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28/09/20

Quando Steinbeck andò in Vietnam (e tornò disilluso)

 


Il 30 aprile 1975 la caduta di Saigon pone fine alla lunga guerra del Vietnam, un conflitto che nel corso degli anni '60 vide gli Stati Uniti sempre piu' direttamente coinvolti nel contenimento dell'espansione comunista nel sud est asiatico e che si concluse con la piu' grande sconfitta militare della storia degli Stati Uniti con costi umani altissimi

Nel conflitto perdono la vita 58 mila soldati americani, 250 mila soldati sudvietnamiti, 1 milione di combattenti tra vietcong e soldati nordvietnamiti, 2 milioni di civili

Tra il dicembre del 1966 e l'aprile del 1967 lo scrittore John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura nel 1962, segue da vicino il conflitto al fianco dei militari americani in Vietnam, come inviato di guerra. 

Il suo reportage, 58 dispacci dal fronte, viene pubblicato sul quotidiano Newsday, sotto forma di lettere indirizzate ad Alicia, moglie di Harry Frank Guggenheim, proprietario ed editore del giornale. 

Anni dopo, le lettere di Steinbeck sono raccolte e pubblicate in un libro: "Vietnam in Guerra. Dispacci dal fronte".

Dal quale oggi è stato tratto un documentario: "Steinbeck e il Vietnam in guerra" (in onda stasera alle 22.10 su Rai Storia), che ruota intorno al reportage dello scrittore sulla guerra in Vietnam "vista da vicino", alla sua volonta' di raccontarla "in maniera oggettiva". 

Steinbeck e' convinto, come molti americani, che l'intervento militare in Vietnam serva a "difendere la liberta' di una piccola nazione coraggiosa dall'invasione comunista". 

Quella guerra avrebbe inoltre fatto emergere il meglio dell'America, e il Paese, affrontando quella sfida, si sarebbe rigenerato. 

Fino alla fine della sua permanenza al fronte e al suo ritorno a casa quando il grande scrittore cambia il suo giudizio su quella guerra, cresce la sua perplessità sulla necessita' di quel conflitto e nasce una nuova consapevolezza sulla sua illegittimità

Il documentario, ideato e diretto da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, realizzato da Movie Movie per Rai Cultura, raccoglie le testimonianze di tre protagonisti italiani di quella stagione: il giornalista Furio Colombo che per anni, come corrispondente della Rai dagli Stati Uniti, ha raccontato la guerra in Vietnam attraverso una serie di reportage; Francesco Guccini che, ispirato da Bob Dylan, diventa presto in Italia "la voce della protesta", dell'antimilitarismo e del pacifismo, della cultura libertaria e punto di riferimento di una intera generazione; e, infine, la scrittrice Lidia Ravera che, ancora giovanissima e' partecipe, insieme a migliaia di giovani donne, delle lotte e delle manifestazioni di protesta che portano nell'Italia di quegli anni grandi cambiamenti sociali, civili e culturali, alla nascita del femminismo e alla rivoluzione sessuale.




06/08/20

Cosa è l'amore di una madre. (da Romain Gary)


Soltanto quando raggiunsi la quarantina cominciai a capirlo. Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto.

Ci vengono delle cattive abitudini. Si crede che ci sia dovuto. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare. Ci si fa affidamento. Si guarda, si spera, si aspetta. 

Con l'amore materno la vita ci fa all'alba una promessa che non manterrà mai. 

In seguito si è costretti a mangiare gli avanzi, fino alla fine. Ogni volta che una donna ci prende tra le braccia e ci stringe al cuore, si tratta solo di condoglianze. Si ritorna sempre a guaire sulla tomba della propria madre come un cane abbandonato.  

Mai più, mai più, mai più.  Braccia adorabili si chiudono intorno al nostro collo e labbra dolcissime ci parlano d'amore, ma noi sappiamo già tutto. Noi siamo stati alla sorgente troppo presto e abbiamo bevuto tutto. 

Quando ci riprende la sete, si ha un bel cercare da ogni parte: non ci sono più pozzi, ma solo miraggi. Abbiamo fatto, alla prima luce dell'alba, uno studio approfondito dell'amore e ci siamo documentati troppo bene.

Dovunque andremo, porteremo con noi il veleno dei confronti; e passiamo il tempo aspettando ciò che abbiamo già avuto. 

Non dico che dobbiamo impedire alle madri di voler bene ai loro piccoli. Dico semplicemente che sarebbe bene avessero qualcun altro, oltre i figli, a cui voler bene. Se mia madre avesse avuto un amante non avrei passato la vita a morir di sete dietro ogni fontana. Disgraziatamente per me, io so distinguere i veri diamanti. 

Romain Gary, da La promessa dell'alba 


25/07/20

Libro del Giorno: "Armance" di Stendhal


Armance (pubblicato senza il nome dell'autore, nel 1827 ) è il primo romanzo di Stendhal . 

La trama è ambientata ai  tempi della Restaurazione: Octave de Malivert, un giovane brillante ma introverso appena uscito dal Polytechnique, ama Armance de Zohiloff, che condivide i suoi sentimenti. 

Ma Octave nasconde un pesante segreto: “Sì cara amica”, le disse, guardandola infine, “Ti adoro, non dubiti del mio amore; ma chi è l'uomo che ti adora? è un mostro. " 

Octave è in preda a una profonda confusione interiore, e il suo silenzio illustra il male del secolo dei romantici. 

Octave tuttavia sposa Armance. Il loro matrimonio sembra felice. Ma, una settimana dopo il  matrimonio, Octave decide di andare in Grecia, dove decide di avvelenarsi volontariamente con una miscela di oppio e digitale durante il viaggio in nave.  

“Il sorriso era sulle sue labbra e la sua rara bellezza colpiva anche i marinai incaricati di seppellirlo." 

Con note scritte a margine delle pagine della sua copia personale di Armance , Stendhal ha riassunto l'argomento del suo lavoro come segue: “Il protagonista è confuso e infuriato perché si sente impotente, cosa di cui si è assicurato andando alla signora Auguste con i suoi amici, poi da solo, ecc. La sua sventura lo priva della ragione proprio nei momenti in cui è in grado di vedere più da vicino le grazie femminili.  1) Si vede disprezzato dall'unica persona a cui parla sinceramente di tutto. 2) Cerca di riguadagnare questa stima; questa circostanza è assolutamente necessaria per poter prendere l'amore e ispirarlo senza sospettare. Condizione sine qua non poiché è un uomo onesto. 3) Gli dice che ama. 4) Vuole parlare. 5) Un duello e lesioni lo impediscono. 6) Credendosi pronto a morire, confessa il suo amore. 7) Il caso lo serve; la sua padrona gli fa promettere di non chiederla mai in matrimonio. 8) Lei scende a compromessi per lui in modo da essere disonorato se non la sposa. 9) Decide di ammetterle di avere un difetto fisico come Luigi XVIII, M. de Maurepas, M. de Tournelles. 10) È deviato da questo dovere da una lettera. 11) La sposa e si uccide. 

Stendhal dunque esordì con un romanzo e con una trama destinata a far molto rumore: egli  sapeva molto discretamente come infondere il segreto senza mai parlarne apertamente e infatti per tutta la narrazione il vero problema di Octave non viene mai rivelato esplicitamente.

André Gide considerava questo romanzo il più bello dei romanzi di Stendhal, a cui era grato di aver creato un amante impotente, anche se lo rimproverava di aver schivato il destino di questo amore: "Non sono convinto che Armance [sarebbe] venuto a patti con esso"

Stendhal descrive, in parole segrete, un omosessuale, in un momento in cui la censura della stampa proibiva di discutere chiaramente di questo argomento. 

E già in questo primo romanzo si rivela l'arte narrativa, sublime, di Stendhal destinata poi a eternarsi ne La Certosa di Parma e Il Rosso e il Nero.

La presente edizione, nei Grandi Libri Garzanti, soffre di una incomprensibile sciatteria, con mille refusi sparsi per il testo e incomprensibili passaggi nella traduzione, che pure è firmata da Franco Cordelli. 




26/05/20

Libro del Giorno: "Un punto di approdo" di Hisham Matar



Un breve libro intenso, a metà tra saggio e diario, racconta il mese trascorso a Siena da Hisham Matar, nato nel 1970 a New York da genitori libici, vissuto a Tripoli e poi al Cairo e ora residente a Londra. 

Per Einaudi, Matar ha pubblicato Nessuno al mondo (2006), tradotto in ventinove lingue e finalista al Man Booker Prize, Anatomia di una scomparsa (2011), Il ritorno (2017 e 2018), vincitore del Premio Pulitzer 2017 per l'Autobiografia e del Rathbones Folio Prize 2017, e Un punto di approdo (2020).

Il primo folgorante incontro di Hisham Matar con la pittura della Scuola senese risale ai suoi giorni da studente a Londra, poco dopo che il padre era sparito nelle prigioni di Gheddafi senza piú fare ritorno. 

Venticinque anni piú tardi, in cerca di rigenerazione e quiete, Matar parte infine per la città che di quella tradizione artistica fu la culla. Il suo viaggio a Siena dura trenta giorni, durante i quali le visite quotidiane alle opere di Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti e gli altri si alternano a lunghe passeggiate senza meta. I vicoli e le piazze della città sono membra di un «organismo vivente» dove un incontro fortuito scatena un ricordo, un’architettura rimanda a un dipinto, nel tracimare continuo di un’esperienza nell’altra che restituisce una visione, compiuta e commovente, del rapporto fra l’arte e la condizione umana.

Alla National Gallery di Londra, nel 1990, pochi mesi dopo che suo padre Jaballa è stato sequestrato dalla polizia segreta libica e fatto sparire per sempre, un Hisham Matar diciannovenne si avvicina per la prima volta all’arte pittorica senese del tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo secolo, e ne rimane affascinato. 

È la promessa di un incontro che dovrà attendere a lungo. Solo un quarto di secolo piú tardi, estenuato dalla stesura del memoir Il ritorno, che della sua tragedia familiare e collettiva racconta, e bisognoso del potere lenitivo dell’arte sulle anime tormentate, Matar decide di presentarsi all’appuntamento preso tanto tempo prima con quella tradizione pittorica, e di partire alla volta di Siena

Qui per un mese intero guarda, cammina, interroga, intesse relazioni. Con i dipinti innanzitutto – la Madonna dei francescani di Duccio di Buoninsegna, espressione di una prospettiva tutta umana; gli affreschi del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, densi di impegno civile; il Paradiso di Giovanni di Paolo, e la sua sublime promessa di ricongiungimenti amorosi – e poi con le architetture e gli spazi della città, con le sue persone, la sua lingua e la sua storia. 

Su tutto Matar posa uno sguardo intimo e teso che fa di questa fervida flânerie un incessante incontro con l’altro – tela, scorcio o individuo che sia -, capace di stimolare i sensi e proliferare in altri incontri e storie e riflessioni. 

Piazza del Campo è lo straordinario «gheriglio» che tutto vede e da cui tutto si vede, a ricordarci l’impossibilità di esistere da soli. 

Nello sguardo del Davide con la testa di Golia di Caravaggio vi è lo stesso inesaudibile desiderio di vedere con gli occhi dell’altro che accomuna acerrimi nemici e vecchi amanti. 

L’ombra della Peste Nera del 1348 si proietta sulla cappella del Palazzo Pubblico di Siena come sulla Damasco di Ibn Battuta. Ed è dallo sconosciuto Adam e dalla sua ospitale famiglia giordana che Matar apprende l’esatto funzionamento delle contrade nel Palio. Tela, scorcio e individuo sono cose ugualmente vive e comunicanti, nel viaggio di Hisham Matar, che proprio dalla «convinzione che quanto ci accomuna sia piú di quanto ci separa» trae un conquistato sentimento di speranza.

19/05/20

Libro del Giorno: "Foreste" di Robert Pogue Harrison


Un saggio meraviglioso, pubblicato da Robert P. Harrison nel 1992 e divenuto in breve un classico, dove ecologia, letteratura, filosofia, antropologia e destino umano si fondono mirabilmente.
Riporto qui sotto la recensione/intervista di Enrico Regazzoni per Repubblica: 


"L' ordine delle cose umane procedette: che prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l' accademie". E' Vico, con la sua Scienza nuova, a far da epigrafe al libro dello studioso americano Robert Pogue Harrison: quel Foreste che è appena apparso da Garzanti (pagg. 273) e che, con una tempestività perfino imbarazzante, fa coincidere il lavoro silenzioso della riflessione storica con gli echi assordanti della cronaca. 

Mentre a Rio de Janeiro i politici promettono pietà per il patrimonio forestale, Foreste ci ricorda che quel patrimonio è anche e soprattutto culturale, che alle radici dei boschi è saldamente ancorato tutto il pensiero dell' Occidente, in un rapporto complesso, fitto di negazioni e riconoscimenti, ma certo così profondo da non poter essere impunemente violato. 

Nato a Smirne trentott' anni fa, da padre americano e madre italiana (che ha fra l' altro una sede a Firenze), Harrison insegna letteratura italiana alla Stanford University e ha una vaga somiglianza fisica con Sam Shepard. 

Fa una certa impressione dissertare con lui delle zone d' ombra che le foreste hanno creato e protetto nel nostro immaginario: non foss' altro perché i docenti anglosassoni ci hanno abituato a una saggistica più attenta alle risposte che alle domande.

Mentre lui - mal celando trascorsi heideggeriani - si è aperto fra i rovi un percorso tutto suo, in un viaggio imperfetto, appassionato, solitario. 

Un viaggio iniziato per caso, sette anni fa, quando le foreste in rovina erano ben lontane dai nostri incubi e dalle prime pagine dei giornali. 

"Tutto è accaduto in modo involontario", spiega con modestia. "Volevo approfondire il ruolo del bosco nella letteratura medievale, e lentamente ho scoperto questo ruolo nella letteratura d' ogni tempo. E mi sono stupito che nessuno, prima di me, se ne fosse occupato"

Come mai ha scelto Vico per nume tutelare? In fondo Vico guarda alle foreste come qualcosa in cui occorre aprirsi un varco, per potersi insediare e piantare l' albero genealogico. 
"Certo, ma proprio per questo Vico mi ha fornito l' idea di un rapporto antagonistico, e non di beneficenza fra l' uomo e la foresta. E poi La scienza nuova è un trattato che si avventura nell' immaginario più primitivo dell' Occidente e cerca di trovare le origini metaforiche del pensiero e della conoscenza poetica. Da qui, ho pensato di fare una storia poetica e non empirica del nostro immaginario". 

Ecco, partiamo dalla parola "primitivo". Il libro esordisce con l' affermazione che la foresta è "prima" di tutto. 

"E' vero, e lo è in senso letterale. Il mondo occidentale è all'origine fitto di boschi, e ogni insediamento umano nasce da un disboscamento. I limiti dell' insediamento restano però affidati al bosco, che circonda la civiltà e le conferisce topograficamente il ruolo di centro". 

Lei scrive che questo confine fra città e foresta viene perfettamente sceneggiato dalla tragedia classica. In che senso? 

"Prima del cristianesimo, e quindi del monoteismo, la tragedia è uno scontro fra diverse leggi, ciascuna con una sua legittimità. Non è il male contro il bene: la natura ha una sua legge, del tutto legittima, e la città ne ha un' altra, altrettanto legittima. Nella mia lettura Dioniso, che è il dio della foresta, esce dal bosco per imporre alla città la legge più antica, che è la sua. E la legge più antica prevale su quella più recente". 

Con la latinità questo antagonismo sembra placarsi. Le Metamorfosi di Ovidio teorizzano un' osmosi fra legge umana e legge naturale, un processo di trasformazione che le accomuna. 

"In Ovidio c' è un materialismo che livella la natura delle cose. Ma io mi domando se ciò non nasconda anche la nostalgia per una natura già perduta. In Virgilio, senz' altro, c' è il rimpianto per una civiltà agricola che è stata spazzata via dalla città. Ma anche nella latinità, l' idea di foresta resta almeno doppia. Romolo, il fondatore della città, è una creatura boschiva per eccellenza. Allattato da una lupa, fa nascere Roma in una radura e i primi romani li chiama "i rifugiati della foresta. Chi decide di diventare romano deve insediarsi nella radura e accettare il confine della foresta, oltre il quale è la res nullius. Quindi la foresta è un' origine continuamente fuggita e ritrovata, in un rapporto molto ambiguo". 

Questo rapporto diventerà più chiaro nell' età medievale. 

"Ma la doppiezza resterà. Allegoricamente, la foresta medievale è la selva oscura di Dante, il luogo del peccato, dell' alienazione da Dio. Ma proprio Dante, alla fine del suo viaggio, si ritroverà in un giardino terrestre, la selva antica che è la stessa selva di prima, ma più umanizzata, liberata dagli animali selvaggi. Prima di Dante, nei romanzi cavallereschi la foresta è invece il luogo dello sconosciuto, del pericolo: il cavaliere deve affrontarla per liberare la città dalla minaccia". 

Ma Robin Hood vive nella foresta... 

"E infatti è un fuorilegge, anche se rappresenta una legge più vera di quella di corte. Con lui, avviene un capovolgimento dei punti di vista che trasforma la foresta nel luogo del comico, dell' ironia. Ma i racconti di Robin Hood hanno comunque un lieto fine, in cui il fuorilegge è perdonato e riaccolto nella città". 

E Boccaccio? C' è una foresta boccaccesca? 

"Certo. Da par suo, Boccaccio vedrà nella foresta il regno del desiderio, il luogo dove tutto può venir sottratto senza tener conto della volontà del soggetto. Nella terza novella della quinta giornata del Decamerone, ci sono due ragazzi che vogliono sposarsi, Pietro e Agnolella. Spinti dal desiderio, fuggono nel bosco. Entrano vergini nella foresta, e quando ne escono non lo sono più, pur non avendo fatto l' amore". 

E quand' è che il bosco diventa l' albergo della follia? 

"Fin dall' inizio. Fin da Gilgamesh, se vogliamo, che è la più antica opera letteraria della storia. Ma soprattutto con l' Ivano di Chrétien de Troyes, con l' Orlando... La foresta come luogo di follia è un tema tipicamente medievale: nel bosco la mente è buia, non raggiunta dalla luce divina. Per Descartes sarà qualcosa di analogo, la foresta come fuga dalla ragione, come ambito supremo della confusione dove il metodo non può aver presa".
Cerchiamo di riassumere. Ci sono come due strade del pensiero: una si fonda sull' antagonismo, l' altra sulla nostalgia. La prima collega Socrate a Descartes, la seconda Virgilio a... 

"A Shakespeare, ai romantici. Di Shakespeare è la prima domanda ecologica della storia. ' Chi può costringer la foresta a prestar servizio come soldato arruolato?' , si chiede Macbeth, il nemico della legge naturale. La foresta che muove contro Macbeth è la vendetta della natura. Shakespeare ci avvisa che se distruggiamo la natura compiamo un' autodistruzione". 

14/05/20

I "Consigli ai Medici" ritrovati di Camus prima di scrivere "La Peste" - oggi in un libretto omaggio nelle librerie Giunti



"Voi, medici della peste, dovete fortificarvi contro l'idea della morte e conciliarvi con essa, prima di entrare nel regno preparatole dalla peste. Se trionferete qui, trionferete ovunque e vi vedranno tutti sorridere in mezzo al terrore. La conclusione e' che vi occorre una filosofia"

E' uno dei consigli, pratici e spirituali, che si leggono nella "Esortazione ai medici della peste" pubblicata nell'aprile del 1947 nei Cahiers de la Ple'iade, quasi sicuramente scritta dal premio Nobel per la letteratura Albert Camus nel 1941 e vista come una delle pagine preparatorie e poi non messe nel suo romanzo "La peste", uscito proprio nel 1947 e che in questi mesi molti hanno riletto o scoperto, tanto che è tornato questa settimana nella classifica dei libri più venduti, perchè sembra racconti la nostra esperienza e parli di noi, invece di averne immaginata una 70 anni fa

Mai pubblicata in Italia, questa "Esortazione", ora tradotta da Yasmina Melaouah e proposta da Bompiani d'intesa con la Succession Albert Camus, suona, con le sue citazioni di Tucidide e del suo racconto della peste di Atene, profetica e profonda quanto il romanzo

Suggerisce ai medici una serie di norme oggi ingenue e inquietanti mutuate dal trattamento di contagi passati ( dall'uso dell'aceto, erbe aromatiche, all'uso di un camice di tela cerata) e li sprona a non aver paura ma ad assumere appunto una linea di condotta elaborata con filosofia che aiuti a saper avere una misura, a diventare padroni di se stessi, a respingere la stanchezza, a mantenere una serenita' d'animo nonostante tutto, aggiungendo: "Non vi e' nulla di meglio, a questo scopo, che consumare vino in quantita' apprezzabili, per alleviare un poco l'espressione affranta che vi verra' dalla citta' in preda alla peste". 

 Sono una decina di pagine, in omaggio ai lettori delle librerie Giunti al Punto e in ebook gratis sul sito Bompiani www.bompiani.it, che ammoniscono anche noi: "dovete diventare padroni di voi stessi. E, per esempio, saper fare rispettare la legge che avrete scelto, come quella del blocco e della quarantena. Uno storiografo provenzale narra che un tempo, quando uno di coloro che erano sottoposti alla quarantena scappava, gli veniva fracassata la testa. Non e' questo che auspicate. Ma non dimenticate con cio' l'interesse generale. Non venite meno a tali regole per tutto il tempo in cui saranno utili, quand'anche il cuore vi inducesse a cio'. Vi e' chiesto di dimenticare un poco quel che siete senza tuttavia dimenticare mai quel che dovete a voi stessi. È questa la regola di una serena dignita'". 

Le notazioni sono tante, da quelle pratiche come "non guardate mai il malato in faccia, per non essere nella direzione del suo alito", a quelle piu' morali: 

"Non dovete mai e poi mai abituarvi a vedere gli uomini morire come mosche, come accade oggi nelle nostre strade, e com'e' sempre accaduto da quando ad Atene la peste ha preso il suo nome. Non smettete di essere atterriti dai volti neri di cui parla Tucidide ... e continuate a rivoltarvi contro la terribile confusione in cui coloro che negano le cure agli altri muoiono nella solitudine mentre coloro che si prodigano muoiono ammucchiati gli uni sugli altri"

Camus quindi, ricordando ai medici che "Vi e' chiesto di dimenticare un poco quel che siete senza tuttavia dimenticare mai quel che dovete a voi stessi. È questa la regola di una serena dignita'", conclude con la sua visione delle cose: "Resta il fatto che nulla di tutto cio' e' semplice. Nonostante le maschere e i sacchetti, l'aceto e la tela cerata, nonostante la tranquillita' del vostro coraggio e il vostro saldo sforzo verra' il giorno in cui non sopporterete piu' questa citta' di agonizzanti, questa folla che gira a vuoto per strade roventi e polverose, queste grida, questo allarme senza futuro. Verra' il giorno in cui vorrete gridare il vostro orrore di fronte alla paura e al dolore di tutti. Quel giorno non avro' piu' rimedi da consigliarvi, se non la compassione che e' la sorella dell'ignoranza". 

Paolo Petroni per ANSA

15/03/20

La Lettura della Domenica: "Cecità" di Josè Saramago - un romanzo profetico

José Saramago (1992-2010)

Riporto qui Incipit ed Explicit del profetico romanzo - bellissimo, uno dei migliori in assoluto degli ultimi 50 anni - di Josè Saramago, Cecità, pubblicato nel 1995. Saramago ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. 


Incipit 


Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell'asfalto, non c'è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell'aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica.

Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev'esserci un problema meccanico, l'acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un'avaria nell'impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta.

Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell'automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l'automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l'uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall'altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco.


Explicit

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono. La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò la strada coperta di spazzatura, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, è arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.

03/01/20

Torna alla luce dopo 60 anni il carteggio tra T.S. Eliot e la sua musa, Emily Hale


  
T.S. Eliot con Emily Hale nel 1936

 Lui le aveva ordinato di bruciare le lettere

Lei, l'amica di sempre, aveva disobbedito. E cosi' oggi, dopo esser rimasta per 60 anni chiusa in dodici scatoloni negli archivi della Princeton University Library, la corrispondenza tra il poeta premio Nobel T.S. Eliot e la sua confidente e musa Emily Hale vedra' finalmente la luce

Per Anthony Cuda, studioso dell'autore di "La Terra Desolata", "e' forse l'evento letterario del decennio".  

Dagli scatoloni sono emerse oltre mille lettere datate tra 1930 e 1956 che promettono di gettare luce inedita sulla vita e il lavoro di Eliot: su opere ad esempio come "Il libro dei gatti tuttofare" portato a Broadway da Andrew Lloyd Webber con il musical "Cats". 

Il focus è ovviamente sulla relazione con Emily, rimasta al centro di congetture per decenni e che ha ispirato romanzi come "The Archivist" di Martha Cooley, ma non solo: come ha notato Princeton, sorprese potrebbero arrivare "sulla conversione religiosa del poeta, il suo atteggiamento verso le donne, le sue decisioni alla casa editrice Faber and Faber e il loro impatto sulla cultura del Regno Unito"

Era stata la Hale a donare l'archivio a Princeton con la condizione che le lettere restassero segrete fino a 50 anni dalla morte dell'ultimo dei loro autori: lei nel caso specifico, scomparsa nel 1969, mentre Eliot l'aveva preceduta di quattro anni. 

Si erano conosciuti ragazzi a Cambridge, Massachusetts, nel 1912 quando Eliot studiava a Harvard e lui, secondo un saggio pubblicano nel 2002 sul New Yorker, si sarebbe segretamente innamorato dell'intellettuale bostoniana. 

L'amicizia era rinata nel 1927, dopo la crisi del primo matrimonio del poeta con la britannica Vivienne Haigh-Wood, mentre la Hale, che non si era mai sposata, aveva continuato a insegnare teatro in universita' americane tra cui lo Scripps College in California

Secondo Cuda, la relazione con Emily doveva essere "incredibilmente importante" e la corrispondenza contenere "dettagli profondamente intimi", altrimenti non si capisce perche' Eliot fosse cosi preoccupato per la pubblicazione. 

Le lettere cominciano infatti dopo la fine del primo matrimonio con Vivienne, una donna instabile morta nel 1947 in manicomio. Studiosi hanno notato come "Burnt Norton", il primo poema della serie "Quartetti" che prende il nome da una casa in Inghilterra visitata con la Hale, e' significativo per alcuni versi che suggeriscono opportunita' mancate e quel che avrebbe potuto essere e non e' stato. 

11/11/19

Alla libreria Rinascita 2.0 Corso di scrittura creativa con Manuela Maddamma


Manuela Maddamma terrà un corso di scrittura creativa Libreria Rinascita 2.0 da febbraio a marzo 2020, che avrà per titolo:

“IL MESTIERE DI VIVERE, IL MESTIERE DI SCRIVERE”

Nella prima parte del corso ci si interrogherà innanzitutto sul senso della scrittura, nel tentativo di rispondere alle domanda: “Perché si scrive?”.
SI SCRIVE PER GUARIRE:
si prenderanno in esame il caso, riuscito, di Giuseppe Berto, Il male oscuro (con note anche stilistiche);
i casi, non riusciti, di Guido Morselli (Dissipatio H.G. e Un dramma borghese e Cesare Pavese, Il mestiere di vivere e Il carcere.
SI SCRIVE PER RIFLETTERE SULLA PROPRIA VITA (AUTOBIOGRAFISMO):
si prenderanno in esame i casi di Sibilla Aleramo, Una donna; accenno a Flaubert (Bovary) e a Kurt Cobain (autobiografismo più letterale).
Analisi del Salinger sui Pescibanana (con note stilistiche).
SI SCRIVE PER COMBATTERE SITUAZIONI FAMILIARI OSTILI: QUANDO LE PERSONE PIÙ CARE SONO LE PIU PERICOLOSE: Sylvia Plath (Campana di vetro, Tulipani, Inseguimento) e Amelia Rosselli (con voce).

ESERCIZI

Abbiamo parlato di Famiglia, dunque ragioneremo sui sentimenti:
COME DESCRIVERE I SENTIMENTI: ascolto di Nanni Moretti che legge 2 Sillabari di Parise (Famiglia, Mare).

ESERCIZIO

SPIEGARE COME ANCHE COME NEL BREVE SPAZIO DI UN RACCONTO IL PROTAGONISTA PUÒ E DEVE MUTARE: lettura di Carver Cattedrale e Granchi di Murakami Haruki

ESERCIZIO

TECNICHE DI SCRITTURA: COME SI SCRIVE UN ROMANZO: IMPIANTO, SCHEMA, SUGGERIMENTI, INCIPIT E CHIUSA, DESCRIZIONI (esempi), DIALOGHI

ESERCIZIO su La Voce Umana di Cocteau.

Nella seconda parte del corso si estenderà il campo e ci si interrogherà innanzitutto sul senso dell’opera d’arte, nel tentativo di rispondere alle domanda: “Può l’arte guarire dalla malattia mentale?”. Si esaminaranno e commenteranno i casi di Van Gogh, Edvard Munch, Bacon, Rothko, Louise Bourgeois.

IL CORSO VERRA' PRESENTATO DOMENICA 1 DICEMBRE ALLE ORE 17 SEMPRE PRESSO LA LIBRERIA RINASCITA 2.0

Manuela Maddamma ha studiato filosofia e storia delle dottrine esoteriche e mistiche nell'Europa moderna e contemporanea a Parigi. Ha curato un'edizione integrale del De umbris idearum (Mimesis 1999) e una traduzione in italiano contemporaneo del De l'infinito, universo e mondi di Giordano Bruno (Venexia 2013). Nel 2005 esce il romanzo Lascia che guardi per Fazi Editore. Ha scritto sul Foglio per diversi anni e nel 2009 ha pubblicato Anime estreme (Vallecchi editore). Vive e lavora a Roma come editor e traduttrice dal francese. Insegna "Scrittura creativa" presso l'Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano.

Per info e prenotazioni:
💻 info@rinascita20.it
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21/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo's Nest) è un film diretto da Miloš Forman tratto dal romanzo omonimo da Ken Kesey (una delle firme oggi ritenute tra le più importanti più originali e importanti della letteratura americana degli anni '50-'60) pubblicato nel 1962.

La storia è com'è noto, incentrata su RP McMurphy (Jack Nicholson), internato in un ospedale psichiatrico per fuggire dalla prigione dopo essere stato accusato di stupro su un minore, il quale sarà gradualmente toccato dall'angoscia e dalla solitudine dei pazienti.

Con la sua forte personalità, si oppone rapidamente ai metodi repressivi dell'infermiera Ratched.

Nel titolo originale in inglese, il termine "cuculo", che ha come primo significato l'uccello del cuculo, indica anche in gergo una persona mentalmente disturbata, come i pazienti dell'ospedale psichiatrico in cui si svolge la trama.

Randall P. McMurphy sviluppa un comportamento ambiguo per sfuggire alla prigione, fin quando non viene valutato per la sua salute mentale, dopo essersi occupato delle "terapie" del capo infermiere, la autoritaria e cinica Miss Ratched, che cerca rapidamente di sfidare.

Il temperamento allo stesso tempo irruento e gioviale di McMurphy fa presto in modo che altri internati diventino consapevoli della libertà che gli viene negata. Allo stesso tempo McMurphy presto capisce che entrando volontariamente nell'ospedale potrebbe aver perso quella libertà per sempre.

Comincia a fare amicizia con alcuni degli internati, in particolare con il "Capo", un colosso amerindio nativo che tutti credono sordo e muto, che appare morbido e pacifico nonostante il suo aspetto colossale.

McMurphy conduce pian piano gli altri pensionanti alla ribellione e li conduce alla disobbedienza, organizzando addirittura un giro in autobus intorno all'area per andare a pescare su una barca. e corrompendo la guardia per riuscire a far entrare due amici nel reparto. Fino a una festa durante la quale l'alcool scorre liberamente.

Al mattino, Miss Ratched trova uno degli internati, il giovane Billy, in un letto con una delle giovani donne. Miss Ratched riesce a far sentire Billy così in colpa che si suicida proprio quando McMurphy sta per scappare.

Di fronte alla tragedia, quest'ultimo cambia idea e decide di vendicare Billy, cercando di strangolare Ratched, che ritiene responsabile per la morte del giovane.

La reazione dell'ospedale è durissima e viene deciso di lobotomizzare McMurphy.

Il "Capo" , dopo il trattamento, lo trova diventato del tutto insensibile; Non vedendo alcuna soluzione, la soffoca per evitare di farlo vivere in questo stato per il resto della sua vita. Quindi, in una finale e metaforica scena di "liberazione", strappa un'enorme fontana d'acqua e la lancia su una vetrata recintata, eseguendo il piano che McMurphy aveva proposto per evadere, all'inizio del film, senza avere abbastanza forza per realizzarlo.

"Capo", quindi fugge sulle montagne circostanti.

Il film era nato da una idea di Kirk Douglas che aveva acquistato i diritti del libro di Ken Kesey, pensando di adattarlo al cinema, ma l'argomento del film e il contenuto drammatico gli aveva impedito di trovare finanziamenti.

Nel 1966 durante un tour di beneficenza, Kirk Douglas aveva incontrato Miloš Forman a Praga dove aveva scoperto i film del giovane talentuoso regista ceco. Pensò quindi di affidargli l'adattamento cinematografico e prometté di inviargli il romanzo. Ma Miloš Forman non ricevette mai il libro che viene intercettato al confine e Kirk Douglas pensò che il regista non fosse interessato.

Ma dopo la primavera di Praga nel 1968, Miloš Forman andò in esilio negli Stati Uniti e diresse il suo primo film americano, Il decollo. Nel frattempo, Michael Douglas aveva ripreso il progetto di adattamento cinematografico che suo padre Kirk aveva avuto un decennio prima: Kirk Douglas si fa avanti per interpretare McMurphy.

Quando finalmente Miloš Forman riceve il romanzo, è entusiasta: "Per te, questo libro è letteratura, ma per me è vita! Ho vissuto questo libro. Il Partito Comunista era la mia infermiera Ratched 2 ! "

Il film resta uno dei più forti e dirompenti della cinematografia americana e internazionale.  Vinse 5 premi Oscar e 6 Golden Globe più innumerevoli altri riconoscimenti in tutto il mondo.

E con il passare degli anni non ha perso la sua forza rivoluzionaria, e niente della sua perfezione stilistica, dovuta alla maestria e al talento puro di Milos Forman e a un cast fenomenale, azzeccato in ogni personaggio, in ogni singolo caratterista.

Qualcuno volò sul nido del cuculo
(One flew over the cockoo's nest)
di Milos Forman
con
Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Billy Bibbit, Will Sampson, "Chef" Bromden, Danny DeVito, Christopher Lloyd, Taber Sydney Lassick 
Durata 134 minuti
USA, 1974 





15/10/19

Libro del Giorno: "Bugie e altri racconti morali" di J.M.Coetzee




Il nuovo libro di J.M. Coetzee appena pubblicato dai Supercoralli di Einaudi è una raccolta di sette racconti sette (alcuni consistenti di pochissime pagine), che si riduce a una novantina di pagine e rappresenta probabilmente un bottino piuttosto modesto (considerando anche il prezzo del volume, 15 euro) per i numerosi appassionati della letteratura del Premio Nobel sudafricano (ricevuto nel 2003). 

E però, c'è da dire subito, la qualità di Coetzee, la sua qualità di scrittura e la sua qualità morale (visto che egli stesso definisce nel titolo della raccolta questo appellativo per i sette racconti) è sempre altissima.  Anzi, il tono estremamente distillato di questi racconti, ha il pregio di rendere ancora più nitida, essenziale, la prosa di Coetzee. 

Di cosa parlano questi racconti ?

Una donna che va e torna dal lavoro in bicicletta, ogni giorno facendo la stessa strada, avverte tutta la ferocia del mondo nel ringhiare di un cane che puntuale la minaccia. Provata da questa quotidiana, ingiustificata esplosione di violenza decide di bussare alla porta dei padroni del cane: ma negli esseri umani troverà una violenza ancora piú profonda e impenetrabile di quella animale. Una madre e nonna, in cui i lettori di Coetzee riconosceranno Elizabeth Costello, decide nel giorno del suo sessantacinquesimo compleanno di accogliere figli e nipoti con un taglio alla moda e i capelli tinti di un biondo sgargiante. Poi ancora Elizabeth, qualche anno piú avanti, che vive ritirata in una casa nella campagna spagnola. Sola con i suoi gatti e l’amara consapevolezza che a regolare la vita non sia tanto l’amore quanto il dovere. E infine suo figlio, che la va a trovare per cercare di farle accettare la verità ultima, quella da cui, a un certo punto, non potrà piú nascondersi… 

Sette storie esemplari dunque, che hanno l’asciuttezza della parabola e l’intensità della rivelazione, J. M. Coetzee affronta tutti i temi della sua letteratura: il rapporto tra l’umano e l’animale, l’ipocrisia che cela l’ingiustizia, l’universale bisogno di perdono. 

Sono «racconti morali» perché non sono mai moralisti, e alla consolazione di una «morale della favola» oppongono sempre il turbamento del dubbio

30/08/19

Il giorno in cui Hemingway liberò il bar dell'Hotel Ritz a Parigi.


Ufficialmente l'autore del premio Nobel di "Addio alle Armi" e "Il sole sorge ancora" doveva essere un corrispondente di guerra per la rivista americana Collier quando entrò nella capitale francese il 25 agosto 1944. 

In realtà, il romanziere  che si allontanò da una Jeep comandata con tutta la spavalderia di un generale per impadronirsi dell'hotel più lussuoso della città, stava conducendo la sua spietata guerra privata contro il Terzo Reich.

Dopo essere sopravvissuto alla prima guerra mondiale e alla guerra civile spagnola - dove aveva abbattuto i confini tra reporter e combattente - Hemingway era riuscito a infilarsi tra le truppe statunitensi della 4a divisione che sbarcarono sulle spiagge della Normandia il D-Day.

Come alcuni "gloriosi dilettanti" che si erano offerti volontari per aiutare l'Ufficio dei servizi strategici, un ramo dei servizi di intelligence statunitensi, trascorse un mese a sfrecciare in una jeep tra le prime linee, entrando in contatto con i combattenti della resistenza francese locali tra le forze statunitensi in progresso e i tedeschi in ritirata.

Era esattamente il tipo di situazione ad alto rischio e drammaturgica in cui lo scrittore si crogiolava, anche se imbarazzava sua moglie Martha Gellhorn, che prendeva il suo lavoro come reporter di guerra molto più seriamente. Uno di quei combattenti della Resistenza in seguito ricordò l'ossessione di Hemingway per il lussuoso hotel di Parigi, dicendo che parlava di poco altro ma "essere il primo americano a Parigi e liberare il Ritz".

Hemingway si era innamorato del Ritz come scrittore senza un soldo a Parigi negli anni '20 insieme a F. Scott Fitzgerald, una volta in seguito immortalato in "Una festa mobile". Con l'aiuto dei suoi contatti nella divisione corazzata americana, comandata dal altrettanto appariscente generale George S. Patton, Hemingway combatté insieme al comandante francese Generale Philippe Leclerc, i cui carri armati avevano ricevuto l'onore di liberare Parigi.

La sua umile richiesta: avere abbastanza uomini per liberare il bar del Ritz. Con sorpresa dello scrittore, ricevette un'accoglienza gelida e fu licenziato. Ma Hemingway perseverò e il 25 agosto si presentò all'hotel sulla bellissima Place Vendome di Parigi in una jeep montata con una mitragliatrice alla testa di un gruppo di combattenti della Resistenza.

Fece irruzione nell'hotel e annunciò che era venuto a liberarlo personalmente e il suo bar, che era servito da abbeveratoio per una lunga fila di dignitari nazisti, tra cui Hermann Goering e Joseph Goebbels.

Il direttore dell'albergo, Claude Auzello, gli si avvicinò e Hemingway chiese: "Dove sono i tedeschi? Sono venuto per liberare il Ritz".

"Monsieur", rispose il direttore: "Se ne sono andati molto tempo fa. E non posso lasciarla entrare con un'arma."

Hemingway mise la pistola nella jeep e tornò al bar, dove si dice che avesse corso un conto per 51 martini a secco. "Indossava l'uniforme e impartiva ordini con tale autorità che molti pensavano che fosse un generale", ha ricordato il capo barman del Ritz, Colin Field.

Secondo il fratello di Hemingway, Leicester, lo scrittore perquisì la cantina con i suoi uomini, prendendo due prigionieri e trovando un eccellente stock di brandy. Ispezionando il tetto e i piani superiori, non trovarono altro che le lenzuola che si asciugavano nel vento, che erano piene di fori di proiettili.

Hemingway in seguito scrisse che non poteva sopportare il pensiero che i tedeschi avessero sporcato la stanza che condivideva con la sua amante Mary Welsh, che avrebbe sposato nel 1946. 

I due rimasero insieme fino al suicidio di lui nel 1961.

Hemingway scrisse del suo soggiorno in hotel con il suo gruppo di irregolari in un racconto del 1956, "Una stanza sul lato giardino", che è stato recentemente portato alla luce dalla rivista Strand negli Stati Uniti. In esso cita il poeta simbolista francese Charles Baudelaire e descrive come i suoi uomini abbiano bevuto lo champagne del Ritz mentre pulivano le loro armi e si preparavano per la fase successiva nello "sporco commercio della guerra". 

Gli studiosi ritengono che potrebbe essere questa, la parte di un lavoro più grande che Hemingway aveva pianificato, per descrivere nel dettaglio le sue esperienze in guerra.

Le scorrerie di Hemingway al Ritz non sfuggirono all'attenzione dei suoi superiori, con minacce di essere deferito alla corteo marziale per aver indossato le armi come corrispondente di guerra.

Le accuse furono tranquillamente lasciate cadere, per evitare imbarazzo per i servizi segreti statunitensi, e dopo la guerra lo scrittore ricevette silenziosamente una medaglia di stella di bronzo per aver lavorato "sotto tiro nelle aree di combattimento per ottenere un quadro accurato delle condizioni belliche e delle posizioni". 

Anche il Ritz alla fine lo perdonò, nominando un piccolo bar dopo Hemingway nel 1994.

Fonte LPN - La Presse

24/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 31. Moby Dick, la balena bianca (Moby Dick) di John Huston (1956)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 31. Moby Dick, la balena bianca (Moby Dick) di John Huston (1956)

Le avventure del Capitano Achab, interpretato da un memorabile Gregory Peck, e della mitica balena bianca, protagonisti del romanzo-mondo di Melville, portate sullo schermo da un gigante della regia, John Huston. 

Come avviene nel libro, Achab coinvolge tutto l'equipaggio della sua baleniera Pequod in un duello mortale contro la balena bianca, Moby Dick, che in un precedente scontro in alto mare gli aveva mangiato una gamba. 

Di tutto l'equipaggio si salverà soltanto il giovane Ismaele (Richard Basehart), che è la voce narrante della storia, nel libro e nel film. 

Huston decise coraggiosamente di affrontare il gigante letterario creato da Melville, realizzandone il secondo rifacimento al cinema (il primo era stato nel 1930 con protagonista John Barrymore), affidandosi al cosceneggiatore Ray Bradbury, che all'epoca aveva soltanto 26 anni e che sarebbe diventato uno dei più grandi scrittori americani di sempre del genere fantastico. 

Huston rende mitologica la storia, infondendola di forti significati simbolico-religioso: nel cetaceo è identificata la cieca spietatezza di un Dio che decide le sorti umane, contro cui l'uomo scatena la sua disperata rivolta. 

Lo stesso regista si sorprese che il film non scandalizzasse come nelle sue intenzioni avrebbe voluto: "Questo film è una bestemmia", disse, "e mi sorprendo che nessuno protesti".

In realtà il film oggi si apprezza come un classico, con un cast stellare che comprende perfino Orson Welles nei panni di invasato predicatore che ammonisce da un pulpito a forma di nave. 

L'impresa di tradurre un libro come quello di Melville - un monumento della letteratura - in un film di due ore, appariva come una impresa impossibile.  Huston vinse la sfida realizzando un film appassionante che - come l'originale melvilliano - riflette sulla origine e sulla natura del male, sulla colpa, sul destino umano, sulla redenzione e sulla sofferenza, sulle capacità umane e sulle sue inevitabili finitudini e sconfitte.




17/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002) 


E' uno dei film migliori degli ultimi due decenni, The Hours diretto nel 2002 dall'inglese Stephen Daldry, basato sul romanzo omonimo di Michael Cunningham, che vinse il premio Pulitzer.

Nel film - come anche nel libro - si intrecciano le vicende di tre donne, in tre diversi momenti della nostra storia. 

Quella della scrittrice Virginia Woolf - il film inizia nel 1941, nel Sussex quando, dopo avere lasciato una lettera al marito Leonard in cui dice di non potere più combattere contro la depressione, ringraziandolo per la felicità che le ha dato, si suicida annegandosi nel fiume Ouse; quella di Laura Brown, una casalinga infelice che aspetta un bambino, nel 1951; quella di una editor bisessuale, Clarissa Vaughan, che sta preparando una festa per il suo ex-amante Richard che sta per morire di AIDS, nel 2001.

Le tre donne sono interpretate rispettivamente da Nicole Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep. 

Il film dunque racconta una giornata vissuta da tre donne, nel 1923, nel 1951 e nel 2001.

In quel giorno del 1923 Virginia si è stabilita a Richmond, sperando che l'aria di campagna le faccia passare gli esaurimenti nervosi e il profondissimo disagio psichico con cui convive e quella mattina comincia a scrivere quello che diventerà uno dei suoi romanzi più famosi: La signora Dalloway. Virginia riceve la visita di sua sorella Vanessa e dei due figli maschi di lei, Quentin e Julian. Il disagio aumenta, Virginia tenta una fuga da casa e va alla stazione dei treni, ma viene raggiunta da Leonard, al quale spiega in un drammatico colloquio che non può più restare lì con lui e che  vorrebbe tornare a Londra. 

In quel giorno del 1951, a  Los Angeles invece, Laura Brown è una donna che vive col marito Dan e il figlio Richie. Laura è una donna infelice, e non vuole nemmeno avere il bambino che aspetta. Il marito la ama tanto, ma lei in fondo sa di non ricambiare il sentimento. L'unica cosa che la conforta è la lettura del romanzo La signora Dalloway. E proprio in quel giorno, che è il compleanno di Dan, e in cui perfino la torta che ha preparato non riesce bene, riceve la visita di Kitty, una vicina di casa che le rivela di dover essere operata per la rimozione di un tumore all'utero. E' il campanello d'allarme per  Laura che non riesce più a sopportare la sua vita e decide di suicidarsi nella camera di un albergo, senza riuscire a portare a termine il suo proposito. 

In quel giorno del 2001 a New York, infine, Clarissa saluta la sua fidanzata Sally e va a comprare i fiori per Richard, che la chiama ostinatamente "Signora Dalloway", suo ex amante ora malato di AIDS, che proprio quella sera riceverà un'onorificenza per il suo lavoro nel campo della letteratura. Richard, un premio che lui non ritiene di meritare. Nel pomeriggio Clarissa va da Richard, che confessa alla donna l'amore che ha sempre provato per lei, citando le parole che Virginia Woolf aveva scritto nella lettera d'addio per il marito, e finisce per gettarsi dalla finestra sotto gli occhi di lei.

Il film finisce come è iniziato, ovvero con il suicidio di Virginia nel 1941. Mentre si immerge si sente la voce di Virginia pronunciare le frasi finali del film, rivolte a Leonard: «Caro Leonard, guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita, sempre, riconoscerla per quello che è; alla fine, conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni che abbiamo trascorso; per sempre gli anni; per sempre, l'amore; per sempre, le ore.»

E' un film meravigliosamente riuscito, scandito dalle superbe musiche di Philip Glass, che rappresentano un capolavoro nel capolavoro, impreziosito dalla interpretazione delle tre straordinarie attrici e dai loro comprimari. 

Un film sul dolore del vivere, sulla inquietudine interiore, sulla impossibilità di essere felici e di dimenticare il peso della morte, sulla forza invisibile della vita e degli affetti veri, dell'amore che cura e dell'amore che fallisce. 

The Hours è un film che non si dimentica e si rivede con le stesse emozioni della prima volta, lasciandosi avvolgere dall'intenso profumo di vita e di morte che vi si respira.

Moltissimi premi ricevuti in tutto il mondo, compresa la statuetta per la migliore attrice a Nicole Kidman, autrice di una prova al limite delle capacità interpretative, sotto un pesante trucco che le ha dato le sembianze della grande Virginia Woolf. 

Fabrizio Falconi