15/06/16

L'Altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un "cold case".



Si intitola "L'Altra Marilyn.Psichiatria e psicoanalisi di un cold case" (Le lettereeditore), il saggio curato da Liliana Dell'Osso, ordinario di Psichiatria e direttore della Clinica psichiatrica dell'Universita' di Pisa, e Riccardo Dalle Luche, psichiatra, psicoterapeuta ed esperto di cinema, presentato  ieri. 

Di una "creatura magnifica, vittima delle sue fragilita'" ha parlato Giani che del saggio curato dai due psichiatri della scuola pisana ha elogiato il "minuzioso lavoro di raccolta portato avanti con tenacia e volonta'. 

Lo studio psichiatrico sull'attrice morta in circostanze mai del tutto chiarite il 4 agosto 1962 - ha osservato - rappresenta un prototipo ideale per interrogarsi sui concetti fondamentali della psichiatria e della psicoanalisi attuali, rivolgendosi anche ad un pubblico non specializzato".

La storia dell'attrice, ricostruibile in modo dettagliato grazie all'enorme mole di studi biografici esistenti, consente di evidenziare la maggior parte delle problematiche di cui si occupa la psichiatria (panico, fobie, disturbi borderline e bipolari, farmacodipendenze, suicidio), e individua alcuni elementi psicopatologici che sono alla base sia del successo di massa, sia delle difficoltà di coniugarlo con un adattamento sociale adeguato.

In questo senso Marilyn è anche il prototipo di tante celebrità care agli dèi, che sono andate incontro a una morte prematura o a una sparizione sociale dopo aver raggiunto le vette della notorietà, dell'originalità creativa.

Il libro parte da una ricostruzione minuziosa della psicopatologia autodistruttiva di Norma Jeane/Marilyn Monroe espandendosi in diverse direzioni.

Per Mazzeo "questo libro unisce il mistero che alberga nella mente umana a quello legato a una delle personalita' piu' famose ma anche enigmatiche al mondo come Marilyn Monroe.  E' un testo figlio di studi fatti dai due psichiatri pisani che hanno portato il dipartimento dell'Aoup ad essere il punto di riferimento non solo toscano, ma a livello internazionale, per lo studio e la ricerca di molti temi legati al mondo della psichiatria e in particolare a quello relativo allo spettro autistico che proprio da Pisa ha mosso i suoi primi passi una ventina di anni fa". 

14/06/16

Il film del giorno: "Le onde del destino" di Lars Von Trier.




Il più bel film di Lars Von Trier è quello che il controverso genio danese girò nel 1996, e che vinse il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes di quell'anno. 

E' il film che riscopriamo oggi. 

Bess è una giovane vergine che vive nella Scozia del nord e che già ha perso tragicamente il fratello. La ragazza incontra un grande amore: è Jan, uno svedese che lavora su una piattaforma petrolifera. I due si innamorano, si sposano, si amano, ma devono lasciarsi perché lui deve tornare al suo lavoro, in mezzo al mare. 

Bess non sa rassegnarsi, chiede a Dio che faccia tornare Jan. 

E Jan torna, ma paralizzato dopo un incidente di lavoro. 

Bess si convince che l'unico modo per salvare Jan è attraverso un sacrificio estremo che andrà fino alla morte.  (SPOILER da qui in poi) Jan si salva, seppellisce Bess in fondo al mare, ma uno scampanio, il mattino seguente, annuncia che Bess è tornata (o risorta?). 

Un grande e durissimo film sui temi eterni della malattia, della morte, del dolore, dell'amore, la disillusione, il sacrificio, la fede. 

Emily Watson è grandiosa. La fotografia di Robby Muller virtuosistica. Tutto il film è compatto e lucido come una lama, mai retorico. E si presta a numerose interrogazioni: l'amore può vincere la morte ? (lo avevano già detto i romantici), e il destino è una profezia oppure Dio concede il suo amore soltanto a chi lo merita ? 

Le onde del destino 
(Breaking the waves)
di Lars von Trier
Danimarca-Francia 1996
con Emily Watson, Stellan Skarsgard, Jean-Marc Barr. 



13/06/16

Il 16 GIUGNO "Bloomsday" a Spoleto - Lettura integrale dell'Ulisse di Joyce.



Giovedi' 16 giugno si festeggera', per la prima volta a Spoleto, il "Bloomsday", una giornata dedicata alla lettura integrale dell'Ulisse di Joyce, le cui vicende, che hanno come protagonista Leopold Bloom, si svolgono in una sola giornata, appunto il 16 giugno

L'iniziativa dal Comune di Spoleto - riferisce una nota dell'ente - ha ricevuto il patrocinio dell'Ambasciata d'Irlanda

Spoleto viene nominata nelle pagine del capolavoro dell'autore irlandese: leggendo nelle lettere di Joyce si scopre infatti che in una cartolina postale del luglio 1906 indirizzata al fratello si fa cenno a un transito per la città del Festival, quando lo scrittore si sposto' in treno da Ancona a Roma

In sintonia con la struttura narrativa e tematica della vicenda di Leopold Bloom, che usci' di casa al mattino e rincaso' la sera, la lettura integrale e collettiva dell'Ulisse di Joyce comincera' al mattino alle 8 per seguire la scansione temporale della giornata raccontata nel romanzo, facendo colazione insieme e proseguendo il racconto senza pause fino alla fine, nella notte



12/06/16

Poesia della domenica - "Il tempo prezioso delle persone mature" di Mario de Andrade.



Il tempo prezioso delle persone mature 


Ho contato i miei anni ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere da qui in avanti di quanto non ne abbia già vissuto.

Mi sento come quel bambino che ha vinto una confezione di caramelle e le prime le ha mangiate velocemente, ma quando si è accorto che ne rimanevano poche ha iniziato ad assaporarle con calma.

Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente…

Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.
Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità.
Non voglio esserci in riunioni dove sfilano persone gonfie di ego.
Non tollero i manipolatori e gli opportunisti.
Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.
Odio, se mi capita di assistere, i difetti che genera la lotta per un incarico maestoso.
Le persone non discutono di contenuti, a malapena dei titoli.
Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli.

Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…
Senza troppe caramelle nella confezione…
Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana.
Che sappia sorridere dei propri errori.
Che non si gonfi di vittorie.
Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo.
Che non sfugga alle proprie responsabilità.
Che difenda la dignità umana e che desideri soltanto essere dalla parte della verità e l’onestà. L’essenziale è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta.

Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone…
Gente alla quale i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.
Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare.
Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono…
Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora.
Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza.
Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai…

Mario Andrade

10/06/16

Il ruolo decisivo di Maria Maddalena nel Cristianesimo, simbolo di tutte le donne. Finalmente una festa in suo onore nel Calendario Romano. (Lucetta Scaraffia)




Dalla "restituzione del posto" che a santa Maria Maddalena "spetta nella tradizione cristiana" da parte di Papa Francesco, che ha stabilito che dal 22 luglio di quest'anno la memoria liturgica di questa "apostola" sia elevata al grado di festa nel Calendario romano generale, "può finalmente partire il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa".

E' l'analisi di Lucetta Scaraffia sulla prima pagina dell'Osservatore Romano. 

"Da quasi duemila anni era sotto gli occhi di tutti la presenza decisiva davanti al sepolcro vuoto di Maria Maddalena, la prima a dare la buona notizia della resurrezione: proprio lei, una donna", scrive la storica. "Nessuno però sembrava essersene accorto veramente. Nei secoli si sono persino formate storielle misogine, come quella che Gesù fosse apparso innanzi tutto a una donna perché le donne chiacchierano di più e così la notizia si sarebbe diffusa più in fretta. Inoltre, alcuni autorevoli commentatori si erano domandati come mai il risorto avesse trascurato sua madre, giungendo perfino a immaginare un'apparizione a Maria prima dell'incontro con la Maddalena, in modo da ristabilire una gerarchia che si considerava alterata. 

Su Maria di Magdala, proprio per la sua evidente vicinanza con Gesù, erano sorte addirittura voci inquietanti, tanto da farla diventare simbolo della trasgressione sessuale, rilanciato da leggende tenaci, vive ancora oggi: molti ricordano la Maddalena del film di Martin Scorsese L'ultima tentazione di Cristo, e certo molti di più hanno letto Il codice da Vinci, best seller fondato proprio sul presunto segreto del matrimonio fra lei e Gesù". 

 "Tanto è stata lunga e difficile la strada che ha portato all'accettazione della verità, una verità semplice ma espressiva di un messaggio che molti non volevano ascoltare: e cioè che per Gesù le donne erano uguali agli uomini dal punto di vista spirituale, avevano lo stesso valore e le stesse capacità", scrive ancora l'editorialista dell'Osservatore Romano. 

"Per questo era così difficile ammettere che Maddalena era un'apostola, la prima fra gli apostoli a cui si è manifestato il Signore risorto. Per questo proprio da lei, cioè dalla restituzione del posto che le spetta nella tradizione cristiana, può finalmente partire il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa. Papa Francesco l'ha capito chiaramente, e ha avviato in questo modo un processo che non si potrà più fermare". 

Scaraffia conclude: "Grazie allora a Papa Francesco da parte di tutte le donne cristiane del mondo, perché con la creazione della nuova festa di santa Maria Maddalena rende loro merito".

La decisione del Pontefice vuole spingere la Chiesa a "riflettere in modo più profondo sulla dignità della donna, la nuova evangelizzazione e la grandezza del mistero della misericordia divina", si legge nell'apposito decreto in latino della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, pubblicato con la data del 3 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, e reso noto stamane. 

Nota "come colei che ha amato Cristo ed è stata molto amata da Cristo", definita da san Gregorio Magno "testimone della divina misericordia" e da san Tommaso d'Aquino "apostola degli apostoli", la Maddalena "può essere oggi compresa dai fedeli come paradigma del compito delle donne nella Chiesa"

Nel sottolinearlo il decreto mette in evidenza la volontà del Pontefice di proporre "più convenientemente" ai fedeli il suo esempio di "prima testimone ed evangelista della risurrezione del Signore".

in testa Maria Maddalena, Perugino, 1500.  

09/06/16

350.000 visitatori per "Il Blog di Fabrizio Falconi".





E' una bella crescita insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato, dopo così poco tempo il traguardo dei 350.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

08/06/16

Dialogo tra credenti e non credenti - "Il dolore innocente" al Cortile dei Gentili di Lecco.



Il dialogo fra credenti e non credenti" approda a Lecco venerdi' e sabato. 

"Il Dolore Innocente" sarà il tema di questa edizione della struttura costituita in seno al Pontifico consiglio della cultura per favorire il dialogo credenti - non credenti e presieduta dal cardinale Gianfranco Ravasi. 

Le giornate di confronto saranno ospitate presso il campus universitario del Politecnico di Milano - Polo territoriale di Lecco. 

Sotto la regia del cardinale Gianfranco Ravasi, verrà sviluppato il dialogo con studiosi e testimoni, credenti e non credenti, alla ricerca di quella parola, l'amore, che libera l'uomo di tutto il peso e gli apre nuovi orizzonti. 

Venerdi' alle 9 l'intervento inaugurale di Mario Romano Negri, presidente Fondazione della Provincia di Lecco, e l'introduzione del cardinale Ravasi. Alle 10,30, "Scienza e coscienza", dibattito con Silvano Petrosino e Carlo Modonesi, biologo che si occupa di ecologia umana. 

Seguira' alle 11,45 la testimonianza di Fiamma Satta, giornalista, colpita a 35 anni dalla sclerosi multipla. 

Alle 14,30, sara' la volta del dibattito "Il Dolore Innocente", tra Carlo Sini, filosofo milanese, accademico dei Lincei, e il giornalista e scrittore Gad Lerner. 

Alle 16 la testimonianza di Albert Espinosa, scrittore e autore teatrale spagnolo, autore del romanzo e serie televisiva di successo "Braccialetti rossi". 

Alle 17 "Opportunita' e confini della ricerca scientifica", con mons. Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Carlo Gnocchi, e Umberto Curi, filosofo

Alle 21 Alessandro Bergonzoni, scrittore e regista. 

 Sabato alle 9 "Il sollievo della sofferenza come diritto universale dell'uomo", con mons. Francesco Savino, Vincenzo Valentini e William Raffaeli. 

Alle 10,30 il dibattito "Faccia a faccia col dolore", tra Alberto Giannini, medico rianimatore, e Lidia Maggi, pastora valdese. 

Le conclusioni della "due giorni" saranno affidate a Massimo Bray, rettore Generale Istituto dell'Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico di Milano e Diego Minonzio, Direttore de La Provincia. 

07/06/16

La casa (scomparsa) di Michelangelo a Roma.



La casa di Michelangelo a Macel de’ Corvi (oggi Piazza Venezia)

Una delle curiosità romane meno conosciute è nascosta sulla facciata laterale di uno dei grandi palazzi che affacciano su Piazza Venezia, quello delle Assicurazioni Generali, che fronteggia, con i suoi merli e i suoi muri di mattoni chiari, il Palazzo Venezia. 

Sulla facciata sud del Palazzo delle Generali (costruito ai primi del Novecento su progetto di Giuseppe Sacconi), quella prospiciente l’Altare della Patria e la Colonna Traiana, è possibile scorgere ad una certa altezza, una targa con l’iscrizione: Qui era la casa/consacrata dalla dimora e dalla morte/ del divino Michelangelo/S.P.Q.R. 1871

E più sotto un’altra con la dicitura: Questa epigrafe apposta dal Comune di Roma nella casa demolita per la trasformazione edilizia è stata collocata nello stesso luogo per cura delle Assicurazioni Generali di Venezia. 

Si tratta dunque della importante memoria del luogo esatto in cui sorgeva la casa in cui visse i suoi anni romani e nella quale morì il grande Michelangelo: quella nel quartiere chiamato Macel de’ Corvi che fu interamente spazzato via durante i lavori che alla fine dell’Ottocento ridisegnarono l’urbanistica del centro della città con la realizzazione del gigantesco Altare della Patria e più tardi della trionfale Via dei Fori Imperiali. 

In quella casa in quel borgo che veniva definito dai visitatori stranieri sordido, Michelangelo visse per cinquant’anni. 

Gli era stata messa a disposizione dalla famiglia Della Rovere, per ospitare il grande artista che avrebbe dovuto completare la tomba del loro congiunto, il Papa Giulio II morto nel 1513 (progetto faraonico che non fu mai portato interamente a termine). Nelle sue lettere e nei suoi sonetti, Michelangelo descrive a forti tinte le vie del quartiere che lo ospitava e anche quella casa, piuttosto modesta, con due camere da letto e la bottega al pianterreno. Il quartiere era quasi una discarica a cielo aperto, maleodorante e colmo di ogni rifiuto proveniente dalla macellazione degli animali. Anche il nome, del resto, era piuttosto eloquente. Eppure, il grande artista non volle mai lasciare quella specie di colorato tugurio. 

In questa casa ideò, progettò tutti i lavori che lo resero immortale, ma le fortune accumulate non gli fecero mai cambiare stile di vita. Non fu solo questione di avarizia, come da più parti è stato sostenuto, quanto di misantropia. A Macel de’ Corvi Michelangelo visse da solo, circondato da uno stuolo di serve (che giudicava puttane e porche) e soprattutto del garzone fidato Urbino (Francesco di Bernardino) che lo accompagnò per ventisei anni, difendendolo dalla curiosità degli avventori e dai fastidi di una vasta parentela vera o presunta che cercavano continuamente di spillargli denaro. 

A Macel de’ Corvi andò in scena anche l’ultimo, misterioso atto, della vita di Michelangelo: quello della sua morte, quand’era ormai ottantottenne (una età per l’epoca piuttosto eccezionale) preceduta da quella specie di malessere o di demone che descrisse all’allievo Tiberio Calcagni quando questi lo sorprese a vagare sotto la pioggia: non ho requie in nessun luogo, disse il Maestro con un filo di voce, disperato. Riportato a casa, qualche tempo dopo morì dopo tre giorni di febbre alta, lasciando una casa vuota piena di vecchie cose e di arnesi consunti

La morte, il 18 febbraio del 1564, lo colse mentre lavorava alla sua opera ultima, più inquietante, la Pietà Rondanini, oggi conservata nel Castello Sforzesco di Milano. Pochi giorni prima della sua morte, ironia della sorte, la Congregazione del Concilio di Trento aveva disposto l’ordine di far coprire le parti scabrose dell’affresco del Giudizio Universale, al quale il Maestro aveva lavorato per vent’anni. Le solenni esequie furono celebrate parecchi giorni dopo a Firenze, con l’inumazione della Chiesa di Santa Croce. La Casa di Macel de’ Corvi, rimasta vuota, fu rapidamente spogliata dei beni e degli effetti personali del Maestro (primi fra tutti i sacchetti con le innumerevoli monete d’oro che teneva sempre con sé) fino poi ad essere cancellata e rasa al suolo per la realizzazione di quel pomposo edificio che oggi soltanto così marginalmente ricorda la vicenda di uno dei più grandi artisti nella storia dell’umanità.


Tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma, Newton Compton, 2013. 


06/06/16

Il Libro del giorno: "Il velo dipinto" di William Somerset Maugham.



Se cercate un libro per l'estate, prendete questo. 

Uno dei migliori romanzi di Maugham, ristampato finalmente qualche anno fa da Adelphi e subito divenuto un classico. 

La storia di Kitty, sciocca ragazza borghese che a Londra si sposa quasi per dispetto con un riservato medico batteriologo, inviato per lavoro in Cina. 

Qui Kitty diviene l'amante del fatuo Charlie. Scoperta la tresca, Kitty decide di seguire il marito - come in una forma di espiazione - in missione in una sperduta landa dove imperversa il colera.  (DA QUI IN POI NON LEGGERE, SE SI VUOLE EVITARE LO SPOILER).  Il marito muore, contagiato, Kitty crede, grazie all'aiuto delle monache locali, di essere cambiata, sa di essere incinta, ma tornata in città subisce di nuovo le avances di Charlie. Torna a casa a Londra, dove la madre è morta. E accetterà di seguire il padre ai Caraibi per tentare ancora una volta di cambiare vita. 

Romanzo degli inizi e di grande successo, anche questo di Maugham non è affatto puro intrattenimento. Dietro la leggerezza e la leggibilità, le ombre e i conflitti della condizione umana, le debolezze del carattere, la pietà e la miseria, la grandezza umana e l'eterna inquietudine.  Personaggi che restano vivi, come se si potessero toccare. 



W. Somerset Maugham 
Il velo dipinto 
Traduzione di Franco Salvatorelli 
gli Adelphi 2011, 5ª ediz.,
pp. 234 
 isbn: 9788845925733 

05/06/16

La poesia della Domenica - "Sensazione" di Arthur Rimbaud.





Sensazione


Me ne andrò, nelle sere blu d'estate,
lungo i sentieri, punto dalle spighe,
sull'erbe brevi; la freschezza ai piedi
ne sentirò, sognando, e la mia fronte
nuda dal vento lascerò bagnare !

Non avrò più parole, né pensieri.
Ma su nell'anima infinito amore
mi salirà; lontano, assai lontano,
come un nomade andrò, per la Natura,
- felice, come al fianco di una donna.


SENSATION

Par les soirs bleus d'été, j'irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l'herbe menue:
Rêveur, j'en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.

Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l'amour infini me montera dans l'âme,
Et j'irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, - heureux comme avec une femme.

(Mars 1870)

Traduzione di Giovanna Bemporad.

Arthur Rimbaud (1854-1891)

04/06/16

Il film del giorno: "She's so lovely" di Nick Cassavetes.



Un film da recuperare. Da guardare o riguardare. 

Lui e lei si amano follemente. Ma sono due sbandati. Lei è incinta, lui è geloso. Uccide un uomo. Viene recluso in manicomio.  Intanto lei si è risposata con un altro uomo e ha altre due figlie. 

Dopo dieci anni lui esce dal manicomio e va a riprendersi lei, che abbandona il marito e tre figlie per seguirlo. 

Seconda prova alla regia di Nick Cassavetes, figlio d'arte (il padre John Cassavetes, la madre Gena Rowlands), che in seguito non è più riuscito a ripetersi a questi livelli. 

Soggetto e sceneggiatura (perfetta) dello stesso Nick Cassavetes. Straordinaria - doti espressive mostruose - la coppia Robin Wright e Sean Penn, all'epoca del loro amore. 

Primo tempo da applausi a scena aperta. 

Nomination per la Palma d'Oro a Cannes nel 1997 e premio per la migliore interpretazione maschile a Sean Penn. 










03/06/16

L'archivio di Proust aggiudicato a 1,2 milioni di Euro. Nelle carte anche la famosa foto "compromettente".






E' stato aggiudicato a 1,2 milioni di euro l'archivio del grande scrittore francese Marcel Proust, una cifra decisamente più alta del valore stimato dagli esperti tra i 520.000 e i 740.000 euro. 

Battuto all'asta da Sotheby's a Parigi, l'archivio contiene fotografie, lettere ad amici e amanti, manoscritti, alcuni dei quali inediti: un totale di 120 documenti. 

La collezione, passata prima al fratello di Marcel Proust, Robert, alla morte dello scrittore nel 1922, è stata messa in vendita dalla pronipote dell'autore di "Alla ricerca del tempo perduto", Patricia Mante-Proust, 41 anni. 

I pezzi forti sono un'edizione originale della prima parte della Recherche, "Dalla parte di Swann", e un insieme di bozze in parte corrette e manoscritte del secondo volume, "All'ombra delle fanciulle in fiore". 

Tra i documenti anche moltissime foto, tra cui il celebre autoritratto di Proust a 17 anni, autografato dal suo amico Lucien Daudet "à (s)on cher Marcel", con un'annotazione scritta a mano in latino. 

Un'altra immagine scattata nel 1896 da Otto Wegener, ritrae Lucien Daudet che guarda Marcel con sguardo languido e con un braccio sulla sua spalla. 

Nella foto compare anche Robert de Flers

Si sa che dopo le insistenze dei genitori Proust fu costretto a recuperare tutti gli esemplari della foto giudicata compromettente. 

Tra gli oggetti più carichi di emotività un lotto di lettere che Marcel Proust scrisse al padre che non riusciva a comprendere come si potesse fare della letteratura una professione. 

fonte afp - askanews 

02/06/16

"Ray Donovan", la migliore serie dell'anno - Una profonda riflessione sulla colpa.




Ray Donovan è una potente serie americana, rilasciata da Showtime su Netflix per la prima volta nel 2013, giunta alla quarta stagione. 

Il buon successo commerciale, in diversi paesi, premia una serie di grande impianto produttivo e di grande qualità. Basti pensare che nel cast ricorrono in alcuni ruoli principali mostri sacri come Jon Voight, Elliott Gould e Ann Margret, mentre il ruolo principale di Ray Donovan spetta a Liev Schreiber considerato il miglior interprete shakespeariano contemporaneo sulla scena americana. 

Il vero pregio di Ray Donovan è però la scrittura. 

Su un  canovaccio molto semplice - il faccendiere Ray Donovan risolve con abilità e destrezza i problemi di molte personalità di spicco di Los Angeles, atleti, cantanti e uomini d'affari, mentre è impelagato con enormi problemi personali - la serie costruisce un grande affresco sulla famiglia e sul senso di colpa. 

I tre fratelli Donovan infatti, Ray, Terry e Bunchy, sono cresciuti in una famiglia disastrata: il padre, Mickey (Jon Voight) è un delinquente, reduce dall'aver scontato venti anni in prigione, che ha abbandonato moglie e figli per unirsi con una donna  nera (e fare un altro figlio con lei). Nel frattempo i tre ragazzi Donovan sono stati molestati in diversi modi da un prete cattolico (i Donovan sono di origini irlandese), e tutti e tre ne hanno ricavato un trauma indelebile. 

Bunchy è quello più abusato e quello che ha riportato maggiori danni. E' una sorta di disadattato, ingenuo bambinone; Terry il secondo, è un ex pugile rimasto menomato: ora si occupa della vecchia palestra di famiglia che sostanzialmente funziona da copertura per Ray, per mascherare i suoi affari sporchi. 

Ray che è il più grande sente su di sé la responsabilità del fratello maggiore. Vorrebbe coltivare il suo ambiguo lavoro con una famiglia alto-borghese tradizionale.  Ma l'equilibrio non funziona: tutto viene via a pezzi. La giostra si frantuma quando irrompe sulla scena il redivivo padre, Mickey, che è sempre lo stesso e che è pronto nuovamente a devastare le vite dei figli. 

Tutti e tre i figli hanno sulle spalle il fardello di un gigantesco senso di colpa: quello di avere un padre come Mickey, e quello di essere stati abusati. Il macigno che sentono pesare sulla propria testa, la condanna familiare, sembra impossibile da sopportare e da cambiare.  Ma gli sforzi dei tre fratelli e soprattutto di Ray sono quasi eroici e degni di com-passione. Mickey, il padre, è il contraltare: è colui che non prova mai senso di colpa. Niente di quello che ha fatto lo mette minimamente in discussione, niente ha il potere di farlo dubitare. Niente potrà mai mutare la sua natura immutabile. 

La moralità insieme all'unione familiare, in questo caso, non è dissolta: Ray, Terry e Bunchy lottano per mantenerne viva una parvenza. Ma sono le vite individuali ad essere andate in pezzi. La vita è un mare ostile, denso di ostacoli, di difficoltà e tragedie: è una vera e propria giungla dove la priorità è sopravvivere. Per farlo bisogna affrontare i mostri del proprio senso di colpa, attraversarne le sabbie mobili, afferrarsi a quel poco di umano che resta, e che sembra l'unica salvezza. 

Fabrizio Falconi

31/05/16

Francesco Piccolo e il Male sullo schermo. Non è stato Hitchcock ma Kubrick a scoperchiare il nostro cuore nero di spettatori.






Francesco Piccolo, nell'ultimo numero de La Lettura, riaffronta l'annosa questione del Male sullo schermo (Dalla parte del Male, 29 maggio 2016), prendendo a spunto il successo della violenta serie Gomorra 2, dove praticamente i buoni non esistono più, e i cattivi sono diventati perfino modelli da emulare, come avviene anche per House of Cards e innumerevoli altri prodotti dell'entertainment contemporaneo. 

Piccolo dedica quasi tutto il suo lungo articolo alla dimostrazione che il diritto di progenitura per questo sdoganamento del male, spetta di diritto ad Alfred Hitchcock, e in particolare al celebre Nodo alla gola (Rope), girato nel 1948, dove il genio londinese, ispirandosi ad un dramma teatrale di Patrick Hamilton (a sua volta ispirato da un fatto di cronaca, avvenuto nel 1924, l'assassinio gratuito di un ragazzino da parte di due giovani uniti da un legame omosessuale, che sconvolse l'America) mise in scena un incredibile film girato in unico ambiente, con 11 piani sequenza, considerato oggi una pietra miliare del cinema. 

La teoria di Piccolo - ampiamente ripresa dalla celebre intervista di Francois Truffaut a Hitchcock (Il cinema secondo Hitchcock, 1966) - è che fu proprio Hitchcock a sovvertire per la prima volta il senso morale dello spettatore, portandolo a schierarsi dalla parte dei due omicidi. Durante il film, dice Piccolo, Hitchcock induce lo spettatore a parteggiare per loro, a sperare che la celebre cassapanca dove i due hanno nascosto il corpo della vittima innocente, non venga aperta; che i due non vengano smascherati dal professore di filosofia Cadell (James Stewart) insospettito dal comportamento dei suoi due studenti, che hanno messo in pratica fino all'estremo, le sue teorie. 

La teoria di Piccolo non mi convince, perché l'ho sperimentata su di me. E in tutte le volte che ho visto quel film mi sono invece ritrovato dalla parte dello spettatore che 'spera' che i due vengano scoperti, cosa che non avviene (se non alla fine) per una serie fortuita di circostanze, che Hitchcock è maestro nell'accumulare, tenendo in pugno la curiosità dello spettatore. 

In realtà Hitchcock, come sanno quelli che l'hanno studiato, era il più moralista dei moralisti, e il suo gioco, nei suoi grandiosi film, è stato sempre quello di manipolare lo spettatore, mettendolo a conoscenza di cose che i protagonisti non sanno. 

Giocando insomma, con l'ansia di giustizia dello spettatore, ed esasperandone l'attesa. Senza sovvertirla mai, nei valori morali di riferimento. 

Mi sembra invece che se proprio si vuole trovare un capostipite di questo geniale e terribile rovesciamento morale, esso vada cercato in Stanley Kubrick e nel suo Arancia Meccanica (1971), tratto dal romanzo di Anthony Burgess. 

In quel film, infatti, per la prima volta, viene completamente rovesciato il senso morale dello spettatore, il quale - seguendo le atroci scorribande di Alex e della sua banda - è condotto per mano, prima a simpatizzare con il contesto (Alex è un delinquente glamour, un vero dandy, dai gusti raffinati, che si esalta con Beethoven e che pratica l'ultra violenza gratuita come fosse arte) - e poi a schierarsi decisamente con lui (con un omicida efferato, un violentatore, un sadico), quando il sistema, attraverso La cura Ludovico, lo trasforma in un docile agnello che prende calci e non li restituisce perché non può. 

Quando nel finale del film si intuisce che Alex è 'guarito' dalla cura, ed è tornato quello di prima, il suo ghigno efferato ha conquistato definitivamente lo spettatore.  Tutti, nessuno escluso, siamo felici che Alex sia diventato la bestia d'uomo che era prima. 

Nessuno era arrivato a tanto, e con tale esemplare chiarezza enunciativa.  Arancia Meccanica per la prima volta scoperchiava il cuore nero degli spettatori, e li costringeva, senza più filtri, a guardarvi per bene dentro. 

Fabrizio Falconi




30/05/16

Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).






Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).



Questa lettera è indirizzata al nuovo sindaco di Roma che tra tre settimane sarà insediato a Palazzo Senatorio (il più antico palazzo municipale del mondo). 

E' una lettera da parte di un comune romano - come si diceva una volta di sette generazioni - nato e cresciuto e vissuto in questa città. 

L'amore per questa città - l'ho sperimentato io stesso - non deriva da un legame di sangue, né da un generico amor soli,  amore del luogo dove si è nati. La vita è troppo piena di esempi di persone che non solo non hanno alcun legame affettivo con il luogo nel quale si è nati, ma anzi manifestano una vera e propria insofferenza, rancore o odio, per il suolo che li ha ospitati alla nascita. 

Eppure è proprio l'amore per il luogo, il primo requisito che vorrei chiedere al sindaco che verrà a governare questa città. 

In modo esagerato e guascone, i romani di una volta dicevano che Roma non si discute, si ama. 

Ma negli ultimi tempi, dolorosi e depressi, sembra proprio che Roma sia il luogo di cui soltanto si discute, e che fondamentalmente nessuno ama

Roma è una città depressa e rassegnata.  A deprimerla e a rassegnarla intorno al suo destino, ci abbiamo pensato prima di tutto noi romani, con il nostro pressappochismo, con la nostra assuefazione alla bellezza che abbiamo sempre sotto gli occhi, e di cui non ci curiamo più. 

Ma ancora di più, ci hanno pensato gli amministratori.  Francesco De Gregori, tempo fa ha descritto Roma come una cagna in mezzo ai maiali. 

Mai immagine fu più adeguata.  Lungi dall'essere la Lupa di un tempo, la Roma di oggi assomiglia sempre di più ad una cagna gravida (di problemi, di cause sbagliate, di impotenze e impossibilità), che maiali avidi si contendono ferocemente, pezzo a pezzo e morso a morso. 

La bellezza di Roma è ormai un orpello che serve a pretesto per girare film grotteschi o nostalgici (che piacciono tanto agli americani), a rimpiangere il passato, o a giustificare l'insostenibile presente. 

Bande senza scrupoli venute da ogni dove e partorite come un tumore dallo stesso tessuto urbano dell'immensa città, si dividono il territorio e il diritto usurpato di fare carneficina di ogni scampolo di residua bellezza. 

Ogni cosa va lordata, dispersa, rinchiusa, segregata. 

Eppure Roma è ancora viva. 

Miracolosamente viva, nonostante i problemi di una città ormai meticcia, decaduta più che decadente, senza un soldo, senza un progetto, senza futuro. 

Il mio appello è proprio questo:  non parlateci più di progetti.  Il nuovo sindaco che arriverà - e che io non voterò perché nessuna delle figure che io vedo presentarsi al via, nella disperata speranza di essere smentito, risponde al criterio di decenza - non ci parli di progetti.  Non dica cosa vuole fare, non pronunci parole vane e vacue, non si faccia bello con l'immagine di una città che nella sua storia ha visto imperatori e papi, tribuni e re, e che non sa che farsene dei mezzi figuri di oggi. 

Non parli di progetti. Dimostri, nuovo sindaco, con la sua faccia - se ne ha una - cosa vuol fare per restituire a questa onorata città, una decenza che non ha più.

La Decenza, infatti, è la grande assente a Roma, da fin troppo tempo. Questa parola che deriva dalla lingua degli antenati ( è il participio passato del verbo decere, cioè  "esser conveniente"; affine a dec-us, ossia "decoro", dig-nus ovvero "degno") rappresenta tutto quello che questa città non è più, e non è più da molto tempo. Una città non conveniente, cioè indecorosa e indegna, cioè indecente. 

Eppure, Roma è ancora viva.

Migliaia di giovani vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore, e fanno, disordinatamente e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di lavoratori vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore e fanno, disordinatamente e spesso invano e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di madri continuano a far nascere i loro figli a Roma, anche se vengono da lontano (e per molte di loro Roma è una parola magica), e li allevano e li fanno crescere, senza nessun sostegno, ma lo fanno.

Poi è deprimente sì, ed è fonte di rassegnazione, ed è indecente, che Roma offra ogni giorno a questi uomini e queste donne, l'immagine indecorosa e indegna di una città in ginocchio.

Eppure Roma è viva.

Le periferie pullulano di vita. Le associazioni, i volenterosi, i saggi, sono ancora fra noi. Lei, nuovo sindaco che arriverà, invece di nominare la parola progetti, faccia affidamento su costoro. Li incoraggi, se può, non li abbandoni, come hanno fatto tutti.

Dimostri, in una parola, quell'amore così sparito, così disperso.

Offra a questa cagna una dignità, se ne è capace, e tenga i molti maiali affamati lontani, a distanza.


Fabrizio Falconi




27/05/16

I tre tipi di disperazione dell'uomo contemporaneo secondo KIerkegaard.


Secondo Kierkegaard la disperazione è un difetto nella comunicazione e nella "convivenza" con se stesso dell'uomo, e presenta - nel mondo contemporaneo - tre modalità. 

1. La prima, la più grave è quella di chi ritiene e dice di non avere alcun problema di disperazione:  tale "serenità" infatti, discende dalla sua tragica inconsapevolezza di essere spirito, di avere la dignità di uno spirito che ha in sé qualcosa di eterno. Questo tipo di uomo che ignora di essere disperato, ma in realtà sta confitto nella disperazione più buia, potrà anche compere imprese insigni nella sua vita, ma rischia di attraversarla senza mai arrivare a rendersi conto della propria natura, senza sapere nemmeno per un giorno, chi è veramente. 

2 e 3. Ci sono poi uomini la cui disperazione consiste nella loro incapacità di "gestire" con equilibrio il rapporto che sono. Tale rapporto consiste in una delicata interazione di finito e infinito, così come di possibilità e necessità; ebbene questi uomini sbagliano il "dosaggio" dei suoi fattori, che non sanno conciliare armonicamente, e vivono sbilanciati dalla parte di uno, a radicale discapito dell'altro. E' così che alcuni di loro soffrono della disperazione del finito o di quella piuttosto affine della necessità, mentre altri sono affetti della disperazione dell'infinito o da quella non dissimile della possibilità. 

2. Il primo è incapace di qualunque "volo" che lo sollevi da terra, dove se ne sta abbarbicato a qualche particolare bene o risorsa mondana, e soprattutto, si accoda come un pecorone alle tendenze dominanti, facendo di se stesso una grottesca scimmiottatura nella quale non è difficile scorgere l'antenato dell'uomo-massa, prono alla dittatura dell'opinione pubblica imposta dai mass-media; oppure resta quasi paralizzato dall'idea ossessiva che ogni singolo segmento dell'accadere sia posto sotto l'egida della necessità, che esercita su di lui un effetto di soffocamento depredandolo di ogni speranza e di ogni scioltezza e levità nell'approccio della vita. 

3. Il secondo è colui che progetta e fantastica molto, si figura interi mondi di possibilità in cui si muove con sfrenata libertà, si sente di avere tanta energia da poter compiere grandi e molteplici imprese in tempi brevi fin quasi al limite dell'istantaneità; ma intanto smarrisce i contatti con la realtà, si dimentica della dura fatica implicata dal confronto-scontro con le difficoltà e i rallentamenti che essa impone ad ogni piè sospinto, e così finisce per non realizzare nulla, perché, tutto parendogli possibile, nulla gli diventa reale.


Tratto da Marco Fortunato, Focus su Kiekegaard, RCS-Milano 2014. 



26/05/16

Esce "Figlie Sagge" di Angela Carter, una delle più brillanti autrici del Novecento.


«A parità di eccellenze, esistono scrittrici inconsapevoli del loro valore e a distanza di sicurezza da ciò che fanno: altrimenti non potrebbero scrivere. Lucia Berlin, Anna Maria Ortese sono di questa natura qui. Ma poi esistono le scrittrici consapevoli, che dominano la pagina offrendola al lettore senza alcuna distanza, come se la concedessero, e sicure al cento per cento del loro indubbio talento. È il caso di Elsa Morante come di Alice Munro, come di Angela Carter. Grande letteratura», dalla postfazione di Valeria Parrella.

Il libro È il 23 aprile – data di nascita di Shakespeare – e le gemelle Dora e Nora, attrici e ballerine di seconda categoria, si apprestano a festeggiare i loro settantacinque anni. Suonano alla porta: su un cartoncino bianco arriva l’invito alla festa del padre, il celebre attore Melchior Hazard, che nello stesso giorno di anni ne compie cento, e che di riconoscerle non ne ha mai voluto sapere.

Così si apre Figlie sagge, la storia di due donne libere ed eternamente giovani che, nate nel lato sbagliato della città, quello più misero, sono sempre state attratte dal bagliore del mondo dello spettacolo. Dall’infanzia anticonvenzionale, alla strampalata carriera, fino ai vibranti settant’anni, la vita delle due gemelle è un susseguirsi di episodi grotteschi: fra identità scambiate, fidanzati presi in prestito, spettacoli improvvisati e feste che culminano in incendi, quello di Dora e Nora è un mondo dove le regole non sono ammesse e la spregiudicatezza regna sovrana. Un mondo popolato di personaggi improbabili, con l’ingombrante presenza di una bizzarra famiglia allargata: una compagine di teatranti dalle alterne fortune, in cui le coppie di gemelli si moltiplicano in maniera inestricabile e spesso promiscua.
Nonostante i tanti personaggi che animano Figlie sagge, la scrittrice ha la capacità unica di riuscire a descriverci le loro sfaccettate personalità in poche frasi, addirittura poche parole; e il lettore si ritrova così in un mondo prodigioso dove la finzione e la teatralità si fondono con la realtà e la tragedia. A volte si ha quasi l’impressione di essere all’interno di una commedia apocrifa di Shakespeare con caotiche scene di massa, scambi di persone, equivoci continui, attori, primedonne, travestimenti e scena madre finale: è il tributo della Carter al magico mondo dello spettacolo: «Le luci si spensero, da sotto il sipario brillò qualcosa. L’ho amato allora e lo avrei amato sempre più di tutti gli altri quel momento, quando le luci si spengono, il palcoscenico si accende e sai che sta per compiersi un prodigio. Non importa se poi quello che segue rovina tutto; l’anticipazione è sempre pura.».
Ricco di momenti toccanti e di roboanti scene pirotecniche piene di personaggi che citano Shakespeare, Figlie sagge è un meraviglioso dono di addio di una grandissima autrice.

«Un libro davvero divertente». Salman Rushdie
«Talentuosa e fantasiosa scrittrice. L’immaginazione di Angela Carter non ha confini. Ricorda Orlando di Virginia Woolf». Joyce Carol Oates
«Una scrittrice raffinata dallo stile bizzarro, originale, barocco». Margaret Atwood

Angela Carter (1940-1992) è nata a Eastbourne, in Inghilterra. Fra le sue opere più note figurano le raccolte di racconti Fuochi d’artificio (1974) e La camera di sangue (1979) e il romanzo Notti al circo, di prossima pubblicazione per Fazi. Figlie sagge è il suo ultimo libro, uscito un anno prima della morte.

25/05/16

A neanche un mese dalla inaugurazione, le bancarelle davanti all'opera di Kentridge - FIRMA LA PETIZIONE per fermarle.


Dopo il clamore  e i “Trionfi” mediatici che ha riscosso il monumentale murales di Kentridge ci troviamo purtroppo a rendere conto anche dei “Lamenti” che non riguardano certo la sua opera, o le dolorose ricadute che nel corso della storia ogni “Vittoria”  porta con sé, ma la noncuranza e la disattenzione per i beni comuni, accompagnata per di più dalla dissennata commercializzazione di ogni angolo della nostra città
L’oggetto della nostra attuale attenzione è quel tratto di banchine dell’una e dell’altra sponda del Tevere dove ora sorge questa imponente e bella opera d’arte all’aperto, area che l’Associazione Tevereterno, ideatrice e sostenitrice del progetto di Kentridge, ha denominato “Piazza Tevere” immaginandola come luogo di ritrovo culturale e di svago per  cittadini e  turisti fuori dal caotico e rumoroso percorso delle vie di un centro storico diventato un bazar ininterrotto, un’area da rivalutare e tutelare come una “riserva” naturale, artistica ed urbanistica.
Tra pochi giorni, come ogni anno, anche questo tratto sarà invaso per 3 mesi da una fitta sequenza di stand commerciali, sottraendolo ancora una volta ai tanti cittadini che lo percorrono a piedi e in bici trovando in quel luogo un’oasi di silenzio, pace e poesia fuori dal traffico cittadino.
La domanda che vorremmo porre al presidente della Regione (istituzione responsabile delle banchine del Tevere) e ai responsabili del Comune di Roma, è come mai non si sono accorti in tempo di questa situazione paradossale e dopo aver celebrato trionfalmente il murales  non hanno fatto qualcosa per impedire che fosse “sepolto” (insieme a tutti coloro che frequentano da anni questa oasi di pace) da un bazar di stand commerciali, birrerie e disco music. 
Ma non è solo questo, e la domanda coinvolge anche il  futuro sindaco di Roma:  i nostri amministratori hanno intenzione di svendere ogni angolo della nostra città e di rendere il centro storico una interrotta catena di bar, pub, ristoranti e bancarelle, o invece, cavalcando l’onda benefica di una presenza artistica così importante come il murale di Kentridge e promuovendo “piazza Tevere” come un’oasi al centro di Roma, vogliono decidersi finalmente a mettere al centro i beni e gli spazi comuni, e in particolare quell’arte, quella cultura e quegli spazi verdi che, sempre a parole, dicono di voler tutelare e promuovere?
 Sarebbe bello che nei mesi estivi almeno questo tratto del Tevere, ora segnato da un murales di 500 metri che tutti ammirano, possa non solo tornare ad essere quel luogo aperto a tutti dove, come in un parco, si possa andare in bicicletta o camminare, prendere il sole o pescare, ma anche un area in cui ospitare laboratori per bambini, letture poetiche o teatrali, piccoli concerti acustici, interventi e performance d’arte contemporanea …
Se  c’è la volontà, le soluzioni alternative da offrire a chi ha avuto l’appalto di quel tratto di fiume certo non mancheranno. Gli stand commerciali lì presenti potrebbero spostarsi nel tratto a monte di “piazza Tevere”, in questo modo l’area libera per piccoli eventi artistici e culturali potrebbe diventare un luogo di interesse per i cittadini che frequenteranno la sequenza degli stand a monte e a valle, oppure essere spostati nel tratto che va da ponte Garibaldi verso Testaccio, coinvolgendo così coloro che vivono in quel quartiere e la parte di Trastevere a sud del viale che divide in due il rione.  
Questo appello viene incontro alle lamentele che tanti cittadini ci hanno espresso passando in questi giorni per “piazza Tevere” scoprendo che di lì a poco sarebbe nuovamente diventata “Bazar Tevere”, ed è rivolto quindi anche alle associazioni dei residenti del centro in vista di un’ampia partecipazione collettiva nella gestione dei beni comuni.

Primi firmatari:
Andrea Fogli, artista
Achille Bonito Oliva, critico d'arte
Silvana Bonfili, direttrice del Museo di Roma in Trastevere
Selen de Condat, fotografa & Maria Felice Arezzo di Celano
Giosetta Fioroni, artista
Felice Levini, artista
Daniele Luchetti, regista
Marcelle Padovani, giornalista
Sandra Petrignani, scrittrice
Giuseppe Piccioni, regista
Fabrizio Sabelli, antropologo
Annamaria Sambucco, casting director
Valeria Viganò, scrittrice

Questa petizione sarà consegnata a:
  • Nicola Zingaretti
  • Responsabili del Comune di Roma
  • Cittadini della città