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08/10/17

Poesia della Domenica: "Descrizione della mia morte" di Giovanni Giudici.




Giovanni Giudici - Descrizione della mia morte



Poiché era ormai una questione di ore
Ed era nuova legge che la morte non desse ingombro,
Era arrivato l’avviso di presentarmi
Al luogo direttamente dove mi avrebbero interrato.
L’avvenimento era importante ma non grave.
Così che fu mia moglie a dirmi lei stessa. preparati.
Ero il bambino che si accompagna dal dentista
e che si esorta: sii uomo, non è niente.
Perciò conforme al modello mi apparecchiai virilmente,
Con un vestito decente, lo sguardo atteggiato a sereno,
Appena un po' deglutendo nel domandare: c’è altro?
Ero io come sono ma un po’ più grigio un po’ più alto.
Andammo a piedi sul posto che non era
Quello che normalmente penso che dovrà essere,
Ma nel paese vicino al mio paese
Su due terrazze di costa guardanti a ponente.
C’era un bel sole non caldo, poca gente,
L’ufficio di una signora che sembrava già aspettarmi.
Ci fece accomodare, sorrise un pò burocratica,
Disse: prego di là – dove la cassa era pronta,
Deposta a terra su un fianco, di sontuosissimo legno,
E nel suo vano in penombra io misurai la mia altezza.
Pensai per un legno così chi mai l’avrebbe pagato,
Forse in segno di stima la mia Città o lo stato.
Di quel legno rossiccio era anche l’apparecchio
Da incorporarsi alla cassa che avrebbe dovuto finirmi.
Sarà meno d’un attimo – mi assicurò la signora.
Mia moglie stava attenta come chi fa un acquisto.
Era una specie di garrota o altro patibolo.
Mi avrebbe rotto il collo sul crac della chiusura.
Sapevo che ero obbligato a non avere paura.
E allora dopo il prezzo trovai la scusa dei capelli
Domandando se mi avrebbero rasato
Come uno che vidi operato inutilmente.
La donne scosse la testa: non sarà niente,
Non è un problema, non faccia il bambino.
Forse perché piangevo. Ma a quel punto dissi: basta,
Paghi chi deve, io chiedo scusa del disturbo.
Uscii dal luogo e ridiscesi nella strada,
Che importa anche se era questione solo di ore.
C’era un bel sole, volevo vivere la mia morte.
Morire la mia vita non era naturale.
Tratto da O Beatrice, 1972

27/08/17

Poesia della Domenica - "La Ruota" di W. B. Yeats.





LA RUOTA

Invochiamo d’inverno la primavera,
A primavera l’estate,
E quando lussureggianti le siepi mandano suoni
Proclamiamo l’inverno la più bella stagione;
E dopo non c’è nulla che valga,
Perché la primavera tarda ancora ....
Né sappiamo che a turbarci il sangue
È solo il suo desiderio della tomba.

THE WHEEL

Through winter-time we call on spring,
And through the spring on summer call,
And when abounding hedges ring
Declare that winter’s best of all;
And after that there’s nothing good
Because the spring-time has not come -
Nor know that what disturbs our blood
Is but its longing for the tomb.

(1921)


William Butler Yeats: Tredici poesie scelte e tradotte da Gabriele Baldini in Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 177-189 http://www.fupress.com/bsfm-sijis

06/08/17

La poesia della Domenica: Sonetto n.1 di William Shakespeare.




Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie
perché mai si estingua la rosa di bellezza,
e quando ormai sfiorita un dì dovrà cadere,
possa un suo germoglio continuarne la memoria:
ma tu, solo devoto ai tuoi splendenti occhi,
bruci te stesso per nutrir la fiamma di tua luce
creando miseria là dove c’è ricchezza,
tu nemico tuo, troppo crudele verso il tuo dolce io.
Ora che del mondo sei tu il fresco fiore
e l’unico araldo di vibrante primavera,
nel tuo stesso germoglio soffochi il tuo seme
e, giovane spilorcio, nell’egoismo ti distruggi.
Abbi pietà del mondo o diverrai talmente ingordo
da divorar con la tua morte quanto a lui dovuto.


From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty’s rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory;
But thou, contracted to thine own bright eyes,
Feed’st thy light’s flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou, that art now the world’s fresh ornament
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content
And, tender churl, mak’st waste in niggarding.
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world’s due, by the grave and thee.



William Shakespeare

02/07/17

La poesia della Domenica - "In riva al mare" di Umberto Saba.





In riva al mare

Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al Faro, in quelle 
parti ove s'ode beatamente il suono
d'una squilla, la voce di un fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all'ampio mare
solo seduto; io giunsi se non erro,
a un culmine del mio dolore umano. 

Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell'onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta, 
con le finestre aperte al sole e al verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.

Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d'amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso. 


Umberto Saba, da L'Amorosa Spina, 1920. 

21/05/17

La poesia della Domenica - "In un parco straniero" di Rainer Maria Rilke.








Due sentieri. A nulla ti conducono.
Pure, l'uno t'induce a volte, sopra
pensiero a proseguire. Come se ti smarrissi;
ma d'improvviso giunto alla rotonda,
rimasto solo innanzi a quella lapide
leggi ancora una volta: Baronessa
Brite Sophie - e con il dito torni
a tastare la data ormai disfatta.
Perché questa scoperta non ti stanca ?

Perché come la prima volta indugi
con tanta attesa in questo posto d'olmi,
umido e buio e senza orme di passi ?

Quale contrasto ti eccita a cercare
chi sa cosa tra le assolate aiuole,
come se fosse il nome di un rosaio ?

Perché spesso ti fermi ? Che cosa ode il tuo orecchio ?
E perché infine, come perso, guardi
bagliori di farfalle intorno all'alto Phlox ?


Rainer Maria Rilke, da Nuove Poesie, traduzione di Giacomo Cacciapaglia, Einaudi, Torino, 1992.

30/04/17

Poesia della domenica - "Egli desidera il tessuto del cielo" di William Butler Yeats.




Egli desidera il tessuto del cielo
Se avessi il drappo ricamato del cielo,
intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri
del giorno e della notte
dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
cammina leggera perché
cammini sopra i miei sogni.

He Wishes For the Cloths of Heaven
HAD I the heavens’ embroidered cloths,
Enwrought with golden and silver light,
The blue and the dim and the dark cloths
Of night and light and the half light,
I would spread the cloths under your feet:
But I, being poor, have only my dreams;
I have spread my dreams under your feet;
Tread softly because you tread on my dreams.



W.B. Yeats (1865–1939)
from the Collected Works of W.B. Yeats

02/12/16

Finisce all'asta la pistola con cui Verlaine sparò a Rimbaud, venduta per mezzo milione di Euro!


La pistola più famosa nella storia della letteratura francese, il revolver con cui Paul Verlaine cercò di uccidere l'amante e collega poeta Arthur Rimbaud, è stata venduta per 434.500 euro a un'asta a Parigi.

Il prezzo per questa 7 millimetri a sei colpi è stato sette volte superiore alle stime, ha annunciato la casa d'aste Christie's. 

Verlaine acquistò l'arma a Bruxelles la mattina del 10 luglio 1873, determinato a mettere fine alla sua relazione, che andava avanti da due anni, con il ragazzo 19enne.

Il 29enne poeta abbandonò la moglie e il figlio per Rimbaud, che sarebbe in seguito diventato il simbolo della gioventù ribelle, idolatrata dai cantanti degli anni Sessanta come Jim Morrison. 

Ma dopo un periodo trascorso a Londra, caratterizzato da oppio e abuso di alcol, che avrebbe ispirato "Una stagione all'inferno" di Rimbaud, Verlaine decise di tornare dalla moglie

Fuggì nella capitale belga per stare lontano da Rimbaud, che però lo seguì

In una stanza d'albergo nel pomeriggio, dopo litigi, grida e alcol a fiumi - secondo la versione di Rimbaud - Verlaine tirò fuori la pistola

"Ecco come ti insegnerò come andartene!", urlò prima di sparare a Rimbaud. Un proiettile lo colpì al polso, l'altro centrò il muro prima di rimbalzare verso il camino. Rimbaud però rimase fedele all'amante. Bendato in un ospedale pregò di nuovo l'autore di "Poemi saturnini" di non lasciarlo. 

Verlaine - che sarebbe stato tormentato da problemi di droga e alcolismo per tutta la vita - tirò fuori ancora una volta la pistola e lo minacciò in strada. 

Fu arrestato da un poliziotto che passava per strada e condannato a due anni di lavori forzati in carcere dove - ancora una volta per il disappunto di Rimbaud - si sarebbe convertito al cattolicesimo. 

 In carcere scrisse 32 poemi che sarebbero in seguito stati pubblicati nelle sue più famose raccolte, "Saggezza", "Allora e ora" e "Invecttive". 

La pistola fu confiscata e finì nelle mani di un privato, secondo Christie's.


Verlaine e Rimbaud

06/11/16

La poesia della domenica: "Le arie che incantano e che fanno la bellezza."




Le arie che incantano e che fanno la bellezza sono:

L'aria smaliziata,
L'aria annoiata,
L'aria svaporata,
L'aria impudente,
L'aria di dominio,
L'aria di volontà,
L'aria cattiva,
L'aria malata,
L'aria fredda,
L'aria di guardare di dentro,
L'aria da gatta, infantilismo, noncuranza e malizia mescolati insieme.

In certi stati quasi soprannaturali dell'anima, la profondità della vita si rivela tutta intera nello spettacolo, per quanto comune sia, che si ha sotto gli occhi. Esso ne diventa il simbolo. 

14/08/16

Poesia della domenica - "Ricordare qui non basta", di Rainer Maria Rilke.




III.


Ricordare, qui, non basta, il puro
esistere di quei momenti sia 
sul mio fondo, un precipitato
della soluzione smisuratamente satura.
Perché io non rammento, quello che sono
mi tocca per causa tua.  Non ti invento
in punti tristemente raggelati
da cui fuggisti; la realtà stessa della tua assenza
è calda di te e più vera di una mancanza.
La nostalgia si perde troppo spesso nell'indistinto.
Perché dovrei espellermi, mentre forse il tuo influsso
mi è lieve, come il chiaro di luna a quel posto alla finestra. 


Rainer Maria Rilke, composta probabilmente a Duino, nell'ottobre del 1911 e conservata nel lascito di Lou Andreas Salomé in una trascrizione fatta da Rilke nel suo periodo a Monaco (1919).



05/06/16

La poesia della Domenica - "Sensazione" di Arthur Rimbaud.





Sensazione


Me ne andrò, nelle sere blu d'estate,
lungo i sentieri, punto dalle spighe,
sull'erbe brevi; la freschezza ai piedi
ne sentirò, sognando, e la mia fronte
nuda dal vento lascerò bagnare !

Non avrò più parole, né pensieri.
Ma su nell'anima infinito amore
mi salirà; lontano, assai lontano,
come un nomade andrò, per la Natura,
- felice, come al fianco di una donna.


SENSATION

Par les soirs bleus d'été, j'irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l'herbe menue:
Rêveur, j'en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.

Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l'amour infini me montera dans l'âme,
Et j'irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, - heureux comme avec une femme.

(Mars 1870)

Traduzione di Giovanna Bemporad.

Arthur Rimbaud (1854-1891)

01/05/16

La poesia della domenica - "Sulla vita sua" di Vittorio Alfieri.






(Sulla vita sua)


Sperar, temer, rimembrar, dolersi;
Sempre bramar, non appagarsi mai;
Dietro al ben falso sospirare assai,
Né il ver (che ognun ha in sé) giammai godersi;
Spesso da più, talor da men tenersi;
Né appien conoscer sé che in braccio a' guai;
E, giunto all'orlo del sepolcro ormai,
Della mal spesa vita ravvedersi;
Tal credo, è l'uomo, o tale almen son io:
Benché il core in ricchezze o in vili onori
Non ponga, e Gloria e Amore a me sien Dio.
L'un mi fa di me stesso viver fuori;
Dell'altra in me ritrammi il bel Desio;
Nulla ho d'ambi finor che i loro furori.


Vittorio Alfieri

16/01/16

Il racconto della fine di Esenin.

Sergej Esenin sul letto di morte


Nel 1925 Esenin sposa a Mosca Sof'ja Andreevna Tolstaja, nipote del grande scrittore. 

Con lei va ancora a Baku. Suoi versi sono tradotti in georgiano. Nel settembre torna a Mosca per curare la pubblicazione delle sue opere con le edizioni di Stato. 

E' di nuovo in preda all'alcool. I giudizi severi della critica, lo sconforto, le allucinazioni lo portano sull'orlo della catastrofe.

L'angoscia si rispecchia nel suo ultimo poema (L'uomo nero), finito il 12-13 novembre. Alla fine dello stesso mese entra in una clinica. 

Ma il 23 dicembre, eludendo la vigilanza della moglie e degli amici, parte per Leningrado.

Qui, in una stanza dell'albergo "Angleterre", nella notte dal 27 al 28 dicembre 1925 s'impicca con la cinghia della sua valigia . La notte precedente scrive col sangue, per mancanza d'inchiostro, due quartine d'addio, coi famosi versi finali: 

In questa vita morire non è nuovo,
ma neppure vivere, certo, lo è di più.

Ad essi V. Majakovskij risponderà parafrasando, coi versi finali di un'aspra poesia (A Sergej Esenin): In questa nostra vita/morire non è difficile/costruire la vita/è notevolmente più difficile. 

I funerali del poeta si svolgono a Mosca l'ultimo giorno dell'anno, il 31 dicembre con grande partecipazione di popolo.  Tra gli artisti e scrittori che portano a braccia il feretro si trovano Isaak Babel', Vsevolod Ivanov, Vsevolod Mejerchol'd e Boris Pil'niak.

Qualche tempo dopo, A.Tolstoj definisce con esattezza il dramma di Esenin in un suo commosso articolo sulla morte del poeta: Egli se n'era andato dalla campagna, ma non era arrivato nella città. 


i funerali di Esenin

tratto da S.Esenin, Il paese dei banditi, a cura di Iginio De Luca, Einaudi editore, 1985, p.XXIV

13/09/15

"Sono un uomo abituato al sogno" - Stephane Mallarmé (Giuliano Gramigna)

Mallarmé fotografato da Nadar




Insegui' per tutta la vita il "Libro" per eccellenza ma mori', cento anni fa, lasciando un'opera esigua. Che anticipa l'esperienza freudiana dell'inconscio 

Mallarme', la disfatta in versi 

A 56 anni fu vittima di una crisi di soffocamento la mattina del 9 settembre 1898. E' passato alla storia come un poeta oscuro ma nessuno ha avuto un influsso maggiore nel nostro secolo 

"Dicevo qualche volta a Mallarme': c'e' chi vi critica, chi vi beffa. Voi irritate, fate pieta'... Ma sapete, sentite almeno questo: c'e' in ogni citta' di Francia un giovane sconosciuto che si farebbe uccidere per i vostri versi, per voi?": e' un passaggio ben noto di Variete' III di Paul Valery. 

Nel viso di Mallarme', come ce l'hanno consegnato le foto di fine secolo, si fondono una mitezza delusa e un orgoglio irriducibile: l'orgoglio di aver inseguito per tutta la vita il Grande Sogno, la Grande Opera, insomma il Libro per eccellenza, insieme impossibile e possibile ai suoi occhi, come a quelli di Valery, "che non e' mai guarito da quella specie di ferita...". 

Della Grande Opera parlano anche le poche righe che Stephane Mallarme' indirizzo' alla moglie e alla figlia, a Mere e Veve, la notte dell'8 settembre 1898 - quando uno spasmo della glottide quasi lo soffoco' - invitandole a bruciare il "mucchio semisecolare" di suoi appunti, note, abbozzi. 

"Non c'e' nessuna eredita' letteraria, mie povere care... E voi, soli esseri al mondo capaci di rispettare fino a questo punto tutta una vita di artista sincero, credete che doveva essere molto bello...". 

L'indomani, 9 settembre, mentre il medico lo sta visitando, Mallarme' e' ripreso da una crisi di soffocazione; non la supera; muore. 

Ha appena 56 anni, essendo nato a Parigi nel 1842. Lascia un'opera relativamente esigua: un libro di Poesies, poemi come Herodiade, Un coup de des, Igitur, L'apres - midi d'un faune, una raccolta di saggi, interventi, poemi in prosa, Divagation, una quantita' di deliziosi versi d'occasione, fra cui i proverbiali eventails (un genere letterario, addirittura!). 

Certo agli occhi del loro autore, quei sonetti memorabili, celebrazioni funebri per Baudelaire, Poe, Verlaine, eccetera, o amorose, dovevano rappresentare solo le schegge introduttorie al Libro; sono bastati per assicurare a Mallarme' un posto capitale nella letteratura moderna

Se due dioscuri, Marcel Proust e James Joyce, si collocano alle origini del romanzo novecentesco, Mallarme' sara' il deus absconditus anzi molto patente di una fetta cospicua della poesia moderna, giu' giu' fino ai nostri giorni

Parlarne, nel centenario della morte, non e' un semplice ossequio allo scadenzario letterario; soprattutto se serva a mettere in chiaro cio' che ancora puo' (deve) dire l'autore di Igitur allo scrittore e al lettore contemporanei. 

"Un uomo abituato al sogno" si era definito aprendo una conferenza su Villiers de l'Isle - Adam. Ecco qui gia' introdotto uno dei significanti r - eve che identificano infallibilmente il suo discorso poetico. Non sono semplici tic, idiosincrasie lessicali, ma punti di condensazione dell'immaginario mallarmeano. Si potrebbe comporne una sfilza - sostantivi e aggettivi riconoscibili anche da un mediocre lettore: sogno, assoluto, nulla, vuoto, bianchezza, volo, stella, cigno, notte, naufragio, caso, assenza, ghiaccio - eppoi sterile, abolito, amaro, puro... elenchi meschini, che depauperano della energia originaria tali vocaboli, che il verso fonde in "una parola totale, nuova, straniera alla lingua, et comme incantatoire", secondo la splendida dizione di una pagina delle Devagations; il verso che nega per un attimo il Caso, le hasard, "vinto parola per parola". 

Non si puo' rendere minimamente giustizia alla poesia di Mallarme' in una nota volante, come questa. Ma si capira' subito che tali presenze di linguaggio non hanno piu' niente a che fare con le sostanze dense, succulente, antefatte dai poeti parnassiani da cui tuttavia Mallarme' discendeva. "Dipingere non la cosa ma l'effetto che essa produce" scriveva il giovane autore all'amico Gazalis, esponendogli la sua estetica in nuce - come ricorda Mario Luzi, che e' stato forse il piu' mallarmeano dei nostri poeti, nel suo Studio su Mallarme', uno dei primi contributi critici significativi in Italia, insieme con il memorabile Mallarme' di Carlo Bo. 

La lezione di fedelta' al proprio impegno, di rigore supremo credo abbia valore anche cent'anni dopo - devozione feroce e insieme accettazione della sconfitta. Perche' non dirlo? La poesia di Mallarme' segna una disfatta, almeno secondo i parametri del suo autore. Disfatta grandiosa, almeno quanto il progetto inseguito. Poche volte nei secoli la letteratura ha raggiunto picchi maggiori. Un professeur d'attention lo chiama Paul Claudel; etichetta criticamente pertinente, di la' dall'allusione agli anni ingrati dell'insegnamento. Mallarme' ha espulso dal suo lavoro retorica, gonfiezza, facilita', approssimazione. 

Come "professione d'attenzione" ha molto da insegnarci. 

Nessuna vaghezza - che e' appunto disattenzione profonda; nei suoi versi non si danno sinonimi: ogni parola, nome aggettivo verbo, e' unica, centrata nel suo valore radicale, detta una volta sola per sempre

Le Muse indefettibili di Mallarme' sono la sintassi e l'etimologia: l'ha mostrato in maniera eccellente (si pensi solo al ricorso "creativo" al dizionario Littre'). Stefano Agosti, oggi il piu' autorevole e acuto mallarmista, non solo in Italia, con le analisi capillari del "Cigno" e del "Fauno". Mallarme' e il simbolismo hanno avuto influsso determinante sulla poesia italiana del secolo: futuristi, ermetici, fino ai piu' prossimi poeti visivi. 

Capisco che ai giovani scrittori "simbolismo" suoni qualifica vitanda. Ma Mallarme' e' davvero un simbolista?

In effetti il suo lavoro apre una progettazione piu' ampia e nuova. Mallarme' muore nel 1898; 

L'interpretazione dei sogni di Freud inaugura il secolo; pero' certi esemplari mallarmeani non s'inscrivono in una esperienza (testuale) d'inconscio, avant lettre? Non e' del tutto attuale il rapporto fra soggetto e linguaggio, alla base della esperienza mallarmeana? 

Mettiamo pure, scriveva Valery, che Mallarme' sia oscuro, sterile, prezioso: ma se attraverso tali difetti mi ha spinto ad anteporre a tutto il possesso cosciente della funzione del linguaggio e il sentimento di una liberta' superiore dell'espressione, questo e' un bene incomparabile, che non mi e' stato mai offerto da nessun libro trasparente e facile.



L'ultima lettera a moglie e figlia "Mere, Veve, il terribile spasmo di soffocazione appena sofferto puo' ripresentarsi durante la notte e sopraffarmi. Allora non vi stupira' che pensi al mucchio semisecolare delle mie note, che diventera' per voi un grande imbarazzo; visto che non un solo foglietto puo' essere utilizzato. Solo io potrei cavarne fuori cio' che contiene... L'avrei fatto se gli ultimi anni non mi avessero tradito. Percio', bruciate tutto: non c'e' nessuna eredita' letteraria, mie povere care. Non sottomettetelo al giudizio di qualcuno: o rifiutate ogni ingerenza curiosa o amichevole. Dite che non ci si capirebbe niente, del resto e' la verita', e voi, mie povere prostrate, i soli esseri al mondo capaci di rispettare fino a questo punto tutta una vita d'artista sincero, credete che doveva essere molto bello...". (da Vie de Mallarme' di Henri Mondor) Gramigna Giuliano.

02/08/15

Partire è un po' morire - di Edmond Harancourt






Partire è un po' morire
è morire a ciò che si ama
Lasciamo un po' di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.

E' sempre il lutto di un voto,
l'ultimo verso di un poema;
Partire è un po' morire
E si parte, come per un gioco

E fino all'addio supremo
è l'anima che l'ha seminato
che l'ha seminato ad ogni addio
Partire è un po' morire.


Rondel de l'adieu

Partir, c'est mourir un peu,
C'est mourir à ce qu'on aime :
On laisse un peu de soi-même
En toute heure et dans tout lieu.

C'est toujours le deuil d'un vœu,
Le dernier vers d'un poème ;
Partir, c'est mourir un peu.
Et l'on part, et c'est un jeu,

Et jusqu'à l'adieu suprême
C'est son âme que l'on sème,
Que l'on sème à chaque adieu...
Partir, c'est mourir un peu.


Edmond Haraucourt, le Rondel de l'adieu, da 'Seul' (1890)

13/04/15

Il "Testamento" di Rainer Maria Rilke - Un testo sublime.





L'inverno del 1920-21 Rainer Maria Rilke si rifugia nel castello Schloss-Berg nel cantone di Zurigo. Qui scriverà una nuova elegia (un abbozzo) dedicata all'infanzia (e contenuta ne L'Illustrazione Italiana n.13) e questo Testamento, testo durissimo e veramente sconvolgente, sorta di purificazione interiore (ed esteriore, tramite silenzio ed isolamento) dai rapporti e dalle relazioni per ritrovare il vigore di una parola assoluta.

Raggiunge i vertici la sperimentazione linguistica del taccuino bruciato, simile alle astrazioni junghiane associative - un testo misterioso e affascinante, come tutto Rilke.

Basti questa singola pagina, (67 della edizione italiana TEA con la traduzione di Claudio Groff, Ugo Guanda Editore, 1983):

L'ascesi non rappresenta certo una soluzione; è sensualità di segno negativo. Può tornare utile al santo, come supporto ausiliario; nel punto di intersezione delle sue rinunce, egli scopre quel dio del contrasto, quel dio dell'invisibile che ancora non ha posto mano alla creazione.

Ma chi è impegnato nei sensi, chi deve considerare pura l'apparizione e autentica la forma, come potrebbe iniziare con la rinuncia !  E seppure questa gli si rivelasse in un primo momento utile e vantaggiosa, per lui rimarrebbe inganno, stratagemma, raggiro -, e infine si vendicherebbe in un qualche punto del suo arco creativo sotto forma di durezza, aridità, inammissibilità, viltà del frutto. 




26/10/14

Poesia della domenica - 'Sonetto' di Stéphane Mallarmé.




Sonetto


(Per la vostra cara morta, un suo amico)
2 novembre 1877

- “Sui boschi obliati quando passa il buio inverno,
Solitario prigioniero della soglia, ti lamenti
Che questa doppia tomba futuro nostro orgoglio 
Solo di ricchi fasci assenti ahimè ! si grava.

Inascoltata Mezzanotte, che il vano numero gettò, 
Ti esalti nella veglia per non chiudere gli occhi
Fin che nelle braccia della vecchia poltrona
L’ultima fiamma non rischiari la mia Ombra.

Chi vuol sovente avere la Visita non deve
Di troppi fiori opprimere la pietra che il mio dito
Solleva nello stremo di una forza defunta.

Anima che trema d’assidersi al chiaro focolare,
Per rivivere mi basta alle tue labbra cogliere
Il soffio del mio nome a lungo sussurrato una sera."



Da: Stéphane Mallarmé - Sonetti, a cura di Cosimo Ortesta, Quaderni della Fenice, Ugo Guanda Editore, 1980.

QUI il testo in francese originale.

12/10/14

Poesia della Domenica - "Nuit de l'enfer" di Artur Rimbaud




Muoio di sete, soffoco non posso gridare. E' l'inferno, la pena eterna ! (...)
Qui c'è vergogna, qui c'è rimprovero: Satana dice che il fuoco è ignobile, che la mia collera è talmente sciocca.
- Basta!... con gli errori suggeriti dagli altri, magie, falsi profumi, musiche purerili.
- E dire che ho in mano la verità, che vedo la giustizia: il mio giudizio è sano e sicuro, sono pronto per la perfezione (...)
Le allucinazioni sono innumerevoli. Proprio quello che ho sempre avuto: più nessuna fiducia nella storia, dimenticare i princìpi (...)
Questa poi ! L'orologio della vita si è fermato poco fa. Non sono più al mondo.
- La teologia è seria, sicuramente l'inferno sta in basso - e il cielo in alto .
Estasi, incubo, sonno in un nido in fiamme. (...)
Fra poco svelerò tutti i misteri: misteri religiosi e naturali, morte, nascita, avvenire, passato, cosmogonia, niente. Sono maestro di fantasmagorie (...)
Su fidatevi di me, la fede rincuore, guida, guarisce.  Venite tutti - anche i fanciulli - che io vi consoli, che per voi effonda il suo cuore, - il cuore meraviglioso! (...)
Muoio di spossatezza. E' la tomba, me ne vado ai vermi, orrido dell'orrido ! Satana, burlone, tu vorresti dissolvermi, con i tuoi sortilegi. (...)
Mio Dio, pietà, nascondetemi, io mi comporto troppo male ! - Sono nascosto e non lo sono. E' il fuoco che si ravviva con il suo dannato.


da Saison en enfer, Arthur Rimbaud, 1873.


27/07/14

La poesia della domenica - 'Pioggia' di Federico Garcia Lorca.




Pioggia


La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.

È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.

È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.

La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.

L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.

E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.

Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.

O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!

O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.

Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.

La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all'orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.

O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da' all'anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!


13/07/14

La poesia della domenica - Tre frammenti d'amore di Anacreonte.





Omaggio

Amore molle, rigoglio di mitre fiorite: mi piace
fargli canzoni.
Chi domina gli dei
è lui, chi doma gli uomini
è lui.



Il mite

Voglio fare all'amore
con te.
Hai così vaga l'anima.


I dadi

Amore gioca: le follie, le risse
i suoi dadi.



Anacreonte;  tratto da Saffo-Alceo-Anacreonte, Liriche e frammenti, Traduzione di Filippo Maria Pontani, Einaudi, 1965. 

01/06/14

La poesia della domenica - "Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura" di Pablo Neruda.



Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d'allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l'assenza
che v'entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all'aria.
È una casa tanto trasparente l'assenza
 che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.

Pablo Neruda, da Cento sonetti d'amore

Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura 
que despiertes la furia del pàlido y del frìo, 
de sur a sur levanta tus ojos indelebles, 
de sol a sol que suene tu boca de guitarra. 
No quiero que vacilen tu risa ni tus pasos, 
no quiero que se muera mi herencia de alegrìa, 
no llames a mi pecho, estoy ausente. 
Vive en mi ausencia como en una casa. 
Es una casa tan grande la ausencia 
que pasaràs en ella a través de los muros 
y colgaràs los cuadros en el aire. 
Es una casa tan transparente la ausencia 
que yo sin vida te veré vivir 
y si sufres, mi amor, me moriré otra vez.