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23/06/21

"Chadzi-Murat" il capolavoro di Tolstoj sulla Guerra, che stregò Ludwig Wittgenstein


Adesso che l'ho finalmente letto - uno dei pochi Tolstoj che ancora mi mancavano - capisco pienamente perché Ludwig Wittgenstein, ai suoi studenti di Cambridge che partivano per la mattanza della Seconda Guerra Mondiale, raccomandava fortemente la lettura di questo breve romanzo e anche che lo portassero con loro in trincea.

A sua volta, Wittgenstein aveva letto e portato con sè, Chadzi-Murat quando si era arruolato volontario nelle file dell'esercito imperiale austro-ungarico all'indomani dello scoppio del Primo Conflitto Mondiale.

Era stata per lui una lettura fatale.

E se a distanza di 30 anni lo raccomandava alle reclute inglesi (nel frattempo egli si era stabilito a vivere e a insegnare a Londra), era perché aveva toccato con mano la portata dirompente di quel racconto lungo, come un definitivo apologo sulle dinamiche della guerra, di chi la conduce e di chi la vive sul fronte, della sua imbecillità e della sua ambiguità sottile.

Nessuno, meglio di Tolstoj, ha potuto e saputo raccontare la guerra, non solo nei suoi orrori ma anche e soprattutto nella folle ebbrezza che provoca in chi viene mandato al macello (ebrezza che nel caso della Wermacht era amplificata dalla diffusione obbligatoria massiccia delle potentissime metanfetamine che venivano assunte a manciate dai combattenti di ogni ordine e grado).

Tolstoj aveva vissuto in prima linea per anni la guerra in Crimea, conoscendo profondamente quei sentimenti profondi di dissoluzione e esaltazione che rapiscono i soldati mobilitati da un qualche ideale patriottico o semplicemente da primari registri umani come il rancore, la rivincita, la vedetta, l'onore.

Ma in Chadzi-Murat Tolstoj allarga il suo affresco fino alle stanze dei potenti, di coloro che la guerra la decidono, la impongono, la vivono, la giocano come ambizione personale e accrescimento smisurato del proprio potere.

In un lungo capitolo, il XV, Tolstoj descrive il ritratto forse più vero e terribile che sia mai stato scolpito di un tiranno, in questo caso lo zar Nikolaj Pavlovic.

In queste pagine nulla viene risparmiato, tutto viene mostrato: della pochezza umana, della qualità miserabile di questo essere umano che la sorte ha dotato di un potere di vita e di morte immenso. Dei suoi meccanismi psicologici primari, di lui e della ridicola corte di servili parvenu che gli si muove intorno.

Il capitolo XV venne, come è ovvio, interamente cassato dalla censura zarista quando il romanzo fu pubblicato a Mosca nel 1912, due anni dopo la morte di Tolstoj.

Fabrizio Falconi - 2021

03/10/20

Il destino tragico di Carole Lombard e l'amore di Clark Gable

 


Icona del cinema americano di sempre, Clark Gable, con il suo sguardo ammiccante e i baffetti così alla moda, all'epoca, era uno dei divi in assoluto più famosi a Hollywood, quando nel 1939 sposò Carole Lombard, attrice anche lei, ma più di tutto - nel clima di guerra di quegli anni - "patriota incandescente".
Fu proprio Carole a convincere il marito, Clark Gable, a "offrire i propri servigi" alla Casa Bianca, avviando insieme un tour di raccolta fondi in favore delle forze armate.
Alla fine del 1941, quando anche gli Stati Uniti d'America erano ormai coinvolti nella seconda guerra mondiale, Carole intraprese un giro propagandistico nell'Indiana, lo Stato nel quale era nata, per vendere obbligazioni di guerra.
Dopo qualche giorno, impaziente di tornare dal marito, decise di far ritorno a casa in aereo, rinunciando al treno, contrariamente a quanto avrebbe voluto sua madre Elizabeth Peters, che la accompagnava.
Era il 16 gennaio 1942 quando il velivolo si schiantò sulle Potosi Mountain, nei pressi di Las Vegas. Carole Lombard e sua madre morirono sul colpo; l'attrice aveva trentatré anni.
Sconvolto, Clark Gable pochi mesi dopo si arruola proprio nell'Aeronautica, forse inconsciamente per cercare di realizzare la stessa morte della moglie.
Nel 1943 partecipa a cinque missioni di bombardamento a bordo dei B-17 sulla Germania, sull'Olanda occupata e anche sul quartiere di San Lorenzo a Roma.
A ogni volo, sotto la tuta d'ordinanza, Gable indossa al collo una scatolina che contiene un gioiello della moglie.
Sopravvissuto alle missioni, ricevette due decorazioni, un'Air Medal ed una Distinguished Flying Cross.
Rientrato in patria al termine del conflitto, Gable non fu più la stessa persona. Anche se riprese a recitare, i suoi personaggi non erano più spensierati e spavaldi: la vitalità di un tempo era perduta. Lo scarso successo di film come Avventura (1945), I trafficanti (1947), Mogambo (1953) portò la Metro-Goldwyn-Mayer a non rinnovargli il contratto.
Fu un periodo negativo per l'attore, sia nel lavoro che nella vita privata.
Nel 1949 sposò Sylvia Ashley, dalla quale divorzierà dopo poco più di un anno di matrimonio, nel 1951. Poco più tardi conobbe Kay Spreckels, una donna che in qualche modo gli ricordava l'amata Carole Lombard, e la sposò nel 1955; fu un matrimonio riuscito e per Gable iniziò un nuovo periodo felice nella vita privata, che lo aiutò a ritrovare serenità e successo anche nella professione.
Clark Gable morì il 16 novembre del 1960 ed è attualmente sepolto accanto a Carole Lombard al Forest Lawn Memorial Park di Los Angeles.

Fabrizio Falconi - 2020

Fonti: Francesca Meloni, Quelle vite vissute ad alta quota, Domenica - Il sole 24 ore, 12 maggio 2019

29/07/20

Quando i nazisti bruciarono le Navi di Caligola a Nemi

L'Ancora di legno di una delle due Navi di Caligola recuperata negli anni '20 e '30 nel Lago di Nemi


I nazisti in ritirata bruciarono le navi di Caligola e ora il comune di Nemi chiede i danni alla Germania

La giunta comunale della cittadina laziale ha votato una delibera su proposta del primo cittadino, Alberto Bertucci per chiedere i danni alla Germania per la distruzione "delle due famose navi romane dell'Imperatore Caligola". 

Le due navi, ritrovate nel secolo scorso tra il 1928 e il 1932, furono 'dolosamente e intenzionalmente bruciate la notte del 31 maggio 1944 dal 163° Gruppo Antiaereo Motorizzato tedesco che occupava la zona ed era in ritirata'. 

Dunque "quel danno irreparabile di un bene archeologico non fu il risultato di una imprevedibile azione bellica ma -spiega il sindaco Bertucci- un consapevole gesto di sfregio. Per questo chiediamo il risarcimento". 

"Si ritiene - aggiunge il Sindaco Alberto Bertucci" di sottoporre a giudizio risarcitorio nei confronti della Repubblica Federale di Germania per i danni morali e materiali subiti dalla collettivita' di Nemi a causa dell'irreparabile danno causato a un bene archeologico di inestimabile valore". 

"Abbiamo ritrovato relazioni, ampie documentazioni, testimonianze: i nazisti allontanarono tutti i residenti e il custode. Decisero di dare alle fiamme quei tesori. Non c'e' dubbio", aggiunge Bertucci. Il sindaco (che guida una lista civica di centro) pero' va oltre: «Noi non chiediamo semplicemente i danni. 

Vorremmo che, con un gesto significativo di spirito europeo, le autorita' tedesche collaborassero con noi per ricostruire cio' che emerse delle due navi ricorrendo alle nuove tecnologie di riproduzione. Grazie a un libro dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato del tempo, abbiamo una grande mole di dati, misure, immagini per procedere a un'opera di riproduzione, in concorso col governo tedesco e magari con la mediazione del nostro ministero per i Beni e le attivita' culturali». 


30/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987) 

E' sublime il racconto autobiografico che diventa - con l'intervento decisivo dell'invenzione creativa - opera d'arte, come in Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants) il film che nel 1987 è valso a Louis Malle il Leone d'oro alla 44ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. 

Il maestro francese arrivò alla decisione di girare questo film - divenuto uno dei suoi più importanti - dopo diversi anni di riflessione e dopo aver scritto la prima bozza per una sceneggiatura in 14 giorni. basato sulla storia vera accaduta durante la sua infanzia nel 1944, quando, all'età di undici, entrò nel convitto Petit-Collège ad Avon vicino Fontainebleau. 

Tuttavia, Malle spiegò abbondantemente che il  film non ricalca fedelmente ciò che accadde, sovrapponendosi alla storia, elementi e aneddoti recuperati altrove o puramente immaginari. 

Il progetto era originariamente intitolato My little madeleine (riferimento alla Madeleine de Proust), prima di diventare con il titolo di Au revoir les enfants, un classico mondiale. 

Il film è dunque ambientato in Francia nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau nel gennaio del 1944, dove un ragazzo di nome Julien Quentin viene mandato insieme al fratello maggiore François, durante la Seconda guerra mondiale

Arrivato in quel collegio trova buona parte dei suoi compagni insopportabili ed egoisti e avverte fortemente la nostalgia della madre. 

La sua vita cambia radicalmente quando un coetaneo, Jean Bonnet, viene inserito nella classe. Julien inizialmente percepisce il ragazzo come un rivale, visto che ottiene buoni risultati a scuola e sa suonare bene il pianoforte. Ma con il tempo nota che è un ragazzo riservato e misterioso: non riceve mai posta, parla poco, non si mescola mai con i compagni. Frugando nel suo armadietto Julien scopre il suo segreto: Jean Bonnet è in realtà Jean Kippelstein, un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio sotto falso nome nel collegio, per sfuggire alle persecuzioni razziali. 

L'ostilità di Julien si trasforma così in curiosità, poi in amicizia. 

Mentre scorrono i giorni del 1944, la vita nel collegio procede in tutta tranquillità, finché Joseph, un ragazzo povero e zoppo che lavora come inserviente dai preti, viene licenziato. Infatti è stato scoperto a compiere furti di oggetti presenti nel collegio (in particolare cibo) per poi barattarli con oggetti personali degli scolari. 

Il ragazzo, senza un posto dove vivere e consumato dalla rabbia, si fa spia presso l'esercito tedesco, rivelando la presenza di ebrei nel collegio. 

Malgrado i mille sotterfugi inventati dai preti, e i disperati tentativi di salvarli, Jean e altri due ebrei, insieme al direttore del collegio, vengono portati via per intraprendere un viaggio che si concluderà solo con la morte. 

Julien lo guarda allontanarsi e nonostante il sacerdote li saluti dicendo «Arrivederci ragazzi, a presto!», capisce che non lo rivedrà mai più. Alla conclusione del film, il narratore - lo stesso protagonista adulto - informa che sia i suoi compagni ebrei che il sacerdote moriranno successivamente in un campo di sterminio nazista: i ragazzi ad Auschwitz, mentre il prete a Gusen I (Mauthausen). 

L'equilibrio della narrazione raggiunto da Malle in questo film è quello della piena maturità: tutta la vicenda viene raccontata con partecipata intensità, senza la minima sbavatura, trasportando lo spettatore tra le mura di quel lontano collegio in cui si sperimenta l'assurdità inaudita del male e la sua presenza inalienabile.  

Allo stesso tempo, Au revoir les enfants è un vero e potente inno all'amicizia, alla com-passione, alla partecipazione emotiva, alla memoria, alla solidarietà. Quelle doti umane che proprio nei momenti più bui della storia, tornano a riemergere, promettendo agli uomini di poter risorgere, ancora una volta, dal loro abisso. 

Fabrizio Falconi





30/08/19

Il giorno in cui Hemingway liberò il bar dell'Hotel Ritz a Parigi.


Ufficialmente l'autore del premio Nobel di "Addio alle Armi" e "Il sole sorge ancora" doveva essere un corrispondente di guerra per la rivista americana Collier quando entrò nella capitale francese il 25 agosto 1944. 

In realtà, il romanziere  che si allontanò da una Jeep comandata con tutta la spavalderia di un generale per impadronirsi dell'hotel più lussuoso della città, stava conducendo la sua spietata guerra privata contro il Terzo Reich.

Dopo essere sopravvissuto alla prima guerra mondiale e alla guerra civile spagnola - dove aveva abbattuto i confini tra reporter e combattente - Hemingway era riuscito a infilarsi tra le truppe statunitensi della 4a divisione che sbarcarono sulle spiagge della Normandia il D-Day.

Come alcuni "gloriosi dilettanti" che si erano offerti volontari per aiutare l'Ufficio dei servizi strategici, un ramo dei servizi di intelligence statunitensi, trascorse un mese a sfrecciare in una jeep tra le prime linee, entrando in contatto con i combattenti della resistenza francese locali tra le forze statunitensi in progresso e i tedeschi in ritirata.

Era esattamente il tipo di situazione ad alto rischio e drammaturgica in cui lo scrittore si crogiolava, anche se imbarazzava sua moglie Martha Gellhorn, che prendeva il suo lavoro come reporter di guerra molto più seriamente. Uno di quei combattenti della Resistenza in seguito ricordò l'ossessione di Hemingway per il lussuoso hotel di Parigi, dicendo che parlava di poco altro ma "essere il primo americano a Parigi e liberare il Ritz".

Hemingway si era innamorato del Ritz come scrittore senza un soldo a Parigi negli anni '20 insieme a F. Scott Fitzgerald, una volta in seguito immortalato in "Una festa mobile". Con l'aiuto dei suoi contatti nella divisione corazzata americana, comandata dal altrettanto appariscente generale George S. Patton, Hemingway combatté insieme al comandante francese Generale Philippe Leclerc, i cui carri armati avevano ricevuto l'onore di liberare Parigi.

La sua umile richiesta: avere abbastanza uomini per liberare il bar del Ritz. Con sorpresa dello scrittore, ricevette un'accoglienza gelida e fu licenziato. Ma Hemingway perseverò e il 25 agosto si presentò all'hotel sulla bellissima Place Vendome di Parigi in una jeep montata con una mitragliatrice alla testa di un gruppo di combattenti della Resistenza.

Fece irruzione nell'hotel e annunciò che era venuto a liberarlo personalmente e il suo bar, che era servito da abbeveratoio per una lunga fila di dignitari nazisti, tra cui Hermann Goering e Joseph Goebbels.

Il direttore dell'albergo, Claude Auzello, gli si avvicinò e Hemingway chiese: "Dove sono i tedeschi? Sono venuto per liberare il Ritz".

"Monsieur", rispose il direttore: "Se ne sono andati molto tempo fa. E non posso lasciarla entrare con un'arma."

Hemingway mise la pistola nella jeep e tornò al bar, dove si dice che avesse corso un conto per 51 martini a secco. "Indossava l'uniforme e impartiva ordini con tale autorità che molti pensavano che fosse un generale", ha ricordato il capo barman del Ritz, Colin Field.

Secondo il fratello di Hemingway, Leicester, lo scrittore perquisì la cantina con i suoi uomini, prendendo due prigionieri e trovando un eccellente stock di brandy. Ispezionando il tetto e i piani superiori, non trovarono altro che le lenzuola che si asciugavano nel vento, che erano piene di fori di proiettili.

Hemingway in seguito scrisse che non poteva sopportare il pensiero che i tedeschi avessero sporcato la stanza che condivideva con la sua amante Mary Welsh, che avrebbe sposato nel 1946. 

I due rimasero insieme fino al suicidio di lui nel 1961.

Hemingway scrisse del suo soggiorno in hotel con il suo gruppo di irregolari in un racconto del 1956, "Una stanza sul lato giardino", che è stato recentemente portato alla luce dalla rivista Strand negli Stati Uniti. In esso cita il poeta simbolista francese Charles Baudelaire e descrive come i suoi uomini abbiano bevuto lo champagne del Ritz mentre pulivano le loro armi e si preparavano per la fase successiva nello "sporco commercio della guerra". 

Gli studiosi ritengono che potrebbe essere questa, la parte di un lavoro più grande che Hemingway aveva pianificato, per descrivere nel dettaglio le sue esperienze in guerra.

Le scorrerie di Hemingway al Ritz non sfuggirono all'attenzione dei suoi superiori, con minacce di essere deferito alla corteo marziale per aver indossato le armi come corrispondente di guerra.

Le accuse furono tranquillamente lasciate cadere, per evitare imbarazzo per i servizi segreti statunitensi, e dopo la guerra lo scrittore ricevette silenziosamente una medaglia di stella di bronzo per aver lavorato "sotto tiro nelle aree di combattimento per ottenere un quadro accurato delle condizioni belliche e delle posizioni". 

Anche il Ritz alla fine lo perdonò, nominando un piccolo bar dopo Hemingway nel 1994.

Fonte LPN - La Presse

03/04/19

L'incredibile storia di Luigi e Mokryna.

Passeggiando tra i più bei parchi di Kyiv, capitale dell’Ucraina, si possono ammirare numerosi monumenti, tra questi una statua in particolare di due anziani che si abbracciano attira l’attenzione dei passanti. La scultura commemora la commovente storia di Luigi Pedutto e Mokryna Yurzuk e celebra una incredibile storia d'amore durata oltre settant’anni che ha affrontato una guerra, ha valicato i confini e ha superato le barriere linguistiche.
Chi sono questi due innamorati e perché la loro storia d’amore è così importante? Tutto ebbe inizio nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il cavaliere maresciallo Luigi Pedutto della Guardia di Finanza, originario di Castel San Lorenzo in provincia di Salerno, poco più che ventenne, viene deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Krems, nei pressi della città di Sankt Polten, in Austria. Fu lì che Luigi incontrò l’ucraina Mokryna Yurz, o meglio Maria come la chiamava lui, anche lei giovane ventenne deportata e condannata ai lavori forzati. Mokryna non parlava l’italiano e Luigi conosceva solo alcune frasi in ucraino ma nonostante ciò i due si innamorano perdutamente. In un luogo di tanto dolore e crudeltà la coppia riuscì a sopravvivere, grazie anche alla forza dell’amore, sostenendosi a vicenda: lui le portava da mangiare, lei in cambio gli cuciva gli abiti e insieme sognavano la libertà.
Quando il campo fu liberato nel 1945, la ragazza fu rimandata in Ucraina e a Luigi fu impedito dalle autorità sovietiche di unirsi alla sua innamorata. 

Tornati nel proprio paese d’origine, entrambi si sono sposati e hanno avuto figli ma non hanno mai dimenticato il loro vero e unico amore

Luigi non ha mai smesso di cercare la sua Maria e l’ha ritrovata solamente dopo sessant’anni grazie a un programma televisivo, nel 2004. In quel momento Luigi, il più emotivo dei due, ha potuto finalmente riabbracciare Mokryna, e da allora i due innamorati non si sono più separati.
Questa commovente riunione è stata immortalata e fusa in bronzo nel 2013, a oltre sessant’anni dal loro primo incontro, in un parco a Kyiv vicino al Ponte degli Innamorati, una destinazione popolare tra le giovani coppie che si promettono eterno amore

La scultura rappresenta l’amore tra Luigi e Mokryna, ormai anziani, stretti in un immortale abbraccio. 

Una copia esatta della scultura è stata inaugurata nella città natale di Pedutto, a Castel San Lorenzo, il 30 aprile 2017. L’opera è diventata simbolo di amore eterno tra due innamorati che la guerra ha riunito e poi separato. 

La versione italiana, chiamata la Fratellanza Universale, rappresenta metaforicamente un abbraccio tra due popoli, l’Italia e l’Ucraina, che hanno entrambi sofferto per i tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale.
Luigi Pedutto è morto nel 2013 all’età di 91 anni e pochi anni dopo lo ha raggiunto Mokryna, ma il loro amore resterà scolpito in eterno.

11/05/18

Una Mostra al Museo della Memoria di Roma per ricordare il Bombardamento di San Lorenzo del 1943.



Il museo della Memoria e della Storia di Roma ricorda in una mostra il bombardamento del 19 luglio 1943. 

Cinquecentonovantuno bombardieri sganciarono mille tonnellate di esplosivo ad alto potenziale sul quartiere di San Lorenzo, sul Prenestino, sull'area del cimitero del Verano, sulla Citta' Universitaria e zone limitrofe. 

Il 13 Agosto un secondo bombardamento continuo' l'opera di devastazione

I morti furono circa 3000, moltissimi i feriti.

Oggi San Lorenzo e' uno dei quartieri piu' vivaci della movida animata dai giovani. A 75 anni di distanza le conseguenze dei bombardamenti, ancora in parte visibili, sono segni evidenti per chi conosce o ha vissuto quei tragici accadimenti, ma illeggibili per chi frequenti le sue strade e i suoi locali senza conoscerne la storia.

'1943 - 2018 Memoria e spazio pubblico. 12 progetti per ricordare il bombardamento di San Lorenzo', visibile dall'11 al 16 maggio 2018 alla Casa della Memoria e della Storia, ha come obiettivo tenere vivo il ricordo di questi tragici avvenimenti, grazie alla sperimentazione di nuove modalita' di comunicazione.

La mostra raccoglie il lavoro di ricerca e progettazione realizzato dagli studenti dell'atelier di Exhibit Design, tenuto dai professori Cecilia Cecchini e Maurizio Di Puolo nell'ambito della laurea magistrale in Design, Comunicazione Visiva e Multimediale della facolta' di Architettura della Sapienza universita' di Roma.

Gli studenti hanno progettato - con un approccio interdisciplinare che coinvolge comunicazione multimediale, architettura e grafica - un memoriale diffuso per San Lorenzo, in grado di superare la retorica dei tanti monumenti ai caduti.

Nei progetti presentati, i molti palazzi dall'inspiegabile profilo mutilato, sedi oggi di affollati ristoranti e pub, acquistano un nuovo senso; la realizzazione di piccole architetture del ricordo, la mappatura interattiva degli edifici distrutti accessibile con up dedicate, l'inserimento di postazioni multimediali che forniscono informazioni mirate, le testimonianze dei sopravvissuti raccolte in appositi siti web, danno nel loro insieme una modalita' nuova di lettura di quei luoghi restituendone la Storia.

 La scritta 'Eredita' del Fascismo', che comparve su un muro del quartiere San Lorenzo in quei giorni, e' ormai scomparsa, ma affinche' l'oggi non sia incosciente di quel che e' stato ieri sono necessari nuovi, puntuali e potentiprogetti di comunicazione. 

 I progetti in mostra realizzati dagli studenti e i filmati che li accompagnano forniscono una chiave di lettura coinvolgente delle tracce di quegli accadimenti facendone l'occasione per raccontare la Storia e propongonouna modalita' di fruizione dello spazio pubblico all'insegna della conoscenza, della condivisione e della valorizzazione dei luoghi.Un evento collaterale alla mostra e' la presentazione, martedi' 15 Maggio alle 17, di Caratteri clandestini.

 La tipografia nella resistenza italiana, il volume di Andrea Vendetti in uscita per ETS Edizioni, che nasce dallo sviluppo della tesi di laurea in Disegno Industriale, relatore Cecilia Cecchini. Il testo approfondisce lo studio delle tipografie attive in Italia durante la Resistenza e della grafica della stampa clandestina. La mostra e' a cura di Cecilia Cecchini e Maurizio Di Puolo per il Dipartimento di Pianificazione, Design, Tecnologia dell'Architettura della Facolta' di Architettura - Sapienza Universita' di Roma, promossa da Roma Capitale - assessorato alla Crescita culturale - Dipartimento Attivita' Culturali in collaborazione con Ze'tema Progetto Cultura.

Fonte Lapresse

10/10/17

I Fratelli Taviani portano sullo schermo "Una questione privata" di Beppe Fenoglio alla Festa del Cinema di Roma.



Liberamente tratto dal capolavoro di Beppe Fenoglio - considerato da Calvino uno dei piu' bei romanzi italiani del Novecento - "Una questione privata" di Paolo e Vittorio Taviani sara' presentato alla Festa del Cinema di Roma venerdi' 27 ottobre e sara' poi in sala dal 1° novembre distribuito da 01 Distribution

«Oggi, nel nostro tempo ambiguo - dicono Paolo e Vittorio Taviani - tempo di guerra non guerreggiata, Fenoglio ci ha suggestionato con il suo "Una questione privata": l'impazzimento d'amore, e di gelosia, di Milton, il protagonista, che sa solo a meta' e vuole sapere tutto. Da qui siamo partiti per evocare, in una lunga corsa ossessiva, un dramma tutto personale, privato appunto: un dramma d'amore innocente e pur colpevole, perche' nei giorni atroci della guerra civile il destino di ciascuno deve confondersi con il destino di tutti». 

Luca Marinelli da' il volto a Milton, ragazzo introverso e riservato, mentre Lorenzo Richelmy e' Giorgio, allegro e solare: i due amici amano entrambi innamorati di Fulvia (Valentina Belle'). 

Lei si lascia corteggiare, giocando con i loro sentimenti. 

I tre ragazzi nell'estate del 43 si incontrano nella villa estiva di Fulvia per ascoltare e riascoltare il loro disco preferito: Over the Rainbow. E nonostante la guerra, sono felici. Un anno dopo tutto e' cambiato. Milton e Giorgio sono ora partigiani. È inverno e la nebbia e' calata su tutto. Milton si ritrova davanti alla villa dei tempi felici, ormai chiusa e si abbandona al ricordo di Fulvia. 

La custode lo riconosce e invitandolo ad entrare allude ad una relazione tra la ragazza e il suo migliore amico Giorgio. Per Milton, logorato dal dubbio, si ferma tutto: la lotta partigiana, gli ideali, le amicizie. Ossessionato dalla gelosia, vuole scoprire la verita'. E corre attraverso le nebbie delle Langhe per trovare Giorgio, ma Giorgio e' stato catturato dai fascisti. L'unica speranza e' trovare un prigioniero fascista da scambiare con l'amico, prima che questi venga fucilato. 

04/11/16

Una poesia scritta a mano da Anna Frank (e sconosciuta finora) va all'asta ad Amsterdam.




Una poesia scritta a mano da Anna Frank poco prima che si nascondesse con la famiglia ad Amsterdam, un pezzo "estremamente raro", sarà venduta all'asta a fine novembre a Haarlem, in Olanda

Lo ha annunciato  la casa d'aste olandese Bubb Kuyper. Il valore di questo testo scoperto in un album di ricordi scolastici di "Cricri" (Christiane) van Maarsen, sorella maggiore della sua migliore amica Jacqueline, si situa fra i 30 e i 50.000 euro, secondo Bubb Kuyper. Il testo reca la data del 28 marzo 1942, poco prima che Anna Frank e la famiglia si nascondessero nell'alloggio segreto per sfuggire ai nazisti dove vi resteranno fino all'agosto 1944, quando furono denunciati e deportati.

Secondo il quotidiano NRC.Next, è la quarta volta soltanto che un testo manoscritto da Anna Frank viene messo all'asta. Una serie di lettere di Anna e della sorella Margot a dei destinatari americani era stata aggiudicata nel 1988 per 165.000 dollari. Un libro di fiabe, con le firme di Anna e di Margot, è stato invece venduto a maggio a New York per 62.500 dollari, più del doppio del prezzo stimato. La poesia che sarà messa all'asta è firmata da queste parole: "in ricordo di Anna Frank". 

Le quattro prime righe sono state probabilmente ricopiate da una periodico del 1938, ma le quattro righe successive non sono state ritrovate fino a questo momento in altre fonti. 

La Casa di Anna Frank di Amsterdam, che non pensa di fare una offerta, sostiene che sia "assolutamente straordinario scoprire ancora, dopo tanti anni, un manoscritto sconosciuto", ha commentato una portavoce, citata da NRC.Next

fonte askanews e Afp

16/09/16

Il film del giorno: "Giulia" di Fred Zinnman (1978).



Pluricandidato all'Oscar '78 Giulia, opera del grande Fred Zinnemann, e uno dei più bei film sull'amicizia e sulla solidarietà femminile.  

E' ambientato in due diverse fasi storiche ed è ispirato dal romanzo Pentimento di Lilian Hellman, scrittrice americana morta a Tisbury nel 1984. 

Tutto si svolge intorno all'amicizia passionale e quasi morbosa di due ragazze, la Hellman (Jane Fonda) e Giulia (Vanessa Redgrave), iniziata e sbocciata in solitari castelli di proprietà degli aristocratici nonni di Giulia e conclusasi durante la guerra, quando dopo molte peripezie, Giulia viene dapprima sfigurata durante l'occupazione nazista di Vienna, e poi ritrova la sua amica, parecchi anni più tardi, quando è arruolata in una organizzazione segreta e ha una figlia piccola da salvare. 

Un film incredibilmente lucido e mai compiaciuto, con la fotografia del grande Douglas Slocombe, e ricostruzioni storiche accuratissime. 

Ne viene fuori la figura di due donne molto diverse ma profondamente umane in un momento storico in cui anche Hollywood finalmente cominciò a interessarsi di storie e psicologie femminili non convenzionali. 

La Redgrave conquistò per questo film l'Oscar come migliore attrice non protagonista, anche se il suo ruolo è il vero fulcro del film. 

Oscar per il migliore attore non protagonista a Jason Robards. 





25/04/16

Il misterioso "cimitero delle scarpe" di Piazzale Ostiense, forse legato ai fatti della Liberazione di Roma.



La Via Tecta di San Paolo e il misterioso cimitero delle scarpe

La sua esistenza è attestata da molte e diverse fonti storiche, ma finora le risultanze archeologiche erano piuttosto scarse: la celebre Via Tecta di cui parlano le fonti antiche era quel porticus lungo ben tre chilometri (quattordici stadi, secondo le misurazioni romane) che collegava la Porta delle Mura Aureliane (la moderna Porta San Paolo) alla tomba dell’apostolo lungo la Via Ostiense

Si trattava di un’opera monumentale, poggiata su uno splendido colonnato, che è andata interamente perduta e di cui sono rimaste soltanto tracce nel sottosuolo, tra le quali quella della Chiesa di San Salvatore de Porta che sorgeva proprio lungo il criptoportico. 

Questa antica e preziosa chiesa fu anch’essa interamente distrutta nel 1849 durante i moti rivoltosi di quell’anno e anche le rovine furono ingoiate dai lavori di costruzione della nuova via di collegamento stradale. Nuove e importantissime conferme dell’esistenza del porticus (pilastri in mattoni e archi in travertino) sono arrivate recentemente da scavi nella zona (per la realizzazione di condutture del gas) che ha messo anche in luce strutture archeologiche risalenti al IV secolo d.C. (l’epoca in cui fu ricostruita la prima Basilica di San Paolo voluta da Costantino e rifatta dagli imperatori Teodosio I, Valentiniano e Graziano) compresi i resti della cripta sotterranea della chiesa di San Salvatore de Porta. 

Ma una nuova e più incredibile sorpresa è riaffiorata dal cantiere, lasciando del tutto sbigottiti i ricercatori e gli archeologi: in Piazzale Ostiense, infatti, è riemerso un inquietante deposito di decine e decine di scarpe di cuoio, di ogni tipo e foggia, di modello maschile, femminile e perfino molte di taglie per bambini, appartenenti di sicuro alla prima metà del Novecento. 

Tutto lasciava intendere che ci si fosse imbattuti in una fossa comune, della quale si ignorava e si ignora l’esistenza. 

Ma, proseguendo gli scavi, non sono state trovate ossa umane. E il mistero, si è, paradossalmente infittito: chi ha sepolto tutte quelle scarpe ? E per quale motivo ? E perché in quella zona ? Le scarpe hanno subito fatto pensare ad episodi di violenza: le scarpe sono la prima cosa che viene tolta ai morti.

La zona, poi, quella di Porta San Paolo, non è lontana (o è pertinente) dalle aree che furono teatro di vicende belliche importanti: le deportazioni del Ghetto di Roma, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, i combattimenti di Porta San Paolo per la liberazione di Roma, i bombardamenti di San Lorenzo.

 Il lugubre cimitero delle scarpe, riaffiorato da una profondità di circa due metri, potrebbe far pensare a qualche evento di quel periodo del quale si è persa traccia. Oppure proprio ad uno di quelli di cui già sappiamo, ma che non è mai stato messo in relazione con questo luogo e con questo recente ritrovamento. A rendere intricato il giallo è anche la numerosa percentuale, tra i reperti trovati, di scarpe appartenuti a bambini.

27/01/15

Giornata della memoria 2015. Hermann Goering a Norimberga.






Era seduto tra due estranei.  Fermi per convenzione, per obbligo, per divisa.  E forse pensava a qualcosa di inutile, a quel che aveva mangiato a colazione, forse a sua moglie o forse non pensava a niente. 

Come una furiosa cavalcata ebbra l'aveva portato fin lì. Con quegli uomini che - in una lingua straniera - gli chiedevano conto: lui un prigioniero, lui trattato come un miserabile, lui che in fondo non aveva fatto altro che il proprio dovere, lui che poi aveva anche capito prima di altri la follia del capo e aveva cercato anche di succedergli. 

Lui che messo ai margini dal capo - anche a causa della sua figura imbarazzante e del suo grasso superfluo (140 chili era arrivato a pesare) - s'era perfino preso la briga di compatire quei milioni che morivano nelle fosse e nei forni di Auschwitz.

Lui che ora era perfino magro, un altro uomo: con uno sguardo serio, fisso davanti a sé, appena un po' compiaciuto. 

Che domande gli sarebbero arrivate ora. Che altro gli avrebbero chiesto. Di cosa lo avrebbero accusato. Di essere un soldato, in fondo. Di aver fatto quello che bisognava

Forse sarà morto sognando la luna. Forse non avrà sognato nulla. Perché i vermi si erano impadroniti ormai anche dei suoi sogni. 

Fabrizio Falconi

Nella foto Hermann Goering al Processo di Norimberga nel 1946.  Processato dagli alleati, venne riconosciuto colpevole di «aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre d'aggressione» e di aver commesso «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità». Udita la sentenza di morte per impiccagione, Göring chiese di essere fucilato; il tribunale respinse la richiesta. Poche ore prima che iniziassero le esecuzioni - attorno alla mezzanotte del 15 ottobre 1946 - si tolse la vita, inghiottendo una capsula di cianuro introdotta di nascosto nella sua cella, forse da un tenente dell'Esercito Americano, Jack "Tex" Wheelis, con il quale Goering intratteneva rapporti amichevoli.

02/08/14

Il Castello Miramare a Trieste e la leggenda nera (Monumenti esoterici d'Italia)





Il Barone Bernard Cyril Freyberg è uno di quei personaggi che hanno attraversato pagine cruciali della storia da protagonisti, ma senza lasciare, per strani motivi, tracce memorabili. Pochi sanno che fu proprio questo generale, neozelandese, a guidare le operazioni,  dopo aver partecipato alle campagne di Creta e del Nord Africa, del controverso bombardamento dell’Abbazia di Montecassino, insieme al generale Clark,  nel febbraio del 1944. Il parziale fallimento di quella operazione – l’Abbazia non nascondeva truppe tedesche come si credeva – non compromise l’avanzata delle truppe alleate e la progressiva conquista dell’Italia da sud a nord.

I primi giorni di maggio del 1945, le truppe neozelandesi sono in Friuli. Passano il Tagliamento, poi all’alba del 2 maggio l’Isonzo, trovandosi di fronte le truppe dei partigiani jugoslavi del generale Tito, che provenendo da nord, sono già entrate a Trieste.  I neozelandesi formano due colonne, l’una prende la via interna attraversando il Carso, l’altra segue la strada costiera e raggiunge il Castello di Miramare a mezzogiorno.

Alle quattro del pomeriggio, anche le truppe neozelandesi sono a Trieste, accolte in strada dalla popolazione. I tedeschi si arrendono. A loro penseranno gli jugoslavi, con esecuzioni sommarie nelle famigerate foibe. Il comando neozelandese si installa all’Hotel de Ville, in pieno centro.  Ma, dopo aver parlato con il comandante jugoslavo Vodopivez, il generale Freyberg, che comanda le truppe neozelandesi, fa ritorno al Castello Miramare: in quel luogo, di cui ha sentito così tanto parlare, ha deciso di porre il suo quartiere generale. 

Quando però, la mattina dopo, gli attendenti jugoslavi lo vengono a cercare, per comunicargli che Vodopivez ha assunto il comando generale della città di Trieste, si trovano di fronte la scena del Barone Freyberg che anziché accogliergli nelle sale del Castello, li riceve fuori da una rudimentale tenda da campo, allestita nei giardini.

Dopo molti giorni di cammino e di battaglie, è piuttosto strano vedere questo generale, di alto lignaggio e di nobili natali, approdato in una residenza principesca, dormire in una tenda da campo.

Sarà lo stesso Freyberg a spiegare la scelta ai suoi luogotenenti: quel bellissimo luogo, il Castello Miramare, dice, ha una fama sinistra. Chiunque vi abiti, spiega il Barone, è destinato a morire prematuramente e in terra straniera.

E’ il motivo per cui, lui che tiene molto a tornare sano e salvo alla fine della guerra dalla sua famiglia che lo aspetta agli antipodi in Nuova Zelanda, preferisce evitare di soggiornare all’interno delle mura del Castello.

Ma come poteva, un generale neozelandese, nel pieno della guerra, essere al corrente di una storia come quella, così distante, così lontana nello spazio e nel tempo ?

Evidentemente, il Castello Miramare di Trieste aveva già molto fatto parlare di sé e non doveva essere estraneo a questo comportamento del generale Freyberg, il fatto che egli fosse un veterano della rivoluzione messicana. Era probabilmente proprio lì, in Messico, che aveva sentito nominare per la prima volta il Castello Miramare, la residenza fatta costruire dall’Imperatore Massimiliano d’Asburgo, che proprio al di là dell’Oceano, in Messico aveva trovato il suo Regno e la sua ignominiosa fine, fucilato come un qualsiasi traditore o rivoltoso, il 19 giugno del 1867 a Santiago de Querétaro.

In realtà la fama sfortunata del Castello non era legata soltanto a Massimiliano, ma anche ad altri principi che transitarono successivamente per quei luoghi.  

(segue) 

Tratto da Fabrizio Falconi, Monumenti esoterici d'Italia, Newton Compton, 2013

01/07/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)




Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (3./)

Nella mia gioventù, scrisse negli anni della vecchiaia, io ero stupefatto nel vedere alcuni cristiani che, anche se si riferivano continuamente a un Dio d’amore, spendevano tanta energia per giustificare delle opposizioni. E mi dicevo: per comunicare il Cristo, c’è realtà più trasparente che una vita donata, dove giorno dopo giorno la riconciliazione si compia in concreto ? Allora io ho pensato che era essenziale creare una comunità dove gli uomini decidono di donare tutta la loro vita e qui cercano sempre di riconciliarsi.   
      Questo pensiero era già un assillo, anche se adesso l’urgenza principale era quella di mettere in salvo tanti derelitti – i cugini ebrei – in fuga dai campi di sterminio, e per non creare problemi era Geneviève a spiegare ai vari ospiti della casa che – per non turbare le diverse suscettibilità religiose – era meglio che ognuno pregasse nella sua stanza, da solo.

La situazione, però, in quel borgo a così pochi chilometri dal confine, cominciò presto a farsi molto pericolosa. I genitori di Roger e di Geneviève, venuti a conoscenza del rischio che i figli stavano correndo, chiesero a un vecchio amico di famiglia, un ufficiale in pensione, di vegliare su di loro, e quando, nell’autunno del 1942, arrivò la soffiata che i due fratelli Schutz erano stati scoperti dalla Gestapo, fu organizzata una tempestiva fuga che permise a Roger e Geneviève di riparare in Svizzera.

L’11 e il 12 novembre del 1942 la Francia è completamente occupata, e la polizia nazista perquisì due volte la casa, sperando di trovare i fuggiaschi, e gli ebrei che erano stati nascosti.  Ma la fuga è riuscita, e la casa viene trovata vuota.
      Furono due lunghi anni quelli che Roger fu costretto a trascorrere in Svizzera, aspettando il momento per poter ritornare in Borgogna.

Lo fece dopo la liberazione di Parigi, nel settembre del 1944, ma non da solo: a Roger si erano infatti già uniti i primi fratelli che aveva incontrato e con i quali aveva iniziato una vita in comune.  Difatti, mentre viveva nel paesino francese,  Roger aveva scritto un libretto,  intitolato Note explicative, in cui esponeva, in poche e chiare pagine, il suo ideale di vita. Pubblicato a Lione grazie all'interessamento dell'abbé Couturier,  questo piccolo volume era stato letto da due studenti, Pierre Souvairan e Max Thurian, che raggiunsero senza esitazione Roger a Ginevra per unirsi a lui, nella missione evangelica.

Tornato insieme ai due nuovi compagni a Taizè, Roger si trovò di fronte una situazione di totale desolazione.  La piccola comunità che si andava formando, cominciò con il dare accoglienza ai bambini e ai ragazzi rimasti orfani di guerra, poi l’ospitalità si allargò subito ai reduci di entrambi i fronti.  Poco distante da Taizè v’erano infatti due campi di soldati tedeschi fatti prigionieri dagli alleati.  Utilizzando uno speciale lasciapassare i tre (a cui nel frattempo si è aggiunto un  quarto, Daniel de Montmollin), ricevettero il permesso di ospitare quei prigionieri a casa loro la domenica, per offrirgli un pasto e un momento di preghiera.

Da quel giorno il numero dei fratelli, per fortuna, cominciò rapidamente. Nel 1948 la chiesa del paesino di Taizè, grazie ad una autorizzazione firmata dal nunzio a Parigi,  Angelo Giuseppe Roncalli – il futuro papa Giovanni XXIII – venne messa a disposizione per la preghiera della piccola comunità  e a Pasqua 1949, proprio in quella chiesa, i fratelli si impegnarono per sempre nel celibato, nella vita comune e nel perseguimento di una esistenza molto semplice, eleggendo nel contempo Frère Roger come priore.

Tre anni dopo, nel silenzio di un lungo ritiro, durante  l’inverno del 1952,  la regola di vita, divenuta universalmente nota come Regola di Taizé – o Fonti di Taizé come fu chiamata più tardi – fu definitivamente scritta dal Frère, in un breve testo di poche pagine,  che contiene i principi fondamentali spirituali a cui la Comunità fu chiamata ad ispirarsi e ancora oggi si ispira (2), esprimendo “l’essenziale che rende possibile la vita comune.”


In uno di questi stringati capitoli, Frère Roger espresse il senso della sua ricerca di Dio:  Nel profondo della condizione umana, è scritto nella Regola, esiste l’attesa di una presenza.    Sappi che il solo desiderio di Dio è già l’inizio della fede.  Ciò che conta all’inizio, non sono le vaste conoscenze. Esse hanno certo un grande valore, ma è solo con l’intuizione che riesci in primo luogo a penetrare il Mistero della Fede. Saprai sempre ricordare la folgorante realtà del Vangelo: “Non siamo noi, ma lui che ci ha amati per primo”?  Questa è luce per la tua vita. Per strano che sia, abbandonati a lui e non inquietarti se non giungi ad amarlo subito. (3)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

2       Le Fonti di Taizè, di Frère Roger di Taizé (titolo originale Le sources di Taizé) sono pubblicate in Italia da Elledici, Torino, 1998, con traduzione a cura della stessa Comunità di Taizé.
3.      Le Fonti di Taizè,  Op.cit. pag.51/52

30/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)


La  musica fra l’altro, ebbe, nella famiglia di Roger, un'importanza del tutto particolare:
una zia aveva studiato virtuosismo pianistico addirittura con Hans Von Bulow e  Franz Liszt.  E anche Geneviève, la sorella che condividerà con Roger l’avventura della fondazione della Comunità, prima di raggiungere il fratello a Taizè,  studiava musica pensando di diventare una concertista.  Questa familiarità con la musica spiega bene la scelta dei canti e della meditazione musicale, come mezzo privilegiato di comunione e condivisione, che verrà realizzato molti anni dopo a Taizé.

Il giovane Roger era cagionevole di salute: durante l'adolescenza si ammalò di tubercolsi polmonare e diverse ricadute fecero temere il peggio.  Una volta guarito però, contro la volontà del padre che lo voleva teologo, manifestò l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Lettere per diventare scrittore.  Ma raggiunta Parigi, dove portò con sé un primo scritto – intitolato: Evoluzione di una giovinezza puritana – cambiò idea, finendo proprio per iscriversi alla facoltà di Teologia, prima a Losanna e  poi a Strasburgo. 

Al termine di questo, periodo, nel 1940, quando l’Europa bruciava ormai del conflitto mondiale, viaggiando in bicicletta,  Roger riuscì a raggiungere la Francia, che significava per lui un ritorno alle origini della sua famiglia materna: il giovane si sentiva chiamato a ripercorrere le orme della anziana nonna, Marie-Louise Marsauche-Delachaux, che durante il primo conflitto mondiale si era prodigata, nelle sue terre, per dare rifugio agli scampati dalla guerra. Rimasta vedova, all'inizio del primo conflitto mondiale, infatti,  viveva nella Francia del Nord, a pochi chilometri dal fronte, dove combattevano tre dei suoi figli. La sua casa, finché il pericolo non la costrinse a riparare in Svizzera, era divenuta rifugio per donne incinte, vecchi, bambini. Fu a quanto pare proprio la nonna, ad inculcare nel nipote l’importanza della riconciliazione tra  i cristiani d’Europa, per scongiurare conflitti così crudeli come quello a cui lei aveva assistito.  Da giovane, raccontò il Frère un giorno,  sono partito in bicicletta, per trovare una casa dove pregare, dove accogliere e dove ci sarebbe stata un giorno questa vita di comunità.  Idee già molto radicate e chiare, dunque.

E Roger trovò questo posto dove stabilirsi, proprio in Borgogna, vicino a Cluny, dove sorge una delle più antiche abbazie d’Europa, fondata nel 910 d.C. centro del monachesimo occidentale benedettino.

Un racconto riferito dallo stesso Frère, vuole che egli fu spinto a scegliere il piccolo villaggio di Taizè, poco distante da Cluny, proprio a seguito del calore con cui fu accolto dai suoi abitanti, e in particolare delle suppliche di una vecchia contadina, una certa Henriette Ponceblanc, che invitatolo a pranzo, gli disse: "Resti qui, siamo così soli".   Una frase che, come riferì più tardi, a Roger sembrò proferita dal Cristo stesso attraverso le parole di quella donna.  

Quella scelta fu davvero provvidenziale: Taizé sorgeva infatti vicinissima alla linea di confine che divideva in due la Francia, dopo l’invasione nazista, ed era il punto di passaggio ideale dei molti rifugiati che cercavano scampo al sud, sfuggendo all’occupazione dei tedeschi.

In condizioni molto precarie – con l’aiuto di un prestito e della sorella Geneviève accorsa dalla Svizzera -  Roger comprò una vecchia casa abbandonata, insieme a due casupole adibite a dimora dei contadini.   Si mise al lavoro e in breve tempo riuscì a rendere gli edifici abitabili. L’acqua era quella di un pozzo, si mangiava quel poco che si riusciva a comperare al mulino del paese. 


Eppure, in condizioni così povere, così modeste, Frère Roger cominciò a edificare le fondamenta della sua grande opera, decidendosi ad offrire rifugio a decine di ebrei in fuga dalla Francia occupata. In quei mesi drammatici, pregava da solo per tre volte al giorno  in un piccolo oratorio, come farà poi la futura comunità che aveva già in mente. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

29/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)

Il nome di Roger Louis Schutz, detto frère Roger fece il giro del mondo quel caldo giorno, il 16 agosto del 2005, quando la notizia che una donna squilibrata aveva accoltellato l’ottantenne fondatore della Comunità di Taizè, impressionò  gettando nello sconforto le centinaia  di migliaia di persone che nel corso dei decenni avevano soggiornato tra quelle colline della Borgogna, alla ricerca di un ristoro o di una rigenerazione spirituale.
Le circostanze della morte del frère, assai simili al martirio (seppure per mano di una persona non in possesso di tutte le facoltà mentali) contribuirono alla riconsiderazione della vicenda umana di un uomo dalla personalità unica, che con la sua opera dedicata agli altri ha attraversato gran parte del Novecento, un cammino che ha lasciato tracce ben visibili, e tutt’oggi importantissime.

Ogni settimana, a Taizè, continuano a riunirsi e a pregare, recitando i famosissimi canti della Comunità,   nella  Chiesa della Riconciliazione – costruita nel 1962 e ampliata con un grande avancorpo nel 1990 – migliaia di persone di almeno 70 nazionalità diverse.  Gli incontri intercontinentali organizzati dalla Comunità  riuniscono da 3000 a 6000 persone ogni settimana d’estate,  e da 500 a 1000  in primavera e in autunno.  La preghiera di ogni sabato sera – a Taizè ogni settimana è scandita sui tempi della Settimana Santa di Cristo -  è come una veglia di Pasqua, una festa della luce.   Ogni venerdì sera c’è la suggestiva adorazione della croce, che si prolunga per ore.  E ognuno è chiamato a prostrarsi, affidando al Legno le proprie pene personali. Le lettere di  Frèrè Roger continuano ad essere diffuse in 60 diverse lingue del mondo.  Alla fine di ogni anno Taizè organizza grandi incontri  di giovani – si arrivano a contare fino a centomila presenze – nelle grandi città europee e negli altri quattro continenti.  Al termine di questo pellegrinaggio di fiducia  sulla terra, ogni partecipante è chiamato a portare la pace e la riconciliazione  nelle loro città, nei luoghi di lavoro,  nelle università, tra le diverse generazioni.

Taizè, nel corso degli anni, è divenuta quella sorgente che il suo fondatore sognava.  I fratelli – delle diverse confessioni cristiane -  non sono lì per accettare doni o regali. Svolgono, invece, quel ruolo che la fede, secondo Frère Roger è chiamata sempre di più ad assolvere nel convulso mondo moderno:  Quando la Chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, essa diventa ciò che di più trasparente  ha in se stessa: il limpido riflesso di un amore. (1)

Un sogno, quello della pace e della riconciliazione – prima di tutto tra i diversi fratelli che si riconoscono in Cristo e che sono da secoli divisi – inseguito da Frère Roger sin dall’infanzia, e tenacemente portato avanti – con una forza che assomiglia molto alla santità -  attraverso molti e radicali ostacoli.


Roger Schutz - il nome completo è Roger Louis Schutz-Marsauche -  nato a Provence, un paese di trecento anime, nel cantone svizzero del Vaud, il 12 maggio del 1915, proveniva, ultimo di nove figli,  da una famiglia protestante.   Il padre, Karl Ulrich Schütz era il pastore della parrocchia di Provence, sua madre  Amélie Henriette Schütz-Marsauche aveva invece origini francesi, della Borgogna, ed era una appassionata di musica che, prima di sposarsi, aveva studiato canto a Parigi con l’ambizione di diventare un giorno una cantante solista.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Così  Frère Roger in Olivier Clément, Taizè-un senso alla vita, edizioni Paoline, Milano 1998, pag. 84.