15/05/18

Ci sarà anche Russell Crowe alla grande Kermesse del 6 giugno al Colosseo per il "Gladiatore".


Il Gladiatore torna al Colosseo. Ci sara' anche Russell Crowe il 6 giugno al grande evento charity dell'Orchestra Italiana del cinema e CineConcerts, in cui per la prima volta il film da 5 Oscar di Ridley Scott sara' proiettato con colonna sonora eseguita dal vivo proprio nell'arena dell'Anfiteatro Flavio. 

"Ho il piacere di annunciare che sono entrato in contatto con Russell Crowe pochi giorni fa- dice il presidente dell'Orchestra Marco Patrignani - Sono tre anni che sogno di coinvolgerlo in questa iniziativa. Dopo tre anni che lo cerco, ora e' lui che sta cercando me. È un artista molto impegnato, ma ha espresso la sua volonta' di esserci, qui al Colosseo e nelle repliche al Circo Massimo (8 e 9 giugno ndr). Per scaramanzia non dico al 100%, ma la sua presenza e' confermata al 99%. Lascio i margini per imprevisti professionali". 

Invitato anche l'altro "gladiatore" di Roma, l'ormai ex capitano giallorosso Francesco Totti. "Ho sentito dire che in quei giorni sara' in Cina, ma lo aspettiamo", aggiunge Patrignani. 

Con il maestro Justin Freer sul podio, la partecipazione straordinaria di Lisa Gerrard (che con il tema principale "Now we are free" vinse il Golden Globe) e il compositore Hans Zimmer in platea, Il gladiatore in concerto raccogliera' fondi per la Campagna del Rotary End Polio Now e finanziera' un nuovo ascensore per disabili al Colosseo, dal primo al terzo livello, consegnato entro giugno 2019.

Ma il Colosseo quest'anno è davvero protagonista anche per altre iniziative.  Duemila anni dopo, infatti l'Anfiteatro Flavio torna palcoscenico di battaglie e gladiatori, raccontando di quei 100 giorni di gare e festeggiamenti inaugurali dell'80 d.C. in "Sangue e Arena", primo show suprogetto del nuovo Parco Archeologico aperto al pubblico fino al 27 ottobre (ogni venerdi' e sabato, tre spettacoli di 30 minuti in italiano e inglese, platea da 170 persone, biglietto 20 euro). 

Una performance multimediale, che per la prima volta si svolge direttamente sul piano dell'arena dell'Anfiteatro Flavio, proprio li' dove si affrontavano i piu' temerari eroi del tempo, e con il pubblico nel Menianum inferiore, dove sedevano i senatori. 

Monumento tra i piu' visitati al mondo, ripropone le emozioni vissute dagli antichi cittadini di Roma, il coraggio dei gladiatori, le belve in arrivo dalle lontane provincie dell'Impero. 

Costato "500 mila euro in arrivo dalla bigliettazione" e realizzato in "quattro mesi di lavoro" in collaborazione con Electa, tra ricostruzioni virtuali, luci, musica e ologrammi proiettati su un telo di 17 metri, lo show a cura della responsabile del monumento, Rossella Rea, ripercorre i fasti e il lungo calendario di eventi inaugurali voluti dall'imperatore Tito per l'Anfiteatro, progettato nel '69 d.C. da suo padre Vespasiano, ma terminato solo nell'80. 

Per festeggiare, il sovrano non bado' a spese, regalando agli oltre 73 mila spettatori che l'arena poteva ospitare tre mesi di attrazioni, da giugno a settembre: naumachie ma anche venationes, feroci munera tra gladiatori, esecuzioni capitali. 

"Tutto quello che vedrete e' accaduto davvero", dice la Rea. Narratore di gesta e Miti, il poeta spagnolo Marco Valerio Marziale, testimone oculare di tanta grandezza negli epigrammi del Liber de spectaculis. 

Ecco allora le impressionanti coreografie acquatiche; la Pompa (il corteo solenne dei protagonisti dei giochi); il rito della probatio armorum per verificare la regolarita' dell'arma pugnatoria; la corona di alloro per i vincitori. 

Una ricostruzione virtuale, ma rigorosamente filologica, costruita su fonti iconografiche antiche, prime tra tutte i mosaici: vere e proprie pagine di storia illustrate. L'ideazione e la produzione delle installazioni multimediali, che combinano insieme diverse tecniche e stili dal modeling all'animazione in 3D e projection mapping, e' della societa' canadese Graphics e Motion, "vincitrice di bando e gia' nota - dice la Rea - per alcune proposte su Pompei", che ha lavorato in stretto contatto con la direzione del monumento e del Parco, insieme a un comitato scientifico di storici, archeologi e architetti. 

Dal 14 maggio infine è ripresa "La luna sul Colosseo", visita serale a sotterranei, gallerie e arcate interne, in italiano e inglese, fino al 31 ottobre.


13/05/18

La poesia della Domenica: "Historiae" di Antonella Anedda.




Historiae

Prima di essere sconfitto dai cristiani, Massenzio
eresse al figlio Romolo
un grande Mausoleo pagano. Nessuna guida dice
quanti anni avesse il ragazzo né quale sia stato il motivo della morte.
E' marzo, il sole scalda le pietre,
due reti arancioni difendono il restauro dalle frane.
Scendendo in quella luce da ipogeo ascoltiamo l'eco dei suoni -
"forse era là" dice una voce. Indica una tana tra piante nate nell'umido,
vive anche senza calore.
Nessuno grida, i cani sono con i padroni,.
Due uccelli simili all'ibis solitario si posano sul muro
poi volano in un tonfo oltre un pino romano parasole.
Penso a Romolo, alla sua tomba imperiale
e la comparo al varco tra la sedia e il tuo letto,
un mausoleo eretto a caso e visitato con cautela dal gatto.
Mi chiedo se davvero Massenzio desiderasse Roma
o non fosse già come noi siamo ora
stretti a una forma senza segno, privi di vittoria.


Antonella Anedda, inedito di prossima uscita.

12/05/18

Fabrizio Falconi parla delle Statue di Roma Lunedì prossimo, 14 maggio al Circolo L'Incontro.



Per gli appassionati di Roma e dell'arte, una conferenza - con molte foto, aneddoti storie e curiosità - su 8 delle statue più famose di Roma, dalla Paolina Borghese, alla Pietà di Michelangelo, dalla statua parlante di Pasquino, a quella del Babuino, dal Marco Aurelio alla Lupa del Campidoglio, dall'Ermafrodito al Louvre (e la sua copia alla Galleria Borghese di Roma), allo Spinario dei Musei Capitolini. 

Sono un patrimonio inestimabile della città e raccontano la nostra storia (quasi) trimillenaria. 

L'appuntamento è per Lunedì prossimo, 14 maggio alle ore 16.30 al Circolo L'Incontro, presso l'Istituto San Gabriele, Viale Cortina D'Ampezzo n. 144. 





11/05/18

Una Mostra al Museo della Memoria di Roma per ricordare il Bombardamento di San Lorenzo del 1943.



Il museo della Memoria e della Storia di Roma ricorda in una mostra il bombardamento del 19 luglio 1943. 

Cinquecentonovantuno bombardieri sganciarono mille tonnellate di esplosivo ad alto potenziale sul quartiere di San Lorenzo, sul Prenestino, sull'area del cimitero del Verano, sulla Citta' Universitaria e zone limitrofe. 

Il 13 Agosto un secondo bombardamento continuo' l'opera di devastazione

I morti furono circa 3000, moltissimi i feriti.

Oggi San Lorenzo e' uno dei quartieri piu' vivaci della movida animata dai giovani. A 75 anni di distanza le conseguenze dei bombardamenti, ancora in parte visibili, sono segni evidenti per chi conosce o ha vissuto quei tragici accadimenti, ma illeggibili per chi frequenti le sue strade e i suoi locali senza conoscerne la storia.

'1943 - 2018 Memoria e spazio pubblico. 12 progetti per ricordare il bombardamento di San Lorenzo', visibile dall'11 al 16 maggio 2018 alla Casa della Memoria e della Storia, ha come obiettivo tenere vivo il ricordo di questi tragici avvenimenti, grazie alla sperimentazione di nuove modalita' di comunicazione.

La mostra raccoglie il lavoro di ricerca e progettazione realizzato dagli studenti dell'atelier di Exhibit Design, tenuto dai professori Cecilia Cecchini e Maurizio Di Puolo nell'ambito della laurea magistrale in Design, Comunicazione Visiva e Multimediale della facolta' di Architettura della Sapienza universita' di Roma.

Gli studenti hanno progettato - con un approccio interdisciplinare che coinvolge comunicazione multimediale, architettura e grafica - un memoriale diffuso per San Lorenzo, in grado di superare la retorica dei tanti monumenti ai caduti.

Nei progetti presentati, i molti palazzi dall'inspiegabile profilo mutilato, sedi oggi di affollati ristoranti e pub, acquistano un nuovo senso; la realizzazione di piccole architetture del ricordo, la mappatura interattiva degli edifici distrutti accessibile con up dedicate, l'inserimento di postazioni multimediali che forniscono informazioni mirate, le testimonianze dei sopravvissuti raccolte in appositi siti web, danno nel loro insieme una modalita' nuova di lettura di quei luoghi restituendone la Storia.

 La scritta 'Eredita' del Fascismo', che comparve su un muro del quartiere San Lorenzo in quei giorni, e' ormai scomparsa, ma affinche' l'oggi non sia incosciente di quel che e' stato ieri sono necessari nuovi, puntuali e potentiprogetti di comunicazione. 

 I progetti in mostra realizzati dagli studenti e i filmati che li accompagnano forniscono una chiave di lettura coinvolgente delle tracce di quegli accadimenti facendone l'occasione per raccontare la Storia e propongonouna modalita' di fruizione dello spazio pubblico all'insegna della conoscenza, della condivisione e della valorizzazione dei luoghi.Un evento collaterale alla mostra e' la presentazione, martedi' 15 Maggio alle 17, di Caratteri clandestini.

 La tipografia nella resistenza italiana, il volume di Andrea Vendetti in uscita per ETS Edizioni, che nasce dallo sviluppo della tesi di laurea in Disegno Industriale, relatore Cecilia Cecchini. Il testo approfondisce lo studio delle tipografie attive in Italia durante la Resistenza e della grafica della stampa clandestina. La mostra e' a cura di Cecilia Cecchini e Maurizio Di Puolo per il Dipartimento di Pianificazione, Design, Tecnologia dell'Architettura della Facolta' di Architettura - Sapienza Universita' di Roma, promossa da Roma Capitale - assessorato alla Crescita culturale - Dipartimento Attivita' Culturali in collaborazione con Ze'tema Progetto Cultura.

Fonte Lapresse

10/05/18

Libro del Giorno: "La città bucata", le poesie di Antonella Palermo.


Nelle curate edizioni di Interno Poesia esce con la prefazione di Franca Mancinelli, La città bucata, ultima raccolta di Antonella Palermo, nata a Campobasso, ma romana d'adozione, nota voce radiofonica, che ha esordito nel 2012 con Le stesse parole (Lietocolle).

E' il risultato di una lingua conquistata attraverso il dolore, come scrive Franca Mancinelli, che in questa raccolta, divisa come una piccola sinfonia in 4 movimenti (A ferri scoperti; Del voi; In levare; Onora le spine) snodandosi, perde le spigolosità più acute, apre brecce nel mondo intorno e nel mondo interiore che ne è corrispettivo.  

Dettagli esteriori, corporei, minimi, quasi si potrebbe dire cinematografici, sospesi, aprono spiragli sulla nudità interiore, nel clima raffreddato/a livello di cuori lenti; così come, là fuori, la giungla e i suoi animali/ irrompono tra i santi/ e le capriole del fotografo / che vuole immagini pulite spalancano invece visioni in cui il verso obliquo a scendere / riporta nelle grotte / di una città bucata.

C'è un dialogo ininterrotto con un tu che si dichiara, ma non possiede nessuna struttura, né sincerità: Non sai nemmeno come è fatta, la mia spalla/ che curva prende... Questo mio odore che dici buono/ dove ti resta ?  

Le parole di oggi non vanno, suonano come una moneta falsa, non distinguono il vero dall'effimero, devono essere scacciate, alla ricerca di qualcosa di più autentico, che non teme la rovina e il contatto: Ma io cercavo il tuo ginocchio/per ricominciare, dalla folla,/ il nostro paio. 

I vecchi, muti testimoni del nostro disorientamento, ripetono in leggero asincrono/le formule del prete.

E' necessario il coraggio di una rinascita, per la quale occorre una forza intensa: Le braccia all'unisono, larghe/ saranno il punto./ La sorpresa della lettera grande/ che verrà dopo/ la grazia che ha la resistenza sulle lunghe distanze.

E' questo il punto: la ricerca di quello che resta quando tutto passa, l'unica cosa che può condurci in salvo. Non è una voce assordante: è un sussurro: Se accettassi questa ritmica in levare/ mi affrancherei dalla dispensa piena/ e brinderei con l'aria. 

La ricerca di quella crepa nel basamento, che decentra gli egoismi; sì bisogna onorare le spine, e giocare, avere il coraggio di giocare a spavento/ spauracchio in precipizio al mare.

Il dono di sé, come una lunga eco, chiude la raccolta: 

Sono bianco
papavero raro.
Mi serve un tuo soffio
per non esserci più
e lasciare che estesa
e spudorata e grande 
tu sia.

Un cammino di iniziazione breve e intenso, che raggiunge, pagina dopo pagina il suo culmine, con una scrittura sempre misurata, che tiene sorvegliata e libera, allo stesso modo, una voce poetica autentica, miracolosamente in bilico tra estasi e pena quotidiana. Solo nell'accettazione della caduta, nella consapevolezza della distanza, si giunge ad ascoltare se stessi, e solo ascoltando se stessi ci si può per davvero regalare a un altro.





09/05/18

"Rome by night": tre bellissime conversazioni/evento da non perdere.



Il Michelangelo e il suo Mosè, Trinità dei Monti e la sua scalinata, La Fontana di Trevi e il suo convento: tre bellissime conversazioni per chi ama Roma e la sua storia unica. Riporto qui la locandina con il calendario degli eventi.



08/05/18

Tornano a splendere dopo un anno e mezzo di restauro, i magnifici mosaici di Santa Maria in Trastevere !


E' la storia di un equilibrio ritrovato il restauro della facciata di Santa Maria in Trastevere grazie al quale torna finalmente leggibile la secolare evoluzione storico-artistica, con la sua bellezza e il suo messaggio spirituale, di uno dei luoghi simbolo di Roma.

Dopo un anno e mezzo di lavori condotti dal team di restauratori della Soprintendenza Speciale di Roma e circa 400 mila euro di fondi spesi, gli splendidi mosaici medievali che tagliano orizzontalmente la facciata della basilica, con l'oro scintillante e la Madonna che domina la scena, tornano a dialogare con le pitture ottocentesche di Silverio Capparoni, finalmente visibili nei loro colori, e, in basso, con il portico settecentesco dell'architetto Carlo Fontana.

Il restauro, proprio per la compresenza di diversi stili e materiali, e per i vari interventi subiti dalla basilica, e' risultato fin da subito complesso.


"Quando parliamo di finanziamenti su Roma tocchiamo un tasto dolente. Roma e' una citta' che ha pochissime risorse, negli ultimi 20 anni ha avuto veramente poco. Abbiamo dovuto integrare, abbiamo potuto integrare il primo finanziamento ministeriale con i fondi che adesso la soprintendenza speciale di Roma riesce stabilmente ad avere grazie al 30% degli incassi del Colosseo". Lo ha affermato il soprintendente Francesco Prosperetti, alla presentazione per la stampa del restauro della facciata della basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma.

"Sono circa 13 milioni di euro ogni anno, che ci permetteranno di intervenire meglio di prima sul patrimonio monumentale romano", ha aggiunto. "Il restauro non e' costato molto, attorno ai 400.000 euro. E' durato 15 mesi, con un grande lavoro di abnegazione da parte del team al femminile delle restauratrici del consorzio Roma che hanno sfidato le intemperie su questa facciata molto esposta anche nel periodo invernale", ha sottolineato.


Fonte: ANSA e ASKANEWS

Video su askanews.it


07/05/18

ULTIM'ORA ANSA: "Sotto Colle Oppio una Nuova Pompei"!



"Crediamo che sotto tutta l'area della Polveriera di Colle Oppio come in altri punti di Roma ci possa essere una nuova Pompei, ma al momento non mi sembra che ci siano le condizioni per procedere a uno scavo".

Lo ha detto Eleonora Ronchetti della Soprintendenza capitolina durante la commissione Cultura-Ambiente sui pareri per un playground nell'area della Polveriera di Colle Oppio.

"Ci vorrebbe qualche milione di euro per fare uno scavo archeologico e accertare l'entita' e l'estensione delle terme di Tito che probabilmente si trovano su tutta l'area", ha concluso.

fonte ANSA

Dreamers 68 - Una bellissima mostra di foto e non solo al Museo di Roma in Trastevere.


In occasione del 50° anniversario del 1968, AGI Agenzia Italia ricostruisce l`archivio storico di quell`anno, recuperando il patrimonio di tutte le storiche agenzie italiane e internazionali, organizzando Dreamers - 68 questa affascinante mostra fotografica e multimediale che è allestita al Museo di Roma in Trastevere dal 5 maggio al 2 settembre 2018 (con apertura al pubblico dalle 9 alle 19)

La mostra a cura di AGI Agenzia Italia, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e con il patrocinio del MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell`Universita' e della Ricerca e' resa possibile dalle numerose fotografie provenienti dall`archivio storico di AGI e completata con gli altrettanto numerosi prestiti messi a disposizione da AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, AFP Agence France-Presse, AGF Agenzia Giornalistica Fotografica, ANSA, AP Associated Press, Marcello Geppetti Media Company, Archivio Riccardi, Getty Images, Contrasto, Archivio Storico della Biennale di Venezia, LUZ, Associazione Archivio Storico Olivetti, RAI-RAI TECHE, Corriere della Sera, Il Messaggero, La Stampa, l`Espresso. 

I servizi museali sono di Ze'tema Progetto Cultura. L`iniziativa nasce da un`idea di Riccardo Luna, direttore AGI e curata a quattro mani con Marco Pratellesi, condirettore dell`agenzia, e intende delineare un vero e proprio percorso nell`Italia del periodo: un racconto per immagini e video del Paese di quegli anni per rivivere, ricordare e ristudiare quella storia.


Da qui, AGI ha ricreato un archivio storico quanto piu' completo del `68 attraverso le immagini simbolo dell`epoca

Non solo occupazioni e studenti, ma anche e soprattutto la dolce vita, la vittoria dei campionati europei di calcio e le altre imprese sportive, il cinema, la vita quotidiana, la musica, la tecnologia e la moda. 

Tutti questi temi verranno raccontati attraverso la cronaca, gli usi, i costumi e le tradizioni in diverse sezioni tematiche, dando vita e facendo immergere il pubblico in questo lungo e intenso racconto nell`Italia del `68. 

Un viaggio nel tempo fra 178 immagini, tra le quali piu' di 60 inedite; 19 archivi setacciati in Italia e all'estero; 15 filmati originali che ricostruiscono piu' di 210 minuti della nostra storia di cui 12 minuti inediti; 40 prime pagine di quotidiani e riviste riprese dalle piu' importanti testate nazionali; e inoltre una ricercata selezione di memorabilia: un juke boxe, un ciclostile, una macchina da scrivere Valentine, la Coppa originale vinta dalla Nazionale italiana ai Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich durante la finale con la Jugoslavia, la fiaccola delle Olimpiadi di Citta' del Messico. Anche i personaggi che hanno contraddistinto quegli anni accompagneranno i visitatori all`interno di questo percorso: Martin Luther King, Robert Kennedy, Jim Morrison, Pierpaolo Pasolini, Adriano Celentano, Patty Pravo, Federico Fellini, Alberto Sordi, Giacinto Facchetti, Gianni Rivera, Domenico Modugno, Nino Benvenuti.

Cosa resta oggi del Sessantotto? La mostra e' stata promossa e ideata perche' a rispondere a questa domanda siano soprattutto i giovani di oggi, infatti come scrive Riccardo Luna nel catalogo "Questa non e' una mostra sul passato ma sul futuro 1/8… 3/8 Una strada per ricominciare a sognare". 

Oltre all`esposizione l`iniziativa prevede l`organizzazione di un ciclo di eventi e incontri estivi, che si svolgeranno nel Chiostro del Museo, dedicati ai principali momenti musicali, sportivi, politici, culturali e cinematografici che hanno caratterizzato l`Italia nel 1968 con l`obiettivo di coinvolgere un vasto pubblico e il maggior numero di scuole

Obiettivo primario dell`iniziativa e' far si' che ciascuno studente, grazie soprattutto alla partecipazione diretta alle proiezioni cinematografiche, ai dibattiti sulla politica, ai concerti musicali nonche' ad altre iniziative tematiche, possa conoscere e vivere piu' da vicino un anno e, soprattutto, un Paese sino ad oggi studiato solamente sui libri di storia. 

Attraverso il MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell`Universita'e della Ricerca verranno coinvolte direttamente le scuole medie e superiori con l`organizzazione di visite guidate mirate agli studenti. 

L`evento, realizzato con il contributo di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con SIAE- Societa' Italiana degli Autori ed Editori e in partnership con la RAI, Sky, la FIGC, la Fondazione Museo del Calcio, il CONI, l`AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio Democratico, Open Polis e il CENSIS, si avvale della collaborazione scientifica ed editoriale dell`Istituto dell`Enciclopedia italiana "Treccani" con il quale verra' realizzato il catalogo dell`esposizione. 

I media partner coinvolti sono Formiche, il Tascabile, magazine digitale di Treccani, Rai Teche, Scomodo, Radioimmaginaria e VoiceBookRadio.

06/05/18

Segna la data: il 13 maggio arriva l'APPIA-DAY.



Far convergere gli interessi diffusi presenti lungo il tracciato dell'Appia, da Roma a Brindisi, per rendere la regina viarum oltre che un attrattore culturale una direttrice di sviluppo in chiave turistica, rilanciando cosi' l'economia di questi luoghi nell'ottica di nuovo approccio per la crescita delle nostre citta'.

E' l'obiettivo di AppiaNet, una rete che vuole comporre un progetto contemporaneo di Appia Antica forte del contributo di tutti quelli che se ne occupano e se ne prendono cura: il parco archeologico, le universita' e la ricerca, le associazioni ambientaliste e quelle di tutela, i Comuni e le Regioni, le imprese del territorio.

L'iniziativa - frutto della collaborazione tra Legambiente, CoopCulture e Touring Club Italiano - e' stata presentata  presso la Reggia di Caserta nel corso del workshop 'Verso il Forum Appia' che parte non a caso da Caserta, proprio per raccontare come il 'sistema' Appia coinvolge non soltanto Roma ma tante citta' del Centro e Sud Italia - vedra' convergere intorno all'antica strada romana associazioni, imprese, cooperative e borghi storici per creare una rete di relazione sulla quale costruire un calendario articolato di iniziative durante tutto l'arco dell'anno.

Il tutto nello spirito della terza edizione dell'AppiaDay il prossimo 13 maggio: una giornata di festa per muoversi senza auto tra il primo miglio dell'Appia e Villa dei Quintili, e poi apertura straordinaria e gratuita dei monumenti tra Roma e Brindisi e tanti eventi in programma - passeggiate, trekking, ciclotour, musica e spettacoli - per vivere l'archeologia e il territorio a piedi e in bici.


'L'Appia Day e gli oltre duecento eventi ad esso collegati - spiega Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente - hanno l'obiettivo di unire idealmente le tante citta' e comunita' locali che si snodano lungo questo antico tracciato per chiederne la pedonalizzazione per l'intero anno, a partire dalla citta' di Roma, cosi' da poterla finalmente considerare la porta d'accesso a una nuova idea di citta'.

Vogliamo mettere in atto quella che fu l'idea dell'intellettuale Antonio Cederna che piu' di tutti si e' battuto per questa visione, superando la vecchia concezione dei monumenti antichi chiusi nel recinto e proporre il patrimonio archeologico come principio regolatore dell'intero sistema urbano, in un inedito intreccio di archeologia e urbanistica'.

L'Appia Day nelle passate due edizioni ha visto la partecipazione di oltre 100 mila persone. Una giornata in cui Roma e i romani, in modo festoso si riappropriano del fascino della strada piu' bella del mondo e che insieme a Legambiente e le altre associazioni chiedono con forza la pedonalizzazione della Regina Viarum e costruire insieme la Capitale e il Paese di domani.


Con loro tantissimi cittadini dei diversi comuni del centro e sud Italia attraversati dall'antica arteria. Nel corso del Forum Appia di Caserta sono stati presentati ufficialmente gli appuntamenti dell'Appia Day e della giornata del 13 maggio, il cui programma completo e' disponibile sul sito www.appiaday.it.

A Roma e' prevista un'anteprima gia' oggi, domenica 6 maggio, con una passeggiata da Porta Portese a Ponte Sisto, promossa con la collaborazione del Comitato Mura Latine, Inarch Lazio e DIAP La Sapienza.

Una camminata di circa tre ore, durante la quale scoprire la storia e il fascino millenario che ancora conservano le strade romane.

 Sabato 12 maggio, invece, alla vigilia dell'Appia Day, per gli amanti delle due ruote da non perdere il GRAB BIKE: appuntamento alle ore 10.00 presso l'Arco di Costantino da dove partira' una pedalata di 45 km pensata per scoprire il GRAB, il Grande Raccordo Anulare delle Bici della Capitale.

Il progetto di questa ciclovia - nato dal basso, famoso a livello internazionale e gia' finanziato dallo Stato - ha proprio l'Appia Antica tra i suoi tratti piu' pregiati e molto del successo dovuto all'idea del GRAB risiede nella pedonalizzazione della Regina Viarum, elemento necessario ad assicurare all'anello ciclabile quella qualita' e quella bellezza che lo hanno reso famoso nel mondo. Per info e prenotazioni e' possibile collegarsi al link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-grab-bike-45190070718.

Nel tratto romano della consolare, costruita nel 312 a.C., cuore dell'Appia Day, il 13 maggio saranno oltre 150 gli eventi in programma con l'apertura straordinaria e l'ingresso gratuito in aree archeologiche, monumenti e musei pubblici che costeggiano il cammino dell'Appia.


Un modo per ribadire la necessita' di tutelare questi spazi dall'invasione delle auto e dello smog, per restituire gli spazi alla collettivita' e per rilanciare l'importanza di una mobilita' nuova e sostenibile anche nelle grandi citta' a partire proprio da Roma.

Ci saranno visite guidate da San Giovanni in Oleo, all'ex Cartiera Latina e ancora al Museo delle Mura o al Mausoleo di Priscilla e di Cecilia Metella; narratori d'eccezione come lo scrittore Roberto Carvelli che terra' lezioni di storia itinerante o con l'antropologo Giorgio Fabretti che curera' il walkabout "Arcadia Felix vero Cava Fabretti", la fabbrica dei sanpietrini.

La giornata sara' animata, inoltre, da performance teatrali e di rievocazione storica, laboratori (come quello di cesteria e scriptorium sublacense), degustazioni con prodotti di Slow Food per scoprire la variegata biodiversita', anche agricola, del ricco territorio che l'Appia attraversa, l'Agro romano, che fa di Roma il primo comune agricolo d'Europa. Ci saranno, inoltre, iniziative per bambini, mostre fotografiche (come quella sulla riscoperta della colonizzazione romana dell'Appennino centrale, o sulla ricostruzione cartografica realizzata nell'800 dall'archeologo Luigi Canina); escursioni.

E chiaramente anche tanta buona musica: dall'Orchestra di musica tradizionale di Testaccio alla Corale Femminile Aureliano, Coro Floreos e Coro Academia Alma Vox; ancora i Cori della scuola Musike'; il Grande Coro di Roma con concerto a cappella diretto dal maestro Fabrizio Adriano Neri o della formazione delle Rome Savoyards Barber Shop Quartet.

L'Appia Day sara' anche per i nostri amici a quattro zampe con la passeggiata "Cani in Liberta': passeggiata solidale a 6 zampe" promossa da Almo Nature, Fondazione Capellino e Legambiente e pensata per sensibilizzare i cittadini sulla necessita' di soluzioni concrete per debellare il randagismo.

L'appuntamento e' sempre per domenica 13 maggio, ore 15, al Parco della Caffarella (Largo Tacchi Venturi). La partecipazione e' a offerta libera. I fondi raccolti serviranno per aiutare il canile della Muratella.

Fonte: La Presse

05/05/18

Tutankhamen: Studio Italiano: La Daga è di origine extra-terrestre.



E' in corso al Cairo un convegno di egittologi in cui ricercatori italiani presentano risultati di studi su uno stupefacente oggetto appartenuto al faraone Tutankhamun: la sua daga piovuta dallo spazio


Alla conferenza vengono presentate le piu' recenti ricerche scientifiche sulla piu' famosa tomba regale in Egitto: scoperta da Howard Carter nel 1922, quella di Tutankhamen e' relativamente piccola ma deve la propria fama all'amplissimo corredo di centinaia di preziosi reperti

Negli anni recenti gruppi di ricerca italiani stanno contribuendo allo studio del tesoro di Tutankhamen. 

Si tratta di ricerche interdisciplinari, condotte attraverso l'applicazione ai materiali antichi di scienze e tecnologie avanzate. 

Un'equipe italiana coordinata da Daniela Comelli del Politecnico di Milano e che include ricercatori di CNR, Universita' di Pisa, Politecnico di Torino e dell'azienda XGLab - in collaborazione con ricercatori egiziani dell'Universita' di El Fayyum e del Museo Egizio del Cairo - ha studiato una daga ritrovata sulla mummia del giovane re. 


L'impugnatura e' d'oro ma e' soprattutto la lama in ferro, perfettamente conservata, ad aver suscitato da tempo l'interesse degli archeologi, visto che l'epoca di Tutankhamon precede l'Eta' del Ferro, periodo nel quale si diffonde la tecnologia necessaria a produrre manufatti con questo minerale

Le analisi del team italiano hanno dimostrato quanto alcuni egittologi supponevano: la lama e' stata prodotta con ferro di provenienza extraterrestre, il noto "ferro meteorico", e i risultati di questa ricerca saranno presentati al convegno

Sulla tomba di Tutankhamon peraltro ha lavorato di recente un gruppo di ricerca coordinato da Franco Porcelli del Politecnico di Torino e composta da ricercatori dell'Universita' del capoluogo piemontese, delle aziende Geostudi Astier di Livorno e 3DGeoimaging di Torino. 

Il gruppo e' stato invitato dal Ministero delle Antichita' egiziano ad accertare la validita' di ipotesi, avanzate in anni recenti, sull'esistenza di camere nascoste adiacenti a quella funeraria del giovane re. 

A tal fine, nel febbraio scorso, state eseguite misurazioni mediante tre sistemi geo-radar di frequenze comprese tra 200 MHz e 3 GHz. 

L'elaborazione dei dati raccolti e' stata completata da poco e si attende ora il via libera da parte del Ministero Egiziano delle Antichita' per divulgare i risultati di questa ricerca che dovrebbe stabilire in maniera definitiva la presenza o meno di tali "camere nascoste". 

04/05/18

Il Libro del Giorno: "La taverna del Doge Loredan" di Alberto Ongaro.



Morto poche settimane fa a Venezia (il 23 marzo scorso) la città dove era nato e dove ha quasi sempre vissuto, Alberto Ongaro pubblicò questo romanzo nel lontano 1980, che è divenuto negli anni un piccolo best-seller italiano, caldeggiato da lettori e recensori che - esagerando non poco - lo hanno definito uno dei migliori romanzi degli ultimi decenni in Italia. 

Ongaro amava l'avventura e i viaggi e la sua stessa vita ha obbedito a questa passione, dai tempi lontani in cui fu incarcerato per attività antifascista, durante la guerra, fino all'amicizia strettissima con Hugo Pratt che lo portò - oltre che a divenire uno degli sceneggiatori delle sue novelle grafiche - a intraprendere lunghi viaggi con lui in Sudamerica, firmando lunghe corrispondenze per l'Europeo. 

Dal 1979, tornato a Venezia, si dedicò esclusivamente alla sua attività di scrittore, e i suoi romanzi, pieni di storie di avventure e intrecci storici hanno conquistato un seguito considerevole. 

Anche la Taverna del Doge Loredan non sfugge al mix di ingredienti amato da Ongaro.  Perlopiù con il pretesto - a far da supporto alla storia - del ritrovamento di un misterioso libro, che diventa pagina dopo pagina il protagonista della storia.

Si susseguono fino alla fine del romanzo dunque i due piani narrativi, uno riferito all'oggi che riguarda l'editore e tipografo Schultz che vive in una vecchia casa veneziana ed è anche un ex capitano di marina mercantile e del suo misterioso alter ego Paso Doble che interloquisce con lui, rivangando storie di amori passati e di viaggi in treno; l'altro, quello raccontato nel libro ritrovato, riguardante una storia ambientata nella Londra di due secoli fa, che ha per protagonista un giovane aristocratico Jacob Flint, alle prese con la bellissima e disinibita Nina e con l'amante di lei, Terry Fielding, capo della malavita inglese. 

E' perfino ovvio che le due storie si intreccino con riferimenti che vanno dall'una all'altra in continuazione, fino ad un rocambolesco finale. 

Non v'è dubbio che Ongaro sia abile nel concertare una avventura picaresca e dai toni libertini, ma il romanzo non è mai seriamente avvincente, perché la qualità della scrittura è di grana ordinaria, sembrando più adatta a far da testo ad una storia a fumetti, seppure nobili, come quelle che disegnava il grande Hugo Pratt. 

Sembra più che altro di leggere parodia - nemmeno ben riuscita - di vera letteratura. Tutto ha un suono posticcio, come i nomi dei protagonisti, come le avventure fasulle, come i dialoghi scontati, come il ritmo che da un passaggio all'altro delle due storie non riesce mai a farsi vera letteratura, vera narrativa. 

03/05/18

Sir Paul Mc Cartney regala al Victoria and Albert Museum di Londra 63 fotografie rare scattate dalla moglie Linda.



In questa foto del 25 novembre 1993, Paul e Linda McCartney posano per i fotografi in una conferenza stampa prima di un'esibizione a Città del Messico presso l'autodromo di Hermanos Rodriguez. Luis Magana, FILE AP Foto


Oltre 60 foto scattate dalla defunta moglie Linda sono state donate da Paul McCartney al Victoria &Albert Museum di Londra

Sono immagini che ritraggono stelle della musica ma anche momenti di vita familiare e saranno esposte da ottobre nella nuova sezione fotografica del museo. 

Tra le foto ci sono ritratti storici dei Beatles negli anni di gloria, dei Rolling Stones e di Jimi Hendrix, ma anche di fiori e animali, e istantanee della famiglia McCartney in vacanza.

Linda Eastman, prima di conoscere Paul, e diventare cantante e tastierista, era stata una fotografa professionista. 
Linda (Eastman) McCartney e Jimi Hendrix al Miami Pop Festival, 1968

Martin Barnes, curatore della sezione dedicata alla fotografia del V&A Museum, ha spiegato che Sir Paul con il suo "grande dono" ha voluto rendere "piu' accessibile al pubblico il lavoro di sua moglie". 

Inseriti in un museo, i lavori di Linda McCartney entrano in effetti nella storia della fotografia. 

La Eastman, in particolare a meta' degli anni '60, sperimento' stili diversi, con vari tipi di fotocamere e di stampa. 

Inoltre cerco' di fotografare star del rock e del pop nei momenti piu' privati, dietro le quinte, nella vita di tutti i giorni, cercando di catturarne un'immagine "piu' onesta e piu' reale".

02/05/18

Pompei: tradotti gli antichi graffiti dal latino in italiano e napoletano. E ...sono poesia pura.



Fa il bis, sempre su facebook, il giornalista, scrittore e studioso napoletano Carlo Avvisati che sta traducendo dal latino al napoletano gli antichi graffiti diPompei. 

Questa volta ne ha trascritto uno scoperto da Matteo della Corte, l'inventore dell'Epigrafia pompeiana, sulla parete della "bottega di Successus", in via dell'Abbondanza. 

Si tratta di uno dei graffiti piu' belli e poetici mai rinvenuti in quasi 300 anni di scavi a Pompei.


Questo il testo del graffito in latino che si trova negli scavi archeologici: "Nihil durare potest tempore perpetuo: cum bene sol nituit, redditur Oceano, decrescit Phoebe, quae modo plena fuit, ventorum (alcuni epigrafisti riportano Venerum) feritas saepe fit aura levis..." che in italiano suona: 

"Nulla puo' durare in eterno: il sole che gia' brillo', torna a tuffarsi nell'oceano, decresce la luna che gia' fu piena, la violenza dei venti spesso diventa lieve brezza..."

 In napoletano invece il testo diventa il seguente: "Maie niente camparra' pe' ssempe: 'o sole ca ncielo sbrennette, torna a se stuta' a mmare, ammanca 'a luna, ca chiatta e tunnulella fuie, e 'a tempestata 'e viento spisso se fa comme 'o sciatillo doce...". 

Il Parco archeologico di Pompei, dallo scorso 20 aprile, con cadenza quindicinale, sta pubblicando sul social le traduzioni dei tituli picti, delle scritte musive e dei graffiti trovati durante gli scavi. 

22/04/18

Il Libro del Giorno: "Conoscenza, Ignoranza, Mistero" di Edgar Morin.




E' uno dei libri più intensi e meravigliosi che mi sia stato dato di leggere negli ultimi decenni. 

Quasi centenario (l'8 luglio compirà 97 anni), Edgar Morin ha scritto lo scorso anno questo breve saggio (148 pagine) di incredibile lucidità e profondità di sguardo. 

Con la sua celebre prosa asciutta e densa, il nobile vegliardo della filosofia contemporanea riesce ad offrire un testo-compendio, o testo-testamento, summa del suo percorso di conoscenza, durato quasi 70 anni tra studi, cattedre, onorificenze, seminari, convegni internazionali, pieno di folgoranti illuminazioni e di profonda consapevolezza. 

Con gli occhi lucidi di chi si avvicina alla morte, Morin distilla un percorso lungo l'attuale panorama delle conoscenze umane più estreme: cosa è la realtà, cosa è l'universo immane che ci circonda, cosa è la vita biologica, come sia nata e come sia possibile l'evoluzione, cosa sia la creatività della vita vivente, cosa quella umana e che cosa sia l'umano, che è sconosciuto a se stesso, cosa siano il cervello e la mente, cosa sia l'orizzonte post-umano che sembra attenderci tutti.

La constatazione, l'elencazione di queste conoscenze, rende evidente ciò che già avevano intuito i nostri padri. Chi aumenta la sua conoscenza aumenta la sua ignoranza, scriveva Friedrich Schlegel.  E San Giovanni della Croce: E la sua scienza aumenta mentre rimane senza sapere.

Queste due frasi sono portate in ex ergo insieme a diverse altre e riassumono lo spirito del libro: La conoscenza - che Morin ama smisuratamente, al punto di averne fatto il centro della propria esistenza - è problematica, perché, come scrive nelle prime pagine, Tutto ciò che è evidente, tutto ciò che è conosciuto diventa stupore e mistero. 

L'essere umano, infatti vive gettato (Heidegger) in una realtà misteriosa nella quale armonia e disarmonia si combinano e ciò che concorda e ciò che discorda si uniscono (Eraclito).

Più sappiamo del nostro universo, dell'universo che abbiamo intorno e che esploriamo con i nostri mezzi tecnologici sempre più potenti, sempre meno ne sappiamo, sempre maggiore diviene il mistero. Basti pensare che il 95% del nostro universo è formato di massa oscura ed energia oscura che non sappiamo ancora cosa siano. Per non parlare di come esso si sia formato e da cosa, di cosa vi fosse prima, di cosa ci sia oltre, di quale sia il destino dell'universo stesso. 

Più sappiamo della vita biologica, attraverso le nostre conoscenze, e meno ne sappiamo, sempre maggiore diviene il mistero. Basti pensare a come e perché la vita si sia sviluppata da sostanze inerti, del come essa si sia evoluta, di come in quel filamento di DNA siano contenute le informazioni contenute in 2 miliardi di anni di evoluzione dal primo organismo unicellulare alla macchina infinitamente complessa che è il corpo umano. 

Più sappiamo del cervello e della mente, attraverso indagini sempre più affrofondite, meno sappiamo di una macchina formata da cento miliardi di neuroni (dieci alla undicesima) collegati tra di loro e intrecciati in centomila miliardi di connessioni sinaptiche immerse in bagni di cellule gliali, meno sappiamo di cosa sia la coscienza, di come essa si sia formata, meno sappiamo del confine che esiste - ammesso che esista - tra la mente e il cervello. 

Più sappiamo del mondo atomico, e meno sappiamo, meno riusciamo a capire come sia possibile che tutta la realtà che noi vediamo sia formata essenzialmente da vuoto e da minuscole cariche elettriche, da particelle che sono anche onde e da quanti di energia. 

Insomma, il libro di Morin è una sublime  e informatissima cavalcata attraverso le estreme frontiere della scienza e della conoscenza, attraverso quello che hanno rivelato e quello di ancora più grande che nascondono, attraverso il mistero sconfinato che ci circonda e ci abita. 

Il fiammifero che accendiamo nel buio, scrive Morin, nelle ultime pagine, non solo rischiara un piccolo spazio, rivela anche l'enorme oscurità che ci circonda.

E' però un libro mirabile perché non vi è in esso una abiura della conoscenza, una rinuncia delle sue facoltà. Il Mistero non sminuisce per nulla la conoscenza che conduce ad esso, scrive anzi Morin.

Si può vivere, come fanno in tanti, quasi tutti, ignorando, banalizzando, razionalizzando l'ignoto e l'inconoscibile, in definitiva rimuovendolo e facendo finta che non esista.

Ma non servirebbe e non serve a niente: Morin ci impartisce invece una lezione definitiva. Il Mistero va affrontato, il mistero ci incoraggia a decidere e ad agire nell'incertezza, ci pungola a partecipare all'avventura umana,  una avventura che mischia il sublima e l'orribile, ci spinge ad accettare consapevolmente e con pienezza, la nostra aspirazione alla gioia e all'estasi che ci dà il senso (illusiorio? veritiero?) di unirci a un'innominabile sublimità che ci trascende. 

Un libro che è una esperienza. Anzi che E' esperienza. E che non si dimentica.



21/04/18

21 Aprile 2018, Natale di Roma - La misteriosa sepoltura di Romolo, il fondatore della Città Eterna, nel cuore del Foro Romano (Lapis Niger).


Alla mitologia di Romolo, fondatore della città, sono legati diversi fondamentali luoghi di Roma, in primis il luogo della sua sepoltura, la sua tomba, che nella tradizione di derivazione greca, assorbita dai Romani, spettava a lui di diritto nella piazza (agorà) centrale della città. 

Il sacro diritto, spettante soltanto ai fondatori della città, fu dunque, in tempi antichissimi assegnato a Romolo, stabilendo che la sua tomba (heròon) dovesse collocarsi nel cuore cittadino, nel Foro, tra l’edificio della Curia e il Comizio che anticamente funzionava come orologio solare, meridiana di riferimento per tutta la città. 

Il luogo della sepoltura di Romolo fu immediatamente dichiarato sacro e l’antico toponimo di Lapis Niger è legato al materiale che fu usato per la sua copertura: un lastricato in marmo nero (risalente ai lavori che furono effettuati mentre regnava Lucio Cornelio Silla), i cui frammenti sono miracolosamente sopravvissuti e ancora oggi visibili.


Il luogo individuato nell’area del Foro non era soltanto quello della sepoltura di Romolo, bensì anche quello della sua morte. Nella probabile realtà storica infatti – a dispetto della tradizione che volle deificare Romolo raccontando di una sua ascesa al cielo dal Campo Marzio, avvolto in una nube luminosa - il fondatore di Roma sarebbe stato ucciso da una congiura dei patrizi durante una seduta del consiglio regio al Volcanale, ovvero il Tempio di Efesto nel Foro Romano, che si trovava proprio sopra il Comitium

Il Lapis Niger poi potrebbe essere ancora più antico e precedere la stessa sepoltura di Romolo: secondo alcuni infatti il luogo sarebbe già stato identificato per dare sepoltura a Faustolo, il padre adottivo di Romolo. 

 Mentre secondo altri ricercatori l’antichissima tomba (che una volta era a cielo aperto) si riferirebbe ad Osto Ostilio, il nonno di Tullo Ostilio, il terzo dei re di Roma. 

E all’epoca di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), lo scrittore riferiva la presenza di due leoni accovacciati che erano di guardia al sacro sepolcro. 

 Quel che è certo è che il primo nucleo originario della struttura risale al VI secolo a.C. e a questa stessa epoca risalgono le strutture sotterranee: una piattaforma su cui era posto un altare a forma di U dotato di un basamento e di due cippi, uno conoidale che forse era la base di una statua (probabilmente di Orazio Coclite identificato come il dio Vulcano aggiunta all’inizio del III secolo a.C.), ed uno trapezoidale con una legge sacra iscritta in latino arcaico su tutte e quattro le facce.


I cippi sono oggi entrambi mutili, ma ovviamente quello più interessante è quello trapezoidale che ha dato molto lavoro agli archeologi e agli epigrafisti. L’iscrizione infatti presenta caratteri simili alla scrittura greca, ma che non sono greci e perlopiù sono disposti alla maniera bustrofedica, cioè da sinistra a destra e a capo da destra a sinistra, come fanno gli aratri nei campi

Per molto tempo questa iscrizione – fino alla incredibile scoperta della Fibula Praenestina (la spilla in oro del VII secolo a.C. scoperta a Palestrina nel 1887 e conservata oggi al Museo Luigi Pigorini) – era ritenuta la più antica latina mai conosciuta

E ancora oggi viene ritenuta importantissima per la decifrazione del latino arcaico. Pur essendo mutilata, gli esperti hanno potuto interpretare l’iscrizione come una formulazione di maledizione contro chi osasse violare questo luogo di sepoltura sacro, un po’ come avveniva per i sepolcri dei faraoni dell’Antico Egitto.


Il nero utilizzato per il lastrico, i leoni di guardia, e la misteriosa pietra, hanno per lungo tempo protetto il luogo dalla intrusione dei predoni e dalla furia dei vandali. E ancora oggi è una delle principali attrazioni del Foro Romano.

Fabrizio Falconi
riproduzione riservata - 2018

19/04/18

Il Libro del Giorno: "Mia cugina Rachele" di Daphne du Maurier




L'editore Neri Pozza ha recentemente ripubblicato un classico della narrativa del secondo novecento, Mia cugina Rachele (titolo originale: My Cousin Rachel), scritto nel 1951 da Daphne du Maurier e divenuto un grande successo internazionale continuamente ristampato in mezzo mondo. 

Dal romanzo fra l'altro è stato tratto un altrettanto celebre film l'anno seguente, diretto Henry Koster con Olivia de Havilland e Richard Burton, mentre proprio l'anno scorso - sugli schermi italiani adesso -  è stata realizzata una seconda trasposizione cinematografica dal titolo Rachel, interpretata da Sam Claflin nel ruolo di Philip e da Rachel Weisz (omonima del personaggio della protagonista che interpreta), per la regia di Roger Michell.

La nuova edizione, pur penalizzata da una traduzione incomprensibilmente trasandata e zeppa di vezzeggiativi, offre l'occasione per tornare su una scrittrice dalla lunga vita e dalla notevole produzione che è stata sempre snobbata dalla critica colta, forse anche a causa dello sterminato successo che ha arriso alla sua narrativa. 

La vicenda raccontata è nota: ai primi dell'Ottocento, Philip Ashley, orfano dei genitori, racconta in prima persona la sua storia: allevato dal cugino Ambrose Ashley - più grande di vent'anni -  è rimasto solo nella grande tenuta signorile in Cornovaglia che erediterà al compimento del suo 25mo compleanno. Il cugino Ambrose infatti, per ragioni di salute è partito per l'Italia, lasciando Philip a casa.  Giunto a Firenze Ambrose incontro la cugina italiana Rachele, che, vedova di un conte italiano, vince la diffidenza di Ambrose per le donne, al punto che questi decide di sposarla.  Ben presto però arrivano a Philip notizie preoccupanti: Ambrose è malato, e scrive strani e inquietanti messaggi.  Philip, d'accordo col suo padrino e tutore Nick Kendall, si mette in viaggio e giunto in Italia, scopre che Ambrose è morto e la cugina Rachele se ne è andata. 

L'odio per Rachele, per averle portato via l'adorato cugino, si trasforma in breve in ossessione quando lei si presenta in Inghilterra per spiegare la situazione e di come la malattia di Ambrose - un tumore al cervello - lo abbia ucciso, deviandone le capacità di intendere e di volere. 

Philip passa dalla aperta e totale ostilità all'amore incondizionato per Rachele, che nel frattempo è riuscita a farsi benvolere da tutti i coloni della zona. 

Il sospetto però presto si impadronisce di Philip, il quale comincia a pensare che Rachele stia ripetendo con lui lo stesso copione recitato con Ambrose, al fine di impossessarsi di tutti i suoi beni.

Un melodramma, insomma, adatto al gusto dell'epoca che però, riletto oggi, suggerisce diverse chiavi di letture, nessuna banale.  Se infatti è piuttosto facile leggere il romanzo in chiave misogina, questa non appare affatto la reale intenzione della Du Maurier. Tutt'altro: il finale completamente aperto e ambivalente lascia spazio all'interpretazione opposta, e Rachele lungi dall'essere una strega cinica e subdola, potrebbe rappresentare invece l'esempio di una donna libera ed emancipata, alle prese con uomini immaturi e infantili, coraggiosamente padrona del suo destino. 

Insomma, una storia ed un romanzo tutt'altro che ininteressante, pregevole come sempre nella cura di ogni snodo e del gusto pieno della narrazione. 

Fabrizio Falconi
riproduzione riservata - 2018

18/04/18

L’eremo della Mentorella sul Monte Guadagnolo e il genio di Athanasius Kircher (1602-1680)




 L’eremo della Mentorella sul Monte Guadagnolo e il genio di Athanasius Kircher (1602-1680) 
di Fabrizio Falconi


  
        La prima volta ci sono arrivato per caso molti anni fa.  Sulle tracce degli obelischi.
        Roma, per chi non lo sapesse, è la città al mondo che ne ospita di più. Gli obelischi egiziani -  la maggior parte dei quali molto più anziani di qualsiasi manufatto umano esistente nella ‘città eterna’ - sono ben tredici.   Alcuni assai famosi, come quello di Ramsete II, che svetta ancora in Piazza del Popolo, oppure quello scavato nelle cave di Assuan da Tutmosis III ben millecinquecento anni prima di Cristo. Altri ormai misconosciuti, come quello ‘capitolino’ lasciato ad ammuffire tra le erbacce di Villa Celimontana.
         E anche se oggi se ne parla solo quando si discute di ‘arredo urbano’ , c’è sempre qualcuno, per fortuna, che degli obelischi si interessa alla loro storia millenaria.
         Avevo letto in un libro di Cesare d’Onofrio, che al Collegio Romano esistevano ancora tracce di una antica e prestigiosa collezione di antichi modellini, in scala, degli obelischi egizi di Roma.
       Una mattina varcai la soglia del Liceo Visconti,  che oggi è ospitato nelle sale del Collegio Romano.  Erano appena finite le lezioni, pochi studenti bighellonavano nel cortile, all’ombra della grande torre. Chiesi indicazioni alla segreteria del liceo.   Una impiegata senza molta voglia di rispondere, mi rimandò all’ufficio del preside. Ma anche lui era assente. Una seconda segretaria, questa sua personale, mi chiese il motivo della visita.  Spiegai che stavo cercando la collezione dei modelli degli obelischi.
         La signorina, una donna corpulenta e bionda, dai tratti nordici, chiese di rimando:
         “ Quelli di Kircher ?”
         Non era la prima volta che sentivo quel nome, ovviamente.
         Ma quel giorno, si scatenò definitivamente la mia curiosità.  Anche perché la collezione risultò non visitabile.  I modelli degli obelischi – alcuni dei modelli, quelli superstiti -  mi spiegò la segretaria, effettivamente erano ancora lì, conservati sotto chiave, in alcune normalissime teche, nel sottotetto dell’edificio.  Ma per vederli bisognava disporre di una autorizzazione speciale, della sovrintendenza.
         “ Tra l’altro, “ aggiunse la segretaria, “ non glielo consiglio. Non è che siano tenuti molto bene, sa. Non capisco perché qualcuno non se ne occupi. Non li restauri, per esempio, e vengano esposti in un museo vero.  Qui combattiamo con gli studenti, non sa cosa sono capaci di fare quelli.”
         Ringraziai la ragazza, rimasi ancora un po’ a guardarmi intorno nel cortile dell’antico Collegio dei Gesuiti,  l’ombra dell’edificio l’aveva ormai occupato quasi interamente.
         Quello stesso giorno, anche se archiviata l’idea di vedere i modelli – troppo complicato -  riuscii ad ottenere la commissione di indagare – per conto di una rivista – su alcuni aspetti della vicenda terrena di Padre Athanasius Kircher.
         Sul conto del quale molto sapevo, ma altrettanto ignoravo.
       Illustre gesuita tedesco, massimo erudito, uomo per molti versi misterioso. Autore di bizzarre opere enciclopediche dai titoli solenni:  Ars Magna Lucis et Umbrae;  Itinerarium Exstaticum;  Phonurgia nova; Prodromus coptus sive aegyptiacus.   Avevo visto qualche giorno prima da vicino, nel Romani Collegii, uno dei pochi ritratti esistenti, il tondo con l’incisione del volto di Kircher: quella faccia incorniciata dalla barbetta bianca e dal tricorno nero, il naso imponente e dritto, gli occhi chiari e vispi, sullo sfondo consueto di quella che doveva essere la sua sterminata biblioteca.
        
      
 Uomo religioso, e allo stesso tempo grande scienziato, che  non esitava a farsi calare nella bocca del Vesuvio, per studiare da vicino la meccanica dei vulcani. Pio pastore, eppure anche intrepido esploratore dell’occulto, come di qualsiasi materia del conosciuto: dalla matematica alla geometria dei solidi, dallo studio delle lingue – copto, siriaco, egizio -  alla interpretazione dei simboli ermetici,  cultore di  numerologia, cartografia, ottica. Nel suo gabinetto delle scienze, al Collegio Romano – in quelle stesse  aule dove oggi stemperano le loro furie ormonali gli allievi del decaduto Liceo Visconti -  Athanasius Kircher realizzò tra le altre cose inventò il prototipo della lanterna magica;  una delle più antiche calcolatrici;  compilò la prima rappresentazione cartografica delle correnti marine; fu il primo ad osservare il sangue umano al microscopio; fu il primo a decifrare la grammatica copta, sperticandosi poi nella interpretazione dei geroglifici egiziani (trascrivendone i segni dagli obelischi romani ) e sbagliando quasi tutto, ma fornendo comunque intuizioni geniali senza le quali – probabilmente – non vi sarebbe stato nessuno Champollion.
    Alla ricerca di notizie e fonti, scoprii che la Vita Reverendi Patris Athanasi Kircheri, l’autobiografia scritta in latino da sé medesimo prima di morire,  avvincente come e più di un romanzo, è inedita in Italia. Ma  buone copie erano disponibili nelle biblioteche storiche dei gesuiti.
         Così, la prima volta che sfogliai le pagine della Vita, mi imbattei in quel formidabile incipit:
        Nacqui il 2 maggio 1602, giorno di Sant'Atanasio, alle tre della notte, nell'infelice città di Geisa, a tre ore di viaggio da Fulda. I miei genitori erano Johann Kircher e Anna Gansek, cattolici devoti, rinomati per le loro buone opere.
          Quell’incipit che pare  già tutta una promessa. E in quel nome – Athanasius, dall’aggettivo greco athànatos   l’evidenza di un destino. Athanasius, l’immortale ?  Ho cominciato a pensarlo, quando per l’articolo che dovevo scrivere ho cominciato a cercare la tomba di Kircher, a Roma. Si comincia sempre da lì, dalla tomba, in effetti, quando si vuol conoscere qualcosa di più dei segreti di un uomo.  E nel caso di Kircher, com’era consequenziale a tutta la sua vita, i segreti anziché dipanarsi, si sono moltiplicati.
           La tomba di Kircher, per quanti sforzi abbia fatto per cercarla, semplicemente non esiste più.
           Dovunque sia stato sepolto -  e io ho trovato numerosi documenti antichi che riportano tutti la stessa data e il luogo della sua morte,  Roma, 27 ottobre 1680 – nessuno sa più dire dove si trovino  i resti di quel corpo.   I documenti lo danno sepolto alla Chiesa del Gesù, come doveva essere ovvio per un personaggio di tal guisa, che all’epoca tutti conoscevano, che aveva lungamente collaborato con Gian Lorenzo Bernini alla realizzazione di alcune delle più grandi imprese del barocco romano – e che negli anni aveva allestito, proprio nelle sale del Collegio Romano uno straordinario museo di meraviglie, raccolte da confratelli gesuiti in ogni angolo del pianeta allora conosciuto, quel prodigioso Museo Kicheriano, purtroppo andato quasi del tutto perduto.
        Nessuno al mondo, in quel mondo vantava una collezione simile, con ogni sorta di reperti animali, esposti ed impagliati, con ogni specie di nuova invenzione ottica o matematica destinata a stupire i più blasonati visitatori delle corti di mezza Europa.

           
     Nessuno al mondo poteva conferire consulenze così preziose sulle opere da realizzare nella città museo del mondo, Roma. I mostri della Fontana dei Fiumi scolpiti da Bernini vengono lì, come viene da lì, naturalmente, tutto il complicato, esattissimo corredo simbolico del piccolo obelisco e dell’elefante, poco distante, il pulcino della Minerva commissionato da Alessandro VII, e scolpito da Ercole Ferrata. 
           Eppure, di un così tanto – e a giusta misura – celebrato personaggio, sorprendentemente, in nessuno dei registri anagrafici delle antiche chiese parrocchiali di Roma, conservati nella monumentale registeria storica del Vicariato di Roma,  esiste il certificato di morte e sepoltura di Athanasius Kircher. Sparito. O mai esistito.
           Perché ?
          Che fine aveva fatto quel certificato, che pure avrebbe dovuto risultare, se l’enciclopedico morì – come morì – a Roma ?  E soprattutto perché  nella Chiesa del Gesù, che conserva l’elenco minuzioso e completo di ogni sepoltura, non v’era traccia della tomba di Kircher ?
         Semplicemente, dopo qualche settimana di appassionante investigazione, e consultazione di ogni tipo di archivio, e di contatti fruttuosi con i maggiori studiosi di Kircher, in Italia e all’estero, dovetti rassegnarmi a concludere, che semplicemente la tomba illustre non si trovava, non c’era, non esisteva, e nessuno poteva dire  con sicurezza dove fosse stata una volta. 
            Quasi come se il corpo stesso dell’Athanasius,  si fosse volatilizzato, adattandosi al destino di quel nome.
            Ma le tracce di Kircher, in mancanza del corpo, non si rivelarono del tutto assenti.
            Almeno qualcosa restava.
            E qualcosa di non poco conto: il suo cuore.
            Come molti illustri contemporanei,  Kircher infatti, nelle ultime volontà, dispose per sé che, dopo la morte, il cuore fosse separato dal corpo, e deposto in un luogo a parte. 
            Quel luogo, lo aveva scelto con massima cura.
            Lessi  nella Necrologia alfabetica dei Padri Gesuiti, alla lettera K di Kircher:
            “ Il cuore è sepolto al Santuario della Mentorella, al Monte Guadagnolo.”
            Unica traccia riscontrabile. E, visto il precedente,  meglio verificare di persona.
             Così, un pomeriggio di agosto, ho preso con me una buona cartina stradale,  e in macchina mi sono diretto  fuori città, verso Sud, alla ricerca del Santuario, dove – come molti che abitano a Roma – non ero mai stato in vita mia.
           C’è anche una ragione.
          La Mentorella, pur essendo a un tiro di cannone dalla capitale, è  abbarbicata su un impervio sperone di roccia,  poco oltre Tivoli, sulla cresta del  Guadagnolo, nei monti Prenestini, che è alto milleduecento metri, eremo del tutto fuori dagli itinerari battuti dal turismo di massa.
           Si passa da Palestrina, città dalle nobili origini e dalla grande storia, poi la strada prende a salire su tornanti quasi del tutto spogli di vegetazione, da Capranica Prenestina fino alla cima del monte.  E arrivati al Passo della Fortuna, nome memorabile, laggiù in basso, a sinistra, ecco comparire il dorso di tetti rossi del Santuario.
        Varcato il cancello di ingresso, davanti all’ingresso della chiesetta, su un piccolo rialzo di roccia, una grande croce, moderna.   Di fronte, un altro ventaglio di rocce scoscese, dal profilo piuttosto familiare. 

        Parcheggiata la macchina di fronte al cancello di ingresso, e oltrepassatolo, si scopre subito un cartello verniciato, all’imbocco di un impervio sentiero che discende la montagna: Cammino Athanasius Kircher.
        Lo si capisce immediatamente: questo luogo deve molto a Kircher, ma la sua lunghissima storia non comincia certo con il padre gesuita, che in realtà si limitò a riscoprirlo, a restituirlo a nuova vita dopo secoli di totale abbandono.
        Ma la vicenda cristiana che si fonda sulla Mentorella  può vantare duemila anni di storia.   E comincia, mentre a Roma imperava Traiano,  con la prodigiosa visione dalla solida tradizione attribuita all’ufficiale pagano Placido, che in questa regione possedeva ville e terreni, nei quali esercitava la caccia, tra una campagna militare e l’altra.
        Un giorno fatale, a quell’ufficiale un po’ rozzo accade qualcosa di inspiegabile e anche di inconfessabile.  Tra le corna del grande cervo che sta per ammazzare, e che gli è apparso all’improvviso su una nuda roccia,  vede il volto di Gesù Cristo.  Una luce divina, così forte, una visione così ‘intollerabile’  che lo costringe a cambiare tutta la sua vita, da un momento all’altro.

La visione di Sant'Eustachio del Pisanello

        Torna a Roma, si fa battezzare come fanno i cristiani,  e cambia il nome in Eustachio.  Nella Roma efferata di quei tempi non rinuncia alla nuova fede, non  abiura.  Cosa che gli vale il martirio, prima risparmiato dalle belve feroci, poi insieme a mogli e figli, dentro un toro di bronzo arroventato.
         Sul posto dove apparve il cervo, sulla sommità della rupe, una semplice cappella. Pochi gradini per arrivarci, un piccolo campanile, con una corda che un bimbo si diverte a tirare, gli affreschi scrostati, e la massima visione sull’ampia valle del Giovenzano.
         E la storia prosegue.  Dopo Eustachio, il Santo, venne qui Costantino Imperatore. Impressionato dal sacrificio di Eustachio,  e a lui devoto, si dice, qui fece costruire un primo tempio. Del quale non restano che sparute colonne.

La visione di Sant'Eustachio del Durer
         
           In questo semplice, essenziale compendio di storia del cristianesimo – che è la Mentorella -  arriva poi il tempo del grande monachesimo d’occidente. Con il suo grande patriarca,  Benedetto da Norcia.  Fu abitata da lui, la piccola e bellissima grotta che si apre sotto la rupe di Eustachio ?   Le fonti dicono di sì.  E si fermò due anni interi, sembra, prima di andare a fondare il Sacro Speco.
          Due anni interi in questa grotta ?
          Per entrarci, oggi, ci si deve mettere di traverso, farsi accarezzare dalla roccia, in una fenditura strettissima, sorvegliata all’ingresso da ossa umane, in un tabernacolo incassato dentro la montagna.  Poi, all’interno, poche candele accese, un grande e spoglio crocefisso, un rosario, il silenzio che non smette di martellare le orecchie. 
          La memoria di San Benedetto non deve essere durata a lungo, nel lento oblìo medievale,  anche se si consolidò fino all’anno mille, e dopo, la decisione ripetuta e continua di assegnare il santuario alla pertinenza dei Benedettini di Roma. 


          Per la vera rinascita, però, bisognò aspettare altri secoli, fino all’anno del Signore  1661, quando il volenteroso gesuita di Fulda,  preso da una delle sue frenetiche ricerche storico-mistiche  – stavolta il trattatello si sarebbe chiamato Historia Eustachio-Mariana -  si avventurò da queste parti sulle tracce di Sant’Eustachio, e della miracolosa visione del cervo.
          Non è difficile indovinare il suo stupore, quando egli – con i mezzi dell’epoca, che possiamo immaginare – arrivando sulla cima del monte, in un posto dai molti crepacci come questo, scovò sommerse dagli arbusti le rovine di un antico e perduto tempio cristiano. Lo racconta lui stesso, nella Vita. La cosa che più lo sconvolse fu l’abbandono della veneranda statua della Madonna, che pure, come gli spiegò  la gente del luogo, si era resa protagonista, nel corso dei secoli, di ben evidenti prodigi.
           A Kircher non mancavano mezzi ed intelligenza. E conoscenze.   E in pochi anni rinnovò il luogo e il culto.  Istituendo anche una festa annuale, il 29 settembre, dedicata a San Michele Arcangelo, che cominciò a richiamare migliaia di fedeli ogni volta. Illustri protettori – grazie all’influenza del conosciutissimo e influente gesuita – presero a cuore le sorti del Santuario, da Maria Teresa d’Austria  al conte di Wallenstein, all’Imperatore Leopoldo I d’Austria, al Viceré di Napoli Pedro D’Aragona.
           Non solo. Kircher trasformò la Mentorella, nel suo eremo personale.
           Qui, soltanto qui, ritrovava la pace del cuore.  E il silenzio necessario ad approfondire i suoi studi, che intanto proseguivano fertili in tutte le direzioni. Un silenzio che al Collegio Romano era diventato merce rarissima.
           Così, ogni qualvolta c’era bisogno di lui, come quella volta che a Roma si ritrovarono finalmente giacenti sotto terra i pezzi del magnifico obelisco solare di Augusto, in Campo Marzio,  e solo a lui si poteva chiedere un parere,  bisognava mandare un messo fino alla Mentorella, e chiedergli di scendere in città.
          Sempre più recalcitrante, con l’avanzare della vecchiaia,  Kircher si disponeva a sopportare l’umida e stagnante aria di Roma, salvo tornarsene, il prima possibile,  nell’alto delle vette prenestine.
           Fino a quel 27 ottobre del 1680, quando la morte lo colse alla veneranda età di 78 anni. 
           Ed esattamente il giorno dopo, il 28 ottobre, per uno di quegli scherzi del caso che lascia allibititi, morì a Roma Gian Lorenzo Bernini. 
           Non è difficile supporre che i due eventi luttuosi, così ravvicinati, dovettero suscitare enorme eco a Roma. Kircher e Bernini, le due facce di una stessa trionfante, erudita, popolarità.
           Oggi, cosa resta di tutto questo ?  Alla Mentorella, forse è la suggestione ad indurre a pensarlo, resta molto. 
            Il Santuario, da un secolo e mezzo è custodito dai padri polacchi resurrezionisti. Da quando, nel 1857 i fondatori Semenenko e Kajsiewicz riuscirono ad ottenere da papa Pio IX la cura del Santuario, realizzando per prima cosa la strada di accesso, dal Passo della Fortuna al picco della Mentorella.
            Alcuni dei padri, giovani e silenziosi, li incontri oggi nel piazzale di ingresso. Ti salutano con un sorriso, e pregano soltanto di mantenere la quiete che il posto ha conservato miracolosamente nei secoli.  Ti raccontano sussurrando, che il loro Papa polacco, Giovanni Paolo II, pochi lo sanno, fece proprio qui la sua prima uscita, dopo l’inaspettata elezione al Soglio Pontificio. Era il 29 ottobre 1978, e ventimila persone – in maggioranza giovani – parteciparono insieme  a lui a quel memorabile pellegrinaggio. Questo luogo mi ha aiutato molto a pregare, disse una volta papa Wojtyla, e non è difficile crederlo, visto che qui tornò molte volte, anche fuori dell’ufficialità, durante il suo lungo pontificato.

Giovanni Paolo II alla Mentorella, 29 ottobre 1978

           Vi ritrovò forse quelle stesse caratteristiche ricercate a suo tempo da Kircher: pace, silenzio assoluto, raccoglimento, vicinanza al cielo e ai Misteri.
           Entrati nella Chiesa, un canto gregoriano appena udibile in sottofondo, accoglie insieme al senso di intimità e di purezza.
           Tre navate, la centrale più grande con capriate in legno. Preziosi reperti d’arte, ovunque.  Nella cappella di sinistra all’altare l’antichissima tavola di quercia, con la scena della consacrazione della Mentorella, che l’onnipresente Papa Silvestro I, secondo la tradizione, dovette dispensare.  E, sull’altare il ciborio del 1305,  con all’interno quella piccola statua in legno della Madonna, seduta con il Figlio in braccio,  che suscitò l’attenzione e la venerazione di Padre Kircher. 
           Ai suoi piedi, per esplicita volontà, egli volle che fosse deposto il suo cuore.
           Dunque basta spostare di poco lo sguardo, in terra, ed ecco, incastonata nel pavimento, la pietra che copre l’urna che cercavamo:
Leggo e rileggo l’iscrizione: ATHANASIUS KIRCHER SAC. SOC. IESU / TEMPLI HUIUS INSTAURATOR/ET SACRAE QUAE HEIC QUOTANNIS CELEBRATUR / EXPEDITIONIS AUCTOR / COR SUUM AD ARAE MARIAE D.N. PEDES / CONDI  VOLUIT  /  OBIIT. ROMAE A.MDCLXXX / AETATIS LXXX.


La lapide con l'iscrizione posta ai piedi dell'Altare della Mentorella che indica il luogo della sepoltura del cuore di Athanasius Kircher (foto dell'autore)

            Non solo il restauratore, quindi, ma anche l’ideatore e il promotore del nuovo rito di venerazione.  E poi: il cuore suo ai piedi dell’altare della Signora Nostra Maria.
            Un esempio destinato ad essere imitato, se è vero che spostandosi di poco all’interno della Chiesa, nel  pilastro di destra, si scopre un altro ‘cuore illustre’, quello di Papa Innocenzo XIII, che pur non essendo propriamente un amico dei gesuiti, destinò la parte più nobile di sé a fianco di quella di uno dei più celebri rappresentanti della Compagnia. 

L'urna murata con il cuore di Papa Innocenzo XIII alla Mentorella (foto dell'autore)


            Oggi, dissolta nell’aria la serenità immota di venti secoli, se non altro per la comodità dei collegamenti, arrivano quassù sparute comitive  di visitatori, gruppi parrocchiali in gite domenicali, e di scout attratti dal contorno naturalistico.  D’estate, il numero dei fedeli cresce,  diventa enorme la vigilia del giorno dell’Ascensione, il 14 agosto, quando una processione notturna di fiaccole illumina la cima del monte, portando in processione l’immagine del Salvatore. 
             I padri resurrezionisti ti confidano allora che il senso di quell’antico isolamento si ritrova solo in certi giorni d’inverno, quando i mezzi spazzaneve non hanno tempo di spingersi fino alla cima, e il Guadagnolo resta immerso nel silenzio del vento gelido che soffia senza ostacoli.
           In quei giorni, dicono, sporgendosi dalla Rupe di Sant’Eustachio, sulla sommità del Santuario, si apprezzano colori unici, e lo spettacolo pieno di stupore di un silenzio che sigilla le opere del creato con il loro Creatore.
             Athanasius Kircher, mistico e scienziato, scienziato e mistico, conosceva meglio di chiunque i segreti di quel silenzio.
             Nella seconda pagina della sua monumentale Ars Magna, scriveva:
             Le pianticelle che giacciono sepolte nel ventre dei loro semi, sotto lo sguardo del Sole, germogliano ebbre di gioia e presto sbocceranno in foglie, fiori, frutti.  Tutti gli animali, sospinti dalla gioia dei cieli, vale a dire dalla fertile radiazione di luce, sono stimolati, come da un sorriso, al piacere da movimenti fecondanti. Persino le rocce, remote come appaiono a ogni contatto con la luce, attratte da qualche forza di radiazione occulta, inturgidiscono, e nella loro tumescenza si abbracciano l’un l’altra, tutte unendosi alla danza delle sfere celesti.


Fabrizio Falconi 
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testo estratto da: Fabrizio Falconi, Dieci Luoghi dell'Anima, Cantagalli, Siena, 2009