: "Il neoantisemita non scrive sui muri 'morte agli ebrei', ma parla del 'business della Shoah'". 

DONATELLA DI CESARE 
"HEIDEGGER & SONS" 
BOLLATI BORINGHIERI 
PP.148, 13 EURO

12/07/15

Supplica collettiva al Maresciallo Pétain (1941) - La storia non insegna niente.




Supplica collettiva (195 firme ) inviata nel 1941 dagli abitanti di un paese francese al maresciallo Pétain, riportata da Léon Poliakov in Il nazismo e lo sterminio degli ebrei del 1955.


Noi sottoscritti, abitanti del capoluogo di cantone di Tournon-d'Agenais (Lot-et-Garonne) abbiamo l'onore di portare a vostra conoscenza i fatti seguenti.

La popolazione totale del nostro agglomerato è di 275 persone e ci viene annunciato il prossimo arrivo di 150 ebrei indesiderabili che dovranno abitare tra noi in residenza assegnata. Tutto ci porta a credere che tale informazione è esatta, poiché sono stati già trasportati letti e paglia nei nostri pubblici edifici. 

Noi tutti, signor Maresciallo, siamo fortemente emozionati da questa prospettiva. L'invasione di 150 Ebrei indesiderabili presso 275 Francesi dal carattere tranquillo per eccellenza equivale a una vera e propria colonizzazione e noi temiamo che questi stranieri, grazie al loro numero, vengano a soppiantarci oltraggiosamente. 

Secondo quanto ci è stato detto, sono degli indesiderabili quelli che noi dovremmo accogliere. Tali essi sono allo stesso titolo per tutti i Francesi e non potrebbero esserlo meno per noi e per le ragioni che vogliono sbarazzarsene. Centocinquanta indesiderabili possono, a rigore, passare quasi inavvertiti in mezzo a parecchie migliaia di abitanti.  La loro presenza diventa intollerabile e degenera in vessazione, per una popolazione che è meno del doppio di loro e che per tale motivo si trova costretta a una promiscuità, per non dire a una coabitazione rivoltante...

Le questioni di igiene e di alimentazione occupano certamente un grandissimo posto tra le preoccupazioni della vostra amministrazione; nel nostro caso, esse vanno unite strettamente e intimamente con la questione morale, etnica e prettamente francese.

Noi siamo sicuri, signor Maresciallo, che vi sarà sufficiente conoscere la penosa e ingiusta prospettiva che ci minaccia, per risparmiarcene la dolorosa realizzazione...  Se, nella vostra saggezza, voi riterrete che il bene superiore dello Stato esige da noi il sacrificio di sopportarli, non ci rassegneremo, non senza una incommensurabile amarezza; ma vi chiediamo se non vi sarebbe possibile attenuarci questo penoso contatto, alloggiandoli in un campo separato, presso una sorgente o presso un ruscello, dove tutte le questioni di sorveglianza, igiene e vettovagliamento potrebbero essere risolte vantaggiosamente per gli ospiti che la sventura ci ha imposto, sia per noi stessi.


26/07/14

Goebbels, Goering e .. Jung.


Il celebre aforisma: Quando sento qualcuno parlare di cultura, metto mano alla pistola (terribilmente attuale anche nel mondo analfabetizzato di oggi) è da sempre erroneamente attribuito (e anche oggi, nel mare magnum inconsapevole della rete) a Goebbels (il quale, però, come riferiscono le cronache storiche era fin troppo sofisticato per pensare e pronunciare una cosa simile). 

La frase, come si sa, fu invece pronunciata da Hermann Goering (un gerarca molto più rozzo e concreto del cerchio magico che contornò Adolf Hitler durante gli undici anni della sua dittatura), e originariamente recitava: Quando sento qualcuno parlare di cultura, la mano mi corre al revolver

Pare in effetti che Göring amasse ripetere questa frase, la quale tuttavia origina da una battuta di un dramma molto in voga in quegli anni e ispirato alla figura di Albert Leo Schlageter (una specie di "martire nazista"), nel cui testo un personaggio si rivolge all'omonimo protagonista esclamando Quando sento parlare di cultura [...] tolgo la sicura alla mia Browning! ( in lingua originale: Wenn ich Kultur Höre ... entsichere ich meinen Browning (Atto 1, scena 1).

Tornando a Goebbels, quella in testa è - a quanto mi risulta l'unica foto esistente che ritrae il Ministro della Propaganda nazista mentre sorride.

Fa parte di una celebre serie realizzata dal fotografo tedesco, naturalizzato americano (ebreo) Alfred Eisenstaedt e pubblicata da Life che ritrae Joseph Goebbels durante la sua partecipazione al Convegno della Società delle Nazioni a Ginevra nel settembre del 1933, e alla quale appartiene anche l'altra celebre foto recentemente colorizzata, nella quale Goebbels guarda minaccioso nell'obiettivo.  





Questa foto è giustamente famosa nel mondo e citata per la sua capacità di cogliere l'attimo dello scatto che rivela la ferocia del Ministro della Propaganda nascosta sotto l'apparenza delle buone maniere, allorquando Goebbels, poco prima dello scatto (o nel momento stesso) viene informato che colui che lo sta fotografando è un ebreo.   

E sempre a proposito di Goebbels, esiste un racconto (non confermato), proprio di questo periodo,  che viene riferito anche dallo studioso inglese Arthur I. Miller, nel suo libro L'equazione dell'Anima,  (Rizzoli, 2009), un saggio costruito intorno alle figure, alla corrispondenza e ai rapporti tra il fisico Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung.

Secondo questo racconto Joseph Goebbels, nel 1934, convocò  C.G.Jung (la vicenda non trovò mai una conferma ufficiale, ma fu riferita da uno scrittore amico di un paziente di lungo corso di Jung), a Berlino perché assistesse ad alcune cerimonie in cui erano presenti Hitler, il comandante dell'aviazione tedesca Hermann Goering e il capo delle temute SS Heinrich Himmler. Il compito affidato a Jung (all'epoca residente in Svizzera a Zurigo e già ritenuto un nume tutelare della psichiatria) era di stabilire se quegli uomini fossero pazzi e riferire le sue impressioni su quel manipolo di personaggi perché in tal caso "con una operazione segreta, sarebbero stati uccisi. e organizzato un colpo di Stato."  

Stando al racconto, Jung andò e ci mise molto poco per convincersi che in effetti erano tutti pazzi. Ma, temendo per la propria vita,  "si guardò bene dal riferirlo a Goebbels, perché non si fidava di lui e lo riteneva il più pazzo e il più pericoloso di tutti."

Chissà se l'episodio risponde al vero. In caso affermativo resterebbe la curiosità di sapere come si sarebbero svolti gli avvenimenti successivi nel caso di un responso esplicito di Jung.  Una delle tante sliding doors della storia, di cui non conosceremo mai gli  esiti alternativi. 

Fabrizio Falconi - © riproduzione riservata. 

01/07/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)




Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)

Nella mia gioventù, scrisse negli anni della vecchiaia, io ero stupefatto nel vedere alcuni cristiani che, anche se si riferivano continuamente a un Dio d’amore, spendevano tanta energia per giustificare delle opposizioni. E mi dicevo: per comunicare il Cristo, c’è realtà più trasparente che una vita donata, dove giorno dopo giorno la riconciliazione si compia in concreto ? Allora io ho pensato che era essenziale creare una comunità dove gli uomini decidono di donare tutta la loro vita e qui cercano sempre di riconciliarsi.   
      Questo pensiero era già un assillo, anche se adesso l’urgenza principale era quella di mettere in salvo tanti derelitti – i cugini ebrei – in fuga dai campi di sterminio, e per non creare problemi era Geneviève a spiegare ai vari ospiti della casa che – per non turbare le diverse suscettibilità religiose – era meglio che ognuno pregasse nella sua stanza, da solo.

La situazione, però, in quel borgo a così pochi chilometri dal confine, cominciò presto a farsi molto pericolosa. I genitori di Roger e di Geneviève, venuti a conoscenza del rischio che i figli stavano correndo, chiesero a un vecchio amico di famiglia, un ufficiale in pensione, di vegliare su di loro, e quando, nell’autunno del 1942, arrivò la soffiata che i due fratelli Schutz erano stati scoperti dalla Gestapo, fu organizzata una tempestiva fuga che permise a Roger e Geneviève di riparare in Svizzera.

L’11 e il 12 novembre del 1942 la Francia è completamente occupata, e la polizia nazista perquisì due volte la casa, sperando di trovare i fuggiaschi, e gli ebrei che erano stati nascosti.  Ma la fuga è riuscita, e la casa viene trovata vuota.
      Furono due lunghi anni quelli che Roger fu costretto a trascorrere in Svizzera, aspettando il momento per poter ritornare in Borgogna.

Lo fece dopo la liberazione di Parigi, nel settembre del 1944, ma non da solo: a Roger si erano infatti già uniti i primi fratelli che aveva incontrato e con i quali aveva iniziato una vita in comune.  Difatti, mentre viveva nel paesino francese,  Roger aveva scritto un libretto,  intitolato Note explicative, in cui esponeva, in poche e chiare pagine, il suo ideale di vita. Pubblicato a Lione grazie all'interessamento dell'abbé Couturier,  questo piccolo volume era stato letto da due studenti, Pierre Souvairan e Max Thurian, che raggiunsero senza esitazione Roger a Ginevra per unirsi a lui, nella missione evangelica.

Tornato insieme ai due nuovi compagni a Taizè, Roger si trovò di fronte una situazione di totale desolazione.  La piccola comunità che si andava formando, cominciò con il dare accoglienza ai bambini e ai ragazzi rimasti orfani di guerra, poi l’ospitalità si allargò subito ai reduci di entrambi i fronti.  Poco distante da Taizè v’erano infatti due campi di soldati tedeschi fatti prigionieri dagli alleati.  Utilizzando uno speciale lasciapassare i tre (a cui nel frattempo si è aggiunto un  quarto, Daniel de Montmollin), ricevettero il permesso di ospitare quei prigionieri a casa loro la domenica, per offrirgli un pasto e un momento di preghiera.

Da quel giorno il numero dei fratelli, per fortuna, cominciò rapidamente. Nel 1948 la chiesa del paesino di Taizè, grazie ad una autorizzazione firmata dal nunzio a Parigi,  Angelo Giuseppe Roncalli – il futuro papa Giovanni XXIII – venne messa a disposizione per la preghiera della piccola comunità  e a Pasqua 1949, proprio in quella chiesa, i fratelli si impegnarono per sempre nel celibato, nella vita comune e nel perseguimento di una esistenza molto semplice, eleggendo nel contempo Frère Roger come priore.

Tre anni dopo, nel silenzio di un lungo ritiro, durante  l’inverno del 1952,  la regola di vita, divenuta universalmente nota come Regola di Taizé – o Fonti di Taizé come fu chiamata più tardi – fu definitivamente scritta dal Frère, in un breve testo di poche pagine,  che contiene i principi fondamentali spirituali a cui la Comunità fu chiamata ad ispirarsi e ancora oggi si ispira (2), esprimendo “l’essenziale che rende possibile la vita comune.”


In uno di questi stringati capitoli, Frère Roger espresse il senso della sua ricerca di Dio:  Nel profondo della condizione umana, è scritto nella Regola, esiste l’attesa di una presenza.    Sappi che il solo desiderio di Dio è già l’inizio della fede.  Ciò che conta all’inizio, non sono le vaste conoscenze. Esse hanno certo un grande valore, ma è solo con l’intuizione che riesci in primo luogo a penetrare il Mistero della Fede. Saprai sempre ricordare la folgorante realtà del Vangelo: “Non siamo noi, ma lui che ci ha amati per primo”?  Questa è luce per la tua vita. Per strano che sia, abbandonati a lui e non inquietarti se non giungi ad amarlo subito. (3)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

2       Le Fonti di Taizè, di Frère Roger di Taizé (titolo originale Le sources di Taizé) sono pubblicate in Italia da Elledici, Torino, 1998, con traduzione a cura della stessa Comunità di Taizé.
3.      Le Fonti di Taizè,  Op.cit. pag.51/52

22/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)

Cos’è che spinge una persona in questa condizione - nella condizione di vittima designata di un sistema folle che opera per distruggere e cancellare dalla faccia della terra una intera genia di innocenti -  a prendere le parti di Dio, a proporre addirittura di aiutarlo, anziché protestare contro di lui, inveire contro la Sua ingiustizia profonda, il suo silenzio complice, il suo assistere impassibile alla rovina e all’abominio che si consuma ?

Per spiegarlo dobbiamo capire il senso della teologia personale di Etty, il cui disegno coraggioso appare chiaro – pur con tutte le sofferenze e le lacerazioni  - nel dipanarsi febbrile delle pagine del diario e delle lettere  scritte negli ultimi mesi prima della sua morte.

L’atteggiamento della Hillesum di fronte agli spaventosi eventi della modernità è radicalmente diverso da quello della maggioranza delle intelligenze ebraiche che angosciosamente si interrogano sul silenzio di Dio. Pensiamo ad esempio ad esempio ad Elie Wiesel  per il quale questo silenzio rappresenta la fine della fede o almeno di quella fede tradizionale. Se l'Eterno ci sta mandando tutta questa manna senza poter far nulla – scrive Wiesel -  o questo Eterno è impotente o talmente sadico che nessun disegno Provvidenziale e Imperscrutabile potrà giustificarlo (agli occhi di un uomo e soprattutto di un uomo disperato che vive l'esperienza del campo) (11).

Di fronte a questo umanissimo pensiero, Etty offre invece una prospettiva del tutto rovesciata:  Sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così ora… dentro di me c’è una fiducia in Dio  che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me..   

Questa fiducia, questo abbandono non sono, per la Hillesum gratuiti, non scaturiscono dal cuore in modo immotivato: sono piuttosto il prezzo di una presa di consapevolezza, di una umanità raggiunta al prezzo di un coraggio personale introspettivo che non cerca infingimenti o facili consolazioni e nemmeno mai cerca scorciatoie liquidatorieIl misticismo deve  fondarsi su una onestà cristallina, scrive,  quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà, cioè come è stato fatto notare recentemente da una studiosa del pensiero di Etty, “ sempre dentro lo spessore del contraddittorio e difficile. Di lì si è rimandati all’Oltre, all’Inafferrabile vicino che sollecita aperture inattese, e crescite impensate, itinerari sconosciuti (12).”

Esempi di questa fede contraddittoria e difficile ma sempre vissuta fino in fondo, sempre vissuta senza sconti e visceralmente, nel senso che oggi si definirebbe più autentico, sono disseminati lungo il diario, nel racconto personale di Etty che si segue come lo svolgimento di un romanzo: l’esperienza dell’aborto, vissuta con determinazione lucida e dolorosa (ho giurato che nel mio grembo non nascerà mai un essere altrettanto infelice, scrive dopo aver assistito all’ennesima scenata del labile fratello Mischa, che viene portato in una casa di cura); quella del darsi a uomini diversi (solo dodici ore fa ero tra le braccia di un altro uomo e gli volevo e gli voglio bene)  quella della totale mancanza di autostima (Etty, mi disgusti, così egocentrica e meschina)  sono stazioni di una via crucis personale, che hanno come epilogo la partenza del vagone dalla stazione di Westerbork e l’annientamento nel campo polacco.


Eppure, in questo cammino  così controverso e difficile, Etty riesce a non perdere di vista l’essenziale.  Sa che Dio non le scapperà di mano, se lei non lo lascerà scappare.  Lo insegue, lo ricerca, lo ascolta, lo accoglie.  E una specie di grazia salvifica sembra scendere a proteggerla, a illuminarla, feconda di nuove scoperte:  ieri sera, scrive in una domenica mattina del 1941, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel bel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta a terra da qualcosa più forte di me.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   

      
11.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
12. Così Elie Wiesel in quello che è considerato il suo capolavoro-autobiografia, il romanzo La notte, edito in Italia da La Giuntina, 1992.

21/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)




Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./) 


Lo stesso percorso di vita di Etty parla il linguaggio della coerenza e del coraggio. L’adesione incondizionata, a prezzo della sofferenza personale, all’ideale della giustizia e del bello.    Dai tempi del ginnasio, che frequentò a Deventer, dove cominciò a frequentare un gruppo di giovani sionisti, imparando anche l’ebraico.  E poi, da studentessa universitaria, quando pur non facendo parte di alcun gruppo politico, mise in campo la sua passione personale nei rapporti con un’infinità di conoscenti, amici e colleghi universitari, fino al conseguimento della laurea in legge, e al fatale incontro con Julius Spier, lo psicologo e psicoanalista ebreo tedesco, allievo di Jung, che Etty conobbe casualmente il 3 febbraio del 1941 durante un concerto in ambito domestico e che praticava la psicochirologia, basata sulla lettura della mano.

Spier fu l’incontro determinante per Etty: divenne la segretaria e anche l’amante di un uomo carismatico e molto ambito, che la prese in terapia, le insegnò a dominare i suoi stati depressivi e caotici, la spinse ad iniziare la stesura di quel Diario che diventerà un testo capitale della spiritualità moderna, la protesse dall’angoscia opprimente del cerchio che la persecuzione nazista andava stringendo giorno dopo giorno intorno a lei e a quelli come lei.

Come ha scritto F. MichaelDavide: “la duplice esperienza di umanità – la relazione con Spier – e di disumanità – lo sterminio nazista – sono state la trama sulla quale si tesse la tela di questa vita che seppe trovare consistenza nell’ordito della presenza intima e discretissima del Dio dei padri: così vicino e così lontano. Senza la relazione con Spier, fatta di delicatissima e ardita umanità, Etty sarebbe stata senza dubbio sopraffatta dall’orrore e dal logoramento della persecuzione.  Senza queste ultime, non sarebbe stata sollecitata con tanta forza ad andare avanti nel cammino di interiorità fino a scegliere di essere consapevolmente sterile per essere feconda nella trasmissione di un amore più grande sempre pronto alla morte, come paradigma di incompiuta prontezza al dono di sé in ogni momento. (8)”

Le pagine del Diario raccontano di una relazione – quella con Spier – che nella sua profonda umanità, e anche con il corollario di una passione erotica a tratti travolgente (sto proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l’erotismo, scrive Etty)  diventa la chiave per maturare e per crescere, e “attraversare la vita senza finzione ma nel coraggio di una verità su se stessi talora assai dura”. (9)


Julius Spier


Questo stesso metodo    che non concede sconti a sé stessa, sul piano del cammino personale, Etty applica, con la pazienza di un entomologo al suo “Discorso con Dio”, che procede di pari passo lungo le pagine del Diario stilato in quei due anni terribili per la storia dell’Europa e del mondo.

E’ soltanto la fedeltà a questo metodo che permette a Etty di non perdere mai totalmente La fiducia in Dio, nonostante l’orrore che vede ogni giorno, nonostante la sensazione di una ingiustizia così conclamata che vede diffondersi nel mondo, nel suo mondo, tra i suoi amici, tra i suoi più stretti famigliari, perseguitati per essere semplicemente appartenenti ad una razza sbagliata.  Il dramma del silenzio di Dio, in questi anni così orribili, Etty lo risolve a suo modo, con una professione di fedeltà interiore commovente, che giunge a spalancare nuovi orizzonti di comprensione spirituale. E’ una consapevolezza nuova – quella di essere il cuore pensante della baracca, come lei stessa si definisce – a permettere ad Etty Hillesum di poter scrivere una pagina come questa:

       Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano… Ti prometto una cosa Dio, soltanto una piccola cosa… Cercherò di aiutarti  affinché tu non venga distrutto in me, ma a priori non posso promettere nulla.  Una cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo noi aiutiamo noi stessi.    L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. … Dicono: me non mi prenderanno.  Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.  (10)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   


1.    Fr. MichaelDavide, Etty Hillesum: Dio Matura, edizioni La Meridiana (Pagine altre), Molfetta (BA) 2005, pag.16.
2.     F.MichaelDavide, Etty Hillesum… Op.cit, pag. 151
3.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.

19/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./)


  


     

 Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./) 

      E’ piuttosto difficile spiegare il fenomeno Etty Hillesum. Al contrario di altre celebri vittime dell’Olocausto, come Anna Frank, infatti – il cui diario fu pubblicato la prima volta nel 1947, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale – di Etty Hillesum, oggi divenuta una delle fonti spirituali più feconde e più frequentate nell’occidente non solo cristiano, nessuno aveva sentito parlare, fuori dai confini olandesi,  fino al 1981, quando l’editore Jan Guert Gaarlandt fece stampare ad Amsterdam  una selezione dei manoscritti, seguita, l’anno seguente da 40 lettere.   Per avere una edizione completa, in lingua olandese (1),  bisognò attendere il 1986 mentre la prima opera completa tradotta in inglese uscì soltanto nel 2002 presso la casa editrice Eedermans.

      Prima dell’edizione inglese c’era stata quella in italiano, nel 1985 per meritoria e felice intuizione dell’editore Roberto Calasso (Adelphi) che pubblicò in quell’anno il Diario, e due anni dopo le Lettere

     E’ incredibile considerare come, in un brevissimo lasso di tempo – dopo un così lungo oblio durato dalla morte di Etty avvenuta il 30 novembre del 1943 nel lager nazista di Auschwitz – l’opera della Hillesum sia divenuta così universalmente nota, appassionando ed emozionando intere generazioni di lettori, nel mondo.

     Eppure già le circostanze strettamente editoriali delle lettere e dei diari di Etty appaiono indicativi di un percorso spirituale del tutto particolare.  

     Fu proprio Klaas A.D. Smelik, l’uomo a cui si deve il salvataggio di questi meravigliosi testi, a raccontare qualche anno fa in un appassionato intervento durante un convegno (2) a Roma le peripezie che portarono nel corso di quattro decenni, all’emersione dei diari e dei quaderni.

      Ma prima di tutto l’antefatto: come è noto Etty Hillesum tenne negli anni 1941 e 1942 ad Amsterdam, un diario. Probabilmente, come racconta lo stesso Smelik, “lo fece su consiglio di Julius Spier, psicochirologo e terapeuta ebreo-tedesco, come momento della sua terapia. I diari non le servivano solo per la sua salute psicologica, ma anche per esercitare il suo talento di narratrice; Etty Hillesum infatti aveva l'ambizione di diventare scrittrice dopo la guerra, voleva scrivere un romanzo sulle sue esperienze, che tentava di fissare meticolosamente.” (3) 

      Una volta rinchiusa definitivamente nel campo di transito di Westerbork – dal quale passarono tutti i deportati dei Paesi Bassi, comprese Edith Stein e Anna Frank -  nel giugno del 1943, Etty diede in custodia i diari che teneva ad Amsterdam alla sua amica e coinquilina Maria Tuinzing, con l’indicazione di consegnarli ad uno scrittore Klaas Smelik, che come amico, doveva prendersi cura della pubblicazione dei diari.  

Il figlio dello scrittore, nella occasione di quel convegno, ha continuato così il suo racconto: “Ella aveva fatto conoscenza con mio padre a metà degli anni Trenta e sperava ovviamente che egli, attraverso le sue relazioni con vari editori, fosse in grado di trovare una via per realizzare la pubblicazione.  

Quando, dopo la Liberazione, risultò che Etty Hillesum era stata assassinata ad Auschwitz, Maria Tuinzing si mise in contatto con mio padre e gli consegnò gli undici quaderni dei diari, nonché le lettere. La figlia maggiore di Smelik, Johanna (nei diari chiamata Jopie) dattiloscrisse una parte dei diari e delle lettere, poiché la scrittura di Etty Hillesum era difficilmente leggibile. Alla fine degli anni Cinquanta e poi, di nuovo, a metà degli anni Sessanta, mio padre si mise in contatto con vari editori, che si rifiutarono di pubblicare i diari. Veniva considerato troppo filosofico.”


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 



1.    Il titolo originale dell’opera è Etty, De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943 (Gli scritti postumi di Etty Hillesum). Si tratta di un’opera di 864 pagine contenente tutti i quaderni e le lettere. Recentemente pubblicata anche in Italia dall'editore Adelphi. 
2.     Il Convegno internazionale su Etty Hillesum si tenne a Roma il 4 e 5 dicembre 1988 e i relativi atti furono pubblicati nel volume:  L’esperienza dell’Altro, Apeiron Editori, Sant’Oreste 1990.

3.     Klaas A.D. Smelik, intervento in L’esperienza dell’Altro, op.cit. pagg.121-125. 

01/05/14

Hitler e il Nazionalsocialismo: una lettera di Thomas Mann a Albert Einstein.




Per diversi critici, l'atteggiamento del grande scrittore - a cui era stato attribuito il Premio Nobel nel 1929 - nei confronti di Hitler e soprattutto dell'antisemitismo furono tutt'altro che limpido. 

Thomas Mann, che non era ebreo, ma aveva sposato un'ebrea, ebbe però la coerenza di scegliere l'esilio quando i Nazisti presero il potere, nel 1933, dopo le contestazioni dei nazisti alla sua celebre conferenza su Wagner tenuta all'Università di Monaco.  Lo scrittore, che in quei giorni si trovava all'estero, decise di non fare più ritorno in Germania, fino alla fine dei suoi giorni. 

Stabilitosi dapprima in Svizzera, a Kusnacht e poi a Zurigo, andò a vivere negli Stati Uniti, a Pacific Palisades, nei pressi di Los Angeles. 

In America divenne intimo di grandi personalità, tra cui Albert Einstein, che aveva già conosciuto negli anni precedenti, e al quale scrisse questa lettera, datata 15 maggio 1933 poco dopo che (il 30 gennaio) Adolf Hitler era stato nominato Cancelliere del Reich. 

La lettera fu scritta nel Grand-Hotel di Bandol, nel dipartimento di Var, nella Francia del Sud. 

Ad Albert Einstein 
Bandol (Var), 15 maggio 1933, Grand Hotel

Stimatissimo professore, 
diversi cambiamenti di residenza hanno fatto sì che il mio grazie per la sua cara lettera si sia protratto fino ad oggi. 

E' stato il più onorevole messaggio che io abbia avuto non solo in questi tristi mesi, ma forse in tutta la mia vita: ma esso mi loda di una condotta che mi riuscì naturale e che pertanto non merita elogi.

Ben poco naturale, certo, è invece la situazione in cui, per quel mio contegno sono venuto a trovarmi; sono troppo un buon tedesco infatti, perché il pensiero di un esilio permanente non abbia per me un accento assai grave, e la rottura col mio paese, che è quasi inevitabile, mi opprime e mi angoscia parecchio:
segno appunto che non si adatta bene alla mia natura, più improntata ad una tradizione goethiana e rappresentativa che non fatta, di sua natura e vocazione, per il martirio.

Perché mi vedessi costretto a entrare in questa parte dovevano accadere, veramente, cose oltremodo false e cattive, e falsa e cattiva, infatti, secondo la mia più profonda convinzione è questa "Rivoluzione tedesca."  

Le mancano tutte quelle qualità che alle vere rivoluzioni, per cruente che fossero, hanno attirato la simpatia del mondo. Essa, per sua natura, non è una "sollevazione", checché vadano dicendo e strillando i suoi esponenti, ma odio e vendetta, gusto di uccidere e meschineria spirituale piccolo-borghese. 

Non ne può venire nulla di buono, non lo crederò mai e poi mai, né per la Germania né per il mondo, e l'aver messo in guardia, fino all'ultimo, contro le forze che hanno portato questo disastro morale e spirituale, costituirà certo un giorno un titolo d'onore, per noi, titolo d'onore che forse sarà la nostra rovina. 

Il suo devotissimo

Thomas Mann