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23/11/20

Pompei: Cosa sappiamo dei due corpi ritrovati miracolosamente intatti



I corpi di due fuggiaschi, travolti dalla furia dell'eruzione del 79 d.C. Quello di un uomo abbiente, il padrone, e, molto probabilmente, quello del suo schiavo. 

Quelli che sono riemersi dalle ceneri, a Pompei, restituiti grazie alla tecnica dei calchi in gesso, ideata nell'Ottocento da Giuseppe Fiorelli. 

La colata di gesso liquido nelle cavita' lasciate dai corpi degli abitanti dell'antica citta' romana fa emergere dettagli impressionanti. 

La prima vittima e', quasi certamente, un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili; indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui e' ben visibile l'impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. 

Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro e' leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull'addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude. 

La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane eta' del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perche' si pensa che fosse uno schiavo. 

Durante la realizzazione di questo primo calco e' avvenuta la scoperta delle ossa di un piede, che ha rivelato la presenza di una seconda vittima

È in una posizione completamente diversa rispetto alla prima, ma attestata in altri calchi a Pompei. Il volto e' riverso a terra, a un livello piu' basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio.

Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate.

 L'abbigliamento e' piu' articolato rispetto all'altro uomo. Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra.

In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi e' anche l'impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. 

La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, piu' anziano pero' rispetto al primo, con un'eta' compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri. 

La scoperta e' avvenuta durante l'attivita' di scavo in localita' Civita Giuliana, a 700 metri a nord ovest di Pompei, nell'area della grande villa suburbana dove gia' nel 2017 furono rinveneuti i resti di tre cavalli bardati. 

"Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei e' importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti - dichiara il ministro per i beni e le attivita' culturali e per il turismo Dario Franceschini - ma perche' e' un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora piu' di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro". 

"Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana - gli fa eco il Direttore del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna - perche' condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi e' una fonte di conoscenza incredibile".

12/10/20

Eruzione di Pompei: Scoperti neuroni in un cervello vetrificato


Un nuovo studio pubblicato dal PLOS ONE, autorevole rivista scientifica americana, rivela l`eccezionale scoperta di neuroni umani da una vittima dell'eruzione che nel 79 d.C. seppelli' Ercolano, Pompei e l'intera area vesuviana fino a 20 km di distanza dal vulcano. 

La scoperta e' tutta italiana, frutto del prestigioso lavoro dell`antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale dell`Universita' di Napoli Federico II, in collaborazione con geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici di Atenei e centri di ricerca nazionali, che hanno raggiunto risultati eccezionali nonostante le limitazioni imposte dal Covid-19. 

"Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi e' un evento insolito - spiega Petrone, coordinatore del team - ma cio' che e' estremamente raro e' la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti". 

L`eruzione, che causo' la devastazione dell`area vesuviana e la morte di migliaia di abitanti, seppellendo in poche ore la citta' di Ercolano ha permesso la conservazione di resti biologici, anche umani. 

"La straordinaria scoperta ha potuto contare sulle tecniche piu' avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell`Universita' di Roma Tre, un`eccellenza italiana - spiega Guido Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell`Ateneo romano - dove le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che da' chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell`eruzione". 

"I risultati del nostro studio mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall'eruzione, unico nel suo genere, ha 'congelato' le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi", aggiunge Petrone. 

Le indagini sulle vittime dell`eruzione proseguono in sintonia tra i vari ambiti della ricerca. 

"La fusione delle conoscenze dell`antropologo forense e del medico-legale stanno dando informazioni uniche, altrimenti non ottenibili", afferma Massimo Niola, ordinario e direttore della U.O.C. di Medicina Legale presso la Federico II.  

Lo studio ha anche analizzato i dati di alcune proteine gia' identificate dai ricercatori in un lavoro pubblicato a gennaio scorso dal New England Journal of Medicine. 

"Un aspetto di rilievo potrebbe riguardare l'espressione di geni che codificano le proteine isolate dal tessuto cerebrale umano vetrificato" spiega Giuseppe Castaldo, Principal Investigator del CEINGE e ordinario di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio della Federico II. 

"Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l`ipotalamo", aggiunge Maria Pia Miano, neurogenetista presso l'Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli. Le indagini sui resti delle vittime dell`eruzione non si fermano qui. Il Parco Archeologico ha inserito tra i temi di ricerca prioritari le indagini bioantropologiche e vulcanologiche per l`eccezionale interesse che possono avere non solo nello stretto ambito scientifico ma anche nel campo degli studi storici e del rafforzamento della capacita' di gestire catastrofi come l`eruzione del Vesuvio del 79 d.C. 

"Gli straordinari risultati ottenuti - conclude Francesco Sirano, Direttore del Parco Archeologico di Ercolano - dimostrano l'importanza degli studi multidisciplinari condotti dai ricercatori della Federico II e l'unicita' di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte archeologiche". 

Le ricerche in corso vanno nella direzione di una ricostruzione a ritroso delle varie fasi dell`eruzione, valutando i tempi di esposizione alle alte temperature e del raffreddamento dei flussi, che hanno importanza non solo per l'archeologia e la bioantropologia, ma anche per il rischio vulcanico. 

Queste ed altre informazioni che verranno dagli studi in corso potranno offrire importanti parametri per la gestione delle emergenze nell'area vesuviana. 

10/09/20

Scoperta a Malafede, vicino Roma, una misteriosa Vasca Monumentale lunga oltre 40 metri


Una vasca monumentale lunga oltre 40 metri, un'articolata stratificazione di edifici e costruzioni, 2 ettari di terreno, oltre 8 secoli di storia e sofisticate tecniche di scavo che hanno permesso la scoperta e lo studio dello straordinario contesto tra via Ostiense e via di Malafede.

Il ritrovamento e' avvenuto a partire dal giugno 2019, grazie alle indagini di archeologia preventiva dirette dalla Soprintendenza Speciale di Roma, in una porzione di territorio molto ampia.

Il territorio in cui e' compreso anche il fosso di Malafede, abitato fin dall'eta' preistorica, e' stato soggetto a numerose trasformazioni nel corso del tempo, spiegano dalla Soprintendenza, come testimoniano anche i preziosi reperti recuperati durante le indagini archeologiche. 

La forte presenza di acqua di falda e di risalita dal Tevere, ha reso le indagini archeologiche difficili e necessario l'impiego di sofisticate tecniche con dispositivi per prosciugare vaste porzioni di terreno. 

I resti piu' antichi risalgono all'inizio del V secolo a.C., con un successivo insediamento che si sviluppa in un monumentale edificio in blocchi di tufo, di cui sono state scoperte le fondamenta. La presenza di numerosi frammenti in terracotta dipinti indica una probabile area sacra. 

Connesso con questo primo edificio il ritrovamento piu' importante: una struttura di imponenti dimensioni risalente al IV secolo a.C. e ancora in corso di scavo: una vasca larga circa 12 metri, che si snoda per 48 metri di lunghezza in direzione della attuale via Ostiense. 

La funzione di questa costruzione è sconosciuta e ancora in fase di studio. Potrebbe ricordare vasche di decantazione, recinti rituali, contenitori di concime animale, raccolta di acqua per uso agricolo, per allevamenti o per impianti produttivi e altro ancora. 

Tuttavia la grande vasca di Malafede ha pochi termini di confronto per l'epoca di costruzione, le grandi dimensioni, la presenza di uno scivolo, i possenti blocchi di tufo che la delimitano abbinati alla mancanza di una pavimentazione di fondo. 

Sul finire del III secolo a.C. l'area attraversa una prima importante modifica: la costruzione piu' antica venne completamente spogliata, colmata e rasata con spessi strati di terra di riporto. 

Sopra il luogo di culto venne infatti costruito un complesso con funzione produttiva o commerciale, mentre la grande vasca rimase ancora attiva. 

Sara' l'analisi dei materiali che potra' offrire indicazioni preziose per definire le diverse funzioni di questa grande infrastruttura. 

I legni depositati sul fondale potrebbero fornire la soluzione all'enigma della vasca di Malafede: spicca un frammento con una scritta in alfabeto etrusco. 

14/08/20

Arriva una scoperta eccezionale: il Nuovo Orologio al Radiocarbonio. Ecco cosa potrà rivelare.



La capacita' di datazione di oggetti antichi, risalenti fino a 55.000 anni fa, raggiunge un alto livello di precisione grazie al lavoro di un gruppo internazionale di scienziati che ha permesso di migliorare sensibilmente l'accuratezza della curva di calibrazione per le datazioni al radiocarbonio. 

Un progetto - a cui ha partecipato anche l'Universita' di Bologna - portato avanti per sette anni e realizzato grazie all'analisi di oltre 15 mila reperti. 

I risultati, pubblicati sulla rivista "Radiocarbon", compongono tre nuove curve di calibrazione del radiocarbonio: IntCal20 per i reperti rinvenuti nell'emisfero nord del pianeta, SHCal20 per l'emisfero sud e Marine20 per il mondo degli oceani. 

Per l'Universita' di Bologna ha partecipato allo studio la professoressa Sahra Talamo, docente al Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician" e Principal Investigator del progetto ERC RESOLUTION, il cui obiettivo e' sviluppare set di dati di calibrazione al radiocarbonio ad alta risoluzione che permettano di ottenere datazioni in grado di fare luce sui periodi chiave della preistoria europea. 

"Queste nuove curve di calibrazione del radiocarbonio ci daranno la possibilita' di osservare il passato con un livello di dettaglio mai raggiunto prima", spiega la professoressa Talamo. "E questo ci permettera' ad esempio di ottenere nuove informazioni su un periodo cruciale della storia dell'Homo Sapiens: la dinamica del suo arrivo in Europa, le interazioni avute con l'Uomo di Neandertal e quando le popolazioni di queste due specie si sono sovrapposte in differenti regioni europee"

La tecnica del radiocarbonio - spiega l'Alma Mater - svolge un ruolo fondamentale per l'avanzamento di molti campi di ricerca. 

Non solo per gli archeologi, a cui offre la possibilita' di datare con precisione antichissimi resti (pre)storici, ma anche ad esempio per chi si occupa di geoscienze, permettendo di ricostruire le variazioni climatiche avvenute nel corso di lunghi archi temporali e offrendo cosi' informazioni utili per prepararsi ai cambiamenti climatici futuri. 

"L'avvento delle datazioni al radiocarbonio ha rivoluzionato il campo dell'archeologia e delle scienze ambientali", conferma Paula Reimer, professoressa della Queen's University Belfast (Regno Unito) che ha guidato il gruppo di ricerca internazionale. 

"Migliorare le curve di calibrazione ci permette di conoscere meglio la nostra storia: questo nuovo aggiornamento degli standard utilizzati sara' fondamentale per rispondere a domande cruciali sull'evoluzione del mondo in cui viviamo e sul ruolo svolto dell'uomo in questo processo". 

La tecnica del radiocarbonio e' stata sviluppata nel 1949 da Willard Frank Libby: una scoperta che gli valse, nel 1960, il premio Nobel per la chimica. Alla base del suo funzionamento ci sono due isotopi di carbonio: uno stabile, il Carbonio-12, e uno radioattivo, il Carbonio-14. Poiche' tutti gli esseri viventi assorbono carbonio, sotto forma di CO2, questo significa che i due isotopi di Carbonio-12 e Carbonio-14 sono presenti nel loro organismo nella stessa proporzione con cui erano presenti nell'atmosfera nel periodo in cui sono vissuti. Quando pero' un organismo muore, il processo di acquisizione di nuovo carbonio si interrompe. A quel punto, gli isotopi stabili di Carbonio-12 restano invariati, ma gli isotopi radioattivi di Carbonio-14 iniziano un processo di decadimento di cui conosciamo con precisione i tempi. In questo modo, quando misuriamo la quantita' restante di Carbonio-14 in un campione organico possiamo determinare l'eta' della morte dell'organismo a cui e' appartenuto

A complicare le cose - prosegue l'Universita' di Bologna - c'e' pero' il fatto che la quantita' di Carbonio-14 presente nell'atmosfera non e' rimasta costante nel corso della storia: questo significa che l'eta' Carbonio-14 non corrisponde a un'eta' calendario. 

Per ovviare a questo problema, si utilizza una procedura chiamata calibrazione, che permette di calibrare l'eta' Carbonio-14 con una scala di tempo assoluta: e' cosi' che nasce la curva di calibrazione conosciuta come IntCal (International Calibration Curve). 

La nuova Curva di calibrazione IntCal20 ha raggiunto un'alta precisione con l'obiettivo di sviluppare solide cronologie del cambiamento paleoambientale e una comprensione piu' dettagliata della successione degli eventi climatici. Un risultato ottenuto grazie a piu' precise analisi di Carbonio-14 dei reperti presenti nei diversi archivi che vengono utilizzati nella curva stessa. 

Tra questi ci sono ad esempio resti di alberi risalenti fino a 14.000 anni fa, stalagmiti trovate in diverse grotte, coralli rinvenuti nei mari e carotaggi di sedimenti lacustri e oceanici

In totale, per costruire le nuove curve di calibrazione il gruppo internazionale di ricerca (IntCal Working Group) ha realizzato circa 15 mila misurazioni al radiocarbonio di oggetti risalenti fino a 55.000 anni fa. "Grazie all'alto livello di risoluzione del campionamento realizzato, le nuove curve di calibrazione ci permettono di ottenere datazioni su scala decennale andando indietro nel tempo fino a 55.000 anni fa: un miglioramento significativo rispetto a quanto era possibile fare fino ad oggi", spiega la professoressa Talamo. "Questo risultato pero' e' solo il primo passo per arrivare ad un calendario preciso degli eventi che caratterizzano l'evoluzione umana. 

Per questo il progetto RESOLUTION sara' di fondamentale importanza: infatti, usando gli alberi fossili e sfruttando la sincronicita' del Berillio-10 e del Carbonio-14, (come si vede gia' in IntCal20 per il periodo di tempo tra 14,000 e 14,700 anni fa), si potra' arrivare ad una curva ancora piu' precisa e ottenere per la prima volta una risoluzione eccezionale della preistoria europea". 

30/07/20

Naufragio nel 1712: il mare della Sardegna restituisce un incredibile tesoro di monete d'oro




Un eccezionale ritrovamento di monete antiche nei fondali del Golfo di Orosei e' stato possibile grazie alla segnalazione di un subacqueo tedesco, che la scorsa estate aveva rinvenuto i primi 11 reperti. 

Grazie alla collaborazione tra i carabinieri del comando provinciale di Nuoro - a cui l'uomo aveva segnalato il caso - e dei nuclei Tutela patrimonio culturale e subacquei di Cagliari, al termine di una campagna di prospezioni archeologiche marine durata tutta l'estate scorsa, sono stati rinvenute 46 monete antiche di cui 27 in oro di conio spagnolo risalenti al periodo XVI-XVIII secolo, 3 in oro di conio francese (presumibilmente Luigi XV), 2 piemontesi del XVII sec. e 14 in argento di conio spagnolo del XVII sec.; 3 frammenti ceramici di anfore, un frammento di ceramica decorata con smalti ed un frammento di metallo, tutti di presunta epoca romana. E' stato individuato inoltre un timone di grosse dimensioni, di quasi 5 metri attribuibile ad una nave spagnola del XVII secolo. 

"Si tratta di uno dei ritrovamenti piu' importanti nel Mediterraneo - ha spiegato il dirigente della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Sassari e Nuoro Bruno Billeci, nel corso di una conferenza stampa nella sede del comando provinciale dei carabinieri di Nuoro -. L'ipotesi piu' plausibile è che le monete siano finite in acqua in seguito a un naufragio di una media imbarcazione che trasportava una riserva aurea, a ridosso del 1712, visto che alcune monete conservavano un filo di conio di quell'anno

Abbiamo condotto l'attivita' di controllo con i funzionari e tecnici responsabili di archeologia subacquea e le monete ritrovate sono variamente datate dal 1556 al 1712. Molte sono in stato di conservazione ottimale altre sono fortemente degradate e sono in corso di restauro nel nostro centro di Li Punti. La maggior parte delle monete sono spagnole". 

04/07/20

Spuntano dai fondali di Ventotene resti di una nave romana del VI secolo avanti Cristo




Nel mese di giugno 2020, a largo dell'isola di Ventotene, a seguito di una segnalazione effettuata da un esperto subacqueo del posto circa la possibile presenza di evidenze archeologiche su quel fondale marino, i militari del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) di Roma e del Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma, hanno individuato ad una profondita' di circa 40 metri, un'ancora in pietra di forma ovale (lunghezza 60 cm) proveniente da una nave risalente al periodo compreso tra il VI e il IV sec. a.C.; un ceppo di ancora in piombo (lunghezza 65 cm) e una contromarra in piombo (lunghezza 47 cm), gia' facenti parte della medesima ancora in legno non conservatasi, verosimilmente appartenente ad una nave romana risalente al periodo compreso tra il III sec. a.C. ed il I-II sec. d.C.; un ceppo di ancora in piombo (lunghezza 51 cm) interessato da processi di ossidazione e corrosione, saldato ad un'ancora di "tipo ammiragliato" in ferro con barra mobile (lunghezza 1,5 m) ed un'ancora di minori dimensioni, tutte verosimilmente appartenenti al medesimo relitto di nave romana di epoca imperiale (I-II sec. d.C.).

E poi un'ancora di "tipo ammiragliato" in ferro (lunghezza 4 m) proveniente da relitto moderno; un'ancora di "tipo rampino" (lunghezza 3 m) proveniente da relitto moderno; un'ancora in pietra di forma ovale (lunghezza 60 cm) proveniente da una nave risalente al periodo compreso tra il VI e il IV sec. a.C. 

Un ceppo di ancora in piombo (lunghezza 65 cm) e contromarra in piombo (lunghezza 47 cm), gia' facenti parte della medesima ancora in legno non conservatasi, verosimilmente appartenente ad una nave romana risalente al periodo compreso tra il III sec. a.C. ed il I-II sec. d.C.. E infine un'ancora "tipo rampino" in ferro (lunghezza 3 m) proveniente da relitto moderno. 

La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone Latina e Rieti, attraverso il suo Servizio di tutela subacquea, ha stabilito di valorizzare il contesto archeologico in situ, secondo le recenti indicazioni UNESCO in merito al patrimonio culturale subacqueo 



01/07/20

I meravigliosi Sotterranei di Napoli - Un tesoro da scoprire



I sotterranei di Napoli 


Esiste come è noto una vasta mitologia, antica e moderna, legata ai sotterranei di Napoli. Una delle città più affascinanti del mondo, oggi divenuta tentacolare, dallo sviluppo urbanistico e edilizio spaventoso, ormai giunto ad aggredire anche lo stesso minaccioso nume che la domina – il Vesuvio – nasconde nelle sue viscere un’altra città altrettanto caotica ed estesa: un vero e proprio labirinto di profondissime gallerie, cunicoli, grotte, ipogei che costellano gran parte del territorio e che ne costituiscono una specie di tessuto invisibile, propizio per la generazione di leggende, miti, tradizioni legate alla magia bianca e nera, in una città del resto già secolarmente predisposta al culto della superstizione e del soprannaturale.

Questa Napoli sotterranea ha in realtà origini antichissime, che sono quasi del tutto coeve con i primi insediamenti umani: le datazioni al radiocarbonio degli archeologi hanno permesso di stabilire che alcune prime cavità furono scavate cinque o sei millenni prima di Cristo, in epoca preistorica. 

Non sappiamo bene che cosa spinse quegli uomini, originariamente a proiettarsi nelle profondità di quel territorio. Sicuramente uno dei motivi che favorì questa attività fu la relativa permeabilità del suolo, la sua natura lavica o tufacea, che permetteva piuttosto facilmente di penetrarla. 

C’era sicuramente, all’origine, insieme alle pratiche di inumazione delle popolazioni preistoriche, la necessità di preservare i corpi dei familiari morti. E di venerarli post-mortem. Insieme a questa prima funzione cultuale, però, cominciò ben presto anche la pratica estrattiva: già nel III e nel II secolo a.C. i greci cominciarono a scavare nel sottosuolo per ricavare i grandi blocchi di tufo necessari alla fondazione della loro colonia, Neapolis, che prese il posto della cumana Partenope, fondata addirittura nell’viii secolo a.C. 

Ma il vero massiccio lavoro di scavo dei cunicoli della Napoli sotterranea fu sostenuto dai romani, i quali anche in questa occasione dimostrarono la loro incredibile perizia ingegneristica, soprattutto per quanto concerne l’approvigionamento idrico.  

Alcuni degli ipogei che oggi sono visitabili – come la grotta di Seiano o la grotta di Cocceio – testimoniano di una attività inesauribile, sempre alla ricerca di risorse idriche – come quelle del fiume Serino – che venivano convogliate e utilizzate a uso e consumo degli abitanti della ricca colonia romana. 

La manifestazione più alta di questa capacità ingegneristica è costituita proprio dalla cosiddetta Piscina mirabilis, un’enorme vasca costruita a Miseno che con i suoi imponenti quarantotto pilastri cruciformi, garantiva la riserva d’acqua – ben 13.000 metri cubi – per le navi della flotta romana che scandagliavano in lungo e in largo il Mediterraneo. 

Ma l’attività di perforazione del sottosuolo napoletano proseguì incessantemente, nei secoli, trasformandosi in un’opera immane di scavo che aggiunse agli originari scopi di approvvigionamento idrico, altre e più complesse funzioni, fino a realizzare un mostruoso reticolo di condotti – alcuni dei quali sufficiente a malapena per far  passare un uomo – che si ritiene abbia circa due milioni di metri quadri. Una percezione di questa opera – sedimentata in strati diversi, l’uno sull’altro – si ha visitando per esempio gli scavi della basilica di San Paolo Maggiore, uno dei monumenti più insigni di Napoli, costruita sui resti di una agorà greca nella odierna piazza San Gaetano. 

Lì, scendendo ben quaranta metri sotto il livello stradale attuale, in una lunga teoria di gradini e rampe, si possono toccare con mano i diversi livelli di reticoli sotterranei – diversi anche nella realizzazione e nelle tipologie – che conducono fino ai cunicoli d’epoca romana, culminanti nei magnifici resti del teatro romano di Neapolis. 

È soltanto una piccolissima porzione di quel mondo nascosto che volenterose associazioni di speleologi locali sta ancora tentando di esplorare compiutamente e di mappare: non è semplice, visto che è stata appurata l’esistenza di cunicoli lunghi chilometri in grado di mettere in comunicazione punti molto distanti della città. 

Per capire come fu possibile questo dobbiamo appunto procedere in avanti con la storia e comprendere come, alla funzione relativa prima alla sepoltura e poi all’ingegneria idraulica, se ne aggiunsero presto altre: le cavità sotterranee di Napoli, ad esempio, svolsero un ruolo importante nella spaventosa epidemia di peste, che nel 1656 si abbatté sul capoluogo campano e sul Regno di Napoli, mietendo, soltanto nella città, qualcosa come 200.000 vittime in pochi mesi. 

Tra le ragioni che scatenarono il rapidissimo diffondersi del morbo vi fu anche e soprattutto la sovrappopolazione della città e le pessime condizioni igieniche. Nel 1631 un’improvvisa e terribile eruzione del Vesuvio – che aveva ricordato a quelle popolazioni il ricordo ancestrale del disastro di Pompei – aveva causato la fuga di migliaia di persone che si erano rifugiate in città, credendo di trovare un sicuro riparo. 

Le risorse idriche risultarono ben presto insufficienti e i moti che instaurarono la Repubblica napoletana nel 1647 diedero il colpo di grazia, favorendo la diffusione della malattia, forse introdotta da alcune navi che provenivano dalla Sardegna. Nell’anno della peste, i cunicoli sotterranei di Napoli svolsero un ruolo molto importante: dapprima in esso prese a rifugiarsi parte di quella popolazione sfollata a causa della eruzione del Vesuvio. In seguito alla diffusione della epidemia, in molti credettero di poter scampare al morbo, resistendo al chiuso dei cunicoli e delle grotte sotterranee. 

Ma la peste si diffuse presto anche lì e gli stessi cubicoli finirono per diventare ossari dove venivano deposti i corpi degli appestati, cosparsi da uno strato di calce. Un esempio di questa funzione è la cosiddetta, leggendaria grotta degli sportiglioni cioè “dei pipistrelli”, ubicata al di sotto della odierna chiesa di Santa Maria del Pianto, nucleo originale del cimitero di Poggioreale

La grotta, che non è stata ancora localizzata nonostante le molte ricerche degli anni passati, è il classico esempio del diverso utilizzo delle cavità sotterranee di Napoli, dapprima usata per la ricerca di risorse idriche, poi come ricovero o nascondiglio (fu anche usata dalle truppe francesi del capitano Lautrec nel 1528), infine come ossario e sepoltura degli appestati partenopei.


Fabrizio Falconi

Il racconto continua su:


11/06/20

Stupefacente: I Radar portano alla luce un'intera città romana !



Per la prima volta gli archeologi sono riusciti a mappare con grande dettaglio un'intera città romana senza dover scavare

Con la tecnologia dei radar Gpr, come spiega sulla rivista Antiquity il gruppo delle universita' di Cambridge e di Ghent, guidato da Martin Millet, sono stati 'portati alla luce' le terme, il mercato e un tempio di Falerii novi del III secolo a.C, nella valle del Tevere.

Il Gpr (Ground penetrating radar) funziona come un radar normale, che rimbalza le onde radio sugli oggetti, e usando questa eco riesce a costruire un'immagine a profondita' diverse

Con questi strumenti i ricercatori hanno analizzato un'area di 30,5 ettari all'interno delle mura di Falerii Novi, che si trova a 50 chilometri a nord di Roma. 

Grazie ai radar si e' scoperto che la disposizione della citta' era meno standardizzata rispetto a molte altre ben studiate, come Pompei, e che il complesso del mercato, il tempio e le terme erano architettonicamente piu' elaborati del previsto per una piccola citta'. 

Nella parte piu' a sud, sempre dentro le mura, i radar hanno rivelato una grande costruzione rettangolare collegata ad una serie di tubature dell'acqua che portavano all'acquedotto, e scorrevano non solo lungo le sue strade ma anche sotto le sue insulae (gli isolati romani). 

Secondo gli studiosi questa struttura era una piscina all'aria, parte di un complesso di bagni pubblici

Ancora piu' inaspettato, vicino alla porta a nord della citta', sono state identificate un paio di grandi strutture una di fronte all'altra in un vicolo coperto con una fila centrale di colonne, che potrebbero far parte di un monumento pubblico impressionante. 

"Questo livello di dettaglio puo' trasformare il modo in cui si studiano i siti urbani - commenta Millet - Ora si puo' immaginare si usare il Gpr su citta' piu' grandi, come Mileto o Cirene". 

02/06/20

Festa della Repubblica, Riaprono da oggi 2 giugno, 50 Musei e parchi archeologici in tutta Italia. La lista.



Musei in campo per la Festa della Repubblica, con 50 aperture nella giornata di oggi mentre ieri il pubblico e' tornato al parco archeologico del Colosseo, Palatino e Foro Romano e storici e specialisti possono tornare a consultare le carte dell'Archivio di Stato di Brescia. 

Il ripristino degli accessi ai luoghi della cultura statali sulla base delle disposizioni previste dal Dpcm del 17 maggio 2020 permetteranno di aprire il 2 giugno

-il Parco Archeologico di Ostia Antica
- quattro siti del Parco Archeologico dei Campi Flegrei (Anfiteatro di Pozzuoli, Parco archeologico di Cuma, Terme Romane di Baia, Museo del Castello di Baia) 
- il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, 
- il Parco e il Giardino inglese della Reggia di Caserta, 
- il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, 
- il Parco archeologico di Ercolano, 
- la Galleria Estense di Modena, 
- il Palazzo Ducale di Sassuolo, 
- la Pinacoteca di Ferrara, 
- il Museo storico del castello di Miramare a Trieste, 
- i Musei Reali di Torino con Palazzo Reale, Armeria, Galleria Sabauda, Musei di Antichita' e Palazzo Chiablese, 
- la Galleria dell'Accademia e Museo degli Strumenti Musicali di Firenze, 
- i Musei del Bargello con Palazzo Davanzati e il Museo delle Cappello Medicee, 
- il Castello Piccolomini di Celano, 
- il Museo Archeologico "Dino Adamesteanu" di Potenza, 
- il Museo Archeologico Nazionale di Metaponto, 
- il Museo Archeologico Nazionale "Massimo Pallottino" di Melfi, 
- i cortili e il giardino romantico del Palazzo Reale di Napoli, 
- la Certosa di San Martino, il Parco e la Tomba di Virgilio a Napoli, 
- il giardino di Villa Pignatelli, 
- l'aiuola grande e il belvedere di Villa Floridiana, 
- il Museo Archeologico di Teanum Sidicinum a Teano, 
- il Museo dei Gladiatori di Santa Maria Capua Vetere, 
- il Museo Archeologico Nazionale di Pontecagnano, -
- il Teatro romano di Benevento, il Museo Archeologico di Cividale, 
- il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, 
-il Museo preistorico dei Balzi Rossi a Ventimiglia, 
- l'area archeologica di Nervi, 
- la Villa romana del Varignano a Portovenere, 
- il Museo archeologico nazionale di Luni, 
- il parco archeologico di Naquane, 
-il parco archeologico nazionale dei massi di Cemmo, -
- il Parco archeologico di Egnazia, 
- il Parco archeologico di Monte Sannace, 
- il Museo Archeologico Nazionale dell'Umbria, 
- il Museo Archeologico Nazionale di Spoleto, 
-il Museo Archeologico Nazionale di Orvieto, 
- l'area archeologica di Carsualae, 
- il Palazzo Ducale di Gubbio, -
-l'Ipogeo dei Volumni con la necropoli di Palazzone. 

 Per il 3 giugno sono inoltre previste le riaperture del Museo dell'Opificio delle Pietre Dure, della Galleria degli Uffizi, del Complesso Monumentale della Pilotta a Parma, del Teatro Romano di Gubbio, della Necropoli del Crocefisso del Tufo a Orvieto, mentre storici e studiosi potranno tornare a accedere all'Archivio di Stato di Genova. 

21/04/20

Oggi Roma festeggia 2773 anni di storia ! Tutte le iniziative (nonostante il Coronavirus)



Roma oggi, 21 aprile, festeggia i 2773 anni di storia. 

Ecco le iniziative, pur nel clima surreale della pandemia che ha reso la città deserta. 

Oggi alle 16.30 sara' possibile partecipare sulla piattaforma gratuita Zoom alla conferenza in diretta del ciclo I martedi' da Traiano

Nel nuovo appuntamento, dal titolo La memoria sulla pietra, Maria Paola Del Moro parlera' del valore della memoria personale e familiare nella societa' romana. 

Attraverso i canali web e social del Museo Pietro Canonica, si potra' seguire il secondo appuntamento di Radio Canonica, il progetto divulgativo con podcast audio, dedicato al racconto della vita dello scultore piemontese e della ricca collezione di sue opere. 
Continuera' il percorso intrapreso nella prima puntata e si concentrera' sulle prime conoscenze artistiche del giovane Pietro nella puntata La scoperta dell`arte. Non mancheranno le attivita' dedicate ai piu' piccoli. 

Il Museo della Casine delle Civette a Villa Torlonia continuera', per il quinto appuntamento de La Casine delle Meraviglie, a raccontare la dimora del Principe Giovanni Torlonia attraverso gli animali che sono raffigurati al suo interno, proponendo ai bambini di disegnarli a casa. 

In questa occasione si parlera' del Salottino dei Satiri e della raffigurazione al suo interno di un animale portafortuna: la chiocciola. 

Alle 11 sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma si ricordera' il Natale della citta' presentando un puzzle di immagini tratte dall'Album di Roma, progetto online nato dalla collaborazione tra l`Istituzione con Roma Capitale e l`Archivio Capitolino

Strumento unico per approfondire la conoscenza della Capitale, l`Album di Roma raccoglie immagini provenienti da archivi privati, enti e istituzioni, che ricostruiscono la Roma del Novecento: un volto a tratti dimenticato della citta', dei suoi territori e delle sue micro comunita'. 

Per i bambini l'istituzione alle 17.00 e' in programma, sempre sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma, la presentazione del libro Roma in rima di Massimiliano Maiucchi, con le illustrazioni di Fabio Magnasciutti, novita' editoriale pubblicata da Palombi Editori.

 La video lettura delle filastrocche su Roma sara' accompagnata da guanti animati, oggetti, pupazzi e volumi pop-up e sara' intervallata da giocolerie, magie comiche, favole e canzoni. 

Con .TdROnline, .laculturaincasa e .iorestoacasa domani alle 16 sui canali social del Teatro di Roma verra' trasmesso il primo incontro del ciclo Luce sull`Archeologia per raccontare le origini di Roma, tra mito e storia, attraverso la collaborazione e gli interventi introduttivi dello storico dell`arte Claudio Strinati, del direttore dei giornali Archeo e Medioevo Andreas M. Steiner e del direttore associato dell`Istituto Nazionale di Studi Romani Massimiliano Ghilardi. Carmine Ampolo, professore emerito di Storia Greca alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Orietta Rossini, responsabile dell'Archivio Storico Capitolino, gia' Responsabile del Museo dell'Ara Pacis, e Anna Mura Sommella, gia' direttrice dei Musei Capitolini di Roma, illustreranno al pubblico i contesti archeologici dell`area centrale di Roma per comprendere la formazione della citta', in particolare gli scavi del Foro di Cesare e quelli sul colle Palatino. 

Inoltre, sono previsti un approfondimento sul Tempio di Giove Capitolino e un racconto delle origini di Roma attraverso sette capolavori ispirati al simbolo della citta', la Lupa. 


24/01/20

Cranio misterioso a Roma: potrebbe essere di Plinio il Vecchio


E' avvincente come un giallo la storia che, un indizio dopo l'altro, indica che potrebbe essere di Plinio il Vecchio il misterioso cranio conservato nel museo dell'Accademia di Arte Sanitaria di Roma. 

"Finora non abbiamo reliquie di grandi personaggi dell'antica Roma, il cranio potrebbe essere la prima", ha detto il giornalista e storico dell'arte Andrea Cionci, che ha promosso e coordinato due anni di ricerche grazie a donazioni private e alla collaborazione di esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle universita' Sapienza di Roma, di Firenze e di Macerata.

"Le probabilita' che sia il cranio di Plinio il Vecchio sono molto molto alte, anche se in archeologia non ci sono mai certezze assolute", ha rilevato Cionci, che a Roma ha presentato i nuovi dati nel convegno sui 100 anni dell' Accademia. 

L'unica certezza, ha aggiunto, e' che "dagli studi condotti finora non e' emerso nulla che possa contraddire l'attribuzione a Plinio"

 L'indagine e' stata suggerita a Cionci dagli elementi riportati nel libro di Flavio Russo "79 d.C., Rotta su Pompei", edito dallo Stato Maggiore della Difesa. 

I primi esami, eseguiti da Mauro Brilli, dell'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr (Cnr-Igag), sono stati quelli relativi agli atomi radioattivi, che restano imprigionati e cristallizzati nello smalto dei denti permanenti non appena questi compaiono: sono indicatori importanti perché gli elementi cui appartengono e le loro quantita' variano a seconda delle zone geografiche. "I risultati sono stati incoraggianti - ha detto Cionci - perche' indicavano un soggetto vissuto in alcune zone dell'Appennino centrale e della Pianura Padana, compresa la citta' natale di Plinio il Vecchio, Como".

Un po' di delusione e' arrivata dopo gli esami condotti da Roberto Cameriere, dell'Universita' di Macerata, che indicavano che il cranio apparteneva a un individuo di 37 anni, mentre Plinio ne aveva 56 al momento della morte. 

Tuttavia molto presto gli esami antropologici hanno indicato alcune differenze fra calotta cranica e mandibola. Sulla base di questo nuovo indizio sono entrati in campo i genetisti: analizzando il Dna esterno al nucleo e che si eredita solo per via materna (Dna mitocondriale), David Caramelli dell'Universita' di Firenze e Teresa Rinaldi dell'Universita' Sapienza hanno scoperto che mandibola e calotta cranica appartenevano a due individui diversi. 

Si e' superato cosi' anche il problema dell'eta': la mandibola apparteneva a un individuo di 37 anni forse di origine africana ma nato in Italia, mentre la calotta cranica a un uomo all'incirca dell'eta' di Plinio il Vecchio. 

"Una pura ipotesi - ha detto Cionci - potrebbe essere che l'individuo piu' giovane fosse uno degli schiavi che avevano sorretto Plinio il Vecchio al momento della morte". 

Ulteriori dettagli, come la posizione in cui era stato trovato lo scheletro e gli ornamenti militari d'oro che aveva indosso lo scheletro stringono ulteriormente il cerchio intorno all'identita' del cranio. La ricerca, in via di pubblicazione da parte dell'Accademia, e' stata possibile grazie al finanziamento di cittadini privati: "hanno fatto delle donazioni attraverso la onlus dell'Accademia, che si trova in uno stato di poverta' assoluta, nonostante gli straordinali reperti che conserva". 

Fonte Enrica Battifoglia per ANSA

24/10/19

Spunta da uno scavo a Roma la "Tomba della Pellegrina" !





La sepoltura di una giovane donna, con accanto la tipica conchiglia dei pellegrini e una moneta databile tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo. E' la nuova scoperta annunciata dalla Soprintendenza speciale di Roma. 

"Un ritrovamento che ci svela un pezzo della vita medievale della citta'", commenta la soprintendente Daniela Porro. 

Si tratta di un ritrovamento casuale, avvenuto durante gli scavi per la sostituzione delle tubature Italgas in via del Governo Vecchio, in pieno centro storico

Si tratta, spiegano gli archeologi, di due diversi contesti funerari. Nel primo sono stati ritrovati due scheletri, quello della giovane donna con la conchiglia e quello di un uomo sui 30-40 anni. 

Il secondo e' un'area cimiteriale con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi. Al suo interno diverse sepolture, tutte , sembra, riconducibili all'epoca medievale. 

Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri, spiegano dalla Soprintendenza, "portano ad ipotizzare un cimitero destinato ai pellegrini e realizzato lungo la via Papalis, la strada che da San Giovanni conduceva a San Pietro". 


Nel primo contesto funerario, sotto le due sepolture dell'uomo e della giovane donna, raccontano gli archeologi, "Sono stati trovati due ossari chiusi con tegole antiche (una reca un bollo di epoca traianea), riutilizzate in epoca successiva. Le sepolture sono compromesse da precedenti lavori e non sono presenti elementi di corredo funerario con l'eccezione di una moneta di bronzo accanto alla donna databile tra la fine dell'XImo e il XIImo secolo, e di altri frammenti di conchiglie". 

Il secondo deposito individuato, particolarmente danneggiato da interventi moderni, e' un'area cimiteriale "con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi e assimilabile ad analoghe strutture documentate all'interno dell'adiacente Oratorio dei Filippini.

Le sepolture sembrerebbero tutte riconducibili all'epoca medievale. Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri sono della specie Pecten jacobaeus conosciute anche con il nome di capesante; sono infatti caratterizzate dalla presenza di due fori per appenderle alla tipica collana indossata inizialmente dai devoti in viaggio per Compostela e successivamente da tutti i pellegrini". 

Le sepolture sono probabilmente pertinenti alla Chiesa medioevale di Santa Cecilia a MonteGiordano, la cui prima attestazione risale al 1123 e che venne demolita nella prima meta' del XVII secolo per fare spazio alla costruzione dell'Oratorio dei Filippini completato da Francesco Borromini.

Gli scavi archeologici si sono conclusi venerdi' 18 ottobre con la chiusura del cantiere. I materialirinvenuti sono in fase di studio e potranno fornire ulteriori informazioni ed elementi per la datazione.

02/10/19

Spuntano altri due scheletri dagli scavi vicino alla Piramide, a Roma - Trovati anche molti chiodi




Dopo il ritrovamento del primo scheletro il 20 settembre, sono venute alla luce altre due sepolture di eta' tardo antica durante gli approfondimenti effettuati dalla Soprintendenza Speciale di Roma nello scavo Acea di Piazzale Ostiense, proprio di fronte all'uscita della Metro Piramide.

 I lavori di archeologia preventiva hanno portato alla luce i resti di una donna e di un bambino, vicino alla prima sepoltura.

La presenza di numerosi chiodi porta a ipotizzare che la inumazione sia avvenuta in una cassa, il cui legno e' deperito nel corso dei secoli: il fanciullo era deposto all'altezza dell'anca della donna.

Le tre sepolture, prive di corredo, farebbero parte della necropoli Ostiense, sorta nel I secolo a.C. ai lati della via consolare e sopravvissuta per molti secoli.


Si tratta di tombe molto povere di eta' tardo antica (IV-VI secolo d. C.), già ampiamente compromesse da precedenti lavori per i sotto servizi (acqua, elettricita').

 Lo scavo archeologico fa parte di un cantiere di Acea per il rinnovamento dell'illuminazione della piazza, ha una lunghezza di 6 per una profondita' di 1,70 metri, e sara' ultimato nei prossimi giorni. 

Nei prossimi mesi la Soprintendenza promuovera' indagini scientifiche e antropologiche sugli scheletri per ottenere ulteriori informazioni sui defunti sepolti.

Fonte ANSA

01/10/19

La millenaria storia della Basilica di San Pancrazio a Roma


La Basilica di San Pancrazio

Le storie dei martiri del primo cristianesimo romano sono sempre molto interessanti, anche perché sono quasi sempre legate con i luoghi di Roma e raccontando la storia di queste figure si finisce per raccontare anche la storia dei luoghi. E’ così anche per San Pancrazio, cui è intitolata l’antica Basilica sul  colle gianicolense.

Pancrazio, come racconta l’agiografia, tratta dalle memorie dei martiri romani, nacque da ricchi genitori di una famiglia romana nell’anno 289 d.C. a Sinnada, una cittadina della Frigia, in Asia Minore. 

Rimasto orfano all’età di otto anni (la madre era morta al momento del parto) Pancrazio fu affidato allo zio  Dionisio, al seguito del quale si trasferì a Roma, dove andò ad abitare in una splendida villa sul Celio, una zona della Città dove erano già attive numerose comunità di cristiani

Anche Pancrazio e Dionisio dunque furono battezzati e ricevettero l’Eucaristia. 


I tempi però erano molto pericolosi, visto che era scoppiata nel frattempo la feroce persecuzione di Diocleziano. Nel 303 d.C. la repressione – che causò complessivamente quindicimila vittime – si estese dalle province dell’impero fino a Roma, abbattendosi su chi si rifiutava di sacrificare agli dèi.

Questa sorte toccò anche al giovane Pancrazio – appena quattordicenne – il quale chiamato a riconoscere l’autorità dell’imperatore e rifiutandosi fermamente, fu condotto dinnanzi a Diocleziano stesso per essere giudicato.

Diocleziano.  Il sovrano, colpito dalla bellezza e dalla nobiltà del giovane, cercò perfino di convincerlo, senza risultato. La costanza sua fede gli valsero dunque l’ammirazione dei cortigiani presenti e lo sdegno dell’imperatore il quale ordinò l’esecuzione pubblica per decapitazione. 

Condotto fuori dalle mura, lungo la via Aurelia, il 12 maggio del 304, Pancrazio fu giustiziato alla presenza della matrona romana, una delle più famose del tempo, Ottavilla, la quale, sconvolta dalla sorte del ragazzo, fece raccogliere il capo e il corpo e li fece deporre in un sepolcro nuovo, lì dove sorgevano le catacombe della sua famiglia. 

Sul luogo del martirio, che è lo stesso dove oggi sorge la Basilica di San Pancrazio, si legge l’iscrizione Hic decollatus fuit Sanctus Pancratius (Qui fu decollato San Pancrazio), non lontano dall’altare dove si conservano i resti del corpo del ragazzo.


Fin qui l’agiografia ufficiale. C’è da aggiungere che la vicenda di Pancrazio si basa sostanzialmente sugli Acta - Passio sancti Pancratii - che furono scritti quasi due secoli dopo, al tempo in cui Papa Simmaco ordinò l’edificazione della grande basilica e che alcuni particolari della sua vicenda hanno generato confusione con quella di Calepodio, sacerdote romano martirizzato nel 232 d.C.

Il Martyrologium Romanum ancora oggi riporta in data 12 maggio la seguente commemorazione: A Roma, al secondo miglio lungo la Via Aurelia, memoria di S. Pancrazio, che ancora adolescente fu ucciso per la fede di Cristo; presso il luogo della sua sepoltura papa Simmaco innalzò la celebre basilica, e papa Gregorio Magno non perse occasione per invitare il popolo ad imitare un simile esempio di verace amore a Cristo. In questa data si commemora la deposizione delle sue spoglie.

Gli scavi archeologici operati nella zona hanno confermato che al di sotto dell’attuale Basilica esisteva un complesso di antiche origini, un porticato di una casa di una certa importanza, probabilmente la casa di Ottavilla, che doveva sorgere nei pressi del luogo dove fu eseguita la condanna a morte.

La fama di Pancrazio, specie dopo l’intitolazione della Basilica da parte di Simmaco, divenne enorme, si diffuse in molte parti d’Europa e a Roma condizionò i toponimi della zona al punto che anche l’antica Porta Aurelia, del circuito delle mura aureliane, cambiò il nome in Porta San Pancrazio, che mantiene anche oggi.

La Basilica fu nei secoli più volte rifatta, dapprima sotto il pontificato di Onorio I e poi nel 1609 dal cardinale Ludovico da Montereale che disseminò gli stemmi della sua casata un po’ ovunque. 

Un piccolo museo completa l’insieme della Basilica, con parte dei reperti provenienti dalle catacombe alle quali si può accedere nei pressi: vi è quella della matrona Ottavilla e quella di San Pancrazio (solo la seconda aperta al pubblico) ancora perfettamente conservate dopo duemila anni. 

21/09/19

Arriva a Roma "CARTHAGO. IL MITO IMMORTALE", la grande Mostra al Parco del Colosseo dedicata a Cartagine, la Rivale di Roma



La storia e la civiltà di una delle città più potenti e affascinanti del Mediterraneo antico saranno protagoniste, a partire da venerdì prossimo, 27 settembre e fino al 29 marzo 2020, della mostra Carthago. Il mito immortale. 

Il Colosseo, il Tempio di Romolo e la Rampa imperiale al Foro Romano accoglieranno materiali straordinari, provenienti dalle collezioni dei Musei archeologici nazionali italiani e stranieri, tra i quali spiccano quelli di Cartagine e del Bardo di Tunisi, di Beirut in Libano, di Madrid e di Cartagena in Spagna.

A curare la grande mostra, e a coordinare l’assiduo lavoro di cooperazione internazionale, è Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, insieme a Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, con Martina Almonte e Federica Rinaldi.

L’esposizione, promossa dal Parco archeologico del Colosseo, con l’organizzazione di Electa, vedrà preziose ricostruzioni e installazioni multimediali accanto a più di 400 reperti mai esposti prima, risultato delle campagne di ricerca condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana alle Isole Egadi, per guidare il pubblico alla scoperta delle vicende che legano le due grandi potenze del mondo antico: Cartagine e Roma.

Il percorso narrativo accompagnerà il visitatore dalla fondazione dell’Oriente fenicio, per poi toccare la rifondazione della nuova Colonia Iulia Concordia Carthago, snodarsi tra le testimonianze del nascente cristianesimo, di cui Cartagine divennne il centro propulsore, e infine concludersi con una appendice sulla riscoperta della città alla luce dell’immaginario moderno e contemporaneo.

Ad accogliere il visitatore all’ingresso del Colosseo sarà una ricostruzione del Moloch del film Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato da Gabriele D’Annunzio: la terribile divinità legata ai culti fenici e ai Cartaginesi.

Carthago. Il Mito immortale
Parco del Colosseo
27 settembre - 29 marzo



11/09/19

Scoperta sorprendente: Gli "Amanti di Modena" erano due individui di sesso maschile.



Quando furono scoperti, nel 2009, durante gli scavi in una necropoli modenese di epoca tardo-antica (IV-VI secolo), divennero subito gli 'amanti di Modena': due individui sepolti nella stessa tomba e deposti mano nella mano. Nonostante il pessimo stato di conservazione delle ossa rendesse impossibile individuarne il sesso, la particolare sepoltura fece subito ipotizzare si trattasse di un uomo e una donna deposti insieme nell'atto di mostrare simbolicamente il loro amore eterno

Ma un nuovo studio guidato da ricercatori dell'Universita' di Bologna smentisce ora questa ipotesi: gli 'amanti di Modena', infatti, erano due uomini. 

Nella loro analisi - i cui risultati sono pubblicati su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature - gli studiosi hanno utilizzato una tecnica innovativa che permette di determinare il sesso di un individuo a partire dalla presenza di particolari proteine contenute nello smalto dei denti

Il risultato - entrambi gli 'amanti di Modena' erano di sesso maschile - rende ora ancora piu' particolare questa tomba, che dal 2014, in seguito ad un progetto di restauro e valorizzazione, e' visibile nelle sale del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena. 

"Allo stato attuale non si conoscono altre sepolture di questo tipo", spiega infatti Federico Lugli, ricercatore dell'Universita' di Bologna e primo autore dello studio. "In passato sono state trovate diverse tombe con coppie di individui deposti mano nella mano, ma in tutti i casi si trattava di un uomo e una donna. Quale fosse il legame tra i due individui della sepoltura modenese, invece, resta per il momento un mistero"

Quando furono scoperti nel 2009, gli scheletri dei due 'amanti di Modena' erano in pessime condizioni di conservazione, tanto che con i tradizionali metodi di analisi delle ossa non si riusci' ad attribuire con certezza il sesso dei due individui. 

Per arrivare finalmente ad una risposta, i ricercatori hanno deciso allora di utilizzare una nuova tecnica basata sull'analisi dello smalto dentale. Nello smalto, infatti, possono essere contenute due particolari proteine: Amelx, presente in individui di entrambi i sessi, e Amely, presente solo negli individui di sesso maschile

Applicando questa tecnica, gli studiosi hanno analizzato i reperti dentali dei due 'amanti di Modena' insieme a quelli di altri 14 individui selezionati come campione di controllo, dimostrando cosi' che i due individui trovati nella necropoli modenese mano nella mano sono entrambi di sesso maschile. 

"Il successo del metodo di analisi che abbiamo utilizzato rappresenta una vera rivoluzione per questo tipo di studi", dice Antonino Vazzana, ricercatore dell'Universita' di Bologna tra gli autori dello studio. "Questa tecnica puo' rivelarsi determinante per la paleoantropologia, la bioarcheologia e anche l'antropologia forense in tutti quei casi in cui il pessimo stato di conservazione dei resti o la giovane eta' degli individui rende impossibile determinare il sesso a livello osteologico", aggiunge.La conferma che entrambi gli 'amanti di Modena' erano di sesso maschile apre pero' ora un altro interrogativo: qual e' il significato di questa sepoltura dall'aspetto unico? 

I ritrovamenti di tombe con due individui deposti mano nella mano, o anche abbracciati, sono diversi, sparsi in tutto il mondo e di epoche differenti: dagli 'amanti di Valdaro', trovati in provincia di Mantova e risalenti a circa 6mila anni fa, a casi simili in Grecia, in Turchia ed anche in Siberia, fino ad una coppia di scheletri rinvenuta in Romania risalente al XV-XVI secolo. 

In tutti queste occasioni, pero', si tratta sempre di coppie composte da un individuo di sesso maschile e uno di sesso femminile. 

"In letteratura non esistono altri casi di sepolture con due uomini deposti mano nella mano: non era certamente una pratica comune in epoca tardo-antica", spiega infatti Federico Lugli. "Crediamo che questa scelta simboleggi una particolare relazione esistente tra i due individui, non sappiamo pero' di quale tipo"

Tra le diverse ipotesi in campo quella degli amanti sembra essere la piu' remota. "In epoca tardo-antica e' improbabile che un amore omosessuale potesse essere riconosciuto in modo tanto evidente dalle persone che hanno preparato la sepoltura", dice ancora Lugli

"Visto che i due individui hanno eta' simili, potrebbero invece essere parenti, ad esempio fratelli o cugini. Oppure potrebbero essere soldati morti insieme in battaglia: la necropoli in cui sono stati rinvenuti potrebbe infatti essere un cimitero di guerra". 

10/07/19

Dall'11 al 13 luglio la nuova edizione del Festival "Dal Tramonto all'Appia" - "Guarda che Luna", al Parco Archeologico dell'Appia Antica .


Il Parco archeologico dell’Appia Antica torna a proporre, dopo il favore riscontrato nelle passate edizioni, l’appuntamento estivo con il festival Dal Tramonto all’Appia. Guarda che luna è il tema di quest’anno dedicato al satellite terrestre proprio per la ricorrenza del 50/mo anniversario dell’allunaggio avvenuto nel 1969. Un articolato programma di musica, teatro e parole si svolgerà a partire dall’11 luglio e fino al 13 luglio 2019 presso il Mausoleo di Cecilia Metella. 

Il festival, organizzato da Electa, prevede tre eventi serali in mediapartnership con Rai Radio 3. 

Si comincia giovedì 11 luglio alle ore 21 con il concerto “All Stars” Live!" dell’Istituto Italiano di Cumbia capitanato da Davide Toffolo (Tre allegri ragazzi morti) che si esibirà insieme a Malagiunta, Kit Ramos, Cacao Mental, Los3Saltos portando sul palco la prima compilation italiana di cumbia contemporanea, genere musicale in arrivo dal Sud America. 

Segue venerdì 12 luglio alle ore 21 Ascanio Celestini che porterà in scena racconti tratti dal suo spettacolo “Laika” che trae il titolo proprio dalla cagnetta che i sovietici spedirono nello spazio nel 1957, a seguire alle ore 22 sullo stesso palco il concerto "Futuro Remoto tour acoustic set" del cantautore Giulio Wilson. 

Infine sabato 13 luglio, sempre alle ore 21, Peppe Servillo chiuderà la manifestazione con una lettura di passi tratti dal romanzo “Il poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni e alle ore 22 si esibirà insieme agli Avion Travel con brani tratti dal loro ultimo album “Privé”. A inaugurare le tre serate giovedì 11 luglio alle ore 19.30 sarà il Direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica Simone Quilici con un saluto di benvenuto presso il Complesso di Capo di Bove. 

Gli spettacoli saranno gratuiti acquistando solo il biglietto d’ingresso ai monumenti o La Mia Appia Card. Il biglietto combinato al costo di 5 euro è valido due giorni per la visita al Mausoleo di Cecilia Metella e alla Villa dei Quintili con Santa Maria Nova; La Mia Appia Card invece consente di accedere liberamente ai monumenti citati e a tutti gli eventi organizzati dal Parco archeologico dell’Appia Antica, ha un costo di 10 euro ed è valida 365 giorni dalla data d’acquisto. L'abbonato sarà periodicamente informato con una newsletter sulla programmazione delle mostre, delle iniziative culturali e delle varie attività nel corso dell’anno. 

Il Mausoleo di Cecilia Metella e la chiesa medievale di S. Nicola nel Castrum Caetani resteranno aperti oltre l’orario consueto per godere della bellezza dei luoghi al tramonto. In caso di maltempo, qualora le condizioni meteo non consentissero il regolare svolgimento dello spettacolo, l’evento potrà essere posticipato di 30 minuti prima di annunciarne l’eventuale annullamento.