20/09/19

Nulla succede per caso. Sincronicità e coincidenze nei periodi di transizione della nostra vita




Ci sono nella vita periodi che possiamo chiamare di transizione: sono quei periodi in cui la stabilità non è tale da darci soddisfazione interiore, e allora sentiamo di dover operare dei cambiamenti in un'esistenza diventata noiosa e paralizzante;  oppure momenti in cui eventi incontrollabili gettano lo scompiglio in una situazione che avevamo ormai accettato.   Talvolta questi periodi di transizione possono essere provocati da entrambi gli elementi: una necessità interna di cambiamento e una serie di eventi esterni che ci fanno uscire da un solco nel quale non sapevamo neppure di trovarci. 

Molti individui, durante questo processo di transizione, ricevono un aiuto non soltanto esterno o sociale, ma di carattere interno e psicologico: senza che lo desideri o lo si cerchi esso giunge nella forma di una sequenza accidentale di eventi che si verifica nel momento più adatto per aiutarci a proseguire, spesso proprio quando abbiamo la sensazione che ci sia ormai poco da fare. 

Uno dei tratti distintivi della concezione junghiana della psiche è la convinzione che essa sia un fenomeno naturale e che tutti i suoi aspetti, compresi quelli in apparenza patologici o distruttivi, abbiano in realtà la funzione di far sì che lo sviluppo psicologico non si arresti. 

La visione di Jung, secondo la quale i fenomeni psicologici hanno sempre una loro funzione, rafforza la sua concezione di sincronicità. Quando accadono eventi acausali, significativi sotto il profilo emotivo e sotto quello simbolico, il fatto di sperimentare psicologicamente una sincronicità consente in qualche modo di procedere.  

Ecco perché le sincronicità si verificano sempre in momenti di transizione cruciali.

Come l'aiuto che spesso riceviamo dall'esterno, la psiche ci fornisce a volte un aiuto interno e psicologico in forma di coincidenze significative. 





19/09/19

Bacon e Freud per la prima volta insieme a Roma in una grande mostra al Chiostro del Bramante

Lucien Freud, Girl with a kitten, 1947, in mostra al Chiostro del Bramante

BACON, FREUD, LA SCUOLA DI LONDRA 
Opere della TATE 26 settembre 2019 – 23 febbraio 2020 al Chiostro del Bramante di Roma

Due giganti della pittura, Francis Bacon e Lucian Freud per la prima volta insieme in una mostra in Italia. Uno dei più affascinanti, ampi e significativi capitoli dell’arte contemporanea mondiale con la Scuola di Londra. Una città straordinaria in un periodo rivoluzionario. Bacon, Freud, l’arte britannica in oltre sette decenni, lo spirito di una città in mostra al Chiostro del Bramante di Roma dall’autunno 2019 fino a febbraio 2020, a cura di Elena Crippa, Curator of Modern and Contemporary British Art, Tate e organizzata in collaborazione con Tate, Londra.

Insieme a Francis Bacon e Lucian Freud, Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, artisti che hanno segnato un’epoca, ispirato generazioni, utilizzato la pittura per raccontare la vita. 

Grazie a un prestito di Tate, la pittura di sei artisti con opere dal 1945 al 2004 rivela, in maniera diretta e sconvolgente, la natura umana fatta di fragilità, energia, opposti, eccessi, evasioni, nessun filtro, verità. Tanti i temi affrontati: gli anni della guerra e del dopoguerra, storie di immigrazione, tensioni, miserie e insieme, desiderio di cambiamento, ricerca e introspezione, ruolo della donna, dibattito culturale e riscatto sociale. Al centro di tutto questo la realtà: ispirazione, soggetto, strumento, fino a essere ossessione. 

Un tema più che mai attuale, in un’epoca, la nostra, di filtri e #nofilter. La scuola di Londra In mostra oltre quarantacinque dipinti, disegni e incisioni di artisti raggruppati nella “School of London”. 

Artisti eterogenei, nati tra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta, immigrati in Inghilterra per motivi differenti che hanno trovato in Londra la loro città, il luogo dove studiare, lavorare, vivere. 

Francis Bacon (1909-1992) nasce e cresce in Irlanda e arriva in Inghilterra quindicenne, Lucian Freud (1922-2011) scappa dalla Germania per sfuggire il nazismo, lo stesso succede, pochi anni dopo a Frank Auerbach; Michael Andrews è norvegese e incontra Freud suo professore alla scuola d’arte; Leon Kossoff è nato a Londra da genitori ebrei russi; Paula Rego lascia il Portogallo per studiare pittura nelle scuole inglesi. 

Nell’architettura cinquecentesca progettata da Donato Bramante trovano spazio, con un approccio cronologico e tematico, opere che raccontano individui, luoghi, vita vissuta, per mostrare la totalità dell’esperienza di essere umano. Opere in cui la fragilità e la vitalità della condizione umana viene presentata tramite lo sguardo dell’artista: disegni e dipinti che ritraggono esistenze e luoghi scandagliati nella sua crudezza senza filtri. 

Per l'approfondimento sugli artisti vedi: www.chiostrodelbramante.it/mostra-bacon-freud-approfondimento


18/09/19

Esce in Libreria "Il Mondo senza Internet", un brillante saggio-fiction di Antonio Pascotto




Un libro davvero originale e fuori dal coro. 

Un brillante giornalista italiano si inventa un libro che non è propriamente né un romanzo, né un saggio, né un pamphlet, né una autofiction, così di voga nel mercato editoriale, ma tutte queste cose insieme.  

Partendo da una semplice e felice intuizione - quella di svegliarsi una mattina e scoprire che, per ragioni di sicurezza mondiali, l'intera rete web del pianeta è stata spenta, azzerata - Pascotto, con l'apparenza di raccontarci una sorta di cyber-thriller, insomma un romanzo di suspense "telematica", tutto giocato sull'uso dei sistemi digitali nelle vite delle persone, ci regala invece un documentatissimo saggio sui rischi, le patologie, le deformazioni, le paranoie, i cambiamenti sociali ed epocali, i deliri da astinenza, la postmodernità, e più in generale sulla felicità umana, ormai così strettamente connessa ai meccanismi "perversi" degli algoritmi. 

Si scoprono così dati inquietanti -  il 17.6% dei bambini italiani tra i 4 e 10 anni possiede uno smartphone; le distorsioni della cosiddetta Generazione X, quella cioè dei nati tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2010; le frontiere ansiogene della Psicotecnologia, cioè l'estensione, attraverso un sistema di elaborazione dell'informazione, di alcune delle proprietà psicologiche della nostra mente; quelle della intelligenza artificiale che, in mancanza di un serio controllo, come avverte il fondatore di Android, Andy Rubin, potrebbe costituire un pericolo per la sopravvivenza stessa del mondo degli umani, come aveva già profetizzato Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio; oppure il semplice dato - spaventoso - che ciascuno di noi, secondo una ricerca della società americana Dscount's tocca lo schermo del proprio cellulare 2617 volte al giorno. 

Insomma, per chi è ghiotto di informazioni su una materia così pervadente e attuale del nostro tempo, questo libro spalanca conoscenze e orizzonti, e allo stesso tempo mantiene sempre desta l'attenzione grazie alla messa in scena di uno scenario "da fantascienza" che forse non è così lontano dall'esserlo. 

Un libro che si interroga su questioni che riguardano tutti noi e che ci costringono a domandarci cosa sia oggi l'umano, come esso sopravviva e se sopravviva alla tirannia della tecnologia e dei meccanismi economici che essa governa e su cui sono basati.   Analisi, razionalità, ricavi, economia, mercato. Sembra davvero che l'unica chance per l'uomo per non tradire la sua anima sia quella di coltivare, di dare sempre più spazio al proprio istinto primario, irrazionale, folle, grazie al quale anche la tecnologia è nata, come prodotto umano. Del resto "rimanere folli" è proprio quel comandamento che uno dei più grandi "guru" tecnologici, forse quello che più ha cambiato le nostre vite, Steve Jobs, ci ha lasciato.

Fabrizio Falconi


17/09/19

Domenica 29 Settembre alle 11 Passeggiata sui "Luoghi di Porpora e Nero" con Fabrizio Falconi




Domenica 29 settembre con appuntamento alle ore 11 davanti alla Fontana dei Fiumi di Piazza Navona condurrò su organizzazione dell'Editore Ponte Sisto una passeggiata sui "Luoghi di Porpora e Nero"

Toccheremo Piazza Navona/Stadio di Domiziano, Palazzo Primoli, Pantheon (dove si svolgono alcune scene importanti del romanzo) e concluderemo al Quartiere Ebraico, dove ho immaginato la casa e la libreria di Bonnard, il protagonista. 

La passeggiata è completamente gratuita. Al termine brindisi presso l'Editore, nei pressi di Ponte Sisto e chi vorrà potrà acquistare copia/e del romanzo.






16/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 39. "Totò le hèros" di Jaco Van Dormael (1991)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 39. "Totò le hèros" di Jaco Van Dormael (1991)

Un film clamorosamente bello e importante, che pochi conoscono.

Jaco Van Dormael, nato a Ixelles, in Belgio, nel 1957 è una delle personalità più originali del cinema contemporaneo.

La sua vicenda biografica è assai interessante: nato cinque anni dopo il fratello Pierre, Jaco alla  nascita rischiò di morire strangolato dal cordone ombelicale e, dal momento che ricevette un apporto insufficiente di ossigeno, si temette che avrebbe potuto presentare dei problemi mentali.

Da questo trauma probabilmente hanno avuto origine i temi ricorrenti dei suoi film, che esplorano i mondi delle persone con disabilità mentali e fisiche.

Van Dormael crebbe in Germania fino all'età di sette anni, quando la sua famiglia ritornò in Belgio. Felice nel lavorare con i bambini, tentò per qualche tempo la carriera di clown. Divenne produttore di animazione per bambini e lavorò in teatro e successivamente al cinema, approfondendo nei suoi film  la tematica dell'infanzia e osservatori "innocenti" delle sue narrazioni.

In Totò le Héros, il suo capolavoro, vincitore della Camera d'Or al Festival di Cannes del 1991,  Van Dormael, attraverso un intricato mosaico di flashback , ricostruisce la vicenda di un vecchio di nome Thomas Van Hasebroeck soprannominato Totò, il quale ricostruisce la sua vita, immaginando  come quegli eventi che l'hanno costituita, sarebbero potuti andare diversamente. 

Dall'età di otto anni, si ritiene che Thomas - giustamente o erroneamente - sia stato scambiato per errore alla nascita con un altro bambino, il suo vicino di casa Alfred Kant. 

La gelosia per quest'uomo migliore ha rovinato tutta la sua esistenza, a volte con conseguenze tragiche per la sua famiglia. E il continuo confronto con la vita che non ha avuto, e che avrebbe potuto avere consegnerà a  Thomas un modo più originale di dare un senso alla sua vita, accettandola in piena consapevolezza.

Un gioiello che merita di essere riscoperto.

Fabrizio Falconi

Totò le Hèros 
Regia di Jaco Van Dormael. 
Belgio, Francia, Germania, 1991 c
con Michel Bouquet, Thomas Godet, Michelle Perrier, Gisela Uhlen, Mireille Perrier. 
durata 89 minuti. 





15/09/19

Poesia della Domenica: "Spada e alloro" di Fabrizio Falconi





spada e alloro


ecco i misteriosi guardiani
del disimpegno, squadernano
cori e corride, abusi bandiere
sconce quadriglie, a un passo
sognano di infrangersi nel nulla
e sono già, il nulla.

non proni e non altrove;
biascichi un talento o una situazione
ti perdi in un mestiere d'acqua
ricordi quel giorno amorale e vecchio
sembra ieri
quando lei era al fianco
nel sole spadaccino di luglio
e le fronde d'alloro dell'Appia
il corpo ti coronavano, come
un busto arcaico, presente e scarno
vinto dalle sale del museo per amore
di realtà e d'incarnazione.



tratto da: Fabrizio Falconi, Nessun Pensiero Conosce l'Amore, Interno Poesia, 2018, p.64

"Ragazzi senza scopo e Genitori non più autori delle loro azioni", La decadenza moderna (finale?) secondo Umberto Galimberti intervistato oggi dal Corriere della Sera



Filosofo. Antropologo. Psicologo. Psicoanalista. Sociologo. Dal professor Umberto Galimberti ti aspetteresti un eloquio iniziatico all’altezza delle materie che ha insegnato, compendiate nelle 1.637 pagine del Nuovo dizionario di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (Feltrinelli), alla cui stesura ha faticato per 15 anni. Invece parla ancora come «il numero 8» — si definisce così — dei 10 figli di Ernesto, ex partigiano, venditore di cioccolato Theobroma improvvisatosi impiegato bancario, che in un paio di locali aprì a Biassono la prima agenzia del Credito artigiano e morì di tumore il giorno dell’inaugurazione. «Da bambino andavo in ufficio ad aiutarlo: mi faceva timbrare gli assegni. Avevo 14 anni quando mancò. Sognavo di diventare medico. Ma due borse di studio mi spalancarono le porte di Filosofia alla Cattolica di Milano. Lì trovai i miei maestri: Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Righi ed Emanuele Severino, con il quale mi laureai. C’erano anche Gianfranco Miglio e Francesco Alberoni. Poi lavorai per tre anni nel manicomio di Novara, dove conobbi il primario Eugenio Borgna. Fui io a obbligarlo a scrivere, prima non lo conosceva nessuno. Li sento ancora, Severino e Borgna. Ci vogliamo molto bene. Non ho mai capito il parricidio».
Fortunato ad avere dei padri così.
«Aggiunga Karl Jaspers, che frequentai a Basilea e che mi avviò alla psicopatologia. E Mario Trevi, con cui feci il percorso psicoanalitico. Oggi l’analisi non è più possibile. L’ultimo che ho accompagnato per cinque anni è stato il regista Luca Ronconi. Ma solo perché lì c’era un uomo. Capace di riflettere, incuriosito dalla sua vita».
Eppure qui nello studio vedo che c’è ancora il lettino dello psicoanalista.
«Non ho mai smesso di ricevere. La gente mi chiede di risolvergli i problemi. Invece la psicoanalisi è conoscenza di sé: sapere chi sei è meglio che vivere a tua insaputa. Quanto al dolore, non lo puoi cancellare con i farmaci».
L’angoscia più frequente qual è?
«Quella provocata dal nichilismo. I ragazzi non stanno bene, ma non capiscono nemmeno perché. Gli manca lo scopo. Per loro il futuro da promessa è divenuto minaccia. Bevono tanto, si drogano, vivono di notte anziché di giorno per non assaporare la propria insignificanza sociale. Nessuno li convoca. Non potendo fare nulla, erodono la ricchezza accumulata dai padri e dai nonni».
Stanno male anche i genitori?
«Eccome. Senza che lo sappiano, non sono più autori delle loro azioni. Nell’età della tecnica sono diventati funzionari di apparato. Vengono misurati solo dal grado di efficienza e produttività. Nel 1979, quando cominciai a fare lo psicoanalista, le problematiche erano a sfondo emotivo, sentimentale e sessuale. Ora riguardano il vuoto di senso».
La mia è la prima generazione che consegna ai suoi figli un futuro ben peggiore di quello lasciatoci in eredità dai nostri padri, spesso nullatenenti.
«Fino a 37 anni ho insegnato storia e filosofia nei licei. Guadagnavo 110.000 lire al mese. Un appartamento ne costava 75.000 al metro quadro. In famiglia abbiamo tutti studiato. Le mie cinque sorelle frequentavano l’università e intanto facevano le colf. Oggi mi tocca aiutare la mia unica figlia, che ha tre bambini».



14/09/19

Cos'è il Simbolo. Galimberti spiega Platone.



La parola "simbolo" deriva dal greco symbàllein che significa "mettere assieme".  Nell'antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto, e darne una metà a un amico o a un ospite.

Queste metà, conservate dall'una e dall'altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti dei due amici di riconoscersi.

Questo segno di riconoscimento si chiamava simbolo. 

Platone, riferendo il mito di "Zeus che, volendo castigare l'uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due" conclude che da allora "Ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (Hèkastos oun emon estin anthropou symbolon), la metà che cerca l'altra metà, il simbolo corrispondente.



In testa: Silenzio per l'anima, Wilhelm Bernatzik, 1906

13/09/19

Greta Garbo icona della Festa del Cinema di Roma 2019 che si apre il 17 Ottobre



Greta Garbo, la prima grande diva della storia del cinema, è la protagonista dell`immagine ufficiale della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà dal 17 al 27 ottobre 2019 presso l`Auditorium Parco della Musica con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma, Presidente Laura Delli Colli, Direttore Generale Francesca Via. 

La perfezione dei suoi lineamenti e il fascino conturbante e misterioso della sua figura valsero a Greta Garbo l'appellativo di "divina"

Nata in Svezia ma naturalizzata in America, Greta Garbo e' la prima grande icona di bellezza della settima arte, simbolo di quella femminilità degli anni `20 che si impose in tutto il mondo e che seppe conquistare il pubblico con il suo carisma e magnetismo.

Il suo volto e' impresso in maniera indelebile nella memoria collettiva perché, come scrive Roland Barthes in Miti d`oggi, "Greta Garbo appartiene ancora a quel momento del cinema in cui la sola cattura del viso umano provocava nelle folle il massimo turbamento". 

La foto scelta per rappresentare la quattordicesima edizione della Festa e' un omaggio alla bellezza del cinema ed e' stata scattata in occasione delle riprese del film del 1929, Il bacio (The Kiss). 

"In Viale del Tramonto, la protagonista Norma Desmond rimpiange il cinema muto, in cui non c`era bisogno di dialoghi: 'Noi avevamo le facce', dice, ma poi ci ripensa e aggiunge: 'Solo una l`aveva, la Garbo'. L`immagine scelta per la Festa - ha spiegato Antonio Monda - celebra il volto e la grandezza della divina Garbo, proprio nel suo primo film sonoro The Kiss: e' un`immagine piena di mistero e sensualita', che ne celebra il fascino irresistibile e senza tempo"

12/09/19

Amore e Caso secondo Hillman



"Amore" è una sola parola per fenomeni così diversi...


Il problema è: cosa fa la psiche attirandoci in questo desiderio concreto, in questo desiderio di concretezza, e facendoci precipitare in uno dei tanti tipi di amore?

Perché di questo si tratta: di una caduta, di un cascarci.


In tedesco Fall (Scritto come l'inglese fall, caduta), è la trappola, ma è anche il caso, come il latino cadere, che è anche la radice di caso

Essere innamorati significa essere un caso.


Essere caduti in trappola, la trappola del desiderio concreto, come ci casca un animale. Esserci cascati. Ma non "nel peccato".  Non nel "desiderio animale". Quello che è successo è che di colpo ci siamo resi conto della gabbia che abbiamo costruito intorno all'animale, dopo di che diamo la colpa all'animale e diciamo che siamo caduti nell'animale. 


Ma l'animale non cade (Fall in love, forma idiomatica inglese che vale "innamorarsi" o più alla lettera "cadere innamorati") innamorato;  non ne ha bisogno - non perché è già troppo in basso, ma perché non crede di non essere animale, dal quale possa cadere. 


11/09/19

Scoperta sorprendente: Gli "Amanti di Modena" erano due individui di sesso maschile.



Quando furono scoperti, nel 2009, durante gli scavi in una necropoli modenese di epoca tardo-antica (IV-VI secolo), divennero subito gli 'amanti di Modena': due individui sepolti nella stessa tomba e deposti mano nella mano. Nonostante il pessimo stato di conservazione delle ossa rendesse impossibile individuarne il sesso, la particolare sepoltura fece subito ipotizzare si trattasse di un uomo e una donna deposti insieme nell'atto di mostrare simbolicamente il loro amore eterno

Ma un nuovo studio guidato da ricercatori dell'Universita' di Bologna smentisce ora questa ipotesi: gli 'amanti di Modena', infatti, erano due uomini. 

Nella loro analisi - i cui risultati sono pubblicati su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature - gli studiosi hanno utilizzato una tecnica innovativa che permette di determinare il sesso di un individuo a partire dalla presenza di particolari proteine contenute nello smalto dei denti

Il risultato - entrambi gli 'amanti di Modena' erano di sesso maschile - rende ora ancora piu' particolare questa tomba, che dal 2014, in seguito ad un progetto di restauro e valorizzazione, e' visibile nelle sale del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena. 

"Allo stato attuale non si conoscono altre sepolture di questo tipo", spiega infatti Federico Lugli, ricercatore dell'Universita' di Bologna e primo autore dello studio. "In passato sono state trovate diverse tombe con coppie di individui deposti mano nella mano, ma in tutti i casi si trattava di un uomo e una donna. Quale fosse il legame tra i due individui della sepoltura modenese, invece, resta per il momento un mistero"

Quando furono scoperti nel 2009, gli scheletri dei due 'amanti di Modena' erano in pessime condizioni di conservazione, tanto che con i tradizionali metodi di analisi delle ossa non si riusci' ad attribuire con certezza il sesso dei due individui. 

Per arrivare finalmente ad una risposta, i ricercatori hanno deciso allora di utilizzare una nuova tecnica basata sull'analisi dello smalto dentale. Nello smalto, infatti, possono essere contenute due particolari proteine: Amelx, presente in individui di entrambi i sessi, e Amely, presente solo negli individui di sesso maschile

Applicando questa tecnica, gli studiosi hanno analizzato i reperti dentali dei due 'amanti di Modena' insieme a quelli di altri 14 individui selezionati come campione di controllo, dimostrando cosi' che i due individui trovati nella necropoli modenese mano nella mano sono entrambi di sesso maschile. 

"Il successo del metodo di analisi che abbiamo utilizzato rappresenta una vera rivoluzione per questo tipo di studi", dice Antonino Vazzana, ricercatore dell'Universita' di Bologna tra gli autori dello studio. "Questa tecnica puo' rivelarsi determinante per la paleoantropologia, la bioarcheologia e anche l'antropologia forense in tutti quei casi in cui il pessimo stato di conservazione dei resti o la giovane eta' degli individui rende impossibile determinare il sesso a livello osteologico", aggiunge.La conferma che entrambi gli 'amanti di Modena' erano di sesso maschile apre pero' ora un altro interrogativo: qual e' il significato di questa sepoltura dall'aspetto unico? 

I ritrovamenti di tombe con due individui deposti mano nella mano, o anche abbracciati, sono diversi, sparsi in tutto il mondo e di epoche differenti: dagli 'amanti di Valdaro', trovati in provincia di Mantova e risalenti a circa 6mila anni fa, a casi simili in Grecia, in Turchia ed anche in Siberia, fino ad una coppia di scheletri rinvenuta in Romania risalente al XV-XVI secolo. 

In tutti queste occasioni, pero', si tratta sempre di coppie composte da un individuo di sesso maschile e uno di sesso femminile. 

"In letteratura non esistono altri casi di sepolture con due uomini deposti mano nella mano: non era certamente una pratica comune in epoca tardo-antica", spiega infatti Federico Lugli. "Crediamo che questa scelta simboleggi una particolare relazione esistente tra i due individui, non sappiamo pero' di quale tipo"

Tra le diverse ipotesi in campo quella degli amanti sembra essere la piu' remota. "In epoca tardo-antica e' improbabile che un amore omosessuale potesse essere riconosciuto in modo tanto evidente dalle persone che hanno preparato la sepoltura", dice ancora Lugli

"Visto che i due individui hanno eta' simili, potrebbero invece essere parenti, ad esempio fratelli o cugini. Oppure potrebbero essere soldati morti insieme in battaglia: la necropoli in cui sono stati rinvenuti potrebbe infatti essere un cimitero di guerra". 

10/09/19

Finalmente anche gli scrittori cominciano a mobilitarsi sul clima. Jonathan Safran Foer a Mantova: 4 cose concrete da fare subito.



"Non è un mistero per nessuno quello che dovremmo effettivamente fare. Sappiamo, senza ambiguità né controversie, che ci sono quattro cose con cui ogni persona puo' fare la differenza. E sono: avere meno figli, prendere meno l'aereo, vivere senza automobile e seguire una dieta piu' vegetariana. Tre di queste cose sono molto difficili, una, la quarta, invece potrebbe essere fatta subito". 

Lo ha detto, in un'intervista con askanews, lo scrittore americano Jonathan Safran Foer, a Festivaletteratura a Mantova per presentare il suo libro "Possiamo salvare il mondo prima di cena", edito in Italiada Guanda e dedicato al tema dei cambiamenti climatici. 

Un saggio che indica nell'allevamento intensivo, e quindi nella nostra alimentazione fortemente incentrata sulla carne, una delle piu' gravi e taciute cause della crisi climatica. 

"Ho avuto un momento - ci ha raccontato Foer a proposito della genesi del libro - nel quale mi sono detto: quando e' troppo e' troppo. Me lo ricordo molto bene, ero a casa e ho pensato che dovevo assolutamente fare qualcosa. E non solo sul cambiamento climatico, ma anche su Trump o sul controllo delle armi o sui problemi dell'immigrazione, ma sul clima questa sensazione e' stata ancora piu' forte, pensavo agli incendi in California, alle super tempeste, allo scioglimento dei ghiacci. Bisogna fare qualcosa, mi dicevo, bisogna fare qualcosa. E lo dicevano continuamente anche i miei amici, ce lo ripetevamo ininterrottamente. E a u certo punto mi sono reso conto che era assurdo dirlo e poi non fare nulla".

A quel punto, per lo scrittore, la cosa piu' naturale e' stata pensare a un nuovo libro, anche se, ci ha spiegato Foer, all'inizio non era chiaro quale sarebbe stato il risultato finale della ricerca. 

"Scrivere - ci ha pero' detto - e' il mio modo migliore per essere serio, per essere attento a qualcosa. Quindi mi sono preso del tempo per prestare attenzione e pensare a questo tema"

"La gente - ha concluso Jonathan Safran Foer - di solito non fa nulla fino a quando non viene toccata profondamente, e questo e' necessario, ma non sufficiente. E il problema e' invece che tendiamo a credere che sia sufficiente: se partecipo o a una manifestazione mi dico che ho fatto qualcosa; se piango quando vedo un'immagine dei profughi climatici mi dico che ho fatto qualcosa, ho pianto; se sostengo le posizioni della scienza quel sostegno lo considero fare qualcosa o addirittura se dico che bisogna fare qualcosa anche questo è già fare qualcosa. Ma non e' cosi'". 

Per questo il libro ha uno dei suoi pregi maggiori nella non indulgenza, nella consapevolezza che lo stesso narratore e' "compromesso", nel mettere sulla pagina tutte le difficoltà. Ma in queste difficoltà e in questa compromissione, che e' la metodologia per escludere ogni forma di integralismo, c'e' probabilmente l'unica possibilità di un approccio che abbia un minimo di speranza di successo.

09/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 38. "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" ("Jeremiah Johnson") di Sidney Pollack (1972)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 38. "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" ("Jeremiah Johnson") di Sidney Pollack (1972)

Corvo rosso non avrai il mio scalpo è uno degli esempi più eclatanti nella storia nefasta della traduzione dei titoli di film stranieri in Italia. I titolisti italiani da sempre, alla ricerca del facile successo al botteghino, si sono sbizzarriti per molti decenni a "inventare" letteralmente i titoli italiani, spesso storpiandone il senso, o semplicemente riducendoli ad altro.  Sulla scia del successo italiano dello spaghetti-western, questa sorte toccò così anche ad uno dei film più evoluti del nuovo cinema americano che negli anni '70, propose pellicole magistrali: quel Jeremiah Johnson (un titolo che dovette sembrare molto poco appetibile per i traduttori italiani) diretto nel 1972 da Sydney Pollack e presentato in concorso al 25º Festival di Cannes, incentrato incentrato sulla figura di un trapper, interpretato da Robert Redford, figura liberamente ispirata alla vita del leggendario Mangiafegato Johnson. 

Il soggetto è tratto dal racconto Crow Killer: The saga of Liver-Eating Johnson (L'uccisore dei Corvi: la saga di "Mangiafegato" Johnson) di Raymond Thorp e Robert Bunker e dal romanzo Mountain Man di Vardis Fisher, con la sceneggiatura scritta da John Milius ed Edward Anhalt. 

Le maestose riprese, in un film coraggioso, quasi completamente privo di dialoghi, vennero effettuate in varie località dello Utah.

La storia è vede protagonista un veterano della guerra messicano-statunitense (1846-48), Jeremiah Johnson, che cerca rifugio nel West. 

Intende intraprendere la vita da mountain man stabilendosi sulle Montagne Rocciose e cacciando animali alla maniera dei trapper. Inizialmente, nel gelido inverno, ha difficoltà a sopravvivere ed ha un breve incontro con Mano Che Segna Rosso, un nativo americano capo della tribù dei Corvi. 

Johnson trova poco dopo un fucile Hawken calibro 12 sul corpo congelato di Hatchet Jack, un altro mountain man, sostituendo così l'inadeguato Hawken calibro 20 in suo possesso.

In seguito Johnson rovina inavvertitamente la caccia all'orso grizzly dell'anziano ed eccentrico Artiglio d'orso Chris Lapp. Dopo le inevitabili diffidenze iniziali, Lapp lo accoglie e gli fa da maestro su come vivere nelle montagne. 

Johnson dimostra la sua abilità nello scuoiare un orso grizzly consegnatogli vivo nella sua capanna da Lapp, quindi, dopo una schermaglia con i Corvi, compreso Mano Che Segna Rosso (amico di Lapp), parte per conto suo. Passando vicino ad un'abitazione nota le chiare tracce di un attacco di guerrieri Piedi Neri che hanno massacrato una famiglia lasciando in vita solo una donna con il figlio più piccolo. 

La donna, impazzita dal dolore, convince Johnson a portare con sé suo figlio, restato muto a causa dello choc subito. A Johnson e al ragazzino, che viene chiamato "Caleb", si aggiunge casualmente un altro mountain man, vittima anche lui dei Piedi Neri, che lo hanno derubato e lasciato seppellito fino al collo sotto al sole. 

Si tratta di Del Gue, che conosce molto bene gli indiani e li teme al punto da radersi la testa per evitarne lo scotennamento. Dopo alcuni giorni di cammino i tre si imbattono proprio nel bivacco dei Piedi Neri. Johnson vorrebbe solo derubarli, ma qualcosa va storto e Del Gue li stermina senza pietà. 

Rimessisi in cammino vengono in contatto con la tribù delle Teste Piatte, indiani cristianizzati che li accolgono come ospiti d'onore per le loro imprese. Quando Johnson offre gli scalpi e i cavalli dei Piedi Neri (i loro mortali nemici), il capo secondo l'usanza delle Teste Piatte si trova obbligato a ricambiare con un dono ancora più grande, così gli dona sua figlia Cigno (Swan nella versione americana) che Johnson, sebbene riluttante, è costretto a sposare. 

Seguono molte altre avventure, in cui protagonista assoluto è il paesaggio. La natura. Da un certo punto di vista, anzi Jeremiah Johnson può essere definito il primo film ecologista della storia, un film che illumina sui disastrosi rapporti tra l'uomo e l'ambiente che lo ospita, dell'uomo come elemento che da preda, diventa cacciatore, quindi distruttore, distruggendo gli altri uomini che si contendono lo stesso territorio, distruggendo gli animali, gli esseri viventi, le piante.  E' di certo l'impatto dell'uomo bianco, da questa prospettiva, è devastante. Il film di Pollack è anche uno dei primi che rovescia, dalla visuale americana, i rapporti tra bianchi e nativi americani, mettendo i bianchi conquistatori di fronte alle loro responsabilità. 

Un film maestoso, che non si smette di ammirare. 



"Corvo rosso non avrai il mio scalpo" 
("Jeremiah Johnson") 
regia di Sidney Pollack,
con Robert Redford, Will Geer
Usa, 1972

05/09/19

Baudelaire: "Il vero eroe si diverte da solo" (Il mio cuore messo a nudo)




Credere nel progresso è una dottrina da pigri, una dottrina da Belgi . E' l'individuo che conta sui suoi vicini per sbrigare le proprie faccende. 

Non può esservi progresso (vero, cioè morale) se non nell'individuo e mediante l'individuo.

Ma il mondo è fatto di gente che non può pensare se non in comune con gli altri, in bande. Come le Società belghe.

C'è anche gente che può divertirsi soltanto intruppata.  Il vero eroe si diverte da solo. 







04/09/19

La Gatta "paranormale" di Kubrick. L'intervista di Michel Ciment a Stanley Kubrick.




Michel Ciment: 
"A proposito di Shining, Lei ha fatto delle ricerche sui fenomeni paranormali?"

Stanley Kubrick: 
"In realtà non era necessario fare alcuna ricerca.  La vicenda non ne aveva bisogno ed essendomi sempre interessato a questo argomento ne ero informato quanto bastava.

Spero che i fenomeni paranormali ed i fenomeni psichici ad essi correlati vengano ampiamente riconosciuti dalla scienza.

Già parecchi studiosi sono talmente colpiti dall'evidenza dei fenomeni da dedicare le loro ricerche all'argomento.

Se una volta o l'altra emergeranno prove definitive, non sarà un fatto emozionante, quanto, ad esempio, la scoperta di un'intelligenza aliena nell'universo, però si tratterà certamente di un elemento che allargherà i confini della nostra mente. 

Oltre alla vasta gamma di esperienze psichiche inspiegabili che probabilmente tutti possiamo raccontare, credo di poter scorgere negli animali un comportamento molto vicino a qualcosa di extrasensoriale. 

Ho una gatta di nome Polly con un pelo lungo spesso arruffato che io devo spazzolare e sforbiciare.

Lei lo detesta e più volte mentre stavo accarezzandola e solo pensavo che i nodi erano così fitti che andavano spazzolati, lei, improvvisamente, prima ancora che facessi la benché minima mossa di andare a prendere la spazzola o le forbici, andava a nascondersi sotto il letto. 

Ovviamente ho anche pensato che lei riesca a capire quando mi preparo ad usare la spazzola da come la tocco, ma non credo che sia proprio così.

Ha quasi sempre dei nodi nel pelo ed io la accarezzo innumerevoli volte ogni giorno, ma è solo quando ho deciso davvero di spazzolarla che lei scappa via e si nasconde.

Da quando me ne sono reso conto sto particolarmente attento a non toccare quei nodi in qualche maniera diversa, che pensi o meno che abbiano bisogno di essere spazzolati. 

Ma il più delle volte sembra che conosca la differenza." 

Tratto da Michel Ciment, Kubrick, Traduzione Lorenzo Codelli, Milano Libri, 1981, pag. 189

03/09/19

Il Libro del Giorno: "Due occhi azzurri" di Thomas Hardy



Ci sono romanzi considerati minori di grandi, assoluti scrittori che valgono assai di più di molti dei romanzi maggiori di una grande quantità di autori contemporanei. 

E' il caso di A Pair of Blue Eyes, scritto da Thomas Hardy nel 1872, e uscito a puntate tra quell'anno e il seguente, fino a luglio 1873. 

Si trattava del terzo romanzo pubblicato di Hardy e del primo non pubblicato in forma anonima alla sua prima pubblicazione. 

Il libro descrive il triangolo amoroso di una giovane donna, Elfride Swancourt, e dei suoi due pretendenti di origini molto diverse

Stephen Smith è un giovane socialmente inferiore ma ambizioso che la adora e con la quale condivide le stesse origini di campagna. 

Henry Knight è il rispettabile, affermato, uomo più anziano che rappresenta la società di Londra. 

Sebbene i due siano amici, Knight non è a conoscenza del precedente collegamento di Smith con Elfride

Elfride si ritrova coinvolta in una battaglia tra il suo cuore, la sua mente e le aspettative di coloro che la circondano: i suoi genitori e la società

Quando il padre di Elfride scopre che il suo ospite e candidato per la mano di sua figlia, l'assistente dell'architetto, Stephen Smith, è figlio di un muratore, gli ordina immediatamente di andarsene. 

Giunge dunque sulla scena Knight, che è un parente della matrigna di Elfride, il quale si innamora a tal punto, ignorando del tutto i precedenti trascorsi della ragazza, da proporre a Elfride di sposarla. 

(spoiler

Elfride, per disperazione, sposa un terzo uomo, Lord Luxellian. La conclusione trova entrambi i pretendenti che viaggiano insieme verso Elfride, entrambi intenti a reclamare la sua mano, e non sapendo né che è già sposata o che stanno accompagnando il suo cadavere e la sua bara mentre viaggiano.

Il romanzo è denso di riferimenti autobiografici relativi ad Hardy e la sua prima moglie Emma Gifford e, in pieno trionfante clima vittoriano, offre un esempio del pessimismo gotico dello scrittore, della fallibilità dei sentimenti umani, della illusorietà delle passioni e della incapacità di tutti, uomini e donne, di essere padroni del proprio destino.  E' estremamente moderna la confusione psicologica dei personaggi che si muovono sul teatro della lugubre campagna inglese, affacciata sulle estreme scogliere atlantiche. E' grandiosa la capacità di alternare la pura narrazione evolutiva - con colpi di scena che tengono sempre desta l'attenzione del lettore fino all'ultima pagina - alle profonde notazioni introspettive delle inconsistenti passioni dei personaggi, che si dimenano senza posa - e senza apparente scopo - come sotto la lente di ingrandimento di un entomologo. 

Fabrizio Falconi



02/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 37. "Barton Fink" di Joel e Ethan Coen (1991)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 37. "Barton Fink" di Joel e Ethan Coen (1991)

Anche se è sempre molto difficile nella filmografia dei fratelli Coen un solo film, vista la qualità altissima di molte loro opere, scelgo il primo capolavoro realizzato, Barton Fink, il cui titolo fu come al solito, in Italia, deturpato dall'aggiunta di un sottotitolo assurdo e inutile: È successo a Hollywood.

Lo scelgo perché da molti punti di vista rappresenta comunque la summa dell'idea di cinema dei due geniali registi statunitensi. 

Il film è ambientato nel 1941 e racconta le vicende di Barton Fink, scrittore e drammaturgo newyorkese di origine ebraica, reduce da uno strepitoso successo di critica e pubblico a Broadway grazie ad una pièce sulla gente comune, che in seguito a questo, viene chiamato ad Hollywood da una major per lavorare alla sceneggiatura di un film sul wrestling, lontano cioè anni luce dai suoi interessi.

Giunto a Los Angeles, Barton prende una camera all'hotel Earle, un buio e polveroso albergo i cui unici residenti visibili sono il portinaio Chet, l'anziano addetto all'ascensore e Charlie Meadows, un bonario agente assicurativo, suo vicino di stanza, che subito instaura un buon rapporto con Fink.

Barton, messosi al lavoro nella sua stanza con due finestre vista muro, tappezzeria scollata ed un piccolo quadro raffigurante una ragazza che guarda una spiaggia, incappa nel classico "blocco dello scrittore" e per risolverlo si rivolge al romanziere/sceneggiatore J.P. Mayhew e alla sua segretaria/amante Audrey, colei che da tempo si occupa di scrivere le sceneggiature di Mayhew ormai alcolizzato e incapace di produrre.

Al risveglio dopo una notte d'amore Barton trova al suo fianco il cadavere di Audrey e le sue urla richiamano il vicino Charlie che decide di aiutare Barton preoccupandosi di occultare il cadavere. 

Charlie poi parte per New York lasciando a Barton un pacco e promettendo di fare visita ai suoi genitori, ma poco dopo all'hotel giungono due poliziotti, i detective Mastrionotti e Deutsch, che spiegano a Barton che Charlie in realtà è un pericoloso serial killer il cui vero nome è Karl Mundt.

Travolto dalla scoperta, Barton ritrova l'ispirazione e scrive rapidamente un soggetto, che però viene rifiutato dal produttore.

Tornato all'albergo Barton ritrova i due poliziotti che vogliono arrestarlo ma in quel momento scoppia un incendio e ritorna Charlie che uccide i due poliziotti e, mentre Barton fugge, rimane nell'hotel in fiamme.

Barton si ritrova sulla spiaggia, dove incontra una ragazza, del tutto uguale a quella raffigurata nel quadro della sua stanza. 

Sotto le mentite spoglie di un noir, anzi di un hard-boiled, di genere, Barton Fink è invece una poderosa meditazione sul potere dell'arte, sul rapporto sempre in bilico tra realtà e finzione, sulla creatività e l'amore, sul potere che corrompe, sull'amicizia che non salva, sulla deriva dei valori umani nella società americana. Tutti temi che si ritroveranno abbondantemente nei film successivi dei fratelli americani.

Barton Fink, con questo film trionfò a Cannes dove vinse la Palma d'oro come miglior film al Festival di Cannes 1991. 

Fabrizio Falconi

Barton Fink
di Ethan e Joel Coen
Usa, 1991
durata 114 minuti
con Michael Lerner, John Turturro, John Goodman, Judy Davis, John Mahoney, Tony Shalhoub



01/09/19

Poesia della Domenica: "Nessuno può conoscermi" di Paul Eluard




Nessuno può conoscermi

Nessuno può conoscermi
Come tu mi conosci

Gli occhi tuoi dove dormiamo
Tutti e due
Alle mie luci d’uomo hanno dato destino
Migliore che alle notti della terra

Gli occhi tuoi dove viaggio
Ai gesti delle strade hanno donato
Un senso distinto dal mondo

Negli occhi tuoi coloro che ci svelano
La solitudine nostra infinita
Non sono più quelli che credevano essere

Nessuno può conoscerti
Come io ti conosco.


Paul Eluard


(Traduzione di Franco Fortini)

da Les yeux fertiles, 1936, in Paul Éluard, Poesie, Supercoralli Einaudi, 1955