15/06/14

Fabrizio Falconi - Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma (FOTO).


Fabrizio Falconi, Susan Stewart, Rita Bertoni, Presentazione di Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma,  Libreria Arion, Palazzo delle Esposizioni, 21 febbraio 2014.


Fabrizio FalconiRoberta Bernabei, Presentazione di Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma,  Libreria Arion, Palazzo delle Esposizioni, 21 febbraio 2014.



http://www.ibs.it/libri/bernabei+roberta/libri+di+roberta+bernabei.html

La poesia della domenica: 'Prendimi, se mi vuoi' - di Riccardo Held.




E quando scende senza luce un velo
E distingue i contorni della sera
Quando si chiude sulla luna il cielo
E quando ogni paura sembra vera

Prendimi se mi vuoi, tienimi dentro,
Restami intorno come una coperta,
Non lasciarmi da solo senza centro
Come una stanza, una finestra aperta;

Fa' in modo che non resti più sospeso
Al gancio del dolore, senza fiato
Signora mia mentre mi togli il peso
Di tutti i desideri del passato.




Riccardo Held (Venezia, 1954), da Il guizzo irriverente dell'azzurro, tratto da: Parola plurale, Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, a cura di Andrea Cortellessa e altri,  Luca Sossella editore, 2005. Pag. 474.

14/06/14

Libri: Guanda rilancia Handke, nuove opere e riedizioni.



Guanda rilancia le opere di PeterHandke e ha acquisito i diritti dei suoi ultimi libri. 

Arriva nelle librerie italiane il 19 giugno Saggio sul luogo tranquillo, una riflessione dello scrittore austriaco sul luogo più appartato della casa, dove si può stare lontani dai clamori del mondo.



Contemporaneamente Guanda propone, in nuova edizione, due dei titoli più significativi dello scrittore austriaco: Il peso del mondo e Storie del dormiveglia.

Inoltre Guanda ha acquisito, per una pubblicazione nella primavera 2015, il libro più recente dell'autore, Versuch uber den Pilznarren (Saggio sul raccoglitore di funghi).

Di Peter Handke, oggi uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca, verrà anche riproposto entro il 2015 uno dei titoli più importanti della backlist, Prima del calcio di rigore. 


Fabrizio Falconi - I Fantasmi di Roma.

Simone Caltabellota e Fabrizio Falconi, presentazione de I Fantasmi di Roma, Libreria Koob,  Roma, 10 Febbraio 2011



Simone Caltabellota, Fabrizio Falconi e Antonio Audino, presentazione de I Fantasmi di Roma, Libreria Koob,  Roma, 10 Febbraio 2011



13/06/14

La leggerezza. Una qualità sempre più rara. (Calvino)




Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... 

Poi, l'informatica. E' vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. 

La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.

E' quanto scriveva Italo Calvino nelle sue celebri Lezioni americane, a proposito della Leggerezza, la prima delle sei proposte per il prossimo millennio che il grande scrittore indicò poco tempo prima di lasciarci. 

Di tutte queste proposte - Leggerezza, Velocità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Consistenza (che Calvino non fece in tempo a scrivere) - è proprio la prima, quella di cui oggi a mio avviso si avverte maggiormente la latitanza. 

Essere leggeri è quella qualità capace (e Calvino ne illustra molti esempi, in letteratura) di rovesciare il peso della gravità terrestre di cui la nostra vita è fatta e da cui è condizionata.  E', anzi, quella gravità senza peso che rende possibile la trasformazione del grave e del greve in quella sospensione lunare (Calvino scrive di aver pensato in un primo momento di dedicare tutta la sua conferenza sulla leggerezza alla Luna e alle apparizioni della luna nelle letterature di ogni tempo) che rende ogni cosa luminosa e vera, pur non essendo pesante

E' così anche nelle nostre vite: preziose sono quelle anime che sanno attraversare la vita senza restare inchiodati alla pesantezza (corporea, materiale, effettuale ed effettiva) e sanno trasformare in gioco e leggerezza le vicissitudini e i caratteri dell'umano.  

Preziosi sono quegli uomini e quelle donne che sanno mantenersi leggeri senza mai essere superficiali, che sanno come nulla di più serio vi sia - lo sa bene un bambino - del suo gioco. Di come si possa sorridere nella osservazione e osservare nel sorriso. 

Che è l'opposto della noncuranza, il vero cancro, questo, che - insieme alla pesantezza incagliata - inquina le nostre vite, rendendo spesso impossibile ogni elevazione o sviluppo della persona e dello spirito.


Fabrizio Falconi - © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

Fabrizio Falconi alla Libreria Italiana di Lussemburgo (2007).

Immagini dell' Incontro con l'autore organizzato dalla Libreria Italiana - Lussemburgo, 29 ottobre 2007. 




Fabrizio Falconi ospite della Libreria Italiana - Lussemburgo, 29 ottobre 2007

Fabrizio Falconi (con Raoul Precht a sinistra), ospite della Libreria Italiana - Lussemburgo, 29 ottobre 2007
Fabrizio Falconi (con Raoul Precht a sinistra), ospite della Libreria Italiana - Lussemburgo, 29 ottobre 2007

11/06/14

I due poli dell'unione umana e le convenzioni borghesi (Una pagina del Felix Krull di Thomas Mann) .


Thomas Mann in Autochrome, 1909


Di cose delicate ed imprecise si deve parlare con delicata vaghezza: per questo sia qui inserita una ulteriore osservazione.

Soltanto nei due poli dell'unione umana, là dove non vi sono ancora o non vi sono più parole, nello sguardo e nell'abbraccio, può trovarsi la felicità, giacché lì soltanto esiste assolutezza, libertà, mistero e profonda assenza d'ogni riguardo. 

Tutto quello che nei rapporti umani sta frammezzo quei due poli è tiepido, è determinato, deciso e limitato da formalità e convenzioni borghesi.

Qui domina la parola, questo mezzo freddo e smorto, questo primo prodotto di una civiltà mediocre, così estraneo alla calda e muta sfera della natura, tanto che si potrebbe affermare che già ogni parola è in se stessa un luogo comune. 

E questo lo dico io,  mentre, immerso nell'opera della mia biografia, debbo dedicare massima cura all'espressione letteraria.

Tuttavia, non è il comunicare per parole il mio elemento; il mio vero interesse non sta in esso.  Si rivolge piuttosto alle mute, estreme regioni dei rapporti umani, innanzitutto a quella in cui la estraneità e la mancanza di nessi borghesi riflettono un originario stato di libertà, mentre gli sguardi si accoppiano irresponsabili, con sognante lascivia; poi anche all'altra dove la suprema unione, intimità e fusione ricrea nel modo più perfetto tale inespresso stato primordiale. 


Thomas Mann, da Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull, Traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Mondadori,1955.




10/06/14

"L'ultima volta" - Memoria del fuoco di Eduardo Galeano.




Dal meraviglioso Memoria del fuoco, scritto nel 1989 da Eduardo Galeano, un libro misterioso e vivo che parla dopo tanti anni. 


L'ultima volta


L'alba apre uno squarcio ondeggiante nella nebbia scura e separa la terra dal cielo.

Inés, che non ha dormito, si stacca dalle braccia di Valdivia e si appoggia su un gomito. E' tutta impregnata di lui e sente ferocemente vivo ogni angolino del suo corpo; si guarda una mano alla prima luce caliginosa; le sue stesse dita, brucianti, la spaventano.  Cerca il pugnale. Lo alza. Valdivia dorme russando. Il pugnale vacilla nell'aria, sul corpo nudo.

Passano secoli.

Alla fine Inés conficca dolcemente il pugnale nel cuscino, vicino alla faccia di lui, e si allontana, in punta di piedi sul pavimento di terra, lasciando il letto tutto vuoto di donna.


Eduardo Galeano 


Eduardo Galeano, da Memoria del fuoco, Sansoni editore, 1989, traduzione di Maria Antonietta Peccianti, pag. 144.

09/06/14

E' morto Luca Canali.




E' morto ieri a Roma, all'ospedale Gemelli, dov'era ricoverato da una settimana, Luca Canali, uno dei più grandi latinisti italiani, poeta e scrittore.

Nato a Roma nel 1925, avrebbe compiuto 89 anni il 3 settembre. 

I funerali si svolgeranno in maniera privata per volontà della famiglia. 

Militante da giovane nella Resistenza e iscritto al Pci dopo la fine della guerra, e' stato docente di Letteratura latina all'Università di Pisa ma anche grande narratore e traduttore di classici. 

Mercoledi' 11 giugno arriverà in libreria per Giunti il suo ultimo libro 'Pax alla romana-Glieterni vizi del potere', scritto con il filologo Lorenzo Perilli, sul malcostume politico e sociale che ci appartiene almeno dai tempi di Augusto, raccontato attraverso le parole di grandi scrittori e poeti, da Lucrezio a Tacito, da Virgilio e Giovenale, riportate in latino e italiano con commenti degli autori e rimandi alla nostra attualità. 

Tra i suoi libri 'Autobiografia di un baro' (Mondadori), 'Diario segreto di Giulio Cesare' (Mondadori), 'Amate ombre' (Bompiani) e 'Augusto, braccio violento della storia' (Bompiani). 

06/06/14

Fragilità - una ricchezza umana.




Siamo abituati a valutare la fragilità umana come una debolezza. 

E in effetti lo è.  La fragilità umana è quel che ci rende continuamente vulnerabili.

La nostra fragilità è radicalmente ferita dalle relazioni che non siano gentili e umane, ma fredde e glaciali, o anche solo indifferenti e noncuranti, scrive Eugenio Borgna nel suo ultimo saggio dedicato proprio a questo tema.

Eppure, sotto la crosta sottile della vulnerabilità, l'esser fragili manifesta - umanamente - la più vasta ricchezza emotiva, come l'oceano che si spalanca al di sotto della cortina dei ghiacci. 

La fragilità è anche ciò a cui dobbiamo le nostre scoperte interiori, le nostre crisi - che sono occasioni di conoscenza e di scelta - le nostre elevazioni, la nostra consapevolezza, in definitiva la nostra crescita. 

Fare tesoro della fragilità. Non attenersi semplicemente a nasconderla per la comprensibile paura di essere feriti. 

La fragilità - con tutto ciò che essa comporta: silenzio, sofferenza interiore, meditazione, parole, sincerità, affidamento, abbandono - è la nostra qualità forse più umana. 

E solo quando impariamo a non nasconderla, a non seppellirla in un recesso interiore, impariamo davvero ad essere umani. 

Fabrizio Falconi 





Manana ya 
la sangre no estar 
al caer la lluvia 
se la llevara 
acero y piel 
combinacion tan crudele 
pero algo en nuestras mentes quedara

Un acto asi terminara 
con una vida y nada mas 
Nada se logra con violencia 
ni sé lograra 
Aquellos que han nacido 
en mundo asi 
no olviden su Fragilidad

Lloras tu 
y lloro yo
y el cielo Tambin 
y el Cielo Tambin 
Lloras t 
y lloro yo 
que Fragilidad 
que Fragilidad ...



Sting - Fragilidad 

04/06/14

Domenica prossima pioggia di petali di rose al Pantheon per la Pentecoste.

Anche quest'anno, domenica prossima, giorno della Pentecoste, il Pantheon ospiterà una delle più suggestive meraviglie della tradizione romana: la pioggia di petali dall'oculus del glorioso Tempio di Marco Vipsanio Agrippa, considerato il monumento più perfettamente conservato dell'antichità romana. 

Chi non c'è mai stato, dovrebbe non mancare.  E propongo questo piccolo assaggio video. 

Per chi poi si troverà domenica da queste parti, suggerisco la visita al piccolo Vicolo della Spada d'Orlando, poco distante dal Pantheon, che offre sorprendenti curiosità ai visitatori.  Il brano è tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore, 2013. 





Il Vicolo della Spada d’Orlando. 

Tra il Pantheon e la Piazza Capranica, nel rione Colonna, c’è a Roma, una piccola strada, appena un vicolo, che ha un nome davvero singolare, soprattutto in una città la cui storia sembrerebbe lontana dalle vicende leggendarie legate all’epopea del paladino Orlando e della sua prodigiosa spada, la Durlindana – o Durendal – che secondo la Chanson de Roland sarebbe stata donata ad Orlando proprio da Re Carlo Magno. 

Eppure, proprio a Roma, a quanto pare esiste una memoria forte legata alle gesta mitiche del Paladino di Francia. Nella scena più cruenta della Chanson, Orlando si trova a fronteggiare i Saraceni sul Valico di Roncisvalle, e la sua Durlindana diventa un’arma invincibile. Con la portentosa spada, l’eroe uccide migliaia di nemici, fin quando, per paura che l’arma possa cadere nelle mani avversarie, il Paladino decide di distruggerla con un terribile colpo assestato ad una colonna (un colpo talmente forte che secondo la leggenda, avrebbe generato  la gigantesca fenditura nella roccia, alta più di cento metri, chiamata Breccia di Orlando, che si visita sul crinale dei Pirenei, non lontano da Roncisvalle).

La Durlindana però era così resistente, che non si ruppe nemmeno dopo quel poderoso impatto, e ad Orlando non rimase altro che nasconderla sotto il suo corpo, insieme all’olifante con il quale aveva tentato di richiamare Carlo Magno, soffiando così forte nello strumento fino a farsi scoppiare le vene. 

Versione che viene accanitamente negata dagli abitati della cittadina pirenaica di Rocamadour i quali sostengono che la vera Durlindana è quella che si vede ancora, incastrata in una parete rocciosa verticale del loro paese: secondo i monaci di Rocamadour, infatti, Orlando non nascose la spada, ma la gettò via, e non si sa come finì serrata in quel costone di roccia, dov’è ancora visibile, assicurata ad una pesante catena. 

Ma cosa c’entra in tutto questo il nostro vicolo romano? C’entra, perché secondo un’altra versione, la colonna contro la quale Orlando avrebbe cercato di spezzare la sua spada, sarebbe stata, non si sa per quali misteriosi motivi, trasportata a Roma. E’ stata forse semplicemente la fantasia popolare a partorire questa storia, vista la presenza nel vicolo di un  tronco di colonna di marmo bianco cipollino, che sembra in effetti colpita dal fendente di un’arma bianca.



C’è anche poi chi ha voluto fantasticare, ipotizzando anche una presenza a Roma del Paladino di Francia, del tutto leggendaria. 

 Il Vicolo però, oltre al tronco di colonna, possiede altri motivi di interesse, per la presenza di particolari sedili, in realtà sporgenze di un antico muro laterizio che attiene al cosiddetto Tempio di Matidia, costruito dall’imperatore Adriano nel 119 d.C. e dedicato alla suocera, Matidia, madre di Sabina, che era anche la nipote diretta di Traiano; e per la fontanella che eroga Acqua Vergine, anticamente collocata dalla vicina Via de Pastini e qui traslocata nel 1869, come si legge nella iscrizione muraria posizionata alla sua sommità.



tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore, 2013. 


03/06/14

True Detective - Una grande serie sull'umano (e quel che resta).


MatthewMcConaughey in True Detective

Qualcuno ha scritto che True Detective è una serie sul tradimento, sul tradire. Non sono d'accordo. 

True Detective, la produzione HBO, a mio avviso la serie tv più interessante e felice degli ultimi anni,  è un'opera sull'umano. Sul senso dell'umano. Sull'umanità. Su quel che resta dell'umanità - non poco, a dir la verità - negli anni scomodi e vacui del post-moderno. 

Il plot narrativo - un caso non troppo originale di omicidi seriali a sfondo satanico, ambientati nel mondo rurale e surreale delle paludi della Lousiana - è soltanto un pretesto, per gli autori, interessati a sottoporci, sotto le vesti del classico flic+flic, una coppia di esseri umani (poliziotti) alle prese con le loro ugge esistenziali e con i loro fantasmi inconsci, con le ombre di cui non sono consapevoli e che dovranno elaborare per diventare umani, cioè veri. 

A parte il virtuosismo stilistico con cui questa serie è girata (di cui si può avere un eloquente saggio cliccando QUI ) il vero prodigio della scrittura dell'opera è quello di lavorare sui due caratteri - nell'arco di sole otto puntate di 50 minuti l'una - con una minuziosa operazione di scavo, di introspezione a tutto tondo raramente riscontrabile in una messa in scena cinematografica o tanto meno televisiva.  

Woody Harrelson/Martin Hart e Matthew McConaughey/Rust Cohle rappresentano emblematicamente le due polarità sulle quali si è incagliata la modernità occidentale, nel modo di affrontare un punto di vista sull'esistenza.  

Harrelson/Hart è il materialista/epicureo, che vive alla giornata, difende (più per abitudine che per convinzione) i suo valori, è un equilibrista, abituato a comporre con uno stile di vita disinvolto dissonanze e fratture. L'importante è tirare a campare.  E se possibile, godersela un po', seppure la vita è quel che è. 

McConaughey/Cohle è per opposto, il nichilista/disperato, che sulla sua ferita (la perdita in un banale incidente della figlia di due anni) ha costruito una visione del mondo cupa e desolata. 

Il doppio binario narrativo - le lunghe interviste ai due  realizzate dodici anni dopo gli eventi e l'indagine vera e propria in flashback - con i piani sequenza e i monologhi in camera (capacità tecniche mostruose di McConaughey) consentono lunghe riflessioni di puro tenore filosofico. 

E se Cohle è Schopenhauer distillato senza aggiunte, Hart è un compendio di sano savoir vivre, che affonda le sue radici fin nei frammenti della scuola ateniese. 

Se si accetta il gioco, True Detective riserva grandi sorprese, ed emoziona fin nel profondo. Con l'ultima, catartica ottava puntata (scioglimento dell'enigma e passaggio cristico dei due protagonisti attraverso le ombre del loro personale inferno) che rovescia i ruoli e i punti di vista, nell'ultimo commovente finale, all'esterno dell'ospedale, che qui riporto nella sua interezza. Otto minuti che meritano di essere visti (grandiosa prova di McConaughey) e ascoltati. 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
Marty: “Talk to me, Rust.”
Rust: “There was a moment, I know, when I was under in the dark, that something… whatever I’d been reduced to, not even consciousness, just a vague awareness in the dark. I could feel my definitions fading. And beneath that darkness there was another kind—it was deeper—warm, like a substance. I could feel man, I knew, I knew my daughter waited for me, there. So clear. I could feel her. I could feel … I could feel the peace of my Pop, too. It was like I was part of everything that I have ever loved, and we were all, the three of us, just fading out. And all I had to do was let go, man. And I did. I said, ‘Darkness, yeah.’ and I disappeared. But I could still feel her love there. Even more than before. Nothing. Nothing but that love. And then I woke up.”
Rust breaks down, sobbing.

02/06/14

'Se è amore sconvolge la vita', di Umberto Galimberti.



Quando incontriamo l'amore non racchiudiamolo nei contatti fisici, non tratteniamolo nelle nostre difese, e neppure affoghiamolo nelle turbolenze dei nostri sentimenti. 

L'amore, comunque si presenti, apre un mondo: il mondo della vita ben diverso dalla semplice sopravvivenza. Ma per questo non dobbiamo leggere l'amore a partire dal nostro desiderio, che è troppo angusto per esserne all'altezza.

Non possiamo attenderlo nelle modalità che ci siamo costruiti a partire dalla nostra educazione, dai nostri principi, dal concetto che abbiamo di noi, dalla letteratura che abbiamo frequentato, dall'esperienza che abbiamo maturato. 

L'amore ci chiede innocenza. Quella del bambino che si apre al mondo. Perché il dono che ci fa amore, non è la persona che lo suscita, ma il mondo che, attraverso quella persona, si dischiude ai nostri occhi. Un mondo mai visto perché le nostre difese, in quell'occasione, sono cadute.  E, con le difese, anche i nostri modi, lussuriosi o pudichi, di concepire l'amore.

Vertigine del pensiero che si trova tra pensieri mai pensati, tonalità affettive per le cose di tutti i giorni che, per consuetudine, prima ci erano indifferenti, luminosità dello sguardo che si è aperto in modo del tutto nuovo sul mondo, parole nuove rispetto a quelle abituali che prima dicevamo e sentivamo. 

La nostra anima, come effetto di ogni incontro d'amore, ci cede il suo segreto e ci fa conoscere quel mondo sconosciuto che noi siamo e, fino ad allora, ignoravamo. 

Questo è l'amore, e non l'altro che ci ama o non ci ama come vorremmo che lui ci amasse.  

Perché quando le nostre attese pregiudicano l'amore, già abbiamo perso l'innocenza, e con essa la chiave che ci porta alla scoperta di tutte le nostre parti segrete che, con l'avanzare degli anni, rischiano di morire senza essere mai nate.

Ma per accedere ai doni dell'amore dobbiamo in qualche modo mettere da parte il nostro io e la nostra abituale visione del mondo, perché l'altra parte di noi stessi possa emergere, sorprenderci e sconvolgerci.  Amore infatti non è una cosa tranquilla, delicata, gentile, comprensiva, rispettosa, e tanto meno suggello di fede eterna, che è un desiderio troppo rassicurante per il lavoro che amore compie quando, bruscamente, ci sveglia dalla consuetudine monotona della nostra esistenza, dall'immagine ben strutturata della nostra identità, dai nostri desideri che cercavano appagamento quando invece amore è sconvolgimento.

Solo se comprendiamo queste cose ci portiamo all'altezza dell'amore che una cosa sola vuole: che la nostra vita non prosegua più sul binario stanco sul quale le nostre difese, e allo stesso modo, le nostre attese lo avevano incanalato, sotto il regime del nostro io che si difendeva dall'altra parte di noi stessi che pure invocava di vivere.

in testa: Antonio Canova, Tre Grazie (particolare). 



01/06/14

La poesia della domenica - "Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura" di Pablo Neruda.



Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d'allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l'assenza
che v'entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all'aria.
È una casa tanto trasparente l'assenza
 che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.

Pablo Neruda, da Cento sonetti d'amore

Si muero sobreviveme con tanta fuerza pura 
que despiertes la furia del pàlido y del frìo, 
de sur a sur levanta tus ojos indelebles, 
de sol a sol que suene tu boca de guitarra. 
No quiero que vacilen tu risa ni tus pasos, 
no quiero que se muera mi herencia de alegrìa, 
no llames a mi pecho, estoy ausente. 
Vive en mi ausencia como en una casa. 
Es una casa tan grande la ausencia 
que pasaràs en ella a través de los muros 
y colgaràs los cuadros en el aire. 
Es una casa tan transparente la ausencia 
que yo sin vida te veré vivir 
y si sufres, mi amor, me moriré otra vez.

31/05/14

D.H.Lawrence si ispirò ad un'italiana per l'Amante di Lady Chatterley?


D.H.Lawrence

Una delle eroine piu' famose e turbolente della letteratura inglese era in realtà una donna italiana molto emancipata vissuta negli anni Venti. 

Lo scrittore britannico D.H. Lawrence, per concepire il personaggio di Connie, protagonista nel suo celebre romanzo 'L'amante di Lady Chatterley', si sarebbe ispirato a Rina Secker, moglie del suo editore, Martin Secker. 

Rina Secker


Lo afferma un nuovo libro dell'autore Richard Owen, dal titolo 'Lady Chatterley's Villa'. Secondo il Daily Mail, sono stati scoperti molti parallelismi fra Connie e Rina, a partire dall'insoddisfazione coniugale che accomunava le due. 

La moglie di Secker, inoltre, trascorse lunghi soggiorni lontano dal marito e si dice che abbia avuto molte avventure extraconiugali, ricordando in questo Lady Chatterley. 

Fu la stessa moglie di Lawrence, Frieda, a dire in pubblico: "Rina, mia cara, Lady Chatterley sei tu". 

Il romanzo, scritto in Toscana, venne pubblicato nel 1928 per la prima volta a Firenze, ma da subito bandito per il suo contenuto esplicito e uscì in Gran Bretagna solo nel 1960. 

la prima edizione di Lady Chatterley

29/05/14

L'obiezione all'astrologia (di chi non conosce) - Marco Pesatori.





Coloro che deridono l'astrologia, spesso non sanno ciò di cui parlano. 

Molti infatti confondono la tradizione astrologica millenaria basata sulla conoscenza simbolica dell'animo umano con le varie tecniche divinatorie.

Ma come sanno tutti coloro che si avvicinano all'astrologia seriamente, nessun astrologo serio si sognerebbe mai di divinare il futuro di una persona, ciò che gli succederà esattamente domani o dopodomani. 

L'astrologia infatti si basa - come ogni scienza dei simboli - sulla individuazione dei principi individuali e collettivi che muovono i caratteri umani (e a questo termine così difficile da identificare - nessuno sa cosa sia il carattere di una persona - si associano altre parole misteriose legate all'esistenza umana: predisposizione,  destino, fato, propensione, personalità ecc..) 

Uno dei più seri astrologi italiani, Marco Pesatori, ha scritto recentemente (D di Repubblica, 24 maggio 2014):

L'astrologia è strumento per creature dotate di ragione e possibilità di scelta.   Così l'estenuante polemica tra determinismo e libero arbitrio sembra aver poco senso.
Se dal servizio meteorologico si sa che domani il mare ha forza sette, è una sentenza precisa, ma nulla impedisce al bravissimo velista o all'incosciente di prendere la barca a vela per farsi un giro. 
A chi è alto 1,53 nessuno impedisce di tentare il record mondiale di salto in alto, anche se sarà quasi impossibile ottenerlo e forse è meglio che si dedichi al 400 piani o alla maratona.
Che ci sia un disegno o no, non è dato sapere, ma ciò non mette in discussione la realtà o l'illusione di essere proprio noi a scegliere. 

Mi sembra eloquente, e molto interessante.

Fabrizio Falconi

28/05/14

Magnum Mysterium - Ognuno è parte della verità.






La verità è scostante, scriveva Goethe nelle sue Lettere. 

Al contrario di tanti che verranno dopo di lui, Goethe insomma sostiene non che la verità non esiste. Ma che è scostante.  Cioè, non afferrabile. Mutevole, nascosta. 

Il mondo si presenta complesso mano a mano che si cresce. E ogni complessità in più - anche nel mondo delle conoscenze - rappresenta un potenziale allontanamento dalla verità. 

Un gioco di specchi è la nostra vita.  Nel grande e nel piccolo siamo (s)perduti. 

Ma nello stesso tempo ci rendiamo sempre più conto di non essere ir-rilevanti. Come intuirono i sapienti d'Oriente migliaia di anni fa, l'osservatore non è distinto dall'osservato. E l'osservato dipende strettamente dall'osservatore.  Nessun trionfo del relativismo: significa semplicemente che ognuno di noi è parte della verità.  Misteriosa. 


O magnum mysterium è un testo in latino che narra il mistero della nascita di Cristo. È stato usato in composizioni corali da vari autori, tra cui Victoria, Gabrieli e Palestrina. Nella esecuzione dell'University of Utah Singers,  questa è la versione di Morten Lauridsen.

Il testo latino è il seguente: O magnum mysterium et admirabile sacramentum ut animalia viderent Dominum natum iacentem in praesepio. Beata virgo cuius viscera meruerunt portare Dominum Christum. Alleluia. 

27/05/14

Una bellissima intervista ad Eugenio Borgna, di Antonio Gnoli per Repubblica.





Vi propongo questa bellissima intervista ad Eugenio Borgna realizzata da Antonio Gnoli. 


Eugenio Borgna: "L'anima non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un'ombra" Dagli studi universitari all'interesse per quei malati un tempo tenuti ai margini, lo psichiatra racconta come è cambiata la disciplina - di  Antonio Gnoli - Da Repubblica.it 


LA PRIMA cosa che viene in mente osservando Eugenio Borgna, mentre è ad attendermi alla stazione di Novara, è il suo spiccato senso di gentilezza. 

Nelle movenze dinoccolate di quest'uomo alto e asciutto, che flette lieve verso l'altro come un giunco, si coglie la disponibilità rara dell'ascolto. 

Ci fermiamo, vista l'ora di pranzo, a un ristorante gradevole e semivuoto: "Qui veniva Scalfaro", ricorda Borgna. E ho l'impressione di un altro tempo. Che è la medesima sensazione che provo nella casa di questo grande psichiatra: vasta, spoglia, ma anche sovraccarica di libri. Come congelata in un altro tempo. Forse più prezioso. Più intimo. Certamente meno duro e perfino più fragile. Proprio al tema della fragilità Borgna ha dedicato un libretto ( La fragilità che è in noi, edito da Einaudi) ricco di considerazioni tenui. Intonate al pastello più che all'acido; alle sfumature più che ai tratti decisi. Ho l'impressione che il pensiero di quest'uomo si svuoti dell'aggressività necessaria in una società votata all'urlo e alla chiacchiera.


Cosa rappresentano le parole per un medico come lei?
"Le parole hanno un immenso potere. Ci sono parole troppo dure e violente. Troppo inumane. Che i medici, non tutti per fortuna, rivolgono al malato. E ci sono parole in grado di aiutare l'altro. Le mie parole sono state anche domande a me stesso e agli altri. Sono i dubbi e le incertezze che ho seminato lungo la mia lunga vita".

Che ha avuto inizio dove?
"A Borgomanero, a una trentina di chilometri da qui. Vi ho trascorso la mia infanzia e poi l'adolescenza. Interrotta bruscamente quando i tedeschi nel 1943 occuparono la nostra casa. Mio padre, avvocato, faceva parte della Resistenza. E noi, sei figli, con mia madre che teneva in braccio l'ultimo nato, ci avviammo a piedi verso la collina dove protetti da un parroco ci nascondemmo".

Quanto durò?
"Sei mesi. Tornammo per constatare che la casa era stata distrutta. A poco a poco la vita riprese. La scuola, poi il liceo, infine l'Università a Torino e la specializzazione a Milano nella prima clinica per le malattie nervose ".

Perché quel tipo di scelta?
"Sulle orme paterne avrei potuto fare l'avvocato. O magari il letterato avendo divorato i libri della biblioteca di mio padre. Ma compresi, grazie anche alla letteratura e alla poesia, che occuparsi delle persone che stavano male poteva dare un senso più autentico alla mia esistenza".

Essere autentici è un dovere?
"Diciamo che avvertivo il desiderio di una verità più grande di quella che di solito osserviamo".

Mi faccia capire.
"Dopo un po' che frequentavo la Prima clinica mi accorsi che esistevano due tipi di pazienti, ben distinti: neurologici e psichiatrici. Questi ultimi erano ignorati".

Perché?
"Si pensava che solo le malattie del cervello meritassero attenzione. Mentre a me interessava relativamente quel tipo di indagine. E fu attraverso quei pochi pazienti psichiatrici, tenuti ai margini, che scoprii un mondo di dolore e di sofferenza che mi parve più autentico di quello biologico e organicistico".

Non le bastava la verità clinica?
"No, desideravo toccare una verità più esistenziale. Non volevo l'oggettività del neurologo. Ero portato ad ascoltare la sofferenza e l'angoscia come aspetti di una soggettività più complessa. Avevo 32 anni e una libera docenza che mi dischiudeva le porte per una grande carriera milanese".

E invece?
"Decisi  -  tra lo sconcerto dei colleghi, dei superiori e degli amici  -  di accettare il posto di direttore del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Quando entrai vidi all'esterno degli enormi giardini. Mi accompagnava un silenzio assoluto. E malgrado fosse inverno le finestre dell'ospedale erano spalancate. Con i pazienti che guardavano fuori".

Una scena irreale?
"Sembravano le marionette di un teatro dell'assurdo. Ma era niente rispetto alla situazione che trovai all'interno. Quello che vidi fu raccapricciante: i pazienti legati o rinchiusi in spazi asfissianti. Le urla e i lamenti. Era agghiacciante. Sembrava di essere in un carcere crudele e senza senso. So bene che oggi la situazione è cambiata, ma allora, nei primi anni Sessanta, fu sconvolgente constatare che c'erano esseri umani cui era stata tolta la dignità del vivere".

Come reagì?
"Provai una profonda vergogna. E al tempo stesso capii che avevo fatto la scelta giusta. Provai a cambiare la situazione. Aprii le porte e vietai l'uso dei letti di contenzione. Nessun paziente poteva più essere legato. Chiamai da Milano alcuni assistenti con i quali avevo lavorato e che avevano, come me, combattuto contro certi metodi".

Metodi comunque fondati su una lunga tradizione clinica.
"Certo. In quelle decisioni non c'era malvagità, ma tanto pregiudizio. Meglio: l'incapacità di capire veramente cosa si nasconde nella follia".

Non è facile trovare un varco per la comprensione.
"Non lo è finché ci si rifiuta di pensare alla schizofrenia come a una forma di esistenza. Certo diversa dalla nostra normalità, ammesso che esista, ma pur sempre esistenza vitale".

Lei dice: la schizofrenia è un mondo vitale. Cosa ha trovato in quel mondo?
"La schizofrenia è una delle forme di sofferenza più enigmatiche e strazianti che si conoscano. Si radica, per lo più, nella crisi esistenziale segnata dal passaggio dall'adolescenza alla giovinezza".

di Antonio Gnoli - da Repubblica.it

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