Alla mitologia di Romolo, fondatore della città, sono legati diversi fondamentali luoghi di Roma, in primis il luogo della sua sepoltura, la sua tomba, che nella tradizione di derivazione greca, assorbita dai Romani, spettava a lui di diritto nella piazza (agorà) centrale della città.
Il sacro diritto, spettante soltanto ai fondatori della città, fu dunque, in tempi antichissimi assegnato a Romolo, stabilendo che la sua tomba (heròon) dovesse collocarsi nel cuore cittadino, nel Foro, tra l’edificio della Curia e il Comizio che anticamente funzionava come orologio solare, meridiana di riferimento per tutta la città.
Il luogo della sepoltura di Romolo fu immediatamente dichiarato sacro e l’antico toponimo di Lapis Niger è legato al materiale che fu usato per la sua copertura: un lastricato in marmo nero (risalente ai lavori che furono effettuati mentre regnava Lucio Cornelio Silla), i cui frammenti sono miracolosamente sopravvissuti e ancora oggi visibili.
Il luogo individuato nell’area del Foro non era soltanto quello della sepoltura di Romolo, bensì anche quello della sua morte. Nella probabile realtà storica infatti – a dispetto della tradizione che volle deificare Romolo raccontando di una sua ascesa al cielo dal Campo Marzio, avvolto in una nube luminosa - il fondatore di Roma sarebbe stato ucciso da una congiura dei patrizi durante una seduta del consiglio regio al Volcanale, ovvero il Tempio di Efesto nel Foro Romano, che si trovava proprio sopra il Comitium.
Il Lapis Niger poi potrebbe essere ancora più antico e precedere la stessa sepoltura di Romolo: secondo alcuni infatti il luogo sarebbe già stato identificato per dare sepoltura a Faustolo, il padre adottivo di Romolo.
Mentre secondo altri ricercatori l’antichissima tomba (che una volta era a cielo aperto) si riferirebbe ad Osto Ostilio, il nonno di Tullo Ostilio, il terzo dei re di Roma.
E all’epoca di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), lo scrittore riferiva la presenza di due leoni accovacciati che erano di guardia al sacro sepolcro.
Quel che è certo è che il primo nucleo originario della struttura risale al VI secolo a.C. e a questa stessa epoca risalgono le strutture sotterranee: una piattaforma su cui era posto un altare a forma di U dotato di un basamento e di due cippi, uno conoidale che forse era la base di una statua (probabilmente di Orazio Coclite identificato come il dio Vulcano aggiunta all’inizio del III secolo a.C.), ed uno trapezoidale con una legge sacra iscritta in latino arcaico su tutte e quattro le facce.
I cippi sono oggi entrambi mutili, ma ovviamente quello più interessante è quello trapezoidale che ha dato molto lavoro agli archeologi e agli epigrafisti. L’iscrizione infatti presenta caratteri simili alla scrittura greca, ma che non sono greci e perlopiù sono disposti alla maniera bustrofedica, cioè da sinistra a destra e a capo da destra a sinistra, come fanno gli aratri nei campi.
Per molto tempo questa iscrizione – fino alla incredibile scoperta della Fibula Praenestina (la spilla in oro del VII secolo a.C. scoperta a Palestrina nel 1887 e conservata oggi al Museo Luigi Pigorini) – era ritenuta la più antica latina mai conosciuta.
E ancora oggi viene ritenuta importantissima per la decifrazione del latino arcaico. Pur essendo mutilata, gli esperti hanno potuto interpretare l’iscrizione come una formulazione di maledizione contro chi osasse violare questo luogo di sepoltura sacro, un po’ come avveniva per i sepolcri dei faraoni dell’Antico Egitto.
Il nero utilizzato per il lastrico, i leoni di guardia, e la misteriosa pietra, hanno per lungo tempo protetto il luogo dalla intrusione dei predoni e dalla furia dei vandali. E ancora oggi è una delle principali attrazioni del Foro Romano.
Fabrizio Falconi
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