Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese.
12/10/22
Annie Ernaux dopo il Nobel per la Letteratura compare in pubblico a New York: "Finché qualcosa non è stato scritto, non esiste davvero"
Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese.
11/10/22
L'incredibile, esponenziale, aumento di suicidi nell'esercito americano (soprattutto in Alaska)
10/10/22
Carrère: "Limonov sarebbe potuto diventare anche lui come Putin"
Credo che in ore come queste, in cui sempre di più ci si interroga sullo spirito dell'anima russa, sulle contraddizioni e lacerazioni di quel popolo, sulla sua storia monumentale e incomprensibile, sulle ragioni del suo popolo, sui regimi che negli ultimi secoli si sono alternati al potere assoluto di quella sterminata nazione, dagli Zar a Putin, sia quanto mai utile ritornare al grande libro di Emmanuel Carrère, che sotto le sembianze della biografia di un personaggio perennemente sopra le righe come Eduard Limonov, costruisce un saggio aggiornato, significativo, penetrante, sullo spirito russo, arrivando - nella narrazione, fino al 2010, ad "era Putin" inoltrata.
09/10/22
L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole
Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ?
Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.
Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.
Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.
La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.
Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti”.
A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. “Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.
Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.
Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.
Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.
Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.
Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.
Fonte: VirginRadio.it
08/10/22
Branduardi canta Yeats: Storia di un album straordinario
David, insieme al fratello Dory (che era il produttore artistico di questo disco), nel giugno 1967 era stato costretto a lasciare la Libia per motivi razziali, in quanto di famiglia ebraica.
Trasferitosi a Roma con la famiglia, ai primi degli anni '70 aveva cominciato a lavorare nel mondo dello spettacolo, diventando promoter dei più grandi eventi che in quegli anni si svolsero in Italia, compresi i concerti di Aretha Franklin e dei Led Zeppelin.
Da sempre estimatore di Branduardi, Zard aveva stavolta deciso di produrgli (con la sua etichetta "Musiza" - ovvero "Musica - Zard") un album che non aveva nessuna velleità di vendite popolari, non contenendo nessun possibile hit, nessuna "Fiera dell'Est" o "Cogli la prima mela."
Branduardi, cresciuto nell'ambiente della musica colta, e grande conoscitore di poesia (anni prima aveva per esempio realizzato una versione fantastica di "Confessioni di un malandrino" di Sergej Esenin) e di letteratura, aveva con la moglie Luisa Zappa, trasformato in canzoni, adattandole in musica, alcune meravigliose poesie di William Butler Yeats.
Per l'esattezza: I cigni di Coole (The Wild Swans at Coole); Il cappello a sonagli (The Cap and Bells); La canzone di Aengus il vagabondo (The Song of Wandering Aengus); Il mantello, la barca e le scarpe (The Cloak, the Boat and the Shoes) A una bambina che danza nel vento (To a Child Dancing in the Wind); Il violinista di Dooney (The Fiddler of Dooney); Quando tu sarai... (When you are Old); Un aviatore irlandese prevede la sua morte (An Irish Airman Forsees his Death); Nel giardino dei salici (Down to the Salley Gardens) Innisfree, l'isola sul lago (The Lake Isle of Innisfree). Si tratta di 10 veri gioielli, per un progetto che fu all'epoca approvato personalmente da Michael e Ann Yeats, i figli del grande poeta.
Il nono album di Branduardi uscì conquistandosi una ristretta cerchia di fedelissimi che ancora oggi tengono da parte e venerano questo piccolo capolavoro della musica italiana.
Tutte le musiche sono firmate dallo stesso Branduardi con l'eccezione di La canzone di Aengus il vagabondo, la cui musica è scritta da Donovan. Angelo Branduardi, come sua abitudine, suonò quasi tutti gli strumenti da solo (chitarra, violino, violino baritono, voce, cori, flauto) insieme al fidato Maurizio Fabrizio e a Josè De Ribamar "Papete" alle percussioni.
Altri tempi, dunque, che hanno lasciato però tracce molto profonde.
Fabrizio Falconi - 2022
05/10/22
Libri: Arriva in Italia "Hitler, la manipolazione, il consenso, il potere"
04/10/22
Keanu Reeves, uno dei più interessanti attori di Hollywood, e l'ombra di Jennifer Syme, la compagna perduta
03/10/22
"Il Maestro e Margherita" vive: anche se la Casa di Bulgakov, ritrovo dei satanisti russi, è stata dipinta di bianco
30/09/22
La Rovina del Gioco (o Ludopatia) - Dostoevskij e Puskin
Interrompere l’illusione, fermarsi in tempo,
ragionare, essere prudenti: virtù sconosciute agli amanti del rischio del
gioco. Sicuri lasciapassare per la rovina.
«Domani,
domani tutto finirà», è il mantra che ripete Aleksej Ivanovic il
giovane precettore protagonista de Il
giocatore (1866). Nel teatro popolato da ludopatici seriali messo in scena da Dostoevskij il domani è
l’opzione, la vera scommessa.
Aristocratici e poveri, inebriati dalla fede
nel dèmone del Caso, credono di poterne cavalcare la soma imbizzarrita. Perdere è oggi. Vincere è domani. C’è un
domani in cui si vincerà, e tutto finirà.
E anche se si vincesse oggi, c’è ancora un altro domani da sfidare.
Il virus è contagioso e quasi mai si
guarisce.
Lo spirito russo, così profondamente
incardinato sull’eterna sfida alla minaccia incombente del Destino e del Caso
aveva già trovato un analogo eroe ne La
dama di picche di Puskin (1834), con l’apparentemente imperturbabile protagonista Hermann, giovane ufficiale che si
sente immune – per pura fede nella volontà, essendone infatti potentemente
attratto – dal vizio del gioco e che finisce per diventarne succube nel modo
più imprevedibile: un commilitone gli rivela infatti che una nobildonna, sua
nonna, conosce il segreto per vincere infallibilmente al gioco delle tre carte
(arcano trasmessole nientemeno che dal Conte di Saint-Germain in persona).
Hermann viene introdotto con il favore della
dama di compagnia nell’appartamento della duchessa, ma questa spaventata
dall’irruzione, dalle insistenze e dalle minacce, muore sul colpo prima di rivelare il mistero.
Sarebbe la salvezza di Hermann, se non fosse
che la rovina si ripresenta sotto forma di sogno prima e di un fantasma poi:
sotto queste sembianze la nobildonna promette al giovane di svelargli la
combinazione vincente – tre, sette e asso – ad una condizione: che esso sposi
la sua prediletta dama di compagnia.
L’ossessione è irresistibile. Hermann vi
soggiace.
Si decide finalmente a vincere la prudenza
del raziocinio e sfida la sorte, ma senza ottemperare alla richiesta del
matrimonio preventivo. E se il sette e il tre si confermano vincenti, al posto
dell’asso, il mazzo sfodera la donna di picche, sotto l’effige della quale si
riconoscono i lineamenti beffardi della vecchia contessa. La rovina ingoia così
anche il povero Hermann, che diventa pazzo.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Le Rovine e l'Ombra, Castelvecchi editore, Roma, 2017
29/09/22
Quando furono costruiti i Muraglioni del Tevere ? La disastrosa piena del 1598
La natura alluvionale del Tevere è ben nota dall’antichità, ed ha accompagnato la storia del fiume e della città per molti secoli, a partire dalla sua fondazione, se è vero che scaturisce proprio da una piena del fiume la nascita della leggenda di Romolo e Remo, i due fratelli trasportati da una cesta fino all’argine ai piedi del colle Palatino.
Gli allagamenti del Tevere, dunque, sono testimoniati
dall’età più antica (almeno sin dalla fine del V secolo a.C.) e anche nella Roma
Imperiale la cura del fiume e il problema delle inondazioni, impegnarono non
poco prefetti, consoli e senatori, tutti coloro che dovevano amministrare la
cosa pubblica.
Con una certa regolarità, dunque, più o meno ogni
venticinque anni, con periodi più intensi e altri meno, i disastri provocati da
piene del Tevere furono protagonisti della vita cittadina, aggravati da due
fattori, la minima pendenza dell’alveo del fiume, che in alcuni punti della
città è appena dodici metri più in alto rispetto al livello del mare, e la
costruzione dei ponti, in particolare di Ponte Milvio e di Ponte Sant’Angelo
che hanno creato barriere artificiali al libero scorrimento delle acque.
La memoria storica romana si è dunque formata sul
ricordo di questi eventi eccezionali, che sono testimoniati da lapide e
iscrizioni (le cosiddette manine) su
molti degli edifici del centro storico e che ancora oggi è possibile notare,
per esempio sulla fiancata destra della chiesa di Santa Maria Sopra Minerva.
Perché una piena fosse davvero
eccezionale e particolarmente catastrofica, il livello delle acque, misurato
dagli idrometri, in particolare quello del Porto di Ripetta, doveva superare il
livello di sedici metri. Questo evento,
dall’anno 1000 all’anno 1870 è stato superato ventuno volte, con una
particolare concentrazione nel corso di due secoli e mezzo, dal 1450 al 1700,
quando si sono contate ben tredici delle ventuno piene catastrofiche.
Il Cinquecento fu il secolo più
devastante, con ben cinque piene eccezionali, di cui quattro oltre i diciotto
metri e una, quella della vigilia di Natale, 24 dicembre 1598, che con 19,56 m di altezza
idrometrica a Ripetta, costituisce il massimo storico mai registrato a Roma,
con una portata di circa quattromila metri cubi al secondo.
Questa piena fu davvero qualcosa di
impensabile. In quella occasione, le
acque fuoriuscite dall’alveo del Tevere raggiunsero una altezza di cinque
metri, sommergendo perfino le colonne del Pantheon (il punto del centro di Roma
più basso rispetto al livello del mare) di ben sei metri.
Le lapidi della spaventosa piena del
1598 testimoniano il livello record delle acque del Tevere a Roma sono ancora
ben visibili a Roma, e in particolare come abbiamo detto sulla facciata della
Chiesa della Minerva, vicino al Pantheon, dove è possibile rendersi conto della
altezza che avevano raggiunto le acque e confrontare questo livello con le altre piene (quelle del 1422, 1495,
1530, 1557 e 1870).
Oltre a quella della Minerva, ben 11
lapidi in memoria di quella inondazione sono giunte fino a noi, tra le quali
quella di via S. Maria de’ Calderari quasi alla congiunzione con via Arenula.
I dati sulla piena del 1598, di cui disponiamo, sono molto dettagliati e derivano dalla cronaca dalla cronaca di Jacopo Castiglione, da dove si apprende che il Tevere inondò la città a partire dalle ore 23 circa del giorno 23 dicembre e fino alle ore 10 del giorno 25 dicembre, quando il livello dell’acqua cominciò a calare. L’acqua del Tevere era dunque fuoriuscita dagli argini per trentacinque ore consecutive, seminando il panico tra la popolazione, che non aveva avuto nemmeno il tempo di mettersi al riparo. Le case furono sommerse fino al terzo piano. I morti furono quasi quattromila, il recupero dei corpi avvenne solo parzialmente e con molti giorni di ritardo. Decine, centinaia di corpi furono tumulati in fosse comuni e ricoperti di calce, per scongiurare il rischio altissimo di epidemie.
Il conto dei morti infatti continuò
per molto tempo dopo l’alluvione, a causa delle malattie causate dal ristagno
delle acque, rigurgitate dalle fogne e dell’umidità.
Con un’altezza idrometrica di 19,56 m
a Ripetta, cui corrisponde una portata al colmo di circa 4000 m3/s,
l’inondazione del 1598 divenne dunque -
ed è a tutt’oggi - la maggiore piena del
Tevere conosciuta, a coronamento di un anno veramente eccezionale visto che, come riporta la cronaca del Castiglione, il Tevere era già più volte
uscito dal suo letto (con piene già notevoli il 2 febbraio e il 7 marzo)
allagando la zona dell’attuale lungotevere Marzio, ed uscì nuovamente anche
pochi giorni dopo, il 10 gennaio 1599. Castiglione così commenta: “Quest’anno
del 1598 è stato quasi tutto si humido, che la maggior parte di giugno si passò
con pioggia e freddo, né per questo havemo avuto l’Autunno asciutto. Anzi in
detta stagione non ha mai fatto altro, che piovere quasi continuamente”.
Gli effetti dell’alluvione furono
devastanti anche sulle cose, oltre che sulle persone. La città storica rimase
sotto metri d’acqua per parecchie ore e la corrente impetuosa del fiume fece crollare
due piloni (e quindi tre arcate) del Ponte Senatorio (cioè del cosiddetto Ponte
Rotto) dalla parte della riva sinistra, con il vantaggio che il ponte mai più
ricostruito liberò l'alveo del fiume da un pesante ingombro che durante le
inondazioni si trasformava in una pericolosissima diga.
La situazione cominciò quindi a
migliorare dopo la piena del 1598 anche a causa di ragioni propriamente
tecniche come ad esempio la diminuzione di circa mille chilometri quadrati di
bacino della Val di Chiana che passarono all’Arno; la deviazione dei torrenti
Tresa e Rio Maggiore; la costruzione del ponte Regolatore sul Velino, ultimata
nel 1602.
Per arrivare però ad una risoluzione definitiva delle
alluvioni del Tevere in città, bisognò aspettare fino alla fine dell’Ottocento.
Come un presagio, fu proprio poche settimane dopo la presa di Roma, il 28
dicembre del 1870, che Roma subì una nuova, grande inondazione, con ben 17,22
metri di altezza, la seconda in assoluto più alta dal 1637. Una piena che
avrebbe raggiunto e superato i livelli di quella del 1598 se nel frattempo,
come abbiamo detto, una parte del bacino del fiume non fosse stata deviata sul
corso dell’Arno.
Fu però proprio sulla spinta emotiva di questa nuova
disastrosa piena, che si decise finalmente di mettere mano ai progetti di
difesa degli argini del fiume, che già da diverso tempo giacevano nelle
segreterie parlamentari.
Tra i molti e diversi progetti – ve n’era anche uno
“sponsorizzato” da Giuseppe Garibaldi che prevedeva una monumentale opera di
deviazione del corso delle acque del Tevere e dell’Aniene, per evitare il
tratto cittadino – prevalse quello di rinforzare gli argini del fiume con alti
e poderosi muraglioni in travertino, in grado di resistere ad una piena anche
più alta di quella del 1870.
Tratto da Fabrizio Falconi, Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton editore, Roma, 2015
28/09/22
50 anni di "Solaris" il capolavoro di Tarkovskij che fu interpretato come la risposta russa a "2001 Odissea nello Spazio"
27/09/22
Arriva il nuovo libro di Emmanuel Carrère sul processo del secolo, a Parigi, contro i terroristi del Bataclan
Parigi. V13. Il processo del secolo al terrorismo islamico. V come venerdì, 13 come 13 novembre 2015, il giorno in cui Parigi fu attaccata dal commando jihadista di Salah Abdeslam, l’unico terrorista sopravvissuto di quella notte maledetta: 130 morti e 350 feriti tra il Bataclan, lo Stade de France e alcuni bistrot della capitale.