07/09/09

Psicanalisi e felicità.


Mi è venuto in mente, guardando le puntate della seconda serie di un bellissimo prodotto per la tv dell'americana HBO, "In Treatment". Si tratta di un serial - che nasce da un'idea della tv israeliana - che vede al centro uno psicoanalista, il quale in ogni puntata - della durata di 30 minuti - riceve nel suo studio un diverso paziente, 'in terapia'.

Il povero analista - che deve fra l'altro fare i conti con i disastri della sua vita personale (ha tre figli e un matrimonio entrato in crisi proprio a causa dell'innamoramento per una giovane paziente) - deve affrontare i casi più disparati: nella prima serie erano una ragazza avvenente e provocante, in crisi; un 'eroe di guerra' dell'Iraq; una coppia in crisi matrimoniale; nella seconda una ragazza malata di cancro, una quarantenne in crisi per assenza di maternità, un anziano manager.

Guardando questa serie mi sono reso conto di come - meglio non si potrebbe - la psicoanalisi stessa sia ormai entrata in crisi, nel nostro mondo occidentale. La speranza - pretesa - di curare le ferite e i dolori dell'anima attraverso lo scioglimento dei nodi psicologici, e di raggiungere una pienezza di senso, e di felicità, in gran voga fino a un trentennio fa - si è oggi alquanto ridimensionata.

Intendiamoci: l'analisi è una cosa seria - specie quando gli analisti sono seri e preparati - e moltissime persone sono state letteralmente 'salvate' da una terapia psico-analitica.

Ma i dolori, le ferite, le mancanze, soprattutto le RISPOSTE alla mancanza di senso che sentiamo spesso nelle nostre vite, non possono quasi mai essere risolte solo da un trattamento psico-analitico.

In "in treatment" non a caso, regna l'infelicità diffusa: quella dei pazienti, che ricavano soltanto frustrazione dalle loro speranze di 'guarigione', e soprattutto quella dell'analista, che sperimenta la sua inadeguatezza, inutilità, perlopiù aggravata dalla sofferenza altrui.

Qualcuno mi disse un giorno che la psico-analisi non è altro che una 'confessione' laica, cioè l'equivalente del sacramento della Confessione, naturalmente de-sacralizzata, e divenuta anzi un rito laico, di assoluzione o auto-assoluzione (o se preferite di riconciliazione o auto-riconciliazione).

Non so se questo sia vero o no. Vero è, indubitabilmente, che le scienze psico-analitiche hanno avuto un incredibile ed esponenziale boom concomitante con l'entrata in crisi verticale - in occidente - del sacramento della confessione, ma più in generale della pratica religiosa.

Fatto sta che mi sembra un buon segno quello che anche la scienza e la pratica psico-analitica comincino ad interrogarsi sulla validità del metodo, e sulla efficacia delle cure, nella riconsiderazione del fatto che "curare" i problemi di una persona, della sua vita, delle sue relazioni, del suo carattere, delle sue vicissitudini, non può mai risolversi semplicemente in una operazione di tipo 'meccanico'.

Esiste qualcosa, dentro di noi, che non si può spiegare (e quindi curare) soltanto sulla base di procedimenti psichici. Siamo fatti (anche) di un 'quid' che sfugge ad ogni analisi, ad ogni studio, esame, approfondimento, giustificazione, evidenza. Anzi, spesso è proprio quel 'quid' che ci fa stare così male.

E' il centro del nostro 'Sè', come lo chiamava Carl Gustav Jung. Quella voce che parla anche quando non vogliamo sentirla. La psicoanalisi va benissimo per cercare di stare meglio. Ma la guarigione, la vera guarigione, siamo soltanto noi - raggiungendo quella parte di Sè così profonda (eterna?), che sa così tanto di noi e della nostra storia - che possiamo darcela.


30/08/09

"O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca !"


Credo che una delle grandi prerogative della preghiera è quella di - potenzialmente - essere accessibile anche da parte di chi 'non crede'. O anzi, sarebbe meglio dire, parafrasando Gianni Vattimo, di chi "crede di non credere".

Credere o non credere sono infatti stati di coscienza 'cristallizzati' per così dire, sulla base di un convincimento personale, basato sull'esperienza (volatile) della nostra vita, sui ricordi (volatili) della nostra vita, sulle idee (volatili) della nostra vita.

Ed è per questo che è profondamente vero che - come insegna l'esperienza - dentro un qualsiasi credente esiste un 'non credente' (potenziale o parziale o reale), e dentro ogni 'credente' esiste un 'non credente (potenziale o parziale o reale).

"Credente" e "non credente" sono niente più che formule che ci diamo - anche quando ci ritroviamo sinceramente e profondamente in esse - che ci aiutano ad avere una riconoscibilità esterna ed una riconoscibilità interiore.

Ma proprio perchè nella natura umana non sembrano esistere nè certezze, nè verità assolute, si possono concepire - e possono esistere - 'scenari di confine' molto delicati, nei quali il 'credente' lascia aperta e coltiva gli spazi del dubbio, e non finisce mai di interrogarsi sul senso e sulla verità della sua fede; e nei quali il "non credente" può interrogarsi, e anche 'chiedere' la voce e la risposta di un Dio al quale non crede (o non crede fino in fondo).

Viviamo un tempo estremamente propizio per questo. Le ultime scoperte dell'astrofisica ci indicano che la nostra conoscenza del tutto - microcosmo/uomo/macrocosmo - è estremamente labile, e che gli scenari (da dove veniamo ? esistono altri, infiniti universi oltre il nostro ? Cosa esisteva prima del Big Bang ? Esistono una decina di dimensioni almeno oltre alle nostre umane, come afferma la 'teoria delle stringhe' ? Ecc...) possibili sono molto estesi, ed è molto difficile escludere anche razionalmente una eventualità, piuttosto che un altra.

In questa larghezza di vedute, che toglie il fiato, si può - lo possono anche coloro che si sentono 'non credenti' - dire: " O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca. "

Non è una bestemmia. E' forse, anzi, la più umana delle preghiere.

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25/08/09

La Morte viene sempre prima della Resurrezione.



Mi è capitato, proprio ieri, di partecipare ad una funzione funebre, per una persona amica, che ci aveva lasciato pochi giorni prima. E, come mi capita spesso, ho assistito - come gli altri convenuti - ad una omelia, da parte dell'officiante, un anziano sacerdote, che mi ha messo a disagio.

Mi capita abbastanza spesso, infatti, da praticante cristiano, di assistere a cerimonie funebri, durante le quali il sacerdote, preoccupato evidentemente dall'urgenza di dover consolare i parenti più stretti, gli amici, i conoscenti, ecc.. sfodera una omelia "tutta in positivo", puntando esclusivamente sul mondo dorato - il paradiso - che attende il defunto, le braccia del Signore che lo accoglieranno, la beatitudine che finalmente troverà dopo tante angosce terrene; e, quel che è più fastidioso - almeno per la mia sensibilità - accompagnando questo racconto, tutto volto al futuro della resurrezione, con sorrisetti compiaciuti.

Credo che - scontate le buone intenzioni che muovono di volta in volta questi sacerdoti - vi sia però, di fondo, una mancanza di sensibilità, e anche di opportunità.

Chi celebra dovrebbe ricordarsi sempre, soprattutto in momenti come questi, che il Cristianesimo è proprio quella religione che - molto e più delle altre - racconta, ben prima della gloria della Resurrezione, la Morte. E non la morte qualsiasi, ma una morte orribile, una delle più orribili e infamanti, quella per mezzo di Croce, destinata a Colui che si è proclamato Figlio di Dio.

Il Cristianesimo, fra l'altro, racconta questa Morte, nei Vangeli, senza risparmiare nulla del dolore, dello strazio, della disperazione di coloro che sono intorno a questa Morte, e che questa Morte vivono - prima di sapere qualcosa su quel che verrà dopo - come una perdita definitiva e terribile. Il pianto di Maria ai piedi della Croce (ricordate la scena del Gesù di Zeffirelli ?) è un urlo contro l'ingiustizia terrena, l'ingiustizia del mondo, un urlo che esprime il dolore dell'intero universo.

Quando si celebra la funzione funebre, dunque, si dovrebbe secondo me ricordare sempre, anche e soprattutto in ottica cristiana, che prima viene sempre il dolore.

Chi ha appena perduto una madre, o un padre, o un figlio, seppure armato di una fede ferrea nella resurrezione, non sa che farsene in quel momento dei sorrisetti compiaciuti, e dei voli pindarici per descrivere le meraviglie della vita ultraterrena: in quel momento, l'unica urgenza è quel vuoto che resta. Quell'affetto che non c'è più, quello strappo che brucia, quel dolore che niente e nessuno può lenire.

Ci vorrà il tempo, ci vorranno le preghiere silenziose, ci vorranno le notti insonni, ci vorrà la vicinanza di chi saprà esserci veramente. Di chi aiuterà a portare il dolore. Ci vorrà la fede, che lentamente verrà a rischiarare il fondo del tunnel.

Ma, di fronte alla lacerazione della Morte non servono sorrisetti, servirebbe soprattutto il silenzio, il rispetto, l'esempio di quelle poche e forti parole, che risuonano, dalle notte dei tempi, per darci una ultima e buona speranza.


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21/08/09

Il tempo della Vacanza.


L'etimologia della parola 'vacanza' ci riporta al latino vacans, participio passato di vacare, cioè esser sgombro, vacuo, libero, senza occupazioni.

Siccome la vita umana è colma, solitamente, di occupazioni (che noi stesso, spesso, sempre più spesso accumuliamo in una specie di foga forsennata), la vacanza è un tempo quindi eccezionale, di sospensione. Una specie di vuoto.

Ma 'vacanza' e 'vacare' ha la stessa radice etimologica, molto prossima di 'vagare', che deriva a sua volta dal latino vagus, che vuol dire errante, ramingo.

E in vacanza, spesso si fa questo: errare, andare ramenghi.

Che cosa ci dice, in questo nostro tempo, questo 'vagare', questo 'vacare' ??

Questa vacanza, è oggi intesa soprattutto come svago e come di-vertimento. O come rilassamento, riposo. Ma la vacanza, la nostra vacanza, ha, avrebbe anche un senso molto più profondo. Che io mi auguro sia sfruttato da molti in questi giorni ancora torridi di agosto.

La città è svuotata, i rumori sono spariti quasi del tutto, i ritmi sono lenti, rilassati. C'è spazio, oltre che per il riposo e il divertimento, per avvicinarci, sensibilmente a quel nostro 'centro', che molto spesso dimentichiamo, nell'affannosa vita di tutti i giorni. Il centro del centro del nostro essere, che molto spesso mettiamo da parte, ignoriamo, teniamo al guinzaglio.

Ascoltiamolo.

Ascoltiamo questo centro, ascoltiamo cosa ci dice. Ripensiamo all'episodio evangelico di Marta e Maria. Ripensiamo alle parole di Gesù: Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via.

La 'vacanza' di Maria è la vacanza operosa. E' la vacanza non solo contemplativa di chi decide di fare silenzio, di fermarsi. E di ascoltare quello che nel centro del proprio essere sta parlando. E parla ogni giorno, se soltanto siamo capaci di ascoltarlo.

27/07/09

La difficoltà della Fede.


Davvero è una bella iniziativa quella del Corriere della Sera di concedere una pagina del giornale, ogni ultima domenica del mese, al Cardinale Carlo Maria Martini.


Spero che i lettori divengano sempre più numerosi, perchè davvero è difficile trovare in giro pensieri così lucidi, come quelli che espone, pacatamente e fermamente, nelle sue risposte, il card. Martini, che - del resto - è davvero una 'grande anima' (come dicono gli orientali), e speriamo che ci sia conservata ancora a lungo.

Della pagina di ieri mi ha molto colpito una frase che Martini utilizza per rispondere alle molte lettere che gli giungono sul tema della fede perduta - come si fa a ritrovarla, come si fa rinforzarla, come si fa a credere, sostanzialmente.

Martini, nel suo stile sobrio ed essenziale, dà alcuni pratici consigli, seguiti a illuminanti e brevi considerazioni. Alla fine, però scrive: " ho sperimentato in me stesso che le difficoltà contro la fede crescono a misura che si rimpicciolisce il quadro di riferimento. "

Ci ho riflettuto a lungo, e mi sono detto, alla fine: " come è vero. " E' proprio vero che l'agonia della fede, di questi tempi, della fede cristiana, ma anche delle altre fedi, è dovuta, principalmente proprio a questa 'ristrettezza di orizzonti.'

Ci ho pensato, ancor di più sulla scorta delle celebrazioni per il quarantennale dell'Uomo sulla Luna, in corso in tutto il mondo. Sono passati appena 40 anni, eppure quelli che hanno vissuto quell'epoca, ricordano che le prospettive umane, in quel periodo, si erano davvero ampliate: a l'uomo, forse anche sulla base di queste incredibili missioni spaziali, veniva naturale pensare, riflettere all'immensità del cosmo, all'immane mistero che circonda il nostro piccolissimo pianeta, della vita che su questo pianeta si è sviluppato, sul futuro insondabile che ci aspetta. Sembra passata un'eternità da allora.

In questi ultimi decenni sembra ci sia stato un ripiegamento sempre più feroce verso il minimo, il basso, a volte l'infimo. Archiviata la parentesi delle grandi conquiste spaziali, si è ri-cominciato a pensare in piccolo, sempre più piccolo. E sembra che a qualcuno che sta in alto questo faccia molto molto comodo.

Eppure soltanto se si sfoglia un libro di fisica divulgativa, oggi - ce ne sono tanti e di ottimi in commercio - si scopre che la nostra conoscenza di quel mistero prosegue, e ci svela panorami sempre più stupefacenti: il multiverso, la singolarità che ha generato il nostro universo, i buchi neri, l'antimateria, gli universi paralleli, i mattoni della materia, i quark, i bosoni, i barioni, la fisica delle particelle, la meccanica quantistica, la teoria delle stringhe: stiamo scoprendo una complessità in-immaginabile fino a qualche decennio fa.

Stiamo scoprendo un 'oltre', un 'tutto' che è ben oltre qualsiasi nostro canone pensabile.

Eppure... guardando le notizie sui giornali, guardando la tv - specie in questo paese - sembra che la realtà finisca alle miserabili beghe politiche, agli affanni della soubrette in vista per ottenere una copertina in più, al tornaconto dei pil e degli scudi fiscali.

Ma possibile ?

Un uomo ripiegato solo sui suoi bisogni, sul suo metro quadrato di pseudo-vita (spesso poi frenetica e in-sensata), come potrà mai e dove potrà mai trovare un posto NON per Dio, ma per la domanda che precede il trovare Dio ?
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25/07/09

Ultime dalla Sindone - la clamorosa scoperta di Thierry Castex.


Vi riporto, per chi lo avesse perso, l'interessantissimo articolo a firma Mario Baudino, pubblicato su La Stampa di Torino lo scorso 21 luglio, con le ultime novità riguardanti il Sacro Lino. Buona lettura.


"LA SINDONE E' VERA, VI SPIEGO PERCHE' "

Una studiosa tra i segreti degli Archivi Vaticani: "E' del primo secolo, esporrò le prove in un nuovo libro."



Sulla Sindone c’è una scritta in caratteri ebraici che rinvia all’aramaico, la lingua dei primissimi cristiani. L’ha scoperta uno scienziato francese, Thierry Castex, e ne dà notizia per la prima volta una studiosa italiana, Barbara Frale, nel suo saggio da poco uscito per il Mulino col titolo I templari e la Sindone di Cristo. E’ invisibile a occhio nudo, ma è stata evidenziata grazie a procedimenti fotografici; una presenza del genere sul lenzuolo conservato a Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Gesù, non è certo un episodio che possa restare confinato nel mondo degli studiosi.

La storica italiana, ufficiale dell’Archivio segreto Vaticano, ha ricevuto la documentazione per un consulto, e d’accordo con lo scopritore l’ha resa pubblica nel libro sui Templari, che è il prologo a un nuovo lavoro, tutto sul «Sacro lino», di imminente pubblicazione. I due argomenti sono collegati. Barbara Frale è nota per aver trovato fra le carte vaticane nuovi documenti sull’atteggiamento del papa Clemente V nei confronti dei monaci-guerrieri accusati di eresia, quando all’inizio del Trecento il re di Francia Filippo il Bello scatenò contro di essi una repressione feroce. Ha smontato le leggende esoteriche e dimostrato la riluttanza del Papato rispetto alla persecuzione, che per ragioni politiche non poté essere comunque impedita.

Nel libro appena uscito segue il filo che lega la Sindone all’austero esercito nato dopo la prima crociata per proteggere i pellegrini in Terrasanta, diventato una grande potenza «multinazionale» e finito sui roghi. Arriva a conclusioni appassionanti, perché conferma l’intuizione di uno studioso inglese secondo cui dopo il saccheggio di Costantinopoli ad opere di veneziani e francesi (nel corso della quarta crociata), il lenzuolo passò effettivamente in mano templare: ma per essere conservato e adorato in gran segreto.Le misteriose testimonianze sul culto di un idolo o di un volto demoniaco andrebbero così riferite ai pochi eletti che ebbero modo di vedere la Sindone, ripiegata allo stesso modo in cui la conservava l’imperatore di Bisanzio.

Ma di qui in poi, l’obiettivo cambia. Barbara Frale è sulle tracce più antiche della Sindone. Al centro di questa ricerca si staglia l’imprevedibile scritta in aramaico, pochi caratteri che tuttavia possono essere ricondotti a un significato del tipo: «Noi abbiamo trovato». Ma vengono proposti anche nuovi documenti, per esempio sull’arrivo nella capitale dell’Impero d’Oriente della preziosa reliquia. E contro la tesi che venisse adorato in realtà un «fazzoletto» con un ritratto dipinto (il mandylion), la studiosa esibisce un testo scoperto nel ’97 sempre alla Biblioteca Vaticana (dallo storico Gino Zaninotto). E’ un’omelia del X secolo in cui viene descritta la reliquia, che l’imperatore Romano I aveva mandato a prelevare nella città di Edessa.

L’autore è Gregorio il Referendario, arcidiacono della Basilica di Santa Sofia, incaricato della delicatissima operazione nell’anno 943. Non parla di un fazzoletto dipinto, ma di una grande immagine: pare proprio di leggere la descrizione della Sindone di Torino, che pure anni fa venne sottoposta all’esame del carbonio 14, usato per datare i reperti antichi, e dichiarata un manufatto medioevale. Come spiega la Frale questa contraddizione? «L’esperimento aveva, date le tecnologie a disposizione in passato, ampi margini di ambiguità. E poi non è stato condotto in modo verificabile», sostiene la studiosa. Ormai, aggiunge, non fa più testo. «I documenti mi portano molto più all’indietro nel tempo. Anche nel quarto secolo ci sono testi che parlano della Sindone». Ma torniamo alle scritte, che in realtà sono più d’una: in greco, e anche in latino, scoperte a partire dal 1978. Lei spiega che non sembrano vergate sul lino, ma impresse per contatto, forse casuale, con cartigli e reliquiari.

Che cosa dimostrano? «Quella in caratteri ebraici poteva essere un motivo importante per spiegare la segretezza di cui i templari circondarono la Sindone, in anni di fortissimo antisemitismo». Però c’è dell’altro: «Sì, c’è il fatto che dopo il 70 non si parlò più aramaico nelle comunità cristiane. E già San Paolo scriveva in greco». A cosa sta pensando, allora? «Ci sono molti indizi, direi un’infinità, che sembrano collegare la Sindone ai primi trent’anni dell’era cristiana. Per ora è una traccia di ricerca». Pensa che il testo si sia impresso prima del 70? «Quel che sappiamo del mondo antico ci costringe a formulare questa ipotesi». E qui la studiosa si ferma, rinviando al nuovo libro, La Sindone di Gesù Nazareno, che uscirà sempre per il Mulino prima di Natale. Ma non si sottrae alle domande. La prima è ovvia: come escludere che si tratti semplicemente di un «falso», nel senso di una reliquia costruita e modificata nel tempo?Magari realizzata proprio sulla scorta dei Vangeli? «Innanzi tutto il mondo antico non ha mai avuto interesse a confermare i Vangeli.

Non conosce il nostro concetto di riscontro o di prova. In secondo luogo le scritte possono essere datate, in base alla loro forma, alla grammatica, al contesto. Gli studiosi che le hanno esaminate le fanno risalire a un periodo fra il primo e il terzo secolo». Si ritiene però che l’archeologia del terzo secolo fosse molto diversa dalla nostra. La madre di Costantino trovò a Gerusalemme tutto ciò che desiderava, dalla croce alla casa di Pietro. «Non è così semplice. Quest’idea rischia di diventare un luogo comune. La questione dell’imperatrice Elena è un capitolo a parte».Ultima osservazione: la Sindone riporta un’immagine tridimensionale. Per ottenerla non posso avvolgere semplicemente un corpo in un lenzuolo, come farei al momento della sepoltura. «No, deve fare molte altre cose, questo è vero. Però ricordiamoci che, data la sua sacralità, è difficile accostare e studiare l’oggetto stesso».

Infatti queste scritte non sono mai state viste da nessuno, in tanti anni, anche quando la Sindone era, come lei spiega, molto meno sbiadita di adesso. «Tenga conto che veniva avvicinata raramente, e con una forma quasi di terrore sacrale. Io comunque non mi sono interrogata sulla sua formazione, perché sarebbe un tentativo di razionalizzare una materia dove lo storico, qualora lo faccia, si espone a troppi rischi, anche di figuracce. Come chi aveva spiegato la trasfigurazione di Cristo ricorrendo ai fenomeni ottici che si verificano sui ghiacciai. Preoccupiamoci piuttosto di studiare seriamente. L’unica cosa certa è che dobbiamo toglierci dalla testa di avere in mano, al proposito, le carte definitive».A TORINOOstensione con il Papa nella primavera 2010 Ci sarà anche Benedetto XVI nel milione di pellegrini attesi a Torino la prossima primavera per venerare la Sindone. «Sarà l’occasione per contemplare quel misterioso volto, che silenziosamente parla al cuore degli uomini, invitandoli a riconoscervi il volto di Dio», spiega il Papa che celebrerà messa sul sagrato del Duomo. Le ultime ostensioni erano state quella del 1978 e quella per il Giubileo del 2000.

18/07/09

Religione, valori etici & mercato.

Davvero fornisce numerosi spunti di riflessione, credo, questo articolo pubblicato da Studi Cattolici, nel numero di maggio scorso. Credo davvero valga la pena di meditare su questa crisi economica Occidentale, in cui sentiamo da più parti fare riferimento sempre invariabilmente a 'non meglio identificati' valori etici. Buona lettura.
Finanza & Islam

L’attuale crisi finanziaria che attanaglia l’Occidente ha un colpevole unanimemente additato: la mancanza di etica. Ma l’etica attiene più al campo della filosofia che dell’economia, e la filosofia ha molto a che vedere con la religione. Morale: se l’idea di bene comune e non l’avidità egoistica avesse guidato gli speculatori, oggi non saremmo a questo punto. Ebbene, le cosiddette banche islamiche, gli affari delle quali sono ispirati non dal “mercato” ma dal Corano, avrebbero qualcosa da insegnare all’Occidente in ginocchio.




A sostenerlo, e con cognizione di causa, sono Loretta Napoleoni e Claudia Segre sul numero del gennaio 2009 di «Vita e Pensiero», la rivista dell’Università Cattolica. La Napoleoni è tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale, la Segre è una banchiera di alto livello. Il titolo del loro articolo è: «L’islam può aiutare la finanza dell’Occidente?». La risposta che danno alla domanda è sì; anzi, la finanza occidentale deve prendere esempio da quella islamica, dalla quale ha tutto da imparare. L’articolo, prima di addentrarsi nell’attualità e nelle prospettive future, premette una breve storia della finanza islamica.




Ne facciamo un piccolo riassunto. Innanzitutto l’islam proibisce la riba, il prestito a interesse, divieto che ha complicato non poco l’economia dei musulmani e, di fatto, ha impedito anche l’idea stessa di «banca». Insomma, l’intero capitalismo, che appunto sul prestito a interesse si basa, è stato reiteratamente colpito da fatwa, e quegli sceicchi che hanno voluto fare affari con l’Occidente hanno dovuto, diciamo così, tenere in due tasche distinte i soldi e il Corano. Ma per gli altri è sempre valsa la sha’ria, per la quale qualunque attività economica non può prescindere dalla zakat (l’elemosina obbligatoria, uno dei cinque pilastri dell’islam) e il prestito istituzionalizzato può, al massimo, riguardare un finanziamento per il pellegrinaggio alla Mecca (altro pilastro). Ma nel 1963 un egiziano che aveva studiato economia in Germania avviò un timido esperimento.




L’uomo si chiamava al-Najjar e, in Germania, era stato affascinato da quell’economia «sociale» dettata dai principi cristiani (a sua volta influenzata dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII e dalle soluzioni originali escogitate dai cattolici, tipo casse rurali e casse di risparmio). Infatti, al-Najjar fondò proprio una Cassa Rurale di Risparmio, la cui attività, però, era supervisionata da un comitato di ‘ulama, che vegliavano affinché tutto fosse halal, cioè in regola con le norme coraniche. Niente investimenti in armi, gioco d’azzardo, alcool, tabacco, pornografia (nel senso, larghissimo, del termine, che riguarda anche gli abiti succinti) e aggiramento dell’«usura» (prestito a interesse) tramite contratti partecipativi e diversificate forme di affitto. Questa banca, pur così sorvegliata, fu sempre guardata con sospetto nel mondo islamico e dopo soli cinque anni Nasser la chiuse.




Ma il successore, Sadat, ne riprese il modello (contabili e ‘ulama a contatto di gomito), nazionalizzandolo. La grande crisi petrolifera del 1973-74, quadruplicando il prezzo del greggio, inondò di denaro i Paesi arabi, i quali furono costretti a dotarsi di istituzioni finanziarie di maggior respiro. Ma sempre halal. Anzi, agli ‘ulama vennero affiancati i fuqahà, gli esperti di diritto islamico. Sorsero come funghi le banche islamiche, tanto che nel 1977 si dovette creare una International Association of Islamic Banks, il cui segretario fino al 1991 fu proprio il pioniere al-Najjar. La catastrofe delle Twin Towers cagionò un rientro precipitoso di petrodollari che, ancora una volta, fece schizzare al cielo le disponibilità finanziarie dei Paesi petroliferi. Nacquero allora le prime emissioni obbligazionarie halal (dette sukuk), rilanciate in terre non islamiche dalla Sassonia (nel 2004), cui seguì la nascita della Islamic Bank of Britain. Ormai l’Occidente aveva fiutato l’affare e l’offerta di «prodotti» commestibili per un miliardo e mezzo di musulmani dilagò.




Oggi la cosiddetta finanza islamica coinvolge sui quattrocento operatori in oltre settanta Paesi, per un giro d’affari di due trilioni di dollari e un tasso di crescita annuo del 15%. Si stima che il vero e proprio boom avverrà nei prossimi cinque anni, arrivando a coprire l’8% dell’intera economia mondiale. Torniamo allora alla domanda iniziale: perché l’Occidente dovrebbe imparare la lezione islamica? In effetti, agli istituti di credito halal è vietata la speculazione, l’insider trading e la creazione artificiale di moneta, i cancri che hanno portato l’Occidente ai problemi attuali. Il denaro halal è un mezzo, non un fine; l’emissione di sukuk è legata a un investimento reale, come una costruzione o una strada, e non può finire, pur con giri contorti, in attività immorali. Poiché è assente nel mondo musulmano la mentalità individualista e tutti si sentono parti della umma, l’egoismo, radice dei mali occidentali, è atavicamente impensabile e il «sistema», strettamente controllato dal punto di vista morale, gode della piena fiducia. Ciò che oggi manca a quello occidentale.




La crisi di fiducia fa sì che nell’Occidente ci sia una liquidità stagnante che abbisogna di essere rimessa in movimento. Fin qui Napoleoni e Segre. Da qui, però, un’amara riflessione: è paradossale che l’Occidente debba imparare dall’islam parte di ciò che esso stesso ha inventato e di cui si è disfatto con l’avere estromesso la sua religione dall’ambito pubblico e sociale. Sono stati i teologi francescani del XII e XIII secolo a sciogliere il nodo teologico dell’«usura» e a permettere la nascita del capitalismo nell’Italia cattolica. Erano cattolici quei banchieri e mercanti medievali che, sviluppandosi nelle libertà politiche dei Comuni, inventarono tutti gli strumenti dell’economia, permettendosi di essere creditori di interi regni. Erano cattolici quegli operatori che mettevano la voce «messer Dio» a bilancio e finanziavano cattedrali e ospedali e scuole. E ciò senza che i preti sedessero nei consigli d’amministrazione a dettare le regole dell’etica. L’idillio finì con la spaccatura protestante e la predestinazione calvinista che vedeva negli economicamente svantaggiati dei reprobi. Un altro tipo di etica economica, spietata, si impose. Oggi, l’Occidente che ha rinnegato le proprie radici religiose deve mendicare «etica» da chi non ha conosciuto né Riforma protestante, né Illuminismo, né secolarizzazione. Chissà, forse c’è davvero la mano di Dio in tutto questo. Forse, davvero, chi rigetta il giogo «leggero e soave» di Cristo finisce fatalmente per accollarsene un altro ben diverso.

Fonte: Studi Cattolici n. 579, maggio 2009.
Su studi cattolici:

17/07/09

Renè Laurentin - "Cristo e Maria non sono che una cosa sola".


Molte volte mi sono interrogato sulla mia resistenza - prima e dopo il riconoscere in me un credente cristiano - a soffermarmi sulla figura di Maria. Sulla essenza di quella che per il Cristianesimo è la Madre di Dio. Donna e Madre di Dio. Così mi è ricapitata tra le mani questa intervista a Renè Laurentin, forse il più grande mariologo vivente, e mi ha molto colpito rileggerla, e ritrovarvi il senso di quello che si avverte, forse anche inconsciamente, che non si è capaci di descrivere, e che Laurentin riesce a rendere con il suo semplice linguaggio, comprensibile da tutti.

Padre René Laurentin rappresenta, senza ombra di dubbio, una delle massime autorità in materia di mariologia, il ramo della teologia che studia la figura della Madonna e il suo ruolo nella storia della salvezza degli uomini e del mondo. Negli ultimi 40 anni, dopo essere stato perito al Concilio Vaticano II, il religioso francese si è occupato delle principali apparizioni mariane della storia. Un vero esperto, insomma, la cui intervista, concessa in esclusiva a ‘Petrus’, non mancherà di far discutere, a partire dal ruolo di co-redentrice della Vergine alle presunte apparizioni di Medjugorje, da cui Padre Laurentin prende sulle nostre colonne improvvisamente le distanze. Ma andiamo per gradi.

Padre Laurentin, nella Apocalisse di Giovanni, Maria prevale sul Dragone. Possiamo dire, dunque, che insieme alla Santissima Trinità, la Madonna è l’avvesaria più temuta da Satana?
“Il capitolo 12 dell’Apocalisse è effettivamente il punto teologico principale che oppone la Vergine e il Drago, ma la stessa Genesi (3,15) dice che la Donna, cioè Maria, insidierà con il proprio calcagno la testa del demonio. Poi che la Madonna sia l’avversaria più temuta da Satana insieme alla Trinità, è tutto confermato dagli esorcisti e dall’esperienza cristiana”.

A proposito, i più grandi esorcisti hanno potuto appurare come gli spiriti infernali vengano assaliti dal terrore quando sentono pronunciare il nome della Vergine e molti di essi sembrano addirittura portarLe rispetto chiamandola 'la Signora': possiamo sostenere che Ella abbia ricevuto una sorta di 'mandato' specifico da parte di Dio contro il male?
“Molto semplicemente, come accennavo prima, la Vergine è il nemico del diavolo. E lo è non per aver ricevuto un mandato specifico, ma già per la sua Immacolata Concezione. Come dire, la Madonna terrorizzava il Maligno prima ancora della sua venuta al mondo”.

Praticamente in tutte le apparizioni mariane, la Vergine esorta alla recita costante, quotidiana, del Santo Rosario, definendo questa pia pratica la arma più potente contro Satana. Da mariologo, Lei ritiene il Santo Rosario più una preghiera mariana o cristologica?
“Cristo e Maria non sono che una cosa sola: nessun dilemma! Non mi piace la parola ‘mariana’, che ha un sapore particolarista e avrebbe fatto ridere la Vergine Maria quando andava alla fontana”.

Maria è stata co-redentrice del mondo con il Figlio Gesù? Nella Chiesa se ne parla da tempo, ma non sembra ancora giunta l'ora della proclamazione di un dogma, malgrado ciò sia stato chiesto a più riprese e con insistenza da molti Vescovi e Cardinali (in particolare) dell’America Latina. Lei che ne pensa?
“Studio da 50 anni il ruolo di Maria nella Redenzione del mondo. È sin dall’inizio ho pensato quanto questa participazione sia stata unica. Tuttavia, il titolo di co-redentrice è ambiguo, spesso mal capito, e per giunta contraddittorio dal punto di vista teologico ed ecumenico. E’ per questo che personalmente sono contro la definizione di Maria co-redentrice e penso che coloro che firmano, senza capire cosa fanno, le petizioni per la definizione di un dogma ad hoc, farebbero meglio ad approfondire con serietà il ruolo di Maria nella Redenzione. Un ruolo importante, importantissimo, ma non pari a quello unico di Gesù”.

Nel 'Salve Regina', definiamo la Madonna 'Avvocata Nostra': che ruolo avrà la Vergine quando ci troveremo davanti al Tribunale di Dio? Il suo giudizio conterà per la salvezza delle nostre anime? Cioè, potrà intercedere presso Gesù per alleggerire il nostro Purgatorio?
“Maria è nostra madre: ama, sostiene e difende i suoi figli. Ciò si chiama intercessione, ma sarebbe sbagliato rappresentare la Madonna in maniera così ingenua, impegnata in un dialogo durante il quale prende la nostra difesa contro Dio o contro il Cristo, come immaginava la cattiva letteratura del XV e del XVII secolo. L’azione di Maria presso Dio è un cuore a cuore nell’identificazione d’amore alla quale è arrivata e ci attira. Dunque, non c’è bisogno che la Madonna ci difenda presso Dio perché Egli non è un giudice cattivo e, come dice lo stesso Gesù nel Vangelo (Giovanni 5,22), ‘il Padre non giudica nessuno". Non dimentichiamo, poi, che la funzione Trinitaria di Dio è ancora più materna che paterna. Leggiamo Giovanni 1,18: il Figlio è nel seno del Padre".

Ricorre il 150° anniversario delle apparizioni di Lourdes, ma ve ne sono altre riconosciute ufficialmente dalla Chiesa (vedi Fatima). Cosa ci vuole comunicare la Vergine?
“Intanto ricordiamo che solo 13 apparizioni di Maria sono state riconosciute ufficialmente, mentre una quattordicesima è stata ammessa in forma pastorale, anche se non canonica, dal vescovo di Saint Nicolas, in Argentina. Ciò premesso, per quel che riguarda i messaggi, sono differenti ma, al tempo stesso, univoci, in quanto rappresentano la semplice eco del Vangelo ed invitano alla preghiera, alla conversione, alla penitenza, al digiuno, alla lettura della Bibbia, con dele modalità diverse a seconda dei tempi e dell’attualità profetica di ogni singolo messaggio ma senza travalicare mai quella che è la Dottrina della Chiesa”.

Lei è un sostenitore delle apparizioni di Medjugorje, invece molti altri illustri mariologi sono scettici. A Suo avviso, la Chiesa quando si pronuncerà su queste manifestazioni? Anche perchè in Vaticano non sembrano convintissimi dell'autenticità delle apparizioni di Medjugorje...
“A Medjugorje, il vescovo è contro le apparizioni e il suo predecessore l’ha scelto proprio per questa ragione. Naturalmente, come è noto a tutti, la Santa Sede, in questi casi, fa sempre sua la posizione del vescovo locale. Tuttavia, il Cardinale Ratzinger aveva rifiutato il giudizio negativo di Monsignor Zanic (nel 1986), il primo vescovo trovatosi ad affrontare la questione delle apparizioni. Io non sono che un esperto e non ho nessun Magistero. E non mi permetto mai di dare un giudizio sulle apparizioni che studio. Esamino solo i fatti, le ragioni a favore e quelle contro. Le discerno, le spiego il più chiaramente possibile, ma non dò alcun giudizio. Se lo avessi fatto, ciò avrebbe aumentato ancora di più le mie difficoltà, che sono già grandi, dal momento che mi occupo piuttosto assiduamente di questo fenomeno controverso”.

Padre Laurentin, la Sua, ci consenta, sembra una marcia indietro: Lei ha scritto anche dei libri sostenendo la tesi dell’autenticità delle apparizioni di Medjugorje…
“Ribadisco il concetto di prima: non ho mai espresso giudizi sull’autenticità o meno delle apparizioni; i miei studi sono soltanto un piccolo contributo alla Chiesa e ai fedeli…”.
Restando a Medjugorje: in particolar modo in quel luogo, ma anche in altre parti del mondo, molti cattolici antepogono Maria a Cristo. Lo stesso fanno numerosi ecclesiastici, nelle cui Chiese fanno prevalere la presenza di immagini della Vergine a quelle del Crocifisso addirittura alle spalle del presbiterio. Non crede che la Madonna stessa non sia contenta di tutto ciò?
“Penso che il problema sia opposto a quello che pone lei: Maria viene più sottovalutata che apprezzata. Proviamo a pensare a tutti quei cattolici che non la apprezzano e riconoscono come Madre”.

Padre Laurentin, in conclusione: chi dev'essere Maria per noi e chi siamo noi per lei?
“Non vorrei ripetermi, ma Maria è nostra Madre e nostra Regina: ‘Più madre che regina’, diceva, per la verità, Santa Teresa di Lisieux. E di conseguenza, noi siamo ‘semplicemente’ i figli della migliore, la più Santa e più meravigliosa delle Madri”.



FONTE: Petrus - http://www.papanews.it/dettaglio_interviste.asp?IdNews=9399



Il Papa è stato operato dopo la caduta - ora sta meglio.


Papa Benedetto XVI è stato dimesso nel pomeriggio dall'ospedale di Aosta, dopo un piccolo intervento chirurgico seguito alla frattura accidentale di un polso nella sua casa di vacanze. Lo riferiscono testimoni.

Il Pontefice era scivolato nella vasca da bagno.

"Il Santo Padre, cadendo accidentalmente nella sua residenza, ha riportato una frattura scomposta del polso destro", ha detto in una nota il professor Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice.

"E' stato pertanto sottoposto ad un intervento di riduzione ed osteosintesi in anestesia locale con applicazione di tutore gessato", ha spiegato Polisca, precisando che le condizioni generali di Papa Ratzinger sono buone e che non è caduto a seguito di un malore.

Il Pontefice 82enne di origine tedesca, è entrato sulle sue gambe nella clinica della città di Aosta, dove si trovava in vacanza in uno chalet di Les Combes, per sottoporsi all'intervento durato 20 minuti, al termine del quale gli è stato applicato un gesso che -- come ha spiegato Polisca -- dovrà tenere per un mese.

Il Papa proseguirà comunque la sua vacanza, ha detto il medico. "L'intervento è finito, è andato bene. Stiamo predisponendo il suo ritorno a Les Combes", ha detto Augusto Rollandin, presidente della regione Valle D'Aosta. Turisti e fedeli in Vaticano hanno espresso preoccupazione per la salute del Pontefice, e il canadese Joey Shreider ha detto a Reuters Television: "Grazie a Dio non è niente di serio".

"Mi dispiace molto sapere che il Santo Padre si è fatto male, pregheremo per una sua rapida guarigione", ha detto l'arcivescovo irlandese Dermot Clifford, in visita alla Santa Sede.

fonte Reuters -


Altre notizie qui:


http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/italia/news/2009-07-17_117385973.html


http://www.agi.it/news/notizie/200907171530-cro-rt11138-papa_il_chirurgo_nessun_problema_funzionale


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200907articoli/45607girata.asp


http://www.apcom.net/newspolitica/20090717_153401_2708841_66456.html


http://www.asca.it/news-PAPA__BOLLETTINO_MEDICO__DOPO_INTERVENTO_CONDIZIONI_GENERALI_BUONE-846754-ORA-.html




29/06/09

Il Vangelo che fa piangere di gioia.


Penso che i cristiani cattolici non si rendano troppo spesso conto di quale fortuna dispongano, con la frequentazione della messa domenicale, di ascoltare la Parola dei Vangeli.

La messa spesso viene recepita come un rito un po’ stantio, nel quale – a volte anche, certo per una qualche corresponsabilità dei celebranti che non fanno molto per valorizzarlo – le parole, anche ‘quella’ Parola ci scivola addosso, quasi fosse scontata.

Ma capita anche, io spero che capiti spesso, che capiti a tutti, che quella Parola invece ti colpisca come una freccia, che ti provochi, nell’ascoltarla, un vero sconquasso emotivo.

A me è successo anche ieri sera, durante la messa domenicale. Erano le 19, faceva molto caldo, i fedeli come al solito arrivavano alla spicciolata, in gran numero a messa iniziata. Nonostante però la piccola confusione, quando il sacerdote – era un co-celebrante – ha letto, con partecipazione sobria, con solennità semplice, senza enfasi, senza toni carichi, ma con tutta l’evidenza nuda di quella ‘Parola’ la pagina del Vangeloera l’episodio in Marco della guarigione della figlia di Giàiro e dell’emorroissa – io ho provato una emozione fortissima.

Non so spiegarmi nemmeno io bene, perché. Era qualcosa che andava oltre le parole e oltre il significato. Era come se quella Parola fosse qualcosa di vivente e di evidente, ogni oltre misura. Qualcosa di luminoso e numinoso, qualcosa che mi prendeva e mi scuoteva, qualcosa che pur manifestandosi, restava sufficientemente misteriosa. Eppure, vi sentivo, con grande chiarezza, il soffio della Verità. Così chiaro, che ogni altra cosa appariva secondaria e tralasciabile.

L’emozione è stata così forte, che alla fine della lettura mi sono ritrovato con gli occhi lucidi, pieni di lacrime di gioia.

Penso sia il dono più grande che noi, ogni domenica, abbiamo questa possibilità di ri-nascere, di ri-generarci, di ri-trovare il senso, la direzione. Di aprire il cuore e affidarne finalmente il suo contenuto a Chi, solo lui, può trasformarlo.

Spero davvero di condividere ancora e ancora, e finché avrò il dono di vivere, questa pienezza.

Per completezza, riporto qui di sotto il testo della Lettura di ieri.


Mc 5, 21-43

Dal Vangelo secondo Marco‡


In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male». Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
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22/06/09

Cosa vuol dire Rendere Grazie a Dio.


Quante volte ci ricordiamo di ringraziare ?

La vita di oggi spinge molti di noi a poter fare a meno di Dio, e dell'idea stessa di Dio.

Condizioni di salute sempre migliori
- le malattie divengono sempre più rare e comunque più facili da curare - e l'allungamento della vita - oggi c'è un 'eterna' età adulta, l'infanzia finisce prestissimo, e poi ci si può illudere di non essere anziani fino ai settant'anni e oltre - fanno sì che si ingeneri quasi una dolce aspettativa di eternità in terra.

La morte è un problema eternamente rimandato.

Naturalmente, prima o poi arriva. E quando arriva, trova (spesso) uomini del tutto impreparati ad accoglierla. In preda a una comprensibile disperazione.

E in questa lunga attesa, si può anche far finta che il problema della morte, di quel che accade dopo, della esistenza di un Dio-Padre, non esista.

Questo va bene per molti - va bene ? a vedere lo stato del mondo, oggi, non sembrerebbe.

Ma non dovrebbe andare bene per i cristiani, in coloro che si riconoscono nelle Parole e nella significanza terrestre e divina della presenza di Gesù Cristo.

Per costoro, Dio non dovrebbe mai essere "un tappabuchi ", come scriveva Dietrich Bonhoeffer.

Per costoro, Dio non dovrebbe mai essere un calcolo utilitaristico, una convenienza, una condizione, una resa, un do ut des.

Credo che dovremmo, noi cristiani, essere sempre pronti a ringraziare Dio. Della vita, che è meravigliosa, per quante cose noi facciamo per renderla un inferno. E anche per quello che precisamente la vita ci porta come doni - quelli che riconosciamo come tali e quelli che ci appaiono come prove, e magari seguentemente scopriamo essere doni ancora più preziosi.

Ma di questo ringraziamento, di questo 'Grazie' che dovremmo pronunciare ogni mattina, ogni sera prima di addormentarci, noi siamo ancora capaci ?

Ringraziare vuol dire : rendere grazie. La grazia non si riceve soltanto. La grazia si rende, si deve rendere, se si vuole vivere veramente.

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15/06/09

Coscienza e verità - un articolo di Lucetta Scaraffia.



Nell'Osservatore Romano di ieri, domenica 14 giugno 2009, è comparso in prima pagina questo bell'articolo di Lucetta Scaraffia, del quale consiglio caldamente la lettura a tutti, perchè contiene, in pillole, un'analisi del pensiero dell'attuale Pontefice; e sul quale come sempre, siamo pronti a discutere insieme.


Coscienza e verità di Lucetta Scaraffia

Non è certo una novità che il Papa intervenga per rendere più chiara ai fedeli la comprensione dei problemi del tempo in cui vivono, ma possiamo dire senza timore di esagerare che nessuno l'ha fatto con l'acutezza e la profondità di Benedetto XVI.

Al punto che i suoi scritti dedicati alla lettura critica del presente sono ormai considerati dei classici che possono - e dovrebbero - interessare quanti vogliano capire meglio l'epoca in cui vivono, e non solo i cattolici.

Proprio per questo sono particolarmente illuminanti i saggi raccolti in un libro da poco pubblicato in Italia (Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, L'elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore, Siena, Cantagalli, 2009, pagine 175, euro 13,50).

Con il consueto stile limpido e semplice, di quella semplicità che raggiunge solo il pensiero sedimentato e profondo, l'autore vi affronta i principali problemi teorici del nostro tempo, denunciandone i limiti e le manipolazioni, e proponendo una risposta chiara, tratta dal tesoro della tradizione cristiana.

Tutti gli scritti ruotano intorno a due questioni intimamente legate: la coscienza e la verità, entrambe cancellate dalla cultura contemporanea, che le sostituisce con la soggettività e il relativismo, pensando di garantire in questo modo la libertà individuale, unico vero feticcio moderno.

Nel primo saggio, L'elogio della coscienza, viene chiarito un tema complesso e mistificato, quello cioè del ruolo della coscienza. In una cultura che tende a contrapporre una "morale della coscienza" a una "morale dell'autorità", slegando il problema della coscienza da quello della verità, l'unica garanzia di libertà appare essere la giustificazione della soggettività, mentre l'autorità sembra "restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà".

Qui tocchiamo il punto veramente critico della modernità: "L'idea della verità è stata nella pratica eliminata e sostituita con quella di progresso" che però, in apparenza esaltato, viene invece privato di ogni direzione. In un mondo senza punti fissi di riferimento, senza verità, non ci sono più direzioni.
La rinuncia ad ammettere che, per l'essere umano, sia possibile conoscere la verità conduce al disinteresse per i contenuti, per dare la preminenza alla tecnica, alla formalità. Un esempio chiaro in questo senso è quello dell'arte: oggi "ciò che l'opera esprime è del tutto indifferente: l'unico criterio è la sua esecuzione tecnico-formale".
Vivendo in una società che influenza e condiziona gli individui, è difficile sentire quella che veniva considerata "la voce della coscienza", cioè "la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all'interno del soggetto stesso".

Anche se la via alla verità e al bene è stata abbandonata perché ardua, scomoda, considerata troppo difficile da seguire, non per questo dobbiamo rinunciarvi: "dissolveremmo il cristianesimo in un moralismo se non fosse chiaro un annuncio che supera il nostro proprio fare".

In queste condizioni, la stessa verità del bene diventa inattingibile, perché l'unico riferimento per ciascuno è ciò che egli può da solo concepire come bene, rinunciando così a quel minimo di diritti oggettivamente fondati, non accordati tramite convenzioni sociali, sui quali soli si può fondare l'esistenza di ogni comunità politica.

In sostanza, dove Dio scompare, "scompare anche la dignità assoluta della persona umana", e la dignità di ognuno non viene più a dipendere dal solo fatto di esistere, per essere stato voluto e creato da Dio.

Ecco perché "la radice ultima dell'odio e di tutti gli attacchi contro la vita umana è la perdita di Dio".

Benedetto XVI rivela una delle sue preoccupazioni principali, che ha varie volte ripetuta: il timore che la nozione moderna di democrazia non sappia emanciparsi dall'opzione relativista, in un mondo in cui il relativismo appare come l'unica garanzia della libertà.

Mentre il Papa sa bene e ripete senza sosta che "un fondamento di verità - di verità in senso morale - appare irrinunciabile per la stessa sopravvivenza della democrazia". E non dobbiamo dimenticare che, di fatto, "tutti gli stati hanno attinto le evidenze morali razionali - permettendo loro di dispiegare i propri effetti - dalle tradizioni religiose ad essi preesistenti".

Di frequente Benedetto XVI ritorna sul tema della ricerca della verità: "Se Dio è la verità, se la verità è il vero "sacro", la rinuncia alla verità diventa una fuga da Dio".

Persino quando avviene all'interno di una confessione religiosa perché - denuncia il Papa - esiste anche un "positivismo fideista" che "ha paura di perdere Dio nell'esporsi alla verità delle creature".

La verità è il presupposto fondamentale di ogni morale, ma se invece il criterio dell'utilità o del risultato, sostenuto da correnti di teoria politica affermate, prende il posto della verità, il mondo si frantuma in tante parzialità, perché l'utilità dipende sempre dal punto di vista del soggetto che agisce.

Cosa significa allora fare il teologo, in questa situazione culturale? E come si può pensare una nuova evangelizzazione? A queste domande rispondono in modo inedito ed esauriente gli ultimi saggi di un volume che si rivela fondamentale per comprendere il mondo di oggi, e per vivervi da cristiano. Peccato che l'editore a cui si deve l'ammirevole iniziativa di avere raccolto questi testi li abbia pubblicati senza precisare quando sono stati scritti, se dal cardinale Ratzinger o dal Papa. Come se per il lettore questa precisazione fosse irrilevante.

Fonte: Osservatore Romano

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12/06/09

Il Miracolo dell'Airbus - Una storia di fede.


Credo che tutti, di questi tempi, abbiamo bisogno di notizie un po' diverse di quelle che ci propinano giornalmente i media, e che davvero restringono il campo delle cose umane a beghe di cortile, o di pollaio. La notizia che vi riferisco qui sotto è diversa, e merita forse una riflessione. La pubblico a beneficio dei lettori de Il mantello di Bartimeo.


Giugno 2009 di Natalia Von Korsch, Rio de Janeiro.


Religioso rinuncia ad imbarcarsi sul volo della morte dopo che un’amica riceve messaggio divino
Rio


La voce di Dio ha salvato dal volo 447 dell’Air France il pastore missionario dell’Assemblea di Dio a Parigi, Gláucio Oliveira, 29 anni. Il religioso già aveva prenotato un posto sull’aereo che è caduto nell’Oceano Atlantico quando ha ricevuto, lo scorso giovedì, un ‘ordine’ di non continuare con il viaggio. Il messaggio è stato dato da un’amica.

Jussara Gonçalvez, 37 anni, partecipava ad un gruppo di preghiera ed è stata chiamata dalla collega Renata Carnevale, 30 anni, che diceva di aver ricevuto un messaggio dal Signore. “Non lasciare che l’uomo vada in viaggio, la sua fossa è aperta. Morirà”, ha detto Renata.

Piangendo molto, Jussara ha chiamato nella stessa ora il pastore. Spaventato, Gláucio non ha confermato la prenotazione: “Sono andato dalla TAM sabato, ma dato che un amico, anch’egli pastore, è morto in un incidente della compagnia, io volo soltanto con Air France, che consideravo l’aereo migliore del mondo. Ma Dio mi ha mandato Renata che ha ricevuto la rivelazione che se fossi entrato in quell’aereo la mia fossa era aperta.


Noi ci siamo visti solo una volta, lei non sapeva del mio viaggio. Tuttavia, quando la Jussara mi ha trasmesso il messaggio, ero terrorizzato. Ho pregato Dio e ho sentito in cuore che non dovevo andare. Egli è stato fedele con me, perché io sempre gli ho obbedito.”

Renata, la donna che ha salvato la vita del pastore, è a letto dalla mattina di lunedì quando ha appreso dell’aereo caduto. Per telefono, ha confermato di aver ricevuto un messaggio da Dio: “Non è stata una visione, ho solo consegnato un messaggio da parte del Signore.”

fonte: Terra.com.br (ripreso dalle maggiori agenzie internazionali di stampa).

03/06/09

Vito Mancuso è un teologo cattolico ? L'opinione di Marco Vannini.


Riporto qui di seguito l'intervista realizzata dal quotidiano Libero a Marco Vannini, davvero molto interessante, sul successo editoriale di Vito Mancuso, ma che contiene riflessioni molto interessanti sul comune sentire 'cristiano' e 'cattolico', oggi.


Vito Mancuso è un vero e proprio caso culturale ed editoriale. Non è infatti cosa abituale vedere un teologo entrare nelle classifiche di vendita e fare il pieno di pubblico ovunque si presenti. Firma ieri del Foglio e oggi della Repubblica, Mancuso è autore di diversi volumi. L’anima e il suo destino, edito da Cortina, ha venduto circa 100mila copie. Disputa su Dio, in collaborazione con Corrado Augias, è un best seller nonostante il caso di “copia e incolla” denunciato da Libero (sottolineiamo: nella vicenda Mancuso è privo di ogni responsabilità, a differenza del suo co-autore). Chiediamo un parere sulla teologia di Mancuso a Marco Vannini, 61 anni, fiorentino, massimo studioso italiano della mistica cristiana, cui si dedica da quaranta anni, primo editore di autori come Meister Eckhart, Taulero, Angelus Silesius, Gerson, Fénelon, Margherita Porete e altri. È autore di Introduzione alla mistica (Morcelliana), La morte dell’anima (Le Lettere), Storia della mistica occidentale (Mondadori), Tesi per una riforma religiosa (Le Lettere), La religione della ragione (Bruno Mondadori) e Sulla grazia (Le Lettere).

Professor Vannini, come spiega il successo di Mancuso?

«Lo spiego col fatto che viene intelligentemente incontro a problemi anche di tipo religioso della società contemporanea, ormai post-cristiana, e dà le risposte che questa si aspetta, ovvero che le sono più gradite. Infatti presenta un cristianesimo senza peccato, senza conversione, senza redenzione, senza grazia, che perciò si accorda tranquillamente con il mondo secolarizzato dei nostri giorni - anzi col “mondo”, come categoria evangelica».

Ma allora non è più cristianesimo?

«In senso tradizionale sicuramente no, però bisognerebbe prima intenderci su cosa significhi essere cristiani. Ora, a parte il fatto che, come si dice giustamente, “solo Dio scruta i cuori”, possiamo pensare con Simone Weil che chiunque ami e cerchi la verità, in ogni tempo e in ogni luogo, sia, in fondo, cristiano».

Infatti la Weil è una della autorità cui Mancuso si riferisce...

«Sì, e su questo punto a buon diritto. Però solo su questo punto. Anzi, se c’è una cosa che contesto davvero al mio amico Vito Mancuso è proprio questo suo richiamarsi alla Weil. Infatti nella scrittrice francese è fondamentale l’evangelica rinuncia a se stessi, ovvero al proprio io, alla propria volontà: quella che ella chiama “decreazione”. La Weil vede la dimensione naturale dell’uomo tutta sottomessa all’egoismo, e perciò opposta al regno della grazia, che invece si apre proprio quando l’uomo fa il vuoto in e di stesso, “odia la propria anima”. In parallelo, la Weil pensa che la libertà che l’uomo crede di esercitare quando è privo di legami sia del tutto illusoria, perché l’uomo è soggetto alle leggi della natura e al suo determinismo, per cui di libertà vera si può parlare solo nella grazia - quando, appunto, è morto l’io naturale : “Dire ’io sono libero’ è una pura illusione - scrive - giacché a dire ’io’ è ciò che non è libero in me”. Su questi punti cruciali il pensiero di Mancuso è quanto di più antiweiliano ci sia».

Che ne dice della proposta di Mancuso di una teologia laica?

«Anche qui bisognerebbe prima decidere cosa intendiamo tanto per teologia quanto per laico. Di per se stessa l’espressione “teologia laica” è un ossimoro, però una teologia che celebra festival può benissimo accordarsi con la laicità. In fondo “laico” oggi significa proprio questo: che non vuole sentir parlare di distacco, di rinuncia a se stesso, di conversione - ovvero che conosce solo la dimensione della natura e ignora quella della grazia».

Quindi lei condivide le censure mosse a Mancuso da alcuni esponenti della Chiesa?

«Io non sono il più adatto a giudicare, però posso dire che non concordo affatto con la motivazione che mi è sembrata prevalente in queste censure, ossia l’accusa a Mancuso di essere uno gnostico, perché, se c’è qualcuno che gnostico non è, questo è proprio lui. Infatti, gnosticismo vuol dire essenzialmente opposizione luce-tenebre, Dio-mondo, spirito-materia, mentre nell’ultimo libro di Mancuso il pensiero è proprio opposto. Gnostica era la Weil, che non a caso amava tanto la civiltà catara e non perdonava al cattolicesimo di averla distrutta. E poi gnostico non è una brutta parola: gnosi vuol dire conoscenza, conoscenza che salva, e quindi anche il cristianesimo è una gnosi. I primi cristiani e i Padri della Chiesa parlavano infatti del cristianesimo come di una gnosi - certo, della vera gnosi opposta a quelle false, ma pur sempre di una gnosi. E questo i teologi dovrebbero saperlo. Se fossi un esponente del magistero ecclesiastico, quello che rimprovererei a Mancuso non sono tanto discutibili “errori teologici”, quanto l’aver messo la sordina agli aspetti più duri ma più essenziali del messaggio evangelico: conversione, distacco, rinuncia a se stessi, appunto. Non a caso ancora la Weil scrive che nel Vangelo non c’è una teologia, ma una concezione della vita».

In conclusione, per lei Mancuso è o no un teologo cattolico?

«Ripeto ancora una volta che non sono chiamato a giudicare nessuno. Comunque penso che Mancuso abbia, se non altro, il merito di costringerci a interrogarci sull’identità cristiana: siamo ancora capaci di recitare il Credo davvero credendo alle sue formulazioni? O in cosa consiste - se sussiste ancora - il nostro cristianesimo/cattolicesimo? Personalmente ritengo Mancuso un filosofo, un libero pensatore (non inteso come offesa, anzi!) che farebbe bene a dichiararsi tale, uscendo dall’equivoco del “teologo cattolico”. Questo gli farebbe forse perdere audience presso i “laici”, ma renderebbe più onore alla verità e a Cristo».

01/06/09

L'Inquinamento Morale avvelena il Mondo - L'Omelia di Pentecoste di Benedetto XVI.



A beneficio dei lettori del Blog, pubblico qui di seguito l'intensissima (e per certi versi drammatica) Omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI nella Basilica Vaticana per la Messa della Pentecoste.

Cari fratelli e sorelle! Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, viviamo nella fede il mistero che si compie sull’altare, partecipiamo cioè al supremo atto di amore che Cristo ha realizzato con la sua morte e risurrezione. L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, “forme” specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia. Tra tutte le solennità, la Pentecoste si distingue per importanza, perché in essa si attua quello che Gesù stesso aveva annunciato essere lo scopo di tutta la sua missione sulla terra. Mentre infatti saliva a Gerusalemme, aveva dichiarato ai discepoli: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49).

Queste parole trovano la loro più evidente realizzazione cinquanta giorni dopo la risurrezione, nella Pentecoste, antica festa ebraica che nella Chiesa è diventata la festa per eccellenza dello Spirito Santo: “Apparvero loro lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2,3-4). Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del “dono di Dio” ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce. Dio vuole continuare a donare questo “fuoco” ad ogni generazione umana, e naturalmente è libero di farlo come e quando vuole. Egli è spirito, e lo spirito “soffia dove vuole” (cfr Gv 3,8). C’è però una “via normale” che Dio stesso ha scelto per “gettare il fuoco sulla terra”: questa via è Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto.

A sua volta, Gesù Cristo ha costituito la Chiesa quale suo Corpo mistico, perché ne prolunghi la missione nella storia. “Ricevete lo Spirito Santo” – disse il Signore agli Apostoli la sera della risurrezione, accompagnando quelle parole con un gesto espressivo: “soffiò” su di loro (cfr Gv 20,22). Manifestò così che trasmetteva ad essi il suo Spirito, lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, cari fratelli e sorelle, nell’odierna solennità la Scrittura ci dice ancora una volta come dev’essere la comunità, come dobbiamo essere noi per ricevere il dono dello Spirito Santo. Nel racconto, che descrive l’evento di Pentecoste, l’Autore sacro ricorda che i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Questo “luogo” è il Cenacolo, la “stanza al piano superiore” dove Gesù aveva fatto con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto; quella stanza che era diventata per così dire la “sede” della Chiesa nascente (cfr At 1,13). Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera” (At 1,14).

Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera. Questo, cari fratelli e sorelle, vale anche per la Chiesa di oggi, vale per noi, che siamo qui riuniti. Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola.

Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno “affannata” per le attività e più dedita alla preghiera. Ce lo insegna la Madre della Chiesa, Maria Santissima, Sposa dello Spirito Santo. Quest’anno la Pentecoste ricorre proprio nell’ultimo giorno di maggio, in cui si celebra solitamente la festa della Visitazione. Anche quella fu una sorta di piccola “pentecoste”, che fece sgorgare la gioia e la lode dai cuori di Elisabetta e di Maria, una sterile e l’altra vergine, divenute entrambe madri per straordinario intervento divino (cfr Lc 1,41-45). La musica e il canto, che accompagnano questa nostra liturgia, ci aiutano anch’essi ad essere concordi nella preghiera, e per questo esprimo viva riconoscenza al Coro del Duomo e alla Kammerorchester di Colonia. Per questa liturgia, nel bicentenario della morte di Joseph Haydn, è stata infatti scelta molto opportunamente la sua Harmoniemesse, l’ultima delle “Messe” composte dal grande musicista, una sublime sinfonia per la gloria di Dio. A voi tutti convenuti per questa circostanza rivolgo il mio più cordiale saluto. Per indicare lo Spirito Santo, nel racconto della Pentecoste gli Atti degli Apostoli utilizzano due grandi immagini: l’immagine della tempesta e quella del fuoco. Chiaramente san Luca ha in mente la teofania del Sinai, raccontata nei libri dell’Esodo (19,16-19) e del Deuteronomio (4,10-12.36).

Nel mondo antico la tempesta era vista come segno della potenza divina, al cui cospetto l’uomo si sentiva soggiogato e atterrito. Ma vorrei sottolineare anche un altro aspetto: la tempesta è descritta come “vento impetuoso”, e questo fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere su di esso.

Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale. Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria – e per questo l’impegno ecologico rappresenta oggi una priorità –, altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo spirito.

Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, l’aria salubre dello spirito che è l’amore! L’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli è il fuoco.

Accennavo all’inizio al confronto tra Gesù e la figura mitologica di Prometeo, che richiama un aspetto caratteristico dell’uomo moderno. Impossessatosi delle energie del cosmo – il “fuoco” – l’essere umano sembra oggi affermare se stesso come dio e voler trasformare il mondo escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo.

L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre. Nelle mani di un uomo così, il “fuoco” e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia.

A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite. Si potrebbero in verità trovare molti esempi, meno gravi eppure altrettanto sintomatici, nella realtà di ogni giorno. La Sacra Scrittura ci rivela che l’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello “spirito di Dio che aleggiava sulle acque” (Gn 1,2) all’inizio della creazione.

E Gesù Cristo ha “portato sulla terra” non la forza vitale, che già vi abitava, ma lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che “rinnova la faccia della terra” purificandola dal male e liberandola dal dominio della morte (cfr Sal 103/104,29-30). Questo “fuoco” puro, essenziale e personale, il fuoco dell’amore, è disceso sugli Apostoli, riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo, per fare della Chiesa il prolungamento dell’opera rinnovatrice di Cristo. Infine, un ultimo pensiero si ricava ancora dal racconto degli Atti degli Apostoli: lo Spirito Santo vince la paura. Sappiamo come i discepoli si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte.

Dopo la risurrezione di Gesù questa loro paura non scomparve all’improvviso. Ma ecco che a Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto. Non avevano alcun timore, perché si sentivano nelle mani del più forte.

Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini.

Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!”.

26/05/09

La Teologia di Dostoevskij - Un articolo di Giovanni Reale.


Cari amici, se avete letto e amato nella vostra vita capolavori assoluti come "L'idiota" o "I fratelli Karamazov", pietre miliari della letteratura - ma anche della filosofia e della spiritualità - credo di farvi un regalo postandovi questo articolo qui sotto pubblicato qualche giorno fa nelle pagine culturali del Corriere della Sera, e firmato da Giovanni Reale. Credo che sia un articolo bellissimo e che dà ragione di tutta la grandezza dell'anima di Fedor Dostoevskij, e della immane eredità che egli ci ha lasciato.

La Bompiani pubblica nella collana «Il pensiero occidentale» tutto Dostoevskij. Sono già usciti il Diario di uno scrittore, I fratelli Karamazov e in questi giorni escono I demoni e L’idiota. Viene ripresa la grande edizione curata da Ettore Lo Gatto, ma rinnovata. I romanzi hanno il testo russo a fronte (una prima a livello mondiale), e le nuove introduzioni sono curate da Armando Torno, un grande conoscitore del mondo russo.

Ma come mai si ripubblica Dostoevskij in una collana di filosofia e non di narrativa? La risposta è semplice: in Italia, Dostoevskij viene considerato dai più un grande romanziere, mentre in Russia lo si considera un grande filosofo. Berdiaev, per esempio, dice: «Dostoevskij fu vero filosofo , fu il più grande filosofo russo». In effetti, i suoi romanzi sono storie di Idee, personificate nei vari personaggi.

Idee vive sia nella loro profondità, sia nel loro complesso movimento dinamico-relazionale e nella loro forza. Dostoevskij stesso precisa che le Idee sono quella forza che muove il mondo e scrive: «Nella storia ciò che trionfa non sono le masse di milioni di uomini né le forze materiali, che sembrano così forti e irresistibili, né il denaro né la spada né la potenza, ma il pensiero, quasi impercettibile all’inizio, di un uomo che spesso sembra privo di importanza».

Dostoevskij fa con i suoi romanzi ciò che Platone ha fatto con i suoi dialoghi. Il filosofo ateniese ha trasposto sul piano dialettico le due grandi forme dell’arte dei suoi tempi, la tragedia e la commedia (per esempio, il Protagora è una grande e straordinaria commedia, il Gorgia e il Fedone sono due grandi tragedie).

Già Nietzsche sosteneva la tesi che «Platone ha dato ai posteri il paradigma di una forma artistica, il modello del romanzo», che sarebbe in sostanza «una favola esopica infinitamente sviluppata». E Dostoevskij ha scelto una forma tipica dell’arte dei suoi tempi, quella del romanzo, per comunicare grandi messaggi filosofici. I suoi personaggi sono incarnazioni di Idee in forma di vere e proprie «icone».

In Italia Luigi Pareyson ha ben sviluppato l’interpretazione di Dostoevskij come vero grande filosofo che si colloca al di sopra della mera analisi dell’animo umano a livello psicologico, e lo considera «uno dei culmini della filosofia contemporanea e un immancabile punto di riferimento nel dibattito speculativo del mondo d’oggi».

Fra le molte idee che Dostoevskij porta in primo piano nei suoi romanzi, ne ricordiamo quattro: il nichilismo, il male, la libertà e la fede.

1. Per quanto riguarda il nichilismo Pareyson afferma addirittura che il personaggio Ivan dei Fratelli Karamazov esprime l’anima nichilistica in maniera perfetta, perfino meglio di Nietzsche.

2. Il male non è in principio una realtà sostanziale (in senso manicheo). Ma non è neppure solo una «privazione del bene», ossia la scelta di un bene inferiore in luogo di un bene superiore (come voleva Agostino). Il male nasce nell’animo dell’uomo: è una volizione negativa, che, proprio respingendo il bene superiore, si impone come una forza distruttiva che produce il male nella sua reale dimensione.

3. Secondo Dostoevskij la libertà consiste nel riconoscimento e nella volizione del Principio supremo dell’Essere e del Bene, oppure nel rifiuto di esso, con tutto ciò che ne consegue. E quindi è una forza che si distingue dal bene e dal male, i quali si realizzano, in quanto tali, proprio in conseguenza della libertà. Dostoevskij è giunto alla fede passando attraverso il nichilismo, e indagando la autodistruzione di esso.

4. La fede presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. In risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 esprimeva la forza veramente dirompente della sua fede: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità».

Giovanni Reale








tratto da Corriere della Sera del 14 Maggio 2009 - http://www.corriere.it/