08/01/13

Manuela La Ferla: a Firenze nasce la "Casa dell'Autore."





A Firenze nasce CASA DELL’AUTORE: intervista a Manuela La Ferla
di Massimo Maugeri per letteratitudinenews



Nasce a Firenze la CASA DELL’AUTORE di Manuela La Ferla. L’obiettivo dichiarato è quello di rimettere al centro del lavoro il testo e il suo autore, nel rispetto estremo della scrittura e fuori dalle forzature del mercato: un luogo dove le storie potranno circolare liberamente e le idee trovare terreno fertile, una modalità di lavoro che conserverà il nucleo antico del lavoro editoriale, ma guarda al futuro, alle nuove forme che con il digitale assumeranno un aspetto ancora difficile da immaginare. Uno spazio per autori italiani di eccellenza, per testi di narrativa e progetti di saggistica contemporanea. 

Manuela La Ferla, catanese di nascita ma fiorentina di adozione, vive e lavora a Firenze Ha collaborato a vario titolo con: Rizzoli, Feltrinelli, Adelphi, Einaudi, Theoria, Giunti, Mondadori, Fazi, Il Saggiatore, Cadmo e Longanesi. Ha collaborato a lungo anche con diverse testate, tra cui Diario e La Stampa e curato testi di Letteratura fantastica per diversi editori. Da un paio di anni cura la rubrica «Piccole Italie», su Latitudes. Come curatrice e autrice, è onorata di far parte nel suo piccolo del catalogo Sellerio. Da molti anni insegna editing alla Scuola Europea di Traduzione Letteraria. Nel 2013, in linea con l’evoluzione del mondo editoriale aprirà la casa dell’autore®, un crogiolo di eccellenza per testi e autori di qualità. Il vero lavoro editoriale, prima e oltre le case editrici. A Firenze, in via maggio 35. info@casadellautore.it

- Cara Manuela, da quanto tempo lavori del mondo dell’editoria? Ti andrebbe di raccontarci un po’ di te?
In breve: lavoro da venticinque anni in campo editoriale, come Editor Italiani, sia di narrativa che di saggistica contemporanea. Nasco in Sicilia cinquantanni fa, nella città da cui mi scrivi e che saluto. Vivo con mio marito e mio figlio Natnael di anni sette, a Firenze, mia città adottiva da oltre trent’anni (con tutti questi conti finirò per sentirmi vecchissima). Ho dedicato gran parte della mia vita alla letteratura e alle parole, fare l’editor è il mio modo di stare al mondo e quando penso penso da sempre sotto forma di libro. E per libro intendo un testo, originale, in lingua italiana, che poi vada in cartaceo o digitale è un’altra storia, ma non è questo il punto fondamentale, almeno per me. 
- A tuo avviso, cosa è cambiato nell’attuale sistema editoriale italiano dall’inizio della tua attività a oggi? Quali i pro e i contro?
Non è cambiata la passione dei giovani che vorrebbero entrare a far parte di questo nostro piccolo mondo, molto conservatore. Non è cambiata la dedizione dei molti che si prendono cura dei testi e non è cambiato il desiderio degli autori di arrivare ai propri lettori attraverso il filtro editoriale di una casa editrice. Per il resto, sembra di stare in un mondo capovolto. Chi guarda al mondo editoriale da fuori non credo lo sappia: ma l’industria editoriale è spesso strozzata da tempi di produzione accelerati e vittima colpevole della dittatura delle tirature (tranne che per il digitale). La cornice insomma si è un po’ mangiata il quadro. E il quadro, almeno per me, era e resta l’autore e il suo testo. 
- Credi che il ruolo e i compiti dell’editor, in particolare, siano cambiati in questi anni? Perché la figura dell’editor è ancora importante? 
Oggi l’editor è soprattutto un publisher, una persona molto competente che però compra libri già fatti altrove, mentre io mi sono sempre dedicata a farli i libri, e per farli non intendo costruirli a tavolino, anzi, intendo dire, anche pensarli, sì, se si tratta di saggistica, ma soprattutto aiutare l’autore a riflettere sul senso del proprio lavoro. Ed è proprio questo tipo di figura che è quasi del tutto scomparsa, quello che una volta si chiamava il consulente letterario di professione. Ci sono delle eccezioni, ma sono mosche bianche ormai. Il clima è mutato e non da oggi. Oggi su tutto vince il commerciale e le aspettative del lettore, quasi fosse la domanda a generare l’offerta e non viceversa.

Massimo Maugeri per Letteratitudinenews - continua a leggere qui.

07/01/13

E' morta Giovanna Bemporad - Un ricordo personale.





Ho conosciuto Giovanna Bemporad nell'estate del 1983.  

Ero un ventitreenne che aveva appena esordito con un libro di racconti - Prima di Andare - e su suggerimento dell'editore - nella persona di Maria Cristina Becattelli - inviai una copia del volume ad alcuni scrittori (come si faceva un tempo). 

Giovanna Bemporad mi rispose quasi subito. Una lunga lettera, compilata con una scrittura obliqua regolare, in una lingua perfetta, esatta, non distante, prodiga di suggerimenti (e anche di elogi). 

Le telefonai al numero che mi aveva lasciato e lei - una voce esile, minuta, dai riflessi apparentemente rallentati - mi invitò a casa sua. Abitava in Via dell'Umanesimo, all'Eur, in un bell'appartamento (suo marito era il senatore Giulio Romano Orlando, non avevano figli). 

Suonai al campanello, la voce esile mi disse di salire. Al pianerottolo il portone dell'appartamento era socchiuso. Dall'interno, la voce mi disse di accomodarmi nel salone.   Entrai, lei non c'era.  La aspettai per qualche minuto. Quando comparve - erano le sei di sera, l'orario in cui, lo scoprii solo più tardi, abitualmente cominciava la sua giornata - rimasi colpito dall'aspetto: magrissima, con folti capelli neri (sembravano quasi una parrucca), pallida, la pelle del volto liscia come quella di una bambola.  Profumata (di talco?), leggermente incipriata, vestita con abiti maschili - pantaloni scuri, un gilet di raso, camicia bianca e la giacca di velluto.  

Fu un incontro speciale. Che - posso dirlo ora che non c'è più - mi cambiò la vita. 

Era la prima volta che mi si palesava di fronte l'essenza vera di un poeta. Di un poeta vero, di un vero poeta.  

Parlammo a lungo, lei era molto interessata a quel che aveva da dire e da scrivere un giovane come me. Era affascinata dal fatto che fossi figlio di operai, e che avessi scoperto il piacere di scrivere a dieci anni quando i miei mi regalarono per la Befana, una macchina per scrivere Olympia Carrera. 

Cominciò quel giorno una lunga amicizia.  Telefonate lunghissime - Giovanna era una affabulatrice, ma nello stesso tempo si interessava ad ogni questione dell'attualità o dei problemi, delle vicissitudini personali dell'interlocutore -  letture dei suoi Esercizi (praticamente il suo unico libro di poesia, che scrisse e riscrisse molte volte),  riletture ad alta voce, in pubblico, degli amati classici che traduceva - Eneide, Odissea, ma anche Novalis, Mallarmé, Valery, Rilke.   

Lei viveva di notte. Ritmi circadiani completamente invertiti.  Si coricava alle otto del mattino.  Fu lei a portarmi in giro in quella Roma, dove di notte incontravi tutti, all'inizio degli anni '80.  E le sue storie erano piene di meravigliosi aneddoti:  l'amicizia giovanile - fraterna - con Pasolini, Ungaretti che era stato il suo testimone di nozze, Eliot a Roma...  

Trascorrere il tempo con lei voleva dire, per uno come me, sognare: entrare in un mondo che consideravo precluso e che invece in qualche modo era accessibile, il mondo dei poeti, osservarlo di soppiatto, cercare di carpirne i misteri. 

Quando pubblicai L'Ombra del Ritorno, qualche anno più tardi, mi incoraggiò molto. Mi aiutò non poco nel rivedere i testi, minuziosamente, fino alla fine. 

Per lei la poesia era soprattutto questo: riflessione, meditazione, approfondimento, sempre e sempre. Una lenta discesa negli strati più profondi dell'essere umano. 

Stamattina, aprendo i giornali, ho appreso che Giovanna, a 83 anni ci ha lasciato. 

Da tempo, si era isolata da tutti. Ma lei, in fondo, come scrive oggi il Corriere della Sera, era sideralmente distante dal cosiddetto 'mondo letterario' :non aveva mai veramente frequentato nessuno, se non quelli che considerava amici poeti.   Nessun salotto, nessun bel mondo, nessuna televisione, nessun premio letterario, nessuna congrega (o consorteria o corporazione) di scrittori .

Lei era semplicemente la sua anima.  

E da oggi, io mi sento più orfano. 


Ciao, Giovanna.

Fabrizio Falconi  





06/01/13

La fatica degli anni che passano.





La fatica degli anni che passano, cambia le nostre prospettive.  E cambia anche il senso della nostra fatica.

Ho trovato queste parole straordinariamente rispondenti.


Ho sempre più l'impressione che il torrente da guadare si allarghi alle dimensioni di un fiume, anzi di un mare. 

Il gesto di lanciare sassolini nel torrente guardando con fiducia, quasi con possesso, all'altra sponda, si è tramutato in me in un altro: siamo inviati, mi pare, non ad assicurarci il passaggio di un corso d'acqua, bensì ad entrare semplicemente, a piccoli passi, nell'acqua di un mare ampio, per immergerci in esso superando le nostre paure. 



Carlo Maria Martini, Capire, comprendere, pregare, in La preghiera di chi non crede, VII Cattedra dei non credenti, Mondadori, Milano 1994, pag.104.

05/01/13

Franco Battiato: "Non si muore, ci si trasforma". Intervista Video.


 


E' il passaggio di una intervista a Franco Battiato (nella occasione dell'uscita del suo ultimo album Apriti Sesamo), realizzata dal mensile XL di Repubblica, nel quale l'artista parla della morte, di come si sta preparando a quello che definisce un passaggio, una trasformazione. 


link del video: 
Esclusiva XL. Franco Battiato. L'idea della morte - Il testamento from videodrome-XL on Vimeo.

04/01/13

Il Master di Ballantrae di Robert Louis Stevenson, nella nuova edizione di Nutrimenti.





Ma che straordinario libro è questo. 

Il Signore di Ballantrae, scritto da Robert Louis Stevenson nel 1888 è un compendio sulla ambiguità dei caratteri umani, e dei rapporti. E sulla follia del male. 

La storia dei due fratelli James e Henry, l'uno - il maggiore - erede designato della casa nobile a cui appartiene, pura anima criminale, l'altro, il secondo, gregario e apparentemente sottomesso, sempre alle prese con un agognato e disperato riscatto,  è la descrizione della disintegrazione di quei valori umani che per molti secoli segnarono la rotta della civiltà  e che sul finire dell'Ottocento entrarono definitivamente in crisi.

James, dopo essere creduto morto una prima volta, durante una battaglia, torna per vendicarsi sul fratello minore che gli ha usurpato il titolo e la moglie.  

Dopo un duello notturno, in cui per la seconda volta viene creduto morto, scompare ancora.

E ancora ritorna per l'ultimo faccia a faccia, che si conclude in un parossistico finale dove, per la terza volta, James sembra risorgere, questa volta addirittura dal suo letto di morte, dalla sua sepoltura. 

Nella pregevolissima riedizione della Nutrimenti - corredata delle illustrazioni d'epoca, delle cartine geografiche, delle appendici con le lettere dell'autore (una indirizzata anche a Henry James - si possono scoprire le perplessità di Stevenson che accompagnarono la stesura di quest'opera, la sua insoddisfazione, il senso profondo che voleva dare a questo Diavolo, incarnato nel personaggio di James. 

E' una lettura splendida, che davvero merita attenzione. Nei tempi così confusi che viviamo, il racconto di Stevenson appare quasi profetico, nella teoria di questo male insensato che esiste solo per il gusto di esistere.

Un romanzo così moderno, che sembra scritto oggi, per l'oggi.


Fabrizio Falconi


03/01/13

Eta Beta - Spiritualità e Tecnologia, una trasmissione di Massimo Cerofolini. Il Podcast.



Vorrei segnalarvi questa puntata del programma Eta Beta, andata in onda su Radio Uno il 22 dicembre scorso,  e scaricabile su podcast (qui)

Nella trasmissione ideata e condotta da Massimo Cerofolini, si è affrontato il tema della spiritualità alla luce delle nuove frontiere e dei nuovi mezzi tecnologici. 

Ci sono interventi di ospiti come Antonio Spadaro, direttore della rivista Civiltà cattolica e autore di libri come Cyberteologia o Web2.0, Andrea Tornielli, responsabile del blog Sacri Palazzi; Paolo Curtaz, pioniere delle omelie su Youtube (www.paolocurtaz.it); Marco Guzzi, filosofo membro dell'Accademia pontificia, fondatore dei gruppi Darsi Pace, primo esperimento cattolico che fa corsi telematici di spiritualità; MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, responsabile di Messa e preghiera quotidiana, commenti alla Parola del giorno su Ipad; don Paolo Padrini, intentore della app "i-breviary", il breviario sul cellulare.

Buon ascolto.


02/01/13

L'uomo senza sentieri - Jiddu Krishnamurti (per iniziare il 2013).




Per rigenerarci dopo i bagordi del Capodanno, vi propongo una piccola condivisione su uno dei più grandi mistici del Novecento.

La vita di Jiddu Krishnamurti è una vita piena di misteri.  

Oggi si assiste a un grande fiorire di interesse per la figura di questo pensatore, nato in estrema povertà nell'India Meridionale il 12 maggio 1895 (dunque nel segno del Toro), alle 12,30 del mattino, e morto nel sonno il 17 febbraio del 1986.

Chi era Krishnamurti ?

A questa semplice domanda è difficile rispondere. 

Un bambino indiano che a 10 anni viene intercettato da una associazione di ricconi inglesi illuminati, guidati dalla mistica russa Madame Helena Petrovna Blavatsky e da Henry Steel Olcott, suo amico del cuore.

Questa congrega ha preso il nome di  Società Teosofica  e in quel periodo (1909) è guidata da Annie Besant e Charles Webster Leadbeater, entrambi sensitivi. E' quest'ultimo che si accorge della speciale aura che risplende intorno al piccolo K., e si convince che il piccolo non è altro che la reincarnazione del Buddha Maitreya (una delle manifestazioni del Buddha), di cui è stato annunciato l'evento.

Il piccolo viene trapiantato in Europa, prima in Normandia, poi a Londra. Al ragazzo - venerato come un Dio - vengono assicurati i migliori studi, le migliori frequentazioni.   Del resto egli manifesta, anche nella persona, una eleganza e uno stile senza eguali.

Lo accompagna, nella sua nuova esperienza europea, il fratello Nitya, più piccolo, al quale egli è legato fortissimamente e che muore in circostanze tragiche.

Nel 1929 in occasione di un raduno della Stella d'Oriente, chiesa della quale il ragazzo è stato messo a capo, tenutosi in Olanda, al quale presenziano più di 3000 fedeli, Krishnamurti, a sorpresa, con un discorso memorabile e imprevedibile, scioglie l'Ordine dopo aver declamato che La verità è una terra senza sentieri e che non la si potrà mai ottenere attraverso nessuna organizzazione, chiesa, maestro o guru. 

In seguito chiude ogni suo rapporto con la Società Teosofica e, restituisce tutte le donazioni ricevute dagli adepti (ingenti somme di denaro,ville e terreni).

Ciò nonostante, non gli è difficile trovare il denaro (finanziamenti di benefattori e vendite dei suoi libri) per iniziare la sua nuova attività divulgatrice: ha infatti ormai maturato la Verità ed è pronto per diffonderla: il mio unico scopo è rendere l'uomo assolutamente, incondizionatamente libero.

Per i successivi cinquantasette anni della sua lunga vita Krishnamurti viaggia in lungo e in largo per il mondo al fine di trasmettere il suo insegnamento liberatorio, rifiutando sempre la venerazione personale. 

Oggi esistono scuole e fondazioni sparse in tutto il pianeta che analizzano e studiano i suoi libri, il suo pensiero, anche in Italia.

Un pensiero che solo apparentemente è difficile, arduo. Ma che invece, se approfondito, spalanca incredibili vie di autoconoscenza e sviluppo personale.

Tutta la vasta opera di Krishnamurti è tradotta e stampata in Italia da Ubaldini Editore, che consiglio rispetto alle molte edizioni commerciali, disponibili e spesso molto mal tradotte.

Sulla vita di Krishamurti, incredibilmente affascinante, e piena di enigmi, il testo fondamentale è:

Così scriveva Krishnamurti nel 1959: 

Noi ci riempiamo il cuore con le cose della mente e di conseguenza teniamo il cuore sempre vuoto e in attesa...        E' la mente che si attacca, che è invidiosa, che s'impossessa e che distrugge...  Noi non ci limitiamo ad amare, ma smaniamo per essere amati;   diamo per ricevere, che è la generosità della mente, non del cuore.      La mente è sempre alla ricerca  di certezze e sicurezza;   e può l'amore essere certificato  dalla mente ?   Può la mente, la cui intima essenza è il tempo, catturare l'amore, che di per sè è  eternità ?

Fabrizio Falconi.    

30/12/12

Le tre risposte meravigliose - Tolstoj.




Tolstoj scrisse un racconto bellissimo, che forse pochi conoscono e che è il mio modo per augurarvi un buon anno nuovo, il 2013.

In questo racconto c'è un imperatore che un giorno pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualsiasi problema:

Qual'è il momento migliore per intraprendere qualcosa ?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare ?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte ?

L'imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando una lauta ricompensa per chi avesse saputo rispondere alle tre domande.

Ma le risposte che i centinaia di avventori gli diedero, non lo convinsero in nessun modo.

Per la prima domanda risposero nei modi più vari. La cosa migliore era secondo alcuni la costituzione di un Consiglio di esperti, per altri era rivolgersi a maghi e indovini.

Per la seconda domanda, gli consigliarono di riporre la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero o ai monaci.

Per la terza domanda, qualcuno disse che l'attività più importante era la scienza, altri dissero l'arte militare, o la religione.

Insoddisfatto, l'imperatore decise di rivolgersi a un eremita, un sant'uomo che si riteneva molto saggio,  che la mattina dopo decise di andare a trovare, scalando la montagna sulla quale si era ritirato a vivere.

Ma giunto al cospetto dell'eremita, questi non rispose a nessuna delle sue domande. Era intento a vangare il suo orto.  "Devi essere stanco, " disse l'imperatore, "lascia che ti aiuti".  L'eremita lo ringraziò , gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare.

L'imperatore vangò per due ore, poi mise giù l'attrezzo, e disse all'eremita: "Sono venuto per rivolgerti tre domande. Ma se non sai darmi la risposta, ti prego di dirmelo, così me ne torno a casa mia."  

Ma l'eremita alzò la testa e disse: " Non senti qualcuno che corre verso di noi ?" L'imperatore si voltò di scatto e vide un uomo insanguinato che correva verso di loro, e che si accasciò a terra, a pochi metri.

28/12/12

Affidarsi - The Blind Girl, John Everett Millais.





Amo da sempre questo quadro. 

Lo ha dipinto John Everett Millais nel 1854, e si intitola The blind girl, La ragazza cieca.    

E' un'opera misteriosa, che interroga l'osservatore. 

Al centro, una ragazza cieca. I suoi occhi sono dolcemente chiusi. Su di lei è adagiata una giovane fanciulla (una sorella ?) 

Sono seduti entrambe in un campo di grano, d'estate. Intorno a loro la natura è meravigliosa. E sullo sfondo si staglia nel cielo un doppio arcobaleno.

La ragazza cieca non può vedere. Ha deposto l'organetto, e si è disposta - come pensiamo anche dal dettaglio della mano che sfiora l'erba - ad ascoltare quel che non può vedere, e che forse la fanciulla racconta, vede per lei.

In questo quadro c'è molto della nostra vita. E molto, sul senso del visibile e dell'invisibile.   

La ragazza cieca è costretta (per vedere) ad affidarsi a qualcuno.

Come diciamo spesso: affidarsi ciecamente.

Stringersi nel suo abbraccio, fidarsi, fidandosi anche di ciò che non vede. 

E' una cosa difficile, sempre più difficile. Prendiamolo come un augurio per un nuovo anno che viene. 

Fabrizio Falconi

27/12/12

Don Corsi, il prete di Lerici, il "femminicidio" e gli omosessuali.




Credo che la vicenda dell'incontinente parroco Don Corsi e del volantino affisso sulla sua chiesa a Lerici che ha scatenato un pandemonio, sia una delle più tristi degli ultimi anni. 

Ancor più grave del volantino è stata secondo me l'orrenda telefonata carpita da un giornalista, con l'incredibile domanda stizzita di Don Corsi, rivolta al suo intervistatore: "ma perché, anche lei è frocio ?" 

Questo argomento, come si può constatare semplicemente leggendo i commenti in rete sui vari siti o socials,  dimostra che ciascuno in vicende come queste è indotto a tirare fuori il peggio di sé. 

Siamo un paese veramente tristissimo, ancora alle prese con un maschilismo e un bigottismo vecchissimo (forse da questo punto di vista siamo davvero il paese più arretrato tra quelli occidentali) nel quale c'entrano anche certi comportamenti sciagurati e folli come questo di Don Corsi, delle sue affermazioni e dei media che, sguazzandoci, hanno fatto il resto. 

Dire che una donna rischia di essere violentata o uccisa se si scopre, è roba da paese del terzo mondo fondamentalista - e fra l'altro il termine femminicidio è un orrore nell'orrore - ed è una offesa per le donne e per gli uomini (sani). 

Dire e concludere poi che un uomo che non si sente infoiato da un manifesto provocatorio è "un frocio", vuol dire offendere tutti gli uomini (sani, non le bestie che si infoiano anche per un numero pecoreccio di alvaro vitali), vuol dire offendere nuovamente le donne e vuol dire offendere molto pesantemente anche gli omosessuali. 

Il fatto poi che queste tre offese arrivino da un prete, da un sacerdote che dovrebbe amministrare e propalare misericordia umana - e non anatemi - è ancora più tragicamente triste.

Fabrizio Falconi 

25/12/12

Buon Natale .




Appena qualche giorno fa è trascorsa la notte più lunga dell'anno.

Il solstizio d'inverno ha rappresentato per millenni, per l'uomo, qualcosa di oscuro e di temibile: il sole, durante l'autunno cominciava a brillare sempre meno, e poi sempre meno, e le giornate sempre più corte, finché il sole a dicembre, non riusciva nemmeno ad alzarsi, e andava a morire nel primo pomeriggio.

Il solstizio d'inverno è il punto di non ritorno: il momento in cui il sole - e la vita - sembrano abbandonare la Terra. Ma, invece, da quel buio, da quell'oscurità, ecco: il sole rinasce, ricomincia a crescere. Le giornate, una dopo l'altra, tornano ad allungarsi, la luce ritorna.

Tutte le civiltà del passato avevano una grande festa - piena di implicazioni simboliche - legate al solstizio d'inverno. I romani, come è noto, la celebravano con il rito del  Sol Invictus.

E non è un caso che anche la festa del Natale Cristiano sia stata posizionata nel calendario, in questo periodo: simbolo di rinascita, di rinnovamento, di speranza, e di luce.

Nel Natale cristiano non si celebra soltanto la nascita di un simbolo (tanto per tornare a ieri), ma la nascita di un corpo.  

Il Cristianesimo è l'unica religione che si identifica  totalmente con una persona: la persona di Gesù di Nazareth.

Dal Monastero di Bose, la Comunità fondata, vicino a Biella, da Enzo Bianchi, arrivano i preziosi libri delle edizioni Qiqajon.

Da Brucia, invisibile fiamma, antologia poetica pubblicata nel 1998, ecco Nascita di Cristo  di Rainer Maria Rilke.

Non avessi tu il candore, come potrebbe
accadere a te ciò che rischiara ora la notte ?
Guarda il Dio dell'ira sopra i popoli
si fa mite, e viene in te nel mondo.
Vedi, questi re sono grandi,
ed innanzi al tuo grembo a te trascinano
tesori, quelli che ritengono i più grandi,
e tu stupisci forse a questi doni:
ma guarda, tra le falde del tuo panno,
come ora lui su tutto passa oltre.
Tutta l'ambra che lontano in mare, si trasporta,
ogni gioia d'oro e quell'aereo aroma che bruciando
si disperde nei sensi e si consuma:
di fulminea brevità fu tutto questo,
e alla fine fu solo rimpianto.
Ma (lo vedrai): Egli dà gioia.



Buon Natale


Fabrizio Falconi

23/12/12

Andrej Tarkovskij - "Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj".



Difendere tutto ciò che è spirituale. 

E’ il compito che Andrej Tarkovskij si era dato e che cercò di fare strenuamente, finché fu in grado, con i suoi film. 

Il più misterioso dei quali, forse resta proprio Lo Specchio (titolo originale Zerkalo), girato nel 1975, e infarcito di immagini simboliche e di citazioni di versi del padre del regista, il poeta Arsenij.

Nei Diari del periodo, Tarkovskij, riferisce anche delle critiche e degli insulti ricevuti (come gli capitava spesso per ogni nuovo film) e commenta: 

Lo specchio è un film antiborghese e perciò non può non avere una gran quantità di nemici. Lo specchio è un film religioso. Naturalmente quindi, incomprensibile per la massa, abituata al cinema da quattro soldi e incapace di leggere libri, di ascoltare musica, di osservare un dipinto. Alle masse in genere serve qualcosa di divertente, di distensivo, di spettacolare, sullo sfondo di una “storiella” edificante… il mio compito è di occuparmi di quello che Dio mi ha dato senza badare alla invettive di chicchessia. Non è che io pensi di me cose molto esaltanti, è solo che ognuno deve portare la sua croce. E sarà il tempo a dire se è stata una meritata beffa, o se avevo ragione io. Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj.


(In testa: video elaborazione di alcune immagini del film Lo Specchio). 

22/12/12

Martin Buber: Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.




Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Martin Buber, Il cammino dell'uomo.


19/12/12

Dieci luoghi dell'Anima, dal Negev a Taizé - Una intervista a Fabrizio Falconi di Eleonora Bianchini




L'unica funzione della nostra coscienza è quella di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall'anima. Fabrizio Falconi raccoglie l'eredità di Andrej Tarkovskij nel suo "Dieci luoghi dell'anima - dieci itinerari dieci storie" (Cantagalli, pagg. 114, euro 13.90) per raccontare con l'armonia delle parole la manifestazione della spiritualità, passando dal Monastero del Monte delle Tentazioni di Jericho fino a Taizè. 

Perchè hai deciso di scrivere questo libro? 
Dopo tanti viaggi volevo fare i conti con alcuni luoghi che si erano sedimentati nella coscienza e anche nell'in-coscienza - nei sogni per esempio. Ci sono posti al mondo che non ci lasciano indifferenti e che continuano a parlarci anche a distanza di molto tempo. 

La fede è una conditio sine qua non per apprezzare la bellezza dei luoghi che descrivi? 
No. Chiunque capiti su queste strade, a prescindere dal suo percorso personale e dalla fede può goderne l'incanto e la bellezza. 

Eppure i tuoi Luoghi dell'anima sono sempre legati a un sentimento di religiosità cristiana. 
Hanno storie vecchie di anni, secoli e millenni, che solo in parte si intersecano con la storia cristiana. Però, i dieci che ho scelto possiedono anche un forte legame con eventi legati alla tradizione e alla fede cristiana. Ed è ovvio che da questo punto di vista se si leggono, se si vivono in una prospettiva di fede, hanno ancora più cose da raccontarci. 

In che modo chi non ha fede può gustare la dimensione spirituale dei luoghi che descrivi? 
Con il rispetto della loro storia e delle voci dei morti che li abitano. E in ciascuno di noi convivono parti diverse: in ogni credente esiste un potenziale non credente, messo a tacere dal conforto della fede. In ogni ateo può esistere una disponibilità - se non altro teorica - all'ascolto di quello che la fede ha da dire.

Qual è il luogo a cui sei più legato?
Difficile scegliere. In questi ultimi anni ho sentito una forte attrazione verso l'Arco di Malborghetto, alle porte di Roma, quasi totalmente sconosciuto ai romani. Ha una storia meravigliosa, lunga diciassette secoli, e probabilmente è il luogo dove Costantino Imperatore ebbe quella celebre visione che cambiò l'intera storia dell'Occidente. Poi è un luogo bellissimo, immerso in una campagna lussureggiante, in un silenzio straordinario.

Ti identifichi in "un uomo cresciuto dentro una tradizione occidentale e cristiana lunga due millenni". Credi che esistano luoghi spirituali che possano accomunare tutti i popoli oltre le religioni? Quali?
Penso ce ne siano in tutto il mondo, a prescindere dal credo. Alcuni di questi luoghi che cito, come la statua del Redentor di Rio de Janeiro, o il deserto del Negev in Israele, accomunano uomini e donne aldilà della provenienza e della fede. E penso valga anche per Stonehenge, Machu Picchu o il Taj Mahal, luoghi simbolo del cammino spirituale dell'uomo per cercare di decifrare il mistero della nostra presenza sulla terra.

In Occidente i monasteri e le comunità sono luoghi di beatitudine spirituale e centri di interesse anche per i non credenti, come abbiamo visto al cinema con il successo de Il grande silenzio o con i numerosi pellegrini nella Comunità di Bose di Enzo Bianchi. Perchè anche chi non crede è spinto verso questi luoghi?
Oggi chi non crede si sente terribilmente inquieto. Sono cadute le vecchie certezze. Ci sentiamo un po' come i naufraghi di Lost, sperduti su un'isola sconosciuta e minacciosa, senza i nostri padri che ci possano aiutare, confortare, salvare.
In questa situazione, dove si decidono i destini di un nuovo cominciamento, o di una definitiva auto-distruzione (pensiamo alla situazione del pianeta) è naturale che si senta il bisogno di voltarsi indietro, di fare silenzio, di capire qualcosa della nostra storia, di chi siamo, del perché siamo arrivati a questo punto, del come siamo arrivati fino a qui.
In questo senso, alcuni di questi luoghi, come Bose o Taizè, permettono di fare silenzio e di ascoltare la voce più autentica che parla dentro di noi.

L'ultimo luogo è appunto Taizè, la comunità fondata da frère Roger, che esprime una Chiesa aperta e protesa all'ascolto del prossimo, ben oltre le differenze delle singole confessioni.
A Taizè sono arrivato con mille piccole diffidenze e con molta ritrosia. Eppure, quel luogo mi ha subito parlato. Ha parlato alla mia anima. Lì non c'è costrizione o condizionamento, si respira una fede libera e sincera, senza artifici o sovrastrutture. E questa, io credo, è l'unica fede che può parlare all'uomo di oggi.

Eleonora Bianchini -  tratto da La poesia e lo Spirito.

17/12/12

Meister Eckhart - Un mistico nel silenzio di Dio - di Giorgio Montefoschi.




Eckhart, un mistico nel vuoto di Dio
Per il «Meister» della Turingia il silenzio conduce alla Verità

Meister Eckhart - scrive Marco Vannini, il suo massimo studioso, nell'introduzione al «Commento alla Sapienza» contenuto nel volume in cui sono raccolti i Commenti all'antico Testamento (Bompiani, pp. 1548, € 35) - non ha mai pensato alla mistica, né tanto meno di essere un mistico, laddove per misticismo si intende un'esperienza intuitiva, segreta, del divino. Il padre domenicano nato attorno al 1260 in Turingia, priore nel convento di Erfurt, professore di teologia a Parigi, processato per eresia nel 1326, morto presumibilmente nel 1328, pensava che l'unico cammino possibile dell'uomo verso la verità che è Dio fosse il cammino della ragione. La ragione: l'intelletto è l'universale che è nell'uomo; il Logos generato da Dio che è nel mondo e all'interno di ogni uomo: di un pagano come di un cristiano, di un musulmano come di un ebreo.

Per poterlo conoscere, l'uomo giusto deve distaccarsi dal determinato, da quello che vede con i suoi occhi, pensa con il suo pensiero, ama con la sua volontà e insegue con il suo desiderio. Deve distaccarsi dal tempo e dal proprio io e pervenire a quel «fondo dell'anima» dove è assoluto silenzio e nulla, ma dove finalmente zampilla ciò che abbiamo di più profondo. «A stento valutiamo le cose terrestri, a fatica scopriamo quelle davanti agli occhi? Ma chi può rintracciare le cose del cielo?», recita la Sapienza in uno dei suoi versetti più sublimi. Le «cose del cielo», risponde Eckhart, ci appaiono quando un silenzio le avvolge; quando l'anima riposa dal tumulto delle passioni e dalle occupazioni mondane, tutte le cose per essa tacciono ed essa tace per tutte. «Lì», dice Agostino, il più citato da Eckhart, «è il luogo della quiete che non conosce turbamento», ed è lì che l'uomo deve porre la sua dimora. Dice Giobbe: «In visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul giaciglio, allora apre i loro occhi e li ammaestra». Se vuole le «cose del cielo», e sentire la piena unione con Dio che vive nel nostro cuore, l'uomo deve annullarsi al di là di ogni possibile concezione umana dell'annullamento. Non si tratta soltanto di non invocare Dio con immagini terrene e del tempo; anche la sola invocazione muta, il solo desiderio di essere in comunione con Dio ci fa piombare nella determinazione e nelle cose finite. Dio, invece, è indeterminabile, non numerabile, Uno. Epperò è nel nostro cuore: è in noi. Quindi, come Lui genera e crea la Parola che prende forma nel mondo, anche noi generiamo e creiamo, continuamente - una idea immensa - purché ogni sapere umano sia rimosso. È un punto fondamentale. 

Se si domanda perché Dio abbia creato tutto, cioè l'universo - dice Eckhart - bisogna rispondere: «Perché fosse». Dio fece tutte le cose perché fossero, cioè perché avessero l'essere all'esterno, nella realtà naturale, sebbene fossero in lui (come le idee di Platone) dall'eternità. Dunque, il fine è l'essere. E la generazione - ne consegue - è amore. Quindi noi proseguiamo l'amore.

16/12/12

Rainer Maria Rilke - Lettera di Natale alla madre.






Castello di Berg am Irchel Cantone di Zurigo, Svizzera 17 dicembre 1920 


Mia cara Mamma, 

ancora una volta, alla nostra ora benedetta, la più amorevole memoria dei Natali passati e il desiderio che ogni anno, dopo tempi tanto malvagi, Ti possano essere concesse feste più quiete e pacifiche e, finalmente, anche in una casetta tutta Tua! 

Detto questo detto tutto; e ora non c'è tanto da leggere quanto entrare in se stessi, e preparare per la celebrazione più santa dell'anno un presepio nel nostro cuore, affinché esso e il Salvatore in lui possano davvero tornare al mondo col giusto fervore! 

Quel che Ti auguro, cara mamma, è che in questa santa sera la memoria di tutta l'emergenza e, anzi, la consapevolezza dei problemi incombenti e dell'insicurezza dilagante possano essere del tutto sollevate e in certo qual modo dissolte in quell'intimissima sapienza della grazia per la quale nessun tempo è troppo pregno di fatalità e nessuna angoscia è tanto serrata che essa non sappia al tempo suo -che non è il nostro!- entrare e penetrare con la sua mite vittoria quanto sembrava insuperabile. 

Non c'è nessun momento in un lungo anno in cui possiamo richiamare nel nostro animo la sua sempre possibile manifestazione e onnipresenza così vividamente come in questa notte invernale da secoli indipendente, che con l'incomparabile arrivo di questo bimbo capace di trasformare tutti gli esseri viventi ha raggiunto e superato con un colpo solo la somma di tutte le altre potenze terrene. 

Per quanto la lieve estate, quando l'esistenza sembra considerevolmente più sopportabile e meno faticosa, quando non dobbiamo difenderci da aggressioni così immediate da parte dell'aria e della natura serenamente impegnata... per quanto la più felice delle estati possa viziarci con le sue consolazioni, cosa sono esse di fronte agli incommensurabili tesori di conforto di questa notte dall'apparenza insignificante e anche povera che d'un tratto si apre verso l'interno come un cuore che tutti abbraccia e scalda e che davvero con i battiti del suo cuore, quasi rintocchi di campane, risponde a noi che tendiamo l'orecchio con la più fervida attenzione! 

Tutte le premonizioni dei tempi andati non sono bastate ad annunziare questa notte, tutti gli inni che sono stati cantati in suo onore mai hanno sfiorato il silenzio e la tensione in cui si inginocchiano pastori e Re Magi: e così anche per noi, poiché mai nessuno di noi è stato in grado, mentre passa su di noi questa notte di prodigio, di segnare i confini della propria vita. 

Proprio questo è il mistero dell'uomo inginocchiato, dell'uomo profondamente inginocchiato: che è più grande, secondo la sua natura spirituale, di quello in piedi! Il mistero che si celebra questa notte! L'uomo inginocchiato, che si abbandona del tutto sulle ginocchia, smarrisce tuttavia le proporzioni del suo ambiente, persino alzando gli occhi non saprebbe più dire cosa è grosso e cosa è piccino. Ma per quanto così piegato raggiunga a malapena l'altezza di un bambino, tuttavia egli, quest'uomo inginocchiato, non può certo essere detto piccolo. 

Con lui si sposta la scala ed egli, seguendo nelle sue ginocchia la gravità e la forza che gli sono proprie e prendendo il posto che loro compete, appartiene già a quel mondo in cui l'altezza è profondità e, se già l'altezza rimane incommensurabile al nostro sguardo e alle nostre possibilità, chi potrebbe mai misurare la profondità? Questa però è la notte della profondità spalancata e radiosa: possa, cara mamma, essere a Te consacrata e benedetta. 

Amen. 

Le sei di sera del Natale 1920 René* 


15/12/12

Strage del Connecticut




Strage del Connecticut



Le ossa spezzate
il sangue degli innocenti
la testa rovesciata
nel cumulo insensato degli orrori
l'onta criminale
di chi non arresta la piena

non è solo follia

l'alibi più grande e confortevole


vanno in processione
                                                                       i piccoli nel mondo
morti
senza un vaneggiamento ognuno li segue
chiedendo conto al ciclo infinito
di farli tornare
di consegnare un'altra possibilità
                                                                       non rispondono

hanno troppo da fare
vogliono liberarsi
cavalcare i prati delle colline eterne
rompere gli indugi
prepararci il terreno
farci dimenticare
curare il nulla
che abita i nostri cuori.



Fabrizio Falconi - per la strage di bambini del Connecticut, 14 dicembre 2012

14/12/12

La saggezza di Tancredi.




C'era un vecchio, al paese, che non aveva fatto altro, nella sua vita che riparare e vendere scarpe. 

Si chiamava Tancredi.  E il mio ricordo gli assegna un cappello di paglia per l'estate con larghe tese e di feltro d'inverno che sfoggiava immancabilmente mentre sedeva lunghe ore, quando era ormai vecchio e lavorava poco, fuori dal negozio sul Corso. 

Guardava la gente passare.  Scambiava parole, sorrideva ai bambini, si sgranchiva, tornava a sedersi. Controllava che nel negozio tutto andasse bene. 

E' morto in pace, è morto amato. 

Io amo a mia volta queste persone che sono state e sono capaci di realizzare vite semplici, dedicandosi ad una sola cosa, alla cura di una cosa, che diventa il senso compiuto di una vita. 

E' questo che dovrebbe essere il compito di ogni uomo: fare ciascuno il proprio - senza nuocere agli altri, senza realizzare il male - compiere la propria opera.

Tutti sappiamo che ogni cosa umana, raffrontata all'eterno e alla bizzarria della nostra esperienza terrestre mortale, appare - se appena guardata con obiettività - inutile, insensata o folle. 

Ma la rotondità di una vita spesa per un fine, coltivando il proprio talento - qualunque esso sia -  è quello che spezza anche le ruote dell'eterno, mette insieme nascita e morte, intelligenza e sentimento, prolungamento, inizio e fine, destino e origine. 


Fabrizio Falconi