16/01/22

Chi era il vero poeta che si nascondeva dietro il nome di Humboldt nel romanzo che valse a Saul Bellow il Premio Nobel per la Letteratura?

Delmore Schwartz in una foto giovanile 

Il Dono di Humboldt è il grande romanzo che, uscito nel 1975, valse a Saul Bellow il premio Pulitzer nel 1976 e contribuì non poco anche al conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, assegnato a Bellow in quello stesso anno. 

Un romanzo fiume, che aveva al centro la figura di un poeta vero, cui la fama non aveva arriso, che viveva una vita piuttosto oscura, sempre in bilico sul disagio psichico, ma il cui enorme talento incuteva nei confronti di Charles Citrine, il protagonista del romanzo (costruito da Bellow con toni autobiografici, sul modello di se stesso), soggezione e enormi sensi di colpa.

Ma chi era nella realtà il vero Humboldt? 

Le recensioni dell'epoca sottolinearono che il personaggio di Humboldt era basato sulla vita del poeta Delmore Schwartz (1913-1966). 

Come Humboldt, Schwartz aveva fantasie paranoiche che lo coinvolgevano in situazioni farsesche e umilianti

La carriera di Schwartz era iniziata brillantemente; ma alla fine non sapeva più scrivere; beveva molto e litigava con i suoi amici. La fine arrivò in uno squallido hotel nel centro di Manhattan, un infarto nel cuore della notte mentre portava fuori la spazzatura. Per giorni il corpo del poeta rimase incustodito. 

Humboldt ovviamente non era l'unico personaggio in "Il dono di Humboldt" che sembrava essere stato preso dalla vita. Charlie Citrine, che racconta la storia in prima persona, ha, come abbiamo detto, una sorprendente somiglianza con Saul Bellow. In effetti, ci sono momenti in cui la narrativa di Bellow sembra più vicina alla realtà della pubblicità di Bellow. Charlie è uno scrittore. Ha avuto un certo successo commerciale ma non ha raggiunto i suoi ideali giovanili, e ora scrive soprattutto di noia. 

L'altro protagonista è il poeta morto Von Humboldt Fleisher, resuscitato nelle memorie di Charlie. 

Ma per far muovere il romanzo, Bellow coinvolge Charlie con un personaggio di nome Cantabile, una sorta di gangster, che inizia a umiliarlo.  Charlie ha anche una ragazza, Renata, un tipo di bomba sexy, che ha già precedenti nella narrativa di Bellow, in particolare "Herzog". Renata alla fine lascia Charlie e se ne va con un becchino. 

Per quanto riguarda il "regalo" promesso dal titolo, si scopre essere denaro. 

Humboldt ha scritto la sceneggiatura di un film basato su un'idea con cui lui e Charlie si divertivano anni fa. "Ho sempre pensato che sarebbe diventato un classico", dice Humboldt nella lettera che ha lasciato a Charlie.

Come sempre, però, l'interesse di “Humboldt's Gift” non sta nella trama, è nelle idee di Bellow. 

Ha scelto di fare di Delmore Schwartz un personaggio perché la vita di Schwartz ha illustrato la difficoltà di essere un artista in America, un problema che affligge lo stesso Bellow

Inoltre, Schwartz era ebreo e Bellow è fedele alle tradizioni ebraiche. Schwartz è nato a Brooklyn nel 1913, figlio di Harry e Rose (Nathanson) Schwartz

Ha studiato all'Università del Wisconsin, alla New York University, dove si è distinto in filosofia, e ad Harvard. 

Da studente curò na piccola rivista, Mosaic, e si guadagnò la reputazione di "precocità". All'età di 24 anni pubblicò un racconto, "In Dreams Begin Responsibility" (edito anche in Italia), che lo rese famoso, almeno nei circoli letterari. 

Dwight Macdonald, che iniziò a pubblicare Partisan Review nel 1937 come "rivista socialista rivoluzionaria", ricorda l'impatto delle "Responsabilità"

Era una storia sbalorditiva, secondo Macdonald, migliore di qualsiasi altra di Hemingway o Fitzgerald, e altri critici hanno concordato sul merito di questo particolare lavoro

Nella sua concezione, dalla prima riga alla fine, “Responsabilità” ha l'aspetto di un mito o di una favola, un'idea che è balzata in piena forma nella mente, una situazione che ci sembra perfettamente ovvia una volta che l'abbiamo vista

La storia inizia nel 1909. "Mi sento", dice il narratore, "come se fossi in un cinema". Sta guardando un vecchio film muto. “È domenica pomeriggio, 12 giugno 1909, e mio padre sta camminando per le tranquille strade di Brooklyn mentre va a trovare mia madre” Suo padre sta pensando mentre cammina: come sarà bello presentarla alla sua famiglia. Ma lui - non è sicuro di volersi sposare, "e ogni tanto va in panico per il legame già stabilito".

In questa storia, come scrisse la critica dell'epoca, Schwartz è stato il primo ad avere una visione della vita ebraica in America che sarebbe stata ripresa da altri scrittori. Tutti dicevano che Delmore Schwartz era brillante, ed era stato elogiato da TS Eliot, che era come "essere stato canonizzato da un arcivescovo"

Ma questo era già un successo più grande di quanto Delmore sapesse gestire.

Fu coinvolto nella politica letteraria, cercando di preservare la fama che aveva conquistato così presto. Era terribilmente imbarazzato. Sapeva che ci si aspettava che realizzasse dei capolavori e che i critici erano pronti per lui.

La “canonizzazione” di Schwartz da parte di Eliot portò, in parte, alla morte del poeta più giovane: come qualsiasi altro genere di affari, infatti, nessuno scrittore che sia stato elogiato non riesce a suscitare invidia. 

Il secondo libro di Schwartz, "Genesis", fu così piuttosto deludente. La gente lo diceva. Fece una traduzione di "Una stagione all'inferno" di Rimbaud ed era evidente che non conosceva il francese: la traduzione era piena di passi falsi. Cosa gli ha fatto pensare di poter tradurre da una lingua che non conosceva? Aveva manie di grandezza. 

Questi sono stati seguiti da una serie di sospetti. Negli anni successivi Schwartz uscì fuori di testa, ed era convinto, come Humboldt nel romanzo, che Rockefeller stesse complottando contro di lui, danneggiando il suo cervello inviando raggi dall'Empire State Building. 

Tra i due estremi, la mente che poteva vedere la vita dei suoi genitori chiaramente come se stesse guardando un film, e la mente offuscata dal sospetto, c'erano molte fasi: contorcimenti, perdite, ritorni a se stessa, nuovi inizi e nuovi fallimenti. Le fasi sono descritte o suggerite da Bellow nel romanzo basato sulla vita di Schwartz. 

La prima edizione italiana de Il Dono di Humboldt di Saul Bellow

Ci sono aspetti di Schwartz, tuttavia, che non sono rappresentati da Bellow. Schwartz aveva una venerazione per la tradizione, in particolare le tradizioni letterarie. Quando insegnava ad Harvard, il primo di una serie di incarichi accademici, accompagnava i visitatori in un tour del cimitero di Mt. Auburn, dove è sepolta la famiglia di Henry James. 

Come si sa, l'America non è stata gentile con i poeti; offre loro abbandono e oscurità. Pochissimi poeti americani sono conosciuti dal pubblico, anche il pubblico che legge. 

Ciò che Wordsworth dice dei poeti di tutto il mondo sembra particolarmente vero per i poeti in America. Noi poeti nella nostra giovinezza cominciamo con letizia, ma ne derivano alla fine lo sconforto e la follia. Le idee con cui un uomo sceglie di vivere possono fare la differenza per il suo benessere anche se può avere una debolezza psicologica. 

Delmore Schwartz, come altri letterati in un'epoca di incredulità, non aveva altro di cui fidarsi se non la letteratura. 

Ne "Il regalo di Humboldt", Bellow fa dire a Charlie Citrine alcune cose dure sui compilatori di antologie che, dalla morte di Humboldt, hanno omesso le sue poesie dalle loro raccolte. 

Nella sua passione per l'arte Schwartz era ingenuo, nel buon senso del termine. Era l'amante della poesia che la gente amava. 

Alcuni artisti si consumano nel processo di creazione: hanno fatto del loro meglio e non c'è più niente da fare. Un episodio in cui Humboldt insegue un critico è tratto dalla vita. Schwartz era fuori di testa per la gelosia, o geloso perché era fuori di testa. Il critico aveva una stanza al Chelsea Hotel. Con suo sgomento, anche Schwartz prese una stanza lì e iniziò a molestarlo. Le cose sono arrivate al culmine una notte con Schwartz che ha bussato alla sua porta, gridando: "Esci e combatti come un uomo!"  Il critico ha telefonato alla reception e loro hanno chiamato la polizia. Quando sono arrivati, il critico non ha voluto sporgere denuncia. Aveva la sua carriera a cui pensare: non gli sarebbe servito a niente essere conosciuto come il critico che ha fatto rinchiudere un poeta. La polizia ha fatto alcune domande e Schwartz è salito nella sua stanza e si è chiuso dentro. La polizia è salita e lui non li ha lasciati entrare. È diventato isterico. Sono entrati dopo di lui. È diventato violento. Lo hanno portato via.

Era difficile per coloro che conoscevano Schwartz solo nei suoi ultimi anni capire che una volta era stato un uomo dotato e attraente. 

Negli ultimi anni Schwartz ebbe un lavoro alla Syracuse University. Lo trattavano generosamente; hanno sopportato molto, perché non ha insegnato la materia, ha insegnato da solo. Ma i giovani lo amavano: era uno dei pochi professori a casa cui sarebbero andati. Negli ultimi mesi, quando era nei bar del Greenwich Village, a bere birra nel tentativo di rimanere sobrio, era al centro di un gruppo di giovani, tra i quali un giovane Lou Reed che successivamente e per sempre, considerò Schwartz il suo maestro. Poi sarebbe tornato al suo albergo delle pulci sulla 48esima strada.

Tutti concordano sul fatto che Schwartz nel suo periodo migliore fosse un grande oratore: "se fosse stato inglese sarebbe stato nominato cavaliere per la sua conversazione", afferma Dwight Macdonald. 

Bellow è sempre stato affascinato dal comportamento disinibito e turbolento. È particolarmente affascinato dalla vita bassa, le persone sagge del mondo. "I figli delle tenebre", diceva spesso, "sono più saggi nella loro generazione dei figli della luce". 

Il poeta di Bellow è pazzo, mentre Delmore Schwartz lo era solo a volte e sempre più verso la fine della sua vita. Questo ci porta al punto del romanzo: Bellow vede l'artista come un capro espiatorio. L'uomo sensuale ordinario guarda la vita dell'artista e dice a se stesso: “Se non fossi un bastardo, un ladro e un avvoltoio così corrotto e insensibile, non potrei sopravvivere neanche a questo. Guarda questi uomini buoni, teneri e dolci, i migliori di noi. Hanno ceduto, poveri pazzi"

 Il messaggio non è nuovo. Altri hanno sottolineato che la vita autodistruttiva di Dylan Thomas o Plath o Berryman serve a rassicurare la classe media sui suoi valori

E gli stessi poeti si sono affrettati a conformarsi, accettando il ruolo assegnato, e si sono ubriacati fino allo stordimento, si sono uccisi, hanno recitato un'idea borghese della vita dell'arte. “E poeti come ubriaconi e disadattati o psicopatici, come i miseri, poveri o ricchi, sono sprofondati nella debolezza". 

Il comportamento di Humboldt - comprare una pistola e inseguire il critico che crede abbia sedotto sua moglie - è irrimediabilmente antiquato. A questo punto, Bellow  sta dicendo all'artista: "Povera linfa, non ce la farai mai". Gli consiglia di rinunciare alla sua arte e di trovare “la cosa nuova, la cosa necessaria” che gli permetterà di poter competere con la modernità tecnologica. 

Qual è la "cosa nuova?" Bellow non dice. Charlie Citrine ipotizza nuovi tipi di coscienza e l'immortalità dell'anima, ma i suoi pensieri sono troppo vaghi per essere confortanti. Tutto ciò di cui possiamo essere sicuri è la distruzione del poeta. E non c'è differenza tra la vita e l'arte: come il poeta è condannato, così è la poesia. Bellow si è impegnato a dimostrare che l'arte come l'abbiamo conosciuta non è più possibile in un mondo di macchine. Sembra determinato a portarlo con sé, senza lasciare nulla per il resto di noi. Ma non è necessario accettare questo punto di vista. 

Schwartz ha detto questo sul futuro della poesia: “Nel mondo moderno, la poesia è alienata; rimarrà indistruttibile finché sopravvive la fede e l'amore di ogni poeta nella sua vocazione”. 

La vita di Schwartz, per quanto infelice, sembra rappresentare qualcosa di più: una devozione. Schwartz è rimasto insomma una delle figure simboliche che tormentano la coscienza degli americani, dai tempi in cui non riusciva più a scrivere e vagava per New York in cerca di affetto. Nella vita riuscì a raggiungere le vette della commedia, gli abissi dell'umiliazione, il pathos che ammirava nei libri. La sua vita è un classico americano, anche se forse non la sua arte. Ed è tutto questo che Saul Bellow ha cantato con la sua grande opera. 

Saul Bellow


fonti: Louis Simpson, The New York Times 


 

15/01/22

Addio o Arrivederci o Ciao? Le esequie di Sassoli e qualche riflessione sulla percezione del distacco

 




Ho visto, in giro per Roma, il giorno dei funerali di stato di David Sassoli, i manifesti affissi da un partito politico, con una grande foto e l'unica scritta che campeggiava: "Addio David". 

Mi è venuto da pensare che la scelta di quella parola - "Addio", non "Arrivederci" o "Ciao" - deve essere stata motivata dal ribadire la fedeltà a un concetto laico della vita terrestre.  La parola "Addio" infatti, nella accezione corrente, indica una separazione definitiva, il punto in cui qualcosa finisce, la storia comune si divide, senza nessuna certezza, né concreta speranza di rivedersi. 

In realtà l'uso corrente di questa parola, e del saluto che indica, grazie alla sua contrapposizione con "Arrivederci", molto usato nella lingua italiana (e nell'equivalente francese "Au revoir" e tedesco "Auf Wiedersen" mentre non esistente in questo significato nella lingua inglese che ha "Goodbye"), ha snaturato l'etimologia stessa della parola, che invece nel senso originario della lingua italiana, evoca, nel momento del saluto, una terza presenza, tra chi saluta e chi parte, che è quella dell'Altissimo. 

L'etimologia di "Addio" infatti sta per la frase "Vi raccomando a Dio" che si usava nel prendere commiato e nel salutarsi amichevolmente. 

Si trattava insomma di "rimettere alla volontà di Dio" -  Ad-Dio - la possibilità di ri-incontrarsi e rivedersi con chi amiamo, in questa come nell'altra vita.

Insomma, non vi era nell'antica accezione, quel significato "definitivo" che oggi largheggia, quando usiamo la parola "Addio".

Proprio perché oggi, quando speriamo o contiamo di rivedere qualcuno - presto o tardi - e di poterlo riabbracciare, usiamo "Arrivederci" - A - rivederci. 

Sembra insomma che il pragmatico uso della lingua inglese - un "Goodbye"  che vale sia come "ciao" (ci rivediamo, non si sa quando), che "addio" (non si sa se e quando ci rivedremo"), abbia contagiato anche i linguaggi moderni latini. 

Oggi chi non crede all'eventualità di una oltre-vita, di una vita di qualunque tipo essa sia, oltre la morte, usa la parola "Addio".  

Chi crede in qualche forma di sopravvivenza o nella resurrezione cristiana, usa più facilmente l'Arrivederci. 

Tutto dipende dalla percezione umana del distacco. 

Durante la cerimonia pubblica delle esequie di David Sassoli - la cui scomparsa ha suscitato una estesissima commozione e partecipazione nel paese - si sono ascoltati interventi diversi tra chi ha voluto ricordarlo. 

La cerimonia dei saluti, o il valzer degli addii (come lo chiamerebbe forse Kundera), si ferma di fronte alla totale ignoranza che aspetta l'uomo di fronte al suo destino post-mortem. 

In fondo un saluto, qualunque saluto, e in qualunque forma - come ci hanno insegnato i padri romani - è l'augurio a qualcuno che amiamo di "stare bene", di  stare in "salute" e quindi in felicità, non essendo altro che - il saluto - il participio passato del verbo "salvere", ovvero "star sano". 

E' esattamente l'augurio che ciascuno che ha amato David Sassoli in vita, si sente di fargli, ora che è morto: di "stare comunque bene", di "essere comunque felice", nel luogo o non-luogo dove si trova o non si trova ora. 

Fabrizio Falconi 


14/01/22

Il lato oscuro di Fabrizio De André: come possono essere crudeli i padri (anche se sono grandi poeti)

 


Fa impressione la crudeltà dei padri. Anche - e a maggior ragione - quando sono persone illuminate, grandi musicisti e poeti, che hanno lasciato il patrimonio della loro arte a tutti.

Il lato oscuro del grande Fabrizio De André emerge da questi passaggi della intervista rilasciata dal figlio, Cristiano a Massimo Cotto, qualche tempo fa, su Sette del Corriere della Sera.

Lo riporto qui:


Un padre assente?


«Mio padre aveva orari tutti suoi. Dormiva di giorno e scriveva di notte. Non lo vedevo mai. Quando facevo un po’ di baccano, lo sentivo urlare: “Portate via il bambino”. Una volta, la maestra diede un compito in classe: “Parlate di vostro padre”. Io scrissi: “Mio padre dorme”. Non sapevo cos’altro scrivere. Ecco, il libro che ho scritto è come un tema lungo, quel tema che non ho mai fatto. Avevo bisogno di raccontare il rapporto con mio padre e con la musica. Per farlo ho dovuto spogliarmi nudo e poi svestire anche gli altri. Ho sentito troppe falsità e bugie in questi anni. Scrivere un libro è stato un modo per riscattare la mia vita. Alla fine, però, ho scoperto che chi ha conosciuto mio padre ha capito, chi non lo ha mai incontrato forse ha giudicato male quello che ho scritto». Mi faccia un esempio.
«Beh, Agostina». Il suo primo amore?
«No, una scrofa». Una scrofa?
«Sì. Il mio primo amore, curiosamente fu una scrofa, un maiale femmina, che avevo chiamato Agostina. Quando vivevamo in Sardegna. La portavo al guinzaglio. Era la mia migliore amica. Mio padre mi lasciava fare. Poi una sera chiama un po' di amici a cena. C'era anche Paolo Villaggio. Portano a tavola una valanga di carne. E io mangio felice fino ad abbuffarmi. Poi mio padre mi guarda e mi dice: "Piaciuta la cena?" Rispondo di sì. "Bravo, sappi che ti sei mangiato Agostina." Io vomitai e piansi per due giorni. Mio padre rideva. Era fatto così. Ma non era cattivo."

12/01/22

Quella volta che David Bowie cantò a Sanremo. Ma perché?

 


Pochi lo ricordano ma perfino il grande, immenso David Bowie cadde su Sanremo (oltre che Sulla Terra, come avveniva all'extraterrestre che impersonava, nel film diretto da Nicolas Roeg). 

E per l'esattezza, la cosa avvenne nella edizione del 1997. Era ovviamente la prima volta per lui e con la sua esibizione aprì la terza serata di quel Festival,  presentando una versione accorciata del brano Little Wonder, il singolo tratto dal suo album Earthling, appena uscito.

In quella occasione andò in scena anche un vero e proprio "corto circuito" che soltanto la televisione riesce ad assemblare.  A presentare David fu infatti il povero Mike Bongiorno (all'epoca già 73enne), che di fronte al Duca Bianco, che chiaramente non capiva una sola parola di italiano, disse:  “Non mi è mai successo di presentare uno spettacolo presentando un mito… Pensate, è un cantante così famoso da essere l’unico quotato in Borsa!”

L’ UNITA’ – Venerdì 21 febbraio 1997

Biondissimo, sorridente, felice. Se la categoria degli “splendidi cinquantenni” cercasse un rappresentante ideale, David Bowie sarebbe una scelta naturale. Di passaggio a Sanremo per promuovere il suo nuovo album, Earthling, il Duca Bianco si concede alla stampa. Per raccontare le nuove delizie del drum’n’bass che esplode dal suo disco. Parole chiave: spontaneità, arte e, naturalmente, money. Ecco l’ uomo che cadde su Sanremo. 

di Roberto Giallo

SANREMO. Cap Ferrat. Come un gioiello in uno scrigno, David Bowie se ne sta tranquillo in un albergone elegante della. Costa Azzurra, a Cap Ferrat, coccolato a vista da guardie del corpo e discografici, in attesa di suonare al Festival. Compare di colpo tutto di nero vestito, biondissimo, con quegli occhi uno azzurro e uno blu che gli danno (pure!) un’aria sorniona. Qualche anno fa si era definito “oscenamente felice”, e il suo sorriso dice subito che si sente ancora così. In più, sembra un ragazzino, segno inequivocabile che il rock mantiene giovani. Ghigna e scherza, disponibile finché una Erinni multinazionale fa cenno, burbera, che il tempo è finito, e se lo porta via.

Bowie, ha un’idea di dove capiterà questa sera, in che tipo di manifestazione canterà?

No, francamente non ho la minima idea di che show sarà, e altrettanto francamente non mi interessa. Tengo moltissimo a questo mio nuovo disco e voglio fare ogni sforzo per promuoverlo a dovere. La casa discografica mi ha assicurato un’audience altissima e questo va benissimo. Quello che mi interessa è far sentire la mia band, la migliore che ho mai avuto. Per noi 7.000 o 40.000 persone è la stessa cosa, stiamo bene ovunque, indipendentemente dal contesto.

Parla come se avesse trovato la sua via dopo un decennio non proprio azzeccatissimo…
Negli ultimi dieci anni ho fatto molte cose. L’avventura con i Tin Machine mi ha dato molto, mi ha dato energia e una musica che aveva quel “tiro” che volevo. Ritengo molto importante quel che ho fatto negli anni Novanta, per cui sarebbe riduttivo dire che solo adesso ho trovato la mia via… Il disco, però, risulta in certi tratti strepitoso.

C’è un segreto? 
Si, c’è: la velocità. E’ un disco pensato, scritto e suonato in due settimane e mezza. Eravamo alla fine del tour, io e la band eravamo al settimo cielo. Abbiamo detto: ingabbiamo subito questa energia spaventosa che abbiamo addosso e tre giorni dopo il tour ci siamo chiusi in sala. Volevo proprio questo: una fotografia dell’energia che il tour aveva tirato fuori. Questo spiega anche come mai i testi sono poco più che armature di contorno alla musica, quello che mi interessa è il suono. E questo suono è molto migliore di quello che c’è in dischi molto più meditati.

Jungle music, drum and bass, elettronica.. I giornali inglesi hanno già scritto: ecco Bowie che rincorre i giovani!
Ah, ma insomma! E quale sarebbe allora la mia musica? Anche tutti i giovani che oggi fanno questa musica un paio d’ anni fa sono entrati in un mondo non loro. è una critica che potrei forse accettare dai caraibici che vivono a Londra, ma credo che non sia importante dove uno prende la roba, ma quel che ne fa. Ecco, io ho preso molto da quei suoni, ma poi il risultato è inequivocabilmente Bowie…

Beh, non si può dire che sia il suo primo approccio alla dance.
No, non si può proprio dire. E nemmeno all’elettronica. Da quando sono andato per la prima volta in Usa ho esplorato quel terreno. E anche il periodo tedesco, i Tangerine Dream, i Kraftwerk… Tutto si mischia. Vedi, credo che il rock sia davvero la più importante svolta artistica del secolo. Nessun altro, forse solo il cinema, ha lo stesso impatto, la stessa forza comunicativa. Ecco: è una forma d’arte che è arrivata davvero a tutti.

Ora è pure quotato in Borsa…
Certo, la parola magica è una sola: money. Ma l’idea è stata dei miei avvocati. Arriva un momento in cui i musicisti vendono i diritti sul loro catalogo e non ne sono più padroni. L’azionariato, i Bowie Bonds, mi sembrano migliori perché io resto padrone del mio repertorio, del mio catalogo, della mia arte.

Suona ancora il sassofono?
Sì, ci provo ancora. è uno strumento che mi piace molto. Inutile dire che adoro Coltrane, ma anche certe sperimentazioni di Miles Davis quando introdusse le manipolazioni elettroniche sulla tromba.

I progetti futuri? Si era parlato anche del Pavarotti International…
Dopo la promozione partiamo con il tour, da marzo a dicembre. E’ vero, ero stato contattato per una partecipazione al Pavarotti International, ma ero sempre in giro a suonare e non ho potuto. Chissà forse ci sarà un’altra occasione.

Bowie, scusi la domanda. Come fa a essere così a cinquant’ anni?
Ma io non ci penso mai ai cinquant’anni! Tutti pensano che il talento degli artisti si affievolisce con l’età, ma non è vero. Non è il talento che va via, è l’entusiasmo. Per la vita, per la musica, per il lavoro. Però non è detto che succeda. Se penso a geni come Burroghs o Picasso… Io voglio lavorare fino alla fine…

e con il senno di poi, possiamo dire che così è stato. 

11/01/22

Il bellissimo discorso (integrale) di insediamento di David Sassoli - 3 luglio 2019


Pubblico nel giorno della scomparsa di David Sassoli, l'integrale del suo bellissimo discorso di insediamento alla carica di Presidente del Parlamento Europeo, pronunciato il 3 luglio 2019 

Discorso Presidente Sassoli 

Cittadine e cittadini dell’Unione europea, signore e signori parlamentari, cari amici, colleghi, rappresentanti delle Istituzioni, dei Governi, donne e uomini di questa Amministrazione. Tutti voi capirete la mia emozione in questo momento nell’assumere la Presidenza del Parlamento europeo e di essere stato scelto da voi per rappresentare l’Istituzione che più di ogni altra ha un legame diretto con i cittadini, che ha il dovere di rappresentarli e difenderli. E di ricordare sempre che la nostra libertà è figlia della giustizia che sapremo conquistare e della solidarietà che sapremo sviluppare. Permettetemi di ringraziare il Presidente Antonio Tajani per il lavoro svolto in questo Parlamento, per il suo grande impegno e la sua dedizione a questa Istituzione. Voglio anche dare il benvenuto ai nuovi colleghi, che sono il 62% di quest’Aula, un bentornato ai parlamentari confermati e alle donne, che rappresentano il 40% di tutti noi. Un buon risultato, ma noi vogliamo di più. In questo momento, al termine di una intensa campagna elettorale, ha inizio una legislatura che gli avvenimenti caricano di grande responsabilità perché nessuno può accontentarsi di conservare l’esistente

Ce lo dice il risultato elettorale, ce lo testimonia la stessa composizione di questa Assemblea. Siamo immersi in trasformazioni epocali: disoccupazione giovanile, migrazioni, cambiamenti climatici, rivoluzione digitale, nuovi equilibri mondiali, solo per citarne alcuni, che per essere governate hanno bisogno di nuove idee, del coraggio di saper coniugare grande saggezza e massimo d’audacia. 

Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza. In questi mesi, in troppi, hanno scommesso sul declino di questo progetto, alimentando divisioni e conflitti che pensavamo essere un triste ricordo della nostra storia. I cittadini hanno dimostrato invece di credere ancora in questo straordinario percorso, l’unico in grado di dare risposte alle sfide globali che abbiamo davanti a noi. Dobbiamo avere la forza di rilanciare il nostro processo di integrazione, cambiando la nostra Unione per renderla capace di rispondere in modo più forte alle esigenze dei nostri cittadini e per dare risposte vere alle loro preoccupazioni, al loro sempre più diffuso senso di smarrimento. La difesa e la promozione dei nostri valori fondanti di libertà, dignità e solidarietà deve essere perseguita ogni giorno dentro e fuori l’Ue.

Cari colleghi, pensiamo più spesso al mondo che abbiamo, alle libertà di cui godiamo. E allora diciamolo noi, visto che altri a Est o ad Ovest, o a Sud fanno fatica a riconoscerlo, che tante cose ci fanno diversi - non migliori, semplicemente diversi - e che noi europei siamo orgogliosi delle nostre diversità. Ripetiamolo perché sia chiaro a tutti che in Europa nessun governo può uccidere, che il valore della persona e la sua dignità sono il nostro modo per misurare le nostre politiche... che da noi nessuno può tappare la bocca agli oppositori, che i nostri governi e le istituzioni europee che li rappresentano sono il frutto della democrazia e di libere elezioni... che nessuno può essere condannato per la propria fede religiosa, politica, filosofica... che da noi ragazze e ragazzi possono viaggiare, studiare, amare senza costrizioni...che nessun europeo può essere umiliato e emarginato per il proprio orientamento sessuale...che nello spazio europeo, con modalità diverse, la protezione sociale è parte della nostra identità, ...che la difesa della vita di chiunque si trovi in pericolo è un dovere stabilito dai nostri Trattati e dalle Convenzioni internazionali che abbiamo stipulato. 

Il nostro modello di economia sociale di mercato va rilanciato. Le nostre regole economiche devono saper coniugare crescita, protezione sociale e rispetto dell’ambiente. Dobbiamo dotarci di strumenti adeguati per contrastare le povertà, dare prospettive ai nostri giovani, rilanciare investimenti sostenibili, rafforzare il processo di convergenza tra le nostre regioni ed i nostri territori. La rivoluzione digitale sta cambiano in profondità i nostri stili di vita, il nostro modo di produrre e di consumare. Abbiamo bisogno di regole che sappiano coniugare progresso tecnologico, sviluppo delle imprese e tutela dei lavoratori e delle persone. Il cambiamento climatico ci espone a rischi enormi ormai evidenti a tutti. Servono investimenti per tecnologie pulite per rispondere ai milioni di giovani che sono scesi in piazza, e alcuni venuti anche in quest’Aula, per ricordarci che non esiste un altro pianeta. Dobbiamo lavorare per una sempre più forte parità di genere e un sempre maggior ruolo delle donne ai vertici della politica, dell’economia, del sociale. Signore e Signori, questo è il nostro biglietto da visita per un mondo che per trovare regole ha bisogno anche di noi. Ma tutto questo non è avvenuto per caso. 

L’Unione europea non è un incidente della Storia. Io sono figlio di un uomo che a 20 anni ha combattuto contro altri europei, e di una mamma che, anche lei ventenne, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie. Io so che questa è la storia anche di tante vostre famiglie... e so anche che se mettessimo in comune le nostre storie e ce le raccontassimo davanti ad un bicchiere di birra o di vino, non diremmo mai che siamo figli o nipoti di un incidente della Storia. 

Ma diremmo che la nostra storia è scritta sul dolore, sul sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia, sul desiderio di libertà di Sophie e Hans Scholl, sull’ansia di giustizia degli eroi del Ghetto di Varsavia, sulle primavere represse con i carri armati nei nostri paesi dell’Est, sul desiderio di fraternità che ritroviamo ogni qual volta la coscienza morale impone di non rinunciare alla propria umanità e l’obbedienza non può considerarsi virtù. 

Non siamo un incidente della Storia, ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo innamorati dei nostri Paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che stimolano istinti di superiorità e producono conflitti distruttivi. Colleghe e colleghi, abbiamo bisogno di visione e per questo serve la politica. Sono necessari partiti europei sempre più capaci di essere l’architrave della nostra democrazia. 

Ma dobbiamo dare loro nuovi strumenti. Quelli che abbiamo sono insufficienti. Questa legislatura dovrà rafforzare le procedure per rendere il Parlamento protagonista di una completa democrazia europea. Ma non partiamo da zero, non nasciamo dal nulla. 

L’Europa si fonda sulle sue Istituzioni, che seppur imperfette e da riformare, ci hanno garantito le nostre libertà e la nostra indipendenza. Con le nostre Istituzioni saremo in grado di rispondere a tutti coloro che sono impegnati a dividerci. E allora diciamo in quest’Aula, oggi, che il Parlamento sarà garante dell’indipendenza dei cittadini europei. E che solo loro sono abilitati a scrivere il proprio destino: nessuno per loro, nessuno al posto nostro. In quest’aula insieme a tanti amici e colleghi con molta esperienza, vi sono anche tantissimi deputati alla prima legislatura. A loro un cordiale saluto di benvenuto. Ho letto molte loro biografie e mi sono convinto si tratti di una presenza molto positiva per loro competenze, professionalità. Molti di loro sono impegnati in attività sociali o di protezione delle persone, e questo è un campo su cui l’Europa deve migliorare perché abbiamo il dovere di governare i fenomeni nuovi. 

Sull’immigrazione vi è troppo scaricabarile fra governi e ogni volta che accade qualcosa siamo impreparati e si ricomincia daccapo. Signori del Consiglio Europeo, questo Parlamento crede che sia arrivato il momento di discutere la riforma del Regolamento di Dublino che quest’Aula, a stragrande maggioranza, ha proposto nella scorsa legislatura. Lo dovete ai cittadini europei che chiedono più solidarietà fra gli Stati membri; lo dovete alla povera gente per quel senso di umanità che non vogliamo smarrire e che ci ha fatto grandi agli occhi del mondo

Molto è nelle vostre mani e con responsabilità non potete continuare a rinviare le decisioni alimentando sfiducia nelle nostre comunità, con i cittadini che continuano a chiedersi, ad ogni emergenza: dov’è l’Europa? Cosa fa l’Europa? Questo sarà un banco di prova che dobbiamo superare per sconfiggere tante pigrizie e troppe gelosie. E ancora, Parlamento, Consiglio e Commissione devono sentire il dovere di rispondere con più coraggio alle domande dei nostri giovani quando chiedono a gran voce che dobbiamo svegliarci, aprire gli occhi e salvare il pianeta. Mi voglio rivolgere a loro: considerate questo Parlamento, che oggi inizia la sua attività legislativa, come il vostro punto di riferimento. 

Aiutateci anche voi a essere più coraggiosi per affrontare le sfide del cambiamento. Voglio assicurare al Consiglio e alle Presidenze di turno la nostra massima collaborazione e lo stesso rivolgo alla Commissione e al suo Presidente. 

Le Istituzioni europee hanno la necessità di ripensarsi e di non essere considerate un intralcio alla costruzione di un’Europa più unita. Tramite il Presidente del Consiglio europeo voglio rivolgere anche un saluto, a nome di quest’Aula, ai Capi di Stato e di Governo. 

Ventotto paesi fanno grande l’Unione europea. E si tratta di 28 Stati, dal più grande al più piccolo, che custodiscono tesori unici al mondo. Tutti vengono da lontano e posseggono cultura, lingua, arte,  paesaggio, poesia inimitabili e inconfondibili. Sono il nostro grande patrimonio e tutti meritano rispetto. Ecco perché quando andrò a visitarli, a nome vostro, non sarò mai distratto. E davanti alle loro bandiere e ai loro inni sarò sull’attenti anche a nome di coloro che, in quest’Aula, non mostrano analogo rispetto. 

Lasciatemi infine rivolgere un saluto ai parlamentari britannici, comunque la pensino sulla Brexit. Per noi immaginare Parigi, Madrid, Berlino, Roma lontane da Londra è doloroso. Sì sappiatelo, con tutto il rispetto che dobbiamo per le scelte dei cittadini britannici, per noi europei si tratta di un passaggio politico che deve essere portato avanti con ragionevolezza, nel dialogo e con amicizia, ma sempre nel rispetto delle regole e delle rispettive prerogative. Voglio salutare i rappresentanti degli Stati che hanno chiesto di aderire all’Unione europea. Il loro percorso è avviato per loro libera scelta. Tutti capiscono quanto sia conveniente far parte dell’Unione. Le procedure di adesione proseguono e il Parlamento si è detto più volte soddisfatto dei risultati raggiunti. Infine, un in bocca al lupo a tutta l’amministrazione e ai lavoratori del Parlamento. 

Ci siamo dati un obbiettivo nella scorsa legislatura: far diventare il Parlamento europeo la Casa della democrazia europea. Per questo abbiamo bisogno di riforme, di maggiore trasparenza, di innovazione. Molti risultati sono stati raggiunti, specie sul bilancio, ma questa legislatura deve dare un impulso maggiore. Per fare questo c’è bisogno di un maggior dialogo fra parlamentari e amministrazione e sarà mia cura svilupparlo. Care colleghe e cari colleghi, l’Europa ha ancora molto da dire se noi, e voi, sapremo dirlo insieme. Se sapremo mettere le ragioni della lotta politica al servizio dei nostri cittadini, se il Parlamento ascolterà i loro desideri e le loro paure e le loro necessità. Sono sicuro che tutti voi saprete dare il necessario contributo per un’Europa migliore che può nascere con noi, con voi, se sapremo metterci cuore e ambizione. 

Grazie e buon lavoro.


David Sassoli 


10/01/22

Qual é il più famoso dei film non realizzati? C'erano di mezzo Kubrick e Jack Nicholson

 


Non v'è dubbio che, per il prestigio unico del regista - Stanley Kubrick - e l'imponenza del soggetto e della produzione, questo sia per molti, il più famoso film tra quelli mai realizzati. 

Dopo 2001: Odissea nello spazio, Kubrick progettò infatti di girare un film sulla vita di Napoleone . Affascinato dalla vita dell'imperatore e dal fascino della sua "autodistruzione", Kubrick trascorse molto tempo a pianificare lo sviluppo del film e conducendo per circa due anni meticolose ricerche sulla vita di Napoleone, leggendo diverse centinaia di libri e ottenendo l'accesso alle sue memorie personali e commenti. 

Cercò anche di vedere tutti i film su Napoleone e non ne trovò nessuno attraente, incluso il film di Abel Gance del 1927 che è generalmente considerato un capolavoro, ma per Kubrick un film "davvero terribile". 

I critici erano unanimi nel considerare Napoleone un soggetto ideale per Kubrick, abbracciando la "passione per il controllo, il potere, l'ossessione, la strategia e l'esercito" di Kubrick, mentre l'intensità e la profondità psicologiche di Napoleone, il genio logistico e la guerra, il sesso e la natura malvagia dell'uomo erano tutti ingredienti che non potevano non attrarre profondamente Kubrick

Kubrick preparò una sceneggiatura nel 1961 e prevedeva di realizzare un'epopea "grandiosa", con scene di massa che includevano l'utilizzo di 40.000 fanti e 10.000 cavalieri. 

Aveva intenzione di assumere le forze armate di un intero paese per realizzare il film, poiché considerava le battaglie napoleoniche "così belle, come vasti balletti letali", con una "brillantezza estetica che non richiede una mente militare per essere apprezzata". 

Voleva che fossero replicati il ​​più fedelmente possibile sullo schermo. 

Kubrick inviò gruppi di ricerca alla ricerca di location in tutta Europa e spedì lo sceneggiatore e regista Andrew Birkin , uno dei suoi giovani assistenti nel 2001, all'Isola d'Elba , Austerlitz e Waterloo, per scattare migliaia di foto perché Kubrick potesse studiarle.  

Kubrick si avvicinò a numerose star per interpretare ruoli da protagonista, tra cui Audrey Hepburn per l' imperatrice Josephine , una parte che non poteva accettare perché aveva da poco avuto un figlio. 

Gli attori britannici David Hemmings e Ian Holm vennero considerati per il ruolo principale di Napoleone, prima che la scelta cadesse definitivamente su Jack Nicholson. 

Il film era in fase di pre-produzione ed era pronto per iniziare le riprese nel 1969, quando la MGM annullò il progetto

Sono state addotte numerose ragioni per l'abbandono del progetto, compreso il costo previsto, un cambio di proprietà presso MGM, e la scarsa accoglienza che il film sovietico del 1970 su Napoleone, Waterloo , aveva ricevuto. 

Nel 2011, Taschen ha pubblicato il libro Stanley Kubrick's Napoleon: The Greatest Movie Never Made, una raccolta di documenti originali di Kubrick, come idee per foto di scene e copie di lettere che Kubrick ha scritto e ricevuto in quei due anni. 

Nel marzo 2013, Steven Spielberg, che in precedenza aveva collaborato con Kubrick all'intelligenza artificiale AI ed è un appassionato ammiratore del suo lavoro, ha annunciato che avrebbe sviluppato Napoleon come miniserie TV basata sulla sceneggiatura originale di Kubrick, ma anche questo progetto, per ora, non ha mai visto la luce. 




07/01/22

Quando Salinger cercava l'illuminazione mistica e intanto la moglie meditava di uccidere la figlia e suicidarsi

 


Ci sono molti aspetti poco conosciuti della vita di J.D. Salinger, considerato uno degli scrittori più importanti del Novecento americano, anche a causa della vita completamente appartata che lo scrittore condusse per diversi decenni, lontano da qualsiasi forma di pubblicità, fino a diventare un vero e proprio fantasma

Ciò nonostante, molti studi sono stati compiuti negli ultimi anni per mettere in luce gli aspetti più segreti della vita di Salinger, e le influenze sui temi e sulla forma della sua scrittura. 

Così, in particolare, gli anni del rapporto con la sua seconda moglie (furono tre in tutto, compresa Colleen O' Neill, sposata nel 1988, a 78 anni)

Nel febbraio 1955, all'età di 36 anni, Salinger sposò Claire Douglas (nata nel 1933), una studentessa di Radcliffe che era la figlia del critico d'arte Robert Langton Douglas. I due ebbero 2 figli, Margaret (nota anche come Peggy - nata il 10 dicembre 1955) e Matthew (nato il 13 febbraio 1960). 

Margaret Salinger ha scritto nel suo libro di memorie Dream Catcher che crede che i suoi genitori non si sarebbero sposati, né sarebbe nata, se suo padre non avesse letto gli insegnamenti di Lahiri Mahasaya, un guru seguace di Paramahansa Yogananda, che pronosticò la possibilità dell'illuminazione per coloro che avrebbero seguito il percorso del "capofamiglia" (cioè una persona sposata con figli). 

Dopo il loro matrimonio, Salinger e Claire furono iniziati al sentiero del Kriya yoga in un piccolo tempio indù di fronte a un negozio a Washington, DC , durante l'estate del 1955.

Ricevettero un mantra e un esercizio di respirazione da praticare per dieci minuti due volte. un giorno.  Salinger in questo periodo fece pressioni su Claire perché abbandonasse l'università e vivesse con lui, a soli quattro mesi dalla laurea, cosa che lei fece. 

A causa della loro posizione isolata nella Cornovaglia - dove andarono a vivere - e delle inclinazioni di Salinger, condussero una vita molto isolata, assai pesante per la giovane madre.

Claire era anche frustrata dalle credenze religiose in continua evoluzione di Salinger

Sebbene si fosse impegnata nel Kriya yoga, Claire assisteva ai repentini cambiamenti di Salinger che lasciò l'insegnamento per lavorare su una storia "per diverse settimane, che poi avrebbe distrutto per seguire il nuovo 'ismo' che dovevamo seguire", scrive nelle sue memorie. 

Dopo aver abbandonato il Kriya yoga, Salinger tentò anche con Dianetics (il precursore di Scientology), incontrando persino il suo fondatore L. Ron Hubbard, ma secondo il racconto di Claire ne fu subito disincantato. 

A questo seguì l'adesione a una serie di sistemi di credenze spirituali, medici e nutrizionali, tra cui la Scienza Cristiana , Edgar Cayce , l' omeopatia , l' agopuntura e la macrobiotica . 

La vita familiare di Salinger peggiorò dopo la nascita del suo primo figlio; secondo il libro di Margaret, Claire sentiva che sua figlia l'aveva sostituita negli affetti di Salinger. La neonata Margaret era ammalata per la maggior parte del tempo, ma Salinger, avendo abbracciato la Christian Science, si rifiutò di portarla da un medico. 

Secondo Margaret, sua madre le ammise anni dopo che era andata "oltre il limite" nell'inverno del 1957 e aveva fatto piani per ucciderla e poi suicidarsi.

Claire aveva presumibilmente intenzione di farlo durante un viaggio a New York City con Salinger, ma invece si limitò a prendere con sé Margaret dall'hotel e scappare. Dopo alcuni mesi, Salinger la convinse a tornare in Cornovaglia. 

I Salinger divorziarono nel 1967, con Claire che ottenne la custodia dei bambini. Salinger rimase vicino alla sua famiglia, costruendo una nuova casa per sé dall'altra parte della strada, in cui si recò frequentemente per vedere i figli. 

06/01/22

Libro del Giorno: "Gli scomparsi" di Daniel Mendelsohn

 



Jonathan Safran Foer, nello strillo in quarta di copertina, lo ha definito «Epico e intimo, libro meraviglioso».  

E in effetti il romanzo-saggio di Daniel Mendelsohn, ha ottenuto un meritato successo globale.  Mendelsohn, studioso di lettere classiche, critico, traduttore e docente di Letteratura al Bard College, collaboratore del «New Yorker», di «New York Review of Books» e del «New York Times», con gli scomparsi ha ottenuto il National Book Critics Circle Award 2006, il Prix Médicis 2007 e numerosi altri riconoscimenti, e dopo Un'Odissea (Einaudi 2018, finalista al Baillie Gifford Prize 2017) è autore del recente, già celebratissimo Tre anelli (Einaudi 2021). 

Ne Gli Scomparsi, il libro che lo ha portato al successo, Mendelsohn racconta, con ogni dovizia di particolari, la saga della sua famiglia di ebrei originari della vecchia Europa dell'Est e trapiantati negli Stati Uniti ai tempi delle persecuzioni naziste.

Daniel, da bambino restava seduto per ore ad ascoltare i racconti del nonno. Erano storie di un tempo lontano e quasi magico, di un piccolo villaggio della Polonia, Bolechow, in cui la vita scorreva felice. 

C’era però un punto in cui la voce del nonno si rompeva, oltre il quale non riusciva ad andare, come volesse nascondere un segreto troppo doloroso. 

Che ne era stato durante l’Olocausto del fratello Shmiel, della moglie e delle loro quattro bellissime figlie? Molti anni dopo Daniel scopre una serie di lettere disperate che il prozio Shmiel aveva indirizzato al nonno. 

Quelle lettere custodiscono frammenti del passato di una generazione perseguitata e cancellata per sempre, che in queste pagine ritorna lentamente a vivere davanti ai nostri occhi.

I particolari della vicenda che riguarda la sorte di Shmiel e della sua famiglia sono distillati con lentezza, la narrazione seguendo il ritmo della faticosa ricerca di Daniel, aiutato dai suoi fratelli, sulle tracce degli ultimi sopravvissuti testimoni di quell'epoca cancellata dalla Storia. 

Ciò che sembra stare più a cuore a Mendesohn, oltre la ricerca di quella verità familiare nascosta, comunque difficile da raggiungere in forma definitiva, è la comprensione di quel lascito dentro le dinamiche della sua famiglia di oggi, dentro le vite così diverse della contemporaneità. 

05/01/22

Perché Djokovic è contrario ai vaccini ? Retroscena di una lunga storia

 


La vicenda del numero uno del tennis mondiale, Novak Djokovic e della sua partecipazione ai prossimi Australian Open, è diventato ormai un caso internazionale. 

Ripercorriamo le recenti tappe, velocemente: ieri, 4 gennaio 2022, Djokovic ha pubblicato un post su Instagram confermando che è pronto a giocare all'Australian Open, essendo in possesso di un'esenzione medica al requisito del vaccino COVID-19 per l'accesso al torneo da Tennis Australia , tramite due gruppi indipendenti di medici. professionisti. 

L'esenzione conferma indirettamente che Djokovic non è stato vaccinato con alcun vaccino COVID-19 approvato in Australia. La notizia ha causato un immediato contraccolpo da parte del pubblico australiano, con il primo ministro australiano Scott Morrison che ha commentato che Djokovic deve ancora soddisfare i requisiti generali di ingresso del paese e dovrà fornire prove sufficienti di un'esenzione medica per entrare. 

Ma da dove arrivano le ritrosie di Djokovic al vaccino? 

Per rispondere dobbiamo riassumere gli ultimi dieci anni della sua carriera e della sua vita personale: dal 2010 il campione serbo è in contatto con il nutrizionista Igor Četojević che si occupa inoltre di medicina cinese e pratica l' agopuntura.  

Il nutrizionista avrebbe scoperto che Djokovic soffre di intolleranza al glutine , usando la kinesiologia applicata, e che non può mangiare glutine, che è stato completamente eliminato dalla sua dieta.  Alla fine fu stabilita una dieta vegana, alternata con alimentazione a base di pesce.  

Djokovic sostiene che questa dieta vegana a base vegetale abbia curato le sue allergie persistenti e l'asma lieve di cui soffriva, che avevano pregiudicato anche le sue prestazioni sportive. 

Il campione ha risvolti caratteriali indubbiamente molto particolari: dopo l'operazione al gomito nel 2018, ha dichiarato di aver cercato di evitare l'operazione e che "ha pianto per tre giorni" dopo, sentendosi in colpa. 

Durante la chiusura dell'ATP Tour a causa della pandemia di COVID-19 , in una diretta su Facebook con altri atleti serbi, Djokovic ha affermato di essere contrario alla vaccinazione e che non vorrebbe essere costretto a prendere un vaccino per poter tornare alla farina. 

Djokovic in seguito ha chiarito le sue osservazioni affermando che non è specificamente contro tutti i tipi di vaccini, ma che è contrario alle vaccinazioni forzate che utilizzano determinati vaccini specifici che potrebbe non volere, e che preferisce i vaccini che hanno pochi effetti collaterali. 

Ha anche ammesso di non essere un esperto di vaccini e che le persone che sono attualmente nel campo della medicina ne sanno di più sui vaccini. 

Le opinioni di Djokovic sulla vaccinazione sono state oggetto di un maggiore controllo alla fine del 2021, in vista degli Australian Open del 2022 . 

Anche perché continuavano a girare voci che Djokovic fosse stato nel frattempo vaccinato contro il COVID-19 . 

Daniel Andrews , governatore della regione Victoria , lo stato in cui si svolge il torneo, ha indicato che non ci saranno esenzioni non mediche alle regole di viaggio australiane relative alla vaccinazione, il che significa che i giocatori devono essere vaccinati contro il COVID-19 per partecipare al torneo o richiedere con successo un'esenzione medica. 

In un'intervista al quotidiano serbo Blic riguardo alla situazione, Djokovic ha rifiutato di commentare se fosse stato vaccinato o meno, affermando che si trattava di una questione privata. 

In precedenza aveva espresso la sua preoccupazione per la possibilità di una quarantena di due settimane in hotel dopo che fosse entrato in Australia. 

La cosa certa è che il campione serbo è da sempre un seguace delle medicine e delle pratiche alternative. In particolare è noto che Djokovic, quando si trova in Inghilterra, medita fino a un'ora al giorno nel tempio buddista Buddhapadipa a Wimbledon poiché apprezza l'ambiente naturale e la serenità ed è vicino ai monaci nel complesso. Ha più volte parlato in pubblico del potere positivo della meditazione.

La sua posizione sui vaccini però, anche se pienamente legittima, da un punto di vista personale, sta spaccando la comunità tennistica internazionale e l'opinione pubblica in generale.  Di fronte alla notizia di una sua esenzione dal vaccino e dalla evidente disparità in cui rischieranno di giocarsi i prossimi championship australiani, è lecito domandarsi: perché, visto che in Australia è richiesto l'obbligo del vaccino, Djokovic, sapendo di non essere vaccinato, non si è astenuto dal prendere parte alla competizione? A che titolo è stata rilasciata l'esenzione medica dal vaccino, per quale tipo di patologia? E da quale autorità sanitaria?  Insomma, la questione è destinata ancora a far discutere. 

04/01/22

Cosa successe a Oliver Stone quando si arruolò e partì per il Vietnam?

 



Non è certamente un caso che il più prolifico regista americano sul tema della disastrosa guerra in Vietnam sia stato Oliver Stone che a quel confitto ha dedicato ben 3 film: Platoon, considerato unanimemente un capolavoro e vincitore di 4 premi Oscar, tra cui quelli per miglior film e miglior regista, cui hanno fatto seguito Nato il ​​4 luglio (Born on the Fourth of July) e Cielo e terra  (Heaven & Earth), che trattano i diversi aspetti della guerra. 

Stone infatti ebbe esperienza diretta di quella guerra.  

Era nato a New York City, figlio di una donna francese di nome Jacqueline e di un agente di cambio. È cresciuto a Manhattan e Stamford, nel Connecticut e la guerra era già nel suo destino visto che i suoi genitori si incontrarono durante la seconda guerra mondiale , quando suo padre combatteva come parte delle forze alleate in Francia. 

Da ragazzo Oliver Stone fu ammesso alla Yale University ma lasciò gli studi nel giugno 1965 all'età di 18 anni per insegnare inglese agli studenti delle scuole superiori per sei mesi a Saigon presso il Free Pacific Institute nel Vietnam del Sud

Fu forse questa esperienza insieme al breve periodo che trascorse su una nave della Marina mercantile degli Stati Uniti nel 1966, viaggiando dall'Asia all'Oregon attraverso l'Oceano Pacifico a spingerlo ad arruolarsi, nell'aprile del 1967, nell'esercito degli Stati Uniti richiedendo espressamente il servizio di combattimento in Vietnam . 

Ma cosa gli accadde esattamente sul fronte vietnamita? Rimase nelle retrovie come capitò ad alcuni o a occuparsi di mansioni "burocratiche" o di comunicazione, come successe ad altri, o fu coinvolto direttamente nei combattimenti?  

La sua esperienza per la verità, fu veramente molto dura. Rischiò la vita molte volte e vide in faccia tutto l'orrore della guerra. 

Dal 16 settembre 1967 all'aprile 1968, prestò servizio in Vietnam con il 2° plotone, la compagnia B, il 3° battaglione, il 21° reggimento di fanteria, la 25° divisione di fanteria e partecipò ai violentissimi combattimenti, rimanendo ferito due volte in azione.  

Fu quindi trasferito alla 1a divisione di cavalleria partecipando a pattuglie di ricognizione a lungo raggio prima di essere trasferito nuovamente per guidare per un'unità di fanteria motorizzata della divisione fino al novembre 1968. 

Per il suo servizio, ricevette riconoscimenti militari, inclusa la Stella di Bronzo al valore. 

Quel periodo è testimoniato da crude immagini, come quella che apre questo post, che ritrae Stone in divisa. 

Una esperienza che deve essere stata veramente stata, per un ragazzo di 19 anni, terribile e segnante. 

02/01/22

Intervista al regista del momento, Adam Mc Kay: "Perché ho voluto fare "Don't Look Up!"

 



Don't Look Up  è sicuramente uno dei film dell'anno (scorso, ma anche il presente), visto l'enorme successo che ha riscosso al cinema (nei paesi dove è stato proiettato in sala) e sullo streaming globale di Netflix, merito anche di un cast veramente stellare.

Un film che ha diviso il pubblico tra commenti molto estremizzati - tanti lo hanno adorato e trovato bello e importante, quanto altri l'hanno stroncato nelle loro bacheche socials. 

Anche la critica "ufficiale" ha fornito recensioni di toni molto diverse.

In molti si sono chiesti quale sia, in fondo, il vero obiettivo del film e quali le intenzioni del regista e autore, Adam Mc Kay (premio Oscar per La grande scommessa, nel 2015).

E' particolarmente interessante perciò quel che Mc Kay spiega in una recente intervista: 

“Sapevo di voler fare qualcosa per la crisi climatica e stavo cercando di trovare un modo per affrontarla”, parte di ciò che fai quando fai film è provare a fare film che ti piacerebbe vedere personalmente, quindi mi sono semplicemente chiesto: ‘Puoi fare qualcosa per la crisi climatica e ridere ancora un poco?’ Fortunatamente, mi è venuta questa idea che sembrava la perfetta miscela delle due. Non c’è dubbio, dopo Vice, avevo voglia di ridere”.

Ma Don’t Look Up appare molto lontano dallo stereotipo del film comico e sembra invece piuttosto una pellicola che ha a cuore una forte denuncia sociale: la descrizione di una società regredita a meccanismi adolescenziali o infantili, che rinnega la realtà, o meglio, è del tutto incapace di interpretarla e perfino di vederla. 

Adam McKay spiega come il copione si sia evoluto durante la lavorazione: “Nel bel mezzo della realizzazione di questo film, abbiamo dovuto chiudere causa COVID, e non ho preso in mano la sceneggiatura per tipo quattro o cinque mesi, e quando l’ho finalmente presa in mano e l’ho letta, mi sembrava quasi un copione diverso. Riguardava interamente il modo in cui le nostre linee di comunicazione sono state sfruttate, rotte, distorte e manipolate. Mi ha entusiasmato in un modo che non mi aspettavo, che non si trattasse solo del clima, non solo del COVID, non solo dell’inquinamento, della disparità di reddito, della violenza, qualunque cosa tu voglia pensare – riguarda il fatto che noi non siamo più davvero in grado di parlarci in modo pulito e chiaro”.

Il regista spiega anche che il punto di vista è americano, nasce cioè dell'osservazione di quello che è successo negli Stati Uniti negli ultimi anni, ma può benissimo essere allargato alla realtà del mondo occidentale: “Lo vediamo da un po’ di tempo qui negli Stati Uniti e anche in una certa misura in tutto il mondo, che c’è questa sensazione di persone che non vogliono sentire cattive notizie”, continua il regista. “Le notizie devono essere piacevoli o stimolanti. Gran parte della nostra cultura è diventata un argomento di vendita, quindi l’idea, “Non guardare in alto, evita la verità che sta arrivando”, ho pensato che fosse in qualche modo appropriata. E allude alle comete, e mi è piaciuto che appaia nel film verso la fine”.


01/01/22

Il modo migliore per cominciare l'Anno: la meravigliosa lettera del Professore morto a Ravanusa, citata ieri sera da Mattarella nel suo discorso di fine anno

 

Nella foto il professor Pietro Carmina - al centro - con i suoi alunni 


E' davvero bellissima la lettera di addio scritta da Pietro Carmina agli studenti nel suo ultimo giorno di scuola, che è stata quasi integralmente citata dal Capo dello Stato nel suo ultimo (?) messaggio di fine anno dal Quirinale. 

Dopo la sua tragica morte nell'esplosione di Ravanusa dell'11 dicembre scorso, le parole del professore siciliano colpiscono il cuore. 

Ecco le parole lasciate ai suoi alunni nell'ultimo giorno prima di lasciare il lavoro:

Ai miei ragazzi, di ieri e di oggi. Ho appena chiuso il registro di classe. Per l'ultima volta. In attesa che la campanella liberatoria li faccia sciamare verso le vacanze, mi ritrovo a guardare i ragazzi che ho davanti. 

E, come in un fantasioso caleidoscopio, dietro i loro volti ne scorgo altri, tantissimi, centinaia, tutti quelli che ho incrociato in questi ultimi miei 43 anni

Vorrei che sapeste che una delle mie felicità consiste nel sentirmi ricordato. Ma una delle mie gioie è sapervi affermati nella vita; una delle mie soddisfazioni la coscienza e la consapevolezza di avere tentato di insegnarvi che la vita non è un gratta e vinci: la vita si abbranca, si azzanna, si conquista. 

Ho imparato qualcosa da ciascuno di voi, e da tutti la gioia di vivere, la vitalità, il dinamismo, l'entusiasmo, la voglia di lottare.

Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. 

Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non "adattatevi", impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente

Il pullman è arrivato. Io mi fermo qui. A voi, buon viaggio”.

E buon viaggio lo diciamo anche noi, caro professore !


Fabrizio Falconi - 2022