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02/05/16

Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.





Inediti come 'Tradimento' scritto nel 1934, undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera

Arriva in libreria domani negli ETBiblioteca Einaudi 'Un'assenza' (pp 366, euro 18) che raccoglie 'Racconti, memorie, cronache 1933-1988' di Natalia Ginzburg, a cura di Domenico Scarpa con in copertina Raja di Felice Casorati

 Sono trentasette testi, per la maggior parte mai raccolti prima d'ora, apparsi in alcuni casi in riviste o antologie, che restituiscono, lungo piu' di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le piu' belle voci del Novecento italiano

 Nella prima parte sono raccolti per la prima volta tutti i racconti brevi di Natalia Ginzburg: quindici testi dei quali undici mai radunati prima d'ora in volume

La seconda parte, 'Memorie e cronache', con 22 testi di cui 12 mai apparsi in volume, si apre con la poesia 'Memoria' dell'8 novembre 1944. E' dedicata a Leone Ginzburg, primo marito di Natalia, morto nellaprigione di Regina Coeli in seguito alle torture dei carcerierinazisti. 

Un testo conosciuto, da rileggere e custodire come il 'Discorso sulle donne'.

 Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è, come viene sottolineato nella quarta di copertina, "una rivelazione, una vicenda che scorre su piu' nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano". 

 Nelle oltre 350 pagine si ritrova la voce ruvida, duttile, scontrosamente intonata, della Ginzburg, nata a Palermo nel 1916 e morta a Roma nel 1991, autrice di libri come 'Le piccole virtu", 'Lessico famigliare' e 'Mai devi domandarmi'. 'Un'assenza' e' la storia di questa voce nel suo lungo percorso in cui viene reso visibile il cammino di un autore che si sperimenta nella scrittura breve come primo genere di composizione. 

Nel volume anche Notizie sui testi con una grande quantità di documenti dove, nella maggioranza dei casi, e' ancora una volta l'autrice a testimoniare di se'.



19/01/16

E' morto il grande Michel Tournier.




A 91 anni e' morto, lontano dai riflettori di Parigi, Michel Tournier, considerato uno dei più grandi scrittori francesi del secolo scorso, più volte citato come candidato al Nobel per la letteratura.

Arrivato tardi alla scrittura - aveva 42 anni alla pubblicazione del suo primo romanzo - Tournier ha scritto per adulti e adolescenti, riuscendo a mescolare mito e storia.

Per Gallimard, pubblicò a meta' anni Sessanta "Venerdi' o il limbo del Pacifico", ispirato al Robinson Crusoe di Daniel Defoe.

Nel 1970 ottiene - unico scrittore francese nella storia - il premio Goncourt all'unanimità della giuria, per "Il re degli Ontani", che vendera' in 4 milioni di copie.

"Venerdi' o la vita selvaggia", versione semplificata della sua prima opera, vendette 7 milioni di copie e fu tradotta in 40 lingue, diventando un classico per ragazzi letto ancora oggi in tutte le scuole.


fonte ANSA


22/11/15

"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così" - "Tumbas", l'ultimo libro di Cees Nooteboom.



«La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare.» Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. 

Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent’anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un’epigrafe toccante o l’incanto di un’atmosfera, hanno ancora da raccontare. 

Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell’isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag

Ogni tomba è un lampo sul mondo dello scrittore che la occupa, rievocando una poesia, un frammento di vita o di libro, ispirando folgoranti riflessioni e inattesi collegamenti, in un appassionante pellegrinaggio indietro e avanti nella storia della letteratura e del pensiero, che con Nooteboom diventa una meditazione poetica sull’uomo, il tempo e l’arte. 

Mentre a ogni pagina cresce il desiderio di andare a leggere e rileggere le opere dei suoi cari immortali


Cees Nooteboom

20/11/15

"Un amore degli anni venti" di Simone Caltabellota, i meravigliosi tempi di Sibilla Aleramo. (Recensione)




Finalmente un libro diverso

Simone Caltabellota, con pazienza certosina e amore appassionato ha ricostruito una storia perduta italiana, dell'Italia degli anni venti, una vicenda d'amore (e non solo amore, ovviamente) tra una grande scrittrice e un giovane mago, Sibilla Aleramo e Giulio Parise. 

Ma il libro è molto di più: è la ricostruzione meticolosa di quella complessa trama di relazioni, intrighi, rancori, disegni politici, tradimenti intellettuali, tradizioni iniziatiche e pratiche magiche - come recita la bandella del volume - che ruota intorno al misterioso «Gruppo di Ur» e alle figure di Julius Evola e del matematico pitagorico Arturo Reghini, avendo come teatro la Roma magica di quegli anni, con i suoi palazzi, i caffè, i teatri, le biblioteche, e anche i commissariati di polizia. 

Fu proprio durante il Ventennio infatti che la storia d'amore tra Sibilla Aleramo, all'epoca una scrittrice già famosa e  Giulio Parise, molto più giovane di lei, bellissimo e misterioso, sfida le convenzioni e la rigida disciplina di quegli anni, rispolverando l'antica e magica Sapienza pagana alle origini della civiltà italica e dell’intera cultura occidentale, quella stessa Sapienza alla quale in quegli anni si rivolgevano diverse associazioni filosofiche, massoniche, esoteriche in diverse parti d'Europa.

Sibilla e Giulio - del giovane Mago si sono perse le tracce definitivamente e al giorno d'oggi non esiste nemmeno una sua foto, per reperirla Caltabellota si è rivolto agli eredi, che ancora vivono a ROma - si incontrano, si amano, si perdono, si allontanano, si ritrovano, si tengono uniti sul filo di una esperienza iniziatica, una serie di prove che Giulio impone a Sibilla insieme alla sua distanza

E Caltabellota ricostruisce questa vicenda, mai raccontata, passo dopo passo, attingendo direttamente dalla Fondazione Gramsci e dall'Archivio Aleramo dove sono custodite le lettere originali, i biglietti autografi, le fotografie. Sono le voci di quel mondo apparentemente lontano e invece molto moderne, con le sue inquietudini, i suoi strappi, i suoi disorientamenti tra desiderio di elevazione e passioni divoranti. 

Pagina dopo pagina affiora il destino perduto di Sibilla, il suo amore che non si è completamente concesso, che è rimasto sempre misteriosamente negato, il volto di Giulio che appare e scompare, tra le diatribe di Reghini ed Evola che si accapigliano sulle riviste dell'epoca su ardue questioni filosofiche che soltanto in apparenza celano i risentimenti e i risvolti passionali, nei confronti di quella donna, Sibilla, che ha saputo tenere magicamente i fili di vicende così diverse, restando protagonista, restando sempre, anche di fronte alla sofferenza, nuda, se stessa. 

Un amore degli anni Venti 
Simone Caltabellotta 
Collana: Scrittori 
Ponte alle Grazie
Pagine: 192Prezzo: € 15.00

Fabrizio Falconi


16/09/15

Viaggio in Russia sulle orme dei grandi scrittori russi.



Un viaggio nella Russia centrale sulle orme dei grandi protagonisti della letteratura e delle arti russe. 

E' l'iniziativa dell'Associazione Conoscere Eurasia di Verona che fino al 20 settembre guiderà nove giovani scrittori italiani alla scoperta di Lev Tolstoj, Fedor Tjutcev, Anton Cechov, Alexander Blok, ma anche del pittore Vasilij Polenov e di Petr Cajkovskij. I

Il tour, organizzato in collaborazione con l'Agenzia Federale per la stampa e le comunicazioni, l'Istituto delle traduzioni Ad Verbum con il sostegno di Banca Intesa Russia, farà tappa in 7 citta': Mosca, Melikhovo, Polenovo, Tarusa, Ja'snaja Polia'na, Spasskoe-Lutovinovo, Klin e Shakhmatovo. 

"Italia e Russia hanno relazioni culturale dal X secolo - ha spiegato Antonio Fallico, presidente di Conoscere Eurasia e di Banca Intesa Russia -. Nel corso della storia i protagonisti della letteratura, dell'arte e della musica di entrambi i Paesi hanno approfondito e arricchito la reciproca conoscenza". 

"Le contaminazioni che ne sono scaturite - ha aggiunto - confluiscono nel grande patrimonio culturale che, come un fil rouge, lega questi due popoli tradizionalmente amici". 

 Tra le mete del viaggio dei nove giovani talenti italiani, quest'anno scelti tra i finalisti e i vincitori delle scorse edizioni del Premio letterario italo russo 'Raduga' (sempre organizzato dall'Associazione Conoscere Eurasia), la casa museo Muranovo, patria di Tjutcev, uno dei piu' grandi poeti russi, il museo Polenovo con le opere del pittore Polenov, il museo di Tolstoj e di Blok, oltre alla visita al Gran Palazzo del Cremlino.

"Il viaggio degli scrittori italiani in Russia - ha concluso Fallico - e' una delle tante iniziative culturali dell'Associazione Conoscere Eurasia che, dal 2009, promuove in entrambi i Paesi attivita' volte alla conoscenza e al dialogo tra le due culture; presupposto necessario per lo sviluppo anche economico dei popoli". 

30/08/15

E' morto Oliver Sacks.




(ANSA) - ROMA, 30 AGO - Il famoso neurologo e scrittore britannico Oliver Sacks e' morto oggi a New York all'eta' di 82 anni. Lo scrive il New York Times online citando Kate Edgar, la sua assistente. 

Sacks, come lui stesso aveva annunciato a febbraio in un editoriale sul Nyt, era affetto da cancro, che lo aveva colpito al fegato ed era entrato nella sua fase terminale. 

Uno dei suoi piu' famosi libri e' 'L'uomo che scambio' sua moglie per un cappello', uscito nel 1985. (ANSA).




05/06/15

"Vivo nel bosco: ascolto gli alberi che sussurrano " - Intervista a Peter Handke di Alessandra Iadicicco.




Questa è la bellissima intervista realizzata da Alessandra Iadicicco (sua traduttrice per l'italiano) a Peter Handke, nella casa dello scrittore a Chaville, nei sobborghi di Parigi, pubblicata sull'ultimo numero de La Lettura del Corriere della Sera. 

«Ma sì, venga da queste parti a maggio, quando al margine del bosco, tra l’erba o sotto l’edera, vale la pena di scoprire i prugnoli di San Giorgio». L’invito di Peter Handke era arrivato per posta, dopo uno scambio di lettere e di osservazioni sul tradurre, dopo la richiesta di un incontro e l’invio di qualche immagine di certi trofei. Gli avevo spedito le foto dei porcini raccolti l’estate scorsa in Alto Adige, nei giorni in cui lavoravo alla traduzione del suo Saggio sul cercatore di funghi: un racconto fiabesco, la storia di un’incredibile avventura uscita in questi giorni da Guanda. Lui aveva risposto con la foto di un gigantesco piatto di funghi da lui stesso cucinati per Capodanno.

Handke ha un sense of humour che contraddice l’immagine, che in genere gli si attribuisce, di quell’orso eremita, schivo, furente, allergico ai giornalisti… Come dargli torto? Certe sue posizioni sono state travisate. Come nel caso della ex Jugoslavia ai tempi della guerra nei Balcani. Sostenne la popolazione jugoslava, sensibile «alla loro tragedia — disse —, alla loro situazione senza speranza». Si schierò per la Serbia, si scagliò contro i bombardamenti della Nato lanciati su migliaia di civili. Pianse la sorte dei bambini vittime innocenti del conflitto, per i quali l’anno scorso ha devoluto gli oltre 300 mila euro del Premio Ibsen. E, da certa stampa, fu etichettato come fascista, un sostenitore del boia Miloševic o addirittura del sanguinario generale Mladic. Ora, proprio in nome «della grande amicizia e della simpatia dimostrata da Handke verso la popolazione serba», Belgrado gli ha conferito pochi giorni fa la cittadinanza onoraria.

Dopo una vita avventurosa, abita da anni in solitudine nel sobborgo parigino di Chaville, in una casa che, cinta da un muro e dal verde, dalla strada non si scorge nemmeno. Ma il gesto con cui apre il cancello del giardino — per mostrare orgoglioso i due meli, il cotogno non ancora del tutto sfiorito, il giovane pero, il grande cedro, il noce, il castagno… è lui in persona a coltivare le piante — non potrebbe essere più ospitale.

Lei stesso ha tradotto molti libri, di autori antichi e moderni. Tradurre le procura gioia?
«Ho paura quando scrivo, sempre, ancora adesso. La scrittura propria è sempre pericolosa. Ma quando traduco non ho paura. Semmai ho problemi, ma i problemi si possono risolvere. Scrivendo invece… Scrivere non è normale come sembra per la maggior parte degli scrittori oggi. Così la letteratura non è più la grande spedizione che potrebbe essere. Tanti oggi trovano normale scrivere. Forse è naturale, ma non è normale. Può diventare naturale man mano che si scrive, ma l’inizio non è naturale: l’inizio è un sacrilegio».

Perché?

«Non lo so. Non posso sempre dire perché… Però è una necessità vitale. Senza scrivere non potrei esistere. Scrivere è sano, indica la via verso la salute. Tradurre invece è vampiresco. Ti divora l’anima, non la nutre a sufficienza. Anche quando si ama molto un libro, o si traduce un autore che si sente affine. Tradurre non basta. Però una volta tradurre fu per me una salvezza».

Quando? E la salvò da che cosa?

«Fu la prima traduzione, dall’inglese, una lingua che non amo parlare. Di un autore americano, Walker Percy, tradussi The Moviegoer, Der Kinogeher, un personaggio che mi somiglia. Era il 1979, ero appena tornato in Austria, ma non volevo tornare in patria. Per anni avevo vissuto all’estero, prima in Germania, poi a Parigi. Mi trasferii nel ’79 a Salisburgo: volevo che mia figlia Amina frequentasse il ginnasio in tedesco. Ma allora la patria per me era terra straniera. Fu la traduzione a riportarmi a casa, a rendermi di nuovo familiare il mio Paese. La lingua e, parallelamente, il paesaggio attorno a Salisburgo mi indicarono la strada. Lingua e paesaggio: una fragile patria… La lingua che usai per tradurre mi riportò al mio posto. Non la scrittura. Perché la scrittura, lo ripeto, è una patria pericolosa…».

Tradurre permette di stringere legami attraverso confini che oggi, ancorché invisibili, sono più che mai soffocanti…

«Già… Nel frattempo gli antichi confini — politici, economici — sono scomparsi. Eppure i confini culturali sono molto più forti. I libri — non parlo di libri veri — sono scritti dappertutto allo stesso modo: in America, Russia, Cina… Questa indifferenza è peggiore di qualsiasi confine, dei confini che un tempo mi erano cari. Le traduzioni, poi, sono sempre sostenute dai ministeri, finanziate dagli istituti di cultura. Si vuole promuovere la letteratura internazionale. Ma io sento la mancanza di una letteratura mondiale, di quella che Goethe chiamava la Weltliteratur, che nasce dall’eterno scambio tra i popoli attraverso i confini e i linguaggi. Non potrà mai scomparire, ma non sai dove scorre. È come un fiume carsico che fluisce al di sotto del terreno e devi accostare l’orecchio alle rocce calcaree per capire dove passa e dove verrà alla luce».

Confini lei ne ha attraversati tanti, non solo traducendo. Ha fatto il giro del mondo, ha cambiato vari i luoghi di residenza.

«Ma ora di qui non mi muovo più. Vivo a Chaville da 25 anni. E difendo il mio posto, difendo il luogo: la mia casa, il giardino…».


Sarà perché lei è uno scrittore di luoghi...

«Sarà perché soffro da sempre per la mancanza di un luogo, perché dall’infanzia conosco il dolore dello sradicamento. Così anche un luogo episodico è sempre stato come una grazia per me. Un posto però deve diventare epico: si deve raccontarlo, trasformarlo nel personaggio di una storia, far sì che possa apparire per tutti».

E come vive il trascorrere del tempo? Ha l’aria di un uomo che non invecchia. Come «il cercatore di funghi»: da bambino non voleva sapere nulla del suo futuro. Da adulto, avvocato di fama internazionale, nell’intimo non si è mai spinto oltre i margini del bosco.

«È così: decisivo per me è rimasto il mormorare degli alberi sul margine del bosco. Se mi sfuggisse quel sussurro, se non riuscissi più a coglierlo, mi direi: hai perso tempo, hai mancato il momento. Questo è il tempo per me. Non il tempo politico. Rifiuto di credere che il tempo politico sia il mio tempo, il mio destino. Gli sono sfuggito. Sono un profugo del mio tempo. E non mi volto indietro, come la moglie di Lot, a guardare verso la politica. Mi trasformerei in una colonna di pietra, con la quale non si può fare nulla. No, il tempo per me è un altro. Anche tutte le mie spedizioni libresche mi portano in un altro tempo. L’altro tempo è, credo, un Dio buono, l’unico Dio che io abbia mai visto. E anzi l’ho sempre visto come una donna una dea: die Göttin Zeit… La Dea Tempo mi ha sempre mostrato un volto femminile».

E la sua scrittura è senza tempo, fuori dal tempo, inattuale? Nel «Saggio sul cercatore di funghi» scrive: «Finché questa flora selvatica resisterà all’allevamento, alla coltura, fino ad allora l’andar per funghi resterà l’avventura della resistenza! Una forma di eternità». 

«Però non sono solo i funghi… Voglio dire. Quando si dice di un libro che è attuale io rispondo: allora non mi interessa. I libri non hanno niente a che fare con l’attualità. Attualità però è una bellissima parola. Allude all’azione, alla vita. Però a me piace riferirmi a un’altra attualità. Voglio dire, non esisterei senza “il mondo delle notizie”. Quel mondo però contribuisce a darmi l’impulso e l’energia a pensare ex negativo qualcos’altro. In questo senso ha ragione chi dice di me che sono uno scrittore utopico. Perfino nei miei diari entra il cosiddetto mondo dell’attualità e quel che mi accade attorno. L’altro giorno, ad esempio, c’era sul treno una coppia di anziani accompagnati da due giovani badanti romeni. La scena si svolgeva in silenzio, gli anziani erano muti, come i loro accompagnatori. Io però ho immaginato che i quattro intavolassero una singolare conversazione. È invenzione, il che non significa fantasia arbitraria, vuol dire da quella che è l’“attualità attuale”, fantasticare su una attualità eterna».

I suoi libri, le traduzioni, i saggi, i diari, sono tutti manoscritti. La sua scrittura è riprodotta sulla copertina delle edizioni originali… 

«Anche questo segna un tempo diverso. Da oltre trent’anni scrivo con la matita. Ho cominciato a farlo per via dei viaggi. Spostandomi da un Paese all’altro, le lettere sulla tastiera della macchina per scrivere erano in un ordine diverso. Questo mi distraeva. Mi irritavo, mi arrabbiavo: non sono tanto saldo di nervi… Dovevo cercare il tasto giusto e la fantasia, la visione interiore era minacciata — no, esagero — era disturbata. Così ho provato a scrivere a mano. Funzionava! Fu una sorpresa. Ne è sorto un nuovo ritmo, anzi, un’altra Folge la chiama Goethe, un’altra sequenza: in questo senso sì, la mia è una scrittura inattuale. Eppure ci sono un paio di persone che mi leggono. Però mi manca la scrittura epica. L’avventura del cercatore di funghi è stata l’ultima».

Come trascorre le sue giornate da solo qui

«La mattina leggo, annoto quel che è accaduto il giorno prima, vado nel bosco, di solito verso mezzogiorno, quando tutti sono a tavola. D’inverno nel pomeriggio vado al cinema, a Parigi o a Versailles. Film ne vedo tantissimi, anche quelli brutti. Comunque il cinema è stimolante. Lo stesso non vale per i libri. Un brutto libro provoca un’irritazione sterile e cattiva. Il cinema, però, con tutte le sue potenzialità, non potrà mai colmare il posto della letteratura, che al momento è vuoto. Peccato».

intervista realizzata da Alessandra Iadicicco (sua traduttrice per l'italiano) a Peter Handke, nella casa dello scrittore a Chaville, nei sobborghi di Parigi, pubblicata sull'ultimo numero de La Lettura del Corriere della Sera. 


La casa di Peter Handke a Chaville

17/05/14

'Il cardellino' di Donna Tartt: il piacere (effimero) di leggere una storia.




Di solito - premetto - non leggo libri così.   
Intendo libri che arrivano preceduti da un enorme battage pubblicitario, da premi (Pulitzer 2014) e investiture sul campo come 'libro dell'anno', che non si può evitare di leggere. 

Ma non avendo letto nulla di Donna Tartt ero abbastanza incuriosito. I libri poi arrivano sempre nel momento deciso da loro, ed era evidentemente il momento giusto per sobbarcarsi una lettura come questa, quasi 900 pagine, una storia perfino estenuante, scritta interamente in prima persona, in unità di tempo e luoghi, senza flashbacks, senza quegli espedienti di frammentarietà che vanno così di moda oggi. 

La Tartt è molto brava, nel congegno narrativo: la macchina funziona - non per niente proviene da quel Bennington College dal quale sono usciti anche Bret Easton Ellis e Jonathan Lethem - con efficacia implacabile, pagina dopo pagina, con tutti gli snodi che rendono un libro leggibile e una storia accattivante. Si va a dormire incuriositi e con la voglia di farci raccontare cosa succederà quando riprenderemo in mano il libro. 

Theo, un ragazzino di dodici anni, resta orfano di madre - il padre, un ex attore sbevazzone ha già mollato il tetto coniugale da tempo, sparendo nel nulla - durante un misterioso attentato in un museo, nel centro di Manhattan.  Sepolto dalle macerie - la scena madre del libro si dipana all'inizio per cinquanta pagine ed è scritta con la necessaria magniloquenza e precisione dei dettagli di chi sa che è essa ad innescare il meccanismo narrativo che ti terrà avvinto per le successive 850 pagine - Theo scoprirà solo in seguito che la madre è morta, ma intanto avrà fatto in tempo a portare con sé, nello stordimento generale, un preziosissimo piccolo quadro, Il Cardellino, dipinto dal fiammingo Carel Fabritius nel 1654. 

Quella tela diventa il talismano di Theo, la sua àncora per sopportare i dolori del mondo che gli proverranno dalla nuova condizione di orfano: la scoperta del mondo di Hobie, l'antiquario nobile e silente che prende ad occuparsi di lui;  l'adozione da parte di una ricca famiglia di Manhattan, i Barbour; il ritorno del padre, che torna a farsi vivo accompagnato da Xandra, una svitata e lo porta a vivere con loro a Las Vegas; l'amicizia totalizzante con Boris, il Lucignolo che avvia Theo sulla strada della perdizione e della droga; la fuga solitaria per tornare a casa a New York; l'escalation nel mondo dell'antiquariato occupandosi della bottega di Hobie; i guai che ne seguiranno e le vicende gangsteristiche che porteranno il libro alla sua conclusione. 

Il Cardellino è un libro con molte ambizioni. Ma la qualità letteraria non è adeguata, ahimé, a supportarle.  

Contrariamente al facile entusiasmo di quelli che anche qui in Italia hanno scomodato paragoni con Saul Bellow o Henry Roth,  la scrittura della Tartt non è assolutamente all'altezza di questi confronti. 

Siamo cioè molto più dalle parti di Stephen King - che infatti ha recensito entusiasticamente il romanzo - che di Saul Bellow. 

Pur nella ricchezza del testo, nelle invenzioni narrative, nell'impianto Dickensiano così apparentemente solido, Il Cardellino ha un vuoto di fondo che non si riempie. 

Non si tratta soltanto della filosofia nichilista che pervade il romanzo, quasi come un teorema scontato. L'anima della storia resta ad un livello superficiale. 
Funzionano alcuni personaggi - il migliore è Hobie - altri molto meno, così come non funzionano affatto quelle trappole per il lettore che sono molto artificiose e di facile individuazione per chi non è proprio di primo pelo. 

Il personaggio di Theo resta, ma sono insopportabili a lunghi tratti le sue tirate vittimistiche, autocompiacenti e autocompiaciute, così come è insopportabilmente descritta - con eguale compiacimento - la parossistica caduta nel gorgo delle droghe (del vomito, della nausea, dei collassi, delle visioni) che avvita il libro su ritmi più stantii. 

Il vuoto comunque resta. E forse è proprio questo vuoto che sta a cuore alla Tartt, come lei stessa ci mostra nelle ultime pagine del romanzone. 

Senza compiere nessuno spoiler, si può affermare che il Cardellino resta alla corda, alla catena, esattamente come l'uccellino dipinto da Carel Fabritius nel 1654. 

Si ha cioè l'ìmpressione che un tale sfoggio di tecnica narrativa - al contrario dei grandi maestri che, dando voce poetica alla tecnica trasformano l'immateriale narrativo in reale-concreto-per-le nostre-vite - resta, come i vivaci colori del Cardellino fiammingo: pura manifestazione esteriore. 

Il pianto di Theo non riesce mai a scuoterci o a commuoverci fino in fondo.  La vita interiore richiede un surplus di  mondo reale e di mediazione poetica che nessuna raffinata tecnica narrativa, da sola, può restituire. 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 






14/05/14

Il Festival dei comportamenti a Lodi - fino al 20 maggio.



Giorgione, Le Tre età dell'uomo, 1501


Dal 12 al 20 MAGGIO 2014 a LODI, il Festival dei Comportamenti, 9 giorni di incontri, spettacoli e laboratori per conoscere meglio sé stessi e gli altri.

 Il Festival dei Comportamenti da quest’anno rientra nel più ampio progetto sostenuto dalla Fondazione Cariplo “Lodi Ruota della Cultura”, una rete che raccoglie festival, eventi e rassegne esistenti e future in un continuo confronto e dialogo, per permettere alla cultura di non fermarsi mai. 

Gli incontri dedicati ai Comportamenti intendono offrire momenti di approfondimento e dibattito. Per questo motivo sono chiamati a Lodi scrittori, artisti e testimoni del nostro tempo, che ci aiutino a guardare il mondo da nuove prospettive. 

Nove giorni di laboratori, spettacoli e incontri che ci fanno riflettere e che ci spronano a comprendere qualcosa di più su di noi e sulle relazioni con noi stessi, con gli altri e con il mondo. 

Il Festival dei Comportamenti ci parla della nostra vita: dalla genitorialità ad un nuovo modo di vivere la socialità, la scuola e gli affetti, dall’elaborazione del lutto a nuovi modelli di produzione e di mercato sostenibili.

Tra gli ospiti: Luis Sepúlveda, Giuseppe Catozzella, Paolo Legrenzi, Nadia Toffa, Eraldo Affinati, Ian Leslie, Marina Sozzi, Giorgio Manzi, Massimo Recalcati, Giacobbe Fragomeni con Valerio Esposti, Gino Nebiolo
con Pier Luigi Vercesi, Diego Fusaro, Davide Longoni Luis Sepúlveda e Enzo Bianchi ci raccontano una società sempre più veloce, innaturale ed egoista. 

Una società dove, per ritrovarsi, bisogna riappropriarsi – sostiene Sepúlveda – del tempo per la vita, per noi e per le nostre relazioni. 

Bisogna riscoprire – ci insegna Bianchi – il dono e la capacità di dare, di offrire un gesto in grado di introdurre relazioni rigeneranti.

Perché non possiamo vivere senza mentire? Lo spiega Ian Leslie; Matteo Rampin suggerisce che per ogni problema c’è una via d’uscita; Giorgio Manzi racconta il meraviglioso viaggio dell’evoluzione; Eraldo Affinati spiega i disagi dei nostri adolescenti; Cesare Moreno, maestro di strada, sogna un incontro con i giovani che costituisca una comunicazione interumana al riparo da competizioni e ideologie; Marina Sozzi aiuta a ripensare e accettare la morte per cambiare la vita e Massimo Recalcati affronta l'eterno problema del perdono nelle relazioni amorose. 

Tre nonne riportano l’esperienza di vita ricca di felicità con i propri nipoti adottivi; con Eleonora Mazzoni si prende in considerazione il tema della ricerca della maternità, talvolta una ricerca disperata e ossessiva; Giacobbe Fragomeni racconta l’infanzia difficile, la droga e l’alcol come illusorie soluzioni e poi la passione per il pugilato, che da ragazzo allo sbando lo porta ad essere due volte campione del mondo WBC massimi leggeri; Massimiliano Verga testimonia la sua paternità un po’ speciale, quella di un bambino disabile, che obbliga a una nuova quotidianità, un nuovo modo di essere padre e genitore.

Il festival non poteva non approfondire due grandissime emergenze sociali: quella dell’immigrazione e quella della Ludopatia. Lo fa attraverso la voce di Giuseppe Catozzella e la storia di Samia, la ragazza africana che riesce a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino ma che trova la morte nelle acque di Lampedusa, mentre cercava di raggiungere l'Europa. Il gioco compulsivo è una malattia che affligge 800.000 italiani, distrugge persone e intere famiglie, ma gli interessi in ballo sono enormi e di fatto viene incentivato. 

Per maggiori informazioni www.festivalcomportamenti.org

09/01/14

Emanuele Trevi: lo strano incontro del dott. Stevenson e di Mr. Hyde.


Sullo scorso numero di 'Sette', un bellissimo articolo di Emanuele Trevi racconta l'incredibile vicenda - poco conosciuta - dell'incontro di Robert Louis Stevenson avvenuto nel 1864 (tre anni dopo aver scritto Lo strano caso del Dr. Jeckill e Mr. Hyde), dopo lo sbarco dello scrittore nell'atollo hawaiano di Mokokai, con un pastore protestante che si chiamava di cognome proprio Hyde, e che manifestò strane, sorprendenti assonanze con la malvagità del personaggio immaginato da Stevenson, macchiandosi di una infamante operazione di linciaggio del povero Padre Damiano, missionario cattolico che assitette eroicamente i lebbrosi dell'isola per più di un ventennio. 
La vicenda è ricostruita da Trevi con piglio decisamente letterario (come si conviene all'autore) e merita di essere letta d'un fiato.  La versione on line è tuttora indisponibile. Pubblico le immagini dell'articolo pubblicato da Sette-Il corriere della Sera che si possono apprezzare a piena pagina, leggere e stampare qui, cioè sul sito delle Edizioni Medusa, che hanno pubblicato il libro La difesa di Padre Damiano, di Stevenson, in edizione italiana.  




07/01/14

Perdere il compagno di una vita, l'elaborazione del lutto secondo Oates e Barnes.



Julian Barnes 


Esistono vari livelli in cui uno si trova a vivere, nota l'inglese Julian Barnes, che racconta prima di chi cercava nell'Ottocento di alzarsi da terra con precarie mongolfiere, poi di come lui, morta sua moglie, la compagna di oltre 30 anni, sia invece sprofondato sotto terra. Il racconto di una lunga caduta nell'abisso del dolore e' anche quello autobiografico di Joyce Oates, una delle piu' prolifiche e importanti scrittrici americane, che ha scritto il proprio diario a seguito della morte, dopo 48 anni di vita in comune, del marito. 

Due libri sull'elaborazione del lutto, ma molto diversi. Barnes, l'acclamato autore di "Il senso di una fine", ricorda che una mongolfiera poteva, per qualsiasi minimo imprevisto, precipitare a terra sino a conficcarsi nel terreno e cosi' capita a chi arriva improvvisa una disgrazia e si trova costretto a affrontarla in un'epoca in cui non e' piu' possibile, come Orfeo, scendere agli inferi per riportare indietro la propria Euridice, tanto piu' che poi e' praticamente impossibile resistere a non guardarla, quando la si sente di nuovo viva e parlare alle proprie spalle. 

Perche' Barnes Oscilla tra il dirsi che la morte fa parte del meccanismo naturale dell'universo e il bisogno di continuare la propria conversazione interrotta con Pat, giungendo per gradi, per sofferenza ("i dolenti non sono depressi, sono semplicemente, giustamente, matematicamente tristi"), per necessita' a capire che "il fatto che una persona sia morta puo' voler dire che non e' viva, ma non che non esiste". 



                                                                     Joyce Carol Oates 


Un libro intenso, mai retorico, un'elaborazione anche letteraria, sapendo come sempre che la scrittura e' terapeutica, nel cercar di ritrovare un senso dell'essere, con emotivita' ma senza sbavature, recuperando con stile cio' che e' stato e che non puo' andare perduto.

Scrittura terapeutica e' certo anche quella della Oates, che del resto ci propone un racconto di 600 pagine (cinque volte il libro di Barnes) che e' sostanzialmente diario minuzioso della propria disperazione, sino al pensiero non occasionale del suicidio, dopo aver reso conto dell'ultimissimo periodo con Ray, della sua malattia improvvisa, una polmonite, che improvvisamente si aggrava proprio quando sembrava ormai risolversi, tanto che la scrittrice era tornata a casa dall'ospedale e era riuscita a addormentarsi. 

fonte: ANSA/ Libro del giorno: Oates e Barnes, elaborazione di lutti Due racconti diversi di chi ha perso il compagno/a di una vita (di Paolo Petroni) (ANSA)

10/11/13

Intervista a Ian Mc Ewan su 'Stoner' di John Williams:




Vi propongo oggi una intervista a Ian Mc Ewan, di  Sarah Montague: spiega perché Stoner, il romanzo di John Williams sia stato salutato (seppure pubblicato nel 1965) come uno dei più grandi del XX secolo: Stoner di John Williams. 

In Italia molti hanno amato e stanno amando questo libro e anche io qui ne ho parlato tempo fa. E' una intervista acuta e consapevole, che spiega anche il motivo perché nessuno dei romanzi scritti fin qui da Mc Ewan (con l'eccezione di Bambini nel tempo) o quelli di Javier Marias (altro ottimo scrittore, forse troppo prolifico e prolisso) possa essere paragonato ad un semplice, meraviglioso romanzo come Stoner. 


Cosa c'è di così bello in questo romanzo?
"Appena lo inizi a leggere senti di essere in ottime mani. Ha una prosa molto lineare. La trama, se ci si limita a elencare i suoi elementi, può suonare molto noiosa e un po' troppo triste. Ma di fatto è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello. Ed è la più straordinaria scoperta per noi fortunati lettori".

È piuttosto singolare che dopo così tanto tempo un romanzo di cui non si è scritto né parlato, quindi sconosciuto, improvvisamente sia sulla bocca di tutti come sta accadendo adesso.
"È una vecchia storia. È successo con altri scrittori, pensi a Irène Némirovsky, che era piuttosto conosciuta in vita, poi dimenticata e poi di nuovo riscoperta. E poi anche il caso di Hans Fallada, che visse a Berlino, un altro caso di scrittore morto ed escluso dalla mappa culturale. E ora accade di nuovo, credo sia una scoperta gioiosa".

Dunque il romanzo parla della vita di William Stoner, che appare relativamente povera di accadimenti. 
"Relativamente. Stoner viene da una povera famiglia di contadini, frequenta la scuola di agraria, dove accede nel 1910 e segue, come ne esistono in un altro migliaio di università americane, un corso di Lettere e Filosofia. Il professore di letteratura durante una lezione legge il sonetto di Shakespeare n. 73 ("In me tu vedi quel periodo dell'anno") e qui lo studente ha un'epifania. Stoner lo ascolta e ne è trasformato, l'insegnante gli chiede cosa voglia dire il sonetto e tutto ciò che Stoner riesce a dire, flebilmente, è "significa...". E l'insegnante capisce immediatamente che il ragazzo è stato colpito dalla letteratura inglese. Stoner poi diventa un professore associato all'università e insegnerà fino alla sua morte, che avverrà molte decadi più tardi. Si sposa, il matrimonio va male, ha una figlia e anche la figlia va male, entra in una faida amara, o meglio è perseguitato da un collega per venticinque anni e conosce l'unico momento di riscatto della sua vita in una tenerissima storia d'amore che poi svanirà. C'è tutta la sua vita".

Ma è la scrittura, ovviamente, che ha conquistato lei e tutti gli altri. 
"Sembra aver toccato la verità umana come succede nella grande letteratura. È quel tipo di prosa che non vuole mostrarsi. È quel tipo di scrittura simile a una superficie di vetro, riesci a vedere immediatamente le cose di cui parla. E credo che questo sia entusiasmante di per sé. Ha una tale chiarezza, è una scrittura molto limpida. È straordinario ed è un avvertimento per tutti noi scrittori: potresti essere anche molto conosciuto in vita e poi, qualche anno dopo la tua morte, essere dimenticato".


Lei ha detto che la rappresentazione della morte di Stoner è un passaggio supremo della letteratura contemporanea. 
"Sì, noi esperiamo la morte di Stoner. È raccontata in terza persona, ma è molto in soggettiva, è scritta in maniera molto diretta. E quindi vediamo la rappresentazione della sua morte attraverso la percezione di quel momento dello stesso Stoner, tutta la vita che scorre davanti ai suoi occhi. E da lettore hai quasi la sensazione che il libro stesso stia morendo tra le tue mani e che il personaggio stia morendo tra le tue mani, tu stesso sembri percepire un po' della tua morte. La lettura delle ultime pagine è un'esperienza piuttosto forte".

Questo non sembra esattamente il tipo di storia da leggere sotto l'ombrellone.
"Semmai è vero il contrario. Non sarò mai abbastanza convincente nel sostenere che è questo il libro da portare in vacanza. Si insinuerà nelle stanze d'albergo, ovunque. Questa è una scoperta meravigliosa per tutti gli amanti della letteratura".

tratto da Repubblica.it


14/04/13

Annapaola Cancogni, ovvero Quentin Clewes: 'Lei', un libro straordinario.






Ci sono scrittori da cento libri.  Scrittori bulimici, la cui opera somiglia alla pianta della mangrovia, che attecchisce nelle paludi con il clima umido e si ramifica all'infinito, senza soluzioni di continuità.

Ci sono scrittori, invece, la cui opera è fragile come un fiore notturno, che la mattina è già appassito e il suo profumo intenso ha inebriato così intensamente l'aria da permanere a lungo nonostante la sua brevissima vita. 

E' il caso dell'opera di Annapaola Cancogni, la figlia del grande Manlio Cancogni, morta a soli cinquant'anni nel 1993 a New York, dove viveva e insegnava letteratura italiana, traduceva (Eco, Pontiggia), scriveva saggi.

La morte prematura di Annapaola svelò all'epoca un'autore vero, raffinato e pienamente formato. 

Un solo romanzo scritto  e pubblicato - Jetlag. 

Più quattro straordinari brevi racconti, che nel 1998 furono pubblicati in Italia dall'editore Fazi - con testo inglese a fronte - per l'iniziativa meritoria di Simone Caltabellota.



Il libro si intitola Lei, ed è firmato con lo pseudonimo maschile di Quentin Clewes.

E, come scrisse Giulia Borgese per il Corriere della Sera, in questi racconti si sente un'aria di autobiografia: nel primo, Lapsang Souchong, il giovane uomo che e' l'io narrante parla della ragazza arrivata chissa' da dove: La prima volta che la vidi mi parve uno di quei gigli bianchi dal collo lungo che si slancia in su e poi s'arriccia agli orli. Ma sbagliavo. Per un giglio, era troppo riservata... Aveva il collo lungo e orgoglioso del giglio ma insieme la modestia e la dignita' della fresia

Un chiaro indizio di quell'interesse per la duplicita' (maschile/ femminile; il giglio/la fresia), che viene rinforzato da questo altro passo: Rammentava come a quattordici anni, infastidita del fatto che l'identita' delle persone fosse per forza determinata da qualcosa di relativamente irrilevante come il loro sesso, aveva deciso che da quel momento in poi sarebbe stata "it".

Un tentativo cioè inedito di uscire dalla terza persona, da "she" e da "he", dall'essere per forza "lei" o "lui", per ritrovare - o almeno tentare di ritrovare - l'io.

Ma a parte questo, i quattro racconti in questione: Salammbo, Erie-Lackawanna e Lei, sono autentici gioielli di sintetica forza emotiva espressi in uno stile limpido ed essenziale che incide e tocca lasciando il segno. 

Si pensa ad Alice Munro, si pensa a Anne Tyler, ma si pensa anche ai grandi maestri del racconto breve, a Fitzgerald o all'immenso Maupassant.  

Eppure, il fiore Annapaola ha seminato il suo profumo nell'aria soltanto per una notte...

Fabrizio Falconi. 

04/04/13

Somerset Maugham e Alister Crowley, la "Bestia": un incontro ad alta tensione.





E' circondato da un alone di mistero - ma molto affascinante - l'incontro che ebbe luogo, un certo giorno del 1906 a Parigi, tra uno dei più grandi scrittori del novecento, William Sumerset Maugham, autore di libri famosissimi come Il filo del rasoio, Schiavo d’amore, La luna e sei soldi e Aleister Crowley, detto La Bestia, il grande occultista (e satanista). 

Nella capitale francese Maugham era nato, nel 1874 e ad essa era tornato dopo l’infanzia e l’adolescenza trascorsa in Inghilterra, dove era stato allevato dallo zio, un pastore protestante e dopo aver peregrinato per mezza Europa. 

A Parigi, dunque, Maugham – che è sempre divorato da una fame incontenibile di incontri e di scoperte di caratteri umani, vero serbatoio per la sua ispirazione – incontra, in un noto caffè - Le Chat Blanc in rue d’Odessa – quell’Aleister Crowley, di cui ha già sentito molto parlare negli scandalizzati salotti della ville lumière: forse soltanto un abile ciarlatano dalla conversazione fin troppo brillante, provocatore, irriverente, vagamente minaccioso, dall’aspetto inquietante, calvo e con occhi magnetici che sembrano in grado di trapassare l’interlocutore.  


Anche Crowley ha trovato a Parigi terreno fertile: nella capitale francese l’occultismo sembra essere diventato una nuova moda, dopo la pubblicazione di un libro maledetto, firmato da Joris-Karl Huysmans, Là-bas, ovvero L’abisso, pubblicato nel 1891, testo che aveva messo a soqquadro i salotti buoni di Parigi con la sua minuziosa descrizione di una messa nera. 

Non sappiamo esattamente cosa accadde in quell’incontro: Maugham, incuriosito da Crowley e da quel che si racconta su di lui, dai trucchi (o quelli che vengono ritenuti tali) che usa per spaventare gli ospiti durante le sue serate parigine, ne ricava sicuramente una impressione negativa, di totale repulsione, pur avvertendone, evidentemente, le doti carismatiche. 

Usa Crowley, plasma completamente su di lui il personaggio di Oliver Haddo, il protagonista del suo nuovo romanzo The Magician, il Mago, pubblicato qualche anno più tardi, nel 1908. 

Uno strano romanzo, nel quale Maugham descrive la discesa agli inferi di una giovane donna, Margaret, promessa sposa di un medico, abbandonato per fuggire con il ripugnante Haddo e precipitare con lui là bas, nell’abisso per l’appunto. In The Magician, Maugham esplora i misteri della psiche umana e del male, annidato nell’anima di alcuni uomini, capace di contagiare chiunque e di proliferare come le cellule malate di un organismo. 

Crowley, all’uscita del libro, quasi si compiace di tanta attenzione, al punto di scriverne la recensione sulle pagine di Vanity Fair, firmandosi proprio con il nome di Oliver Haddo. 

Su quel romanzo poi, la Grande Bestia, tornerà ancora più tardi: nei suoi libri e nei suoi diari si vanterà di essere l’autore di molte delle frasi che Maugham ha usato nel suo libro e accuserà lo scrittore di averlo tradito, insultandolo e accusandolo di aver costruito un artificioso pasticcio di materiale rubato. 

Ciò che comunque aveva interessato Maugham, era proprio la capacità di Crowley di plagiare i suoi adepti, un fenomeno non nuovo nella storia, ma certamente moderno nelle modalità – le stesse che gli valsero le accuse, in Sicilia su quel che di scandaloso si svolgeva nelle stanze della Abbazia di Thelema - precursore di molte di quelle sette, esoteriche o parareligiose, che vedremo poi proliferare in tutto il Novecento, in Occidente.

© Fabrizio Falconi

20/01/13

Hemingway: il primo racconto lo scrisse a Taormina?





Ernest Hemingway avrebbe scritto il suo primo racconto a Taormina  

Lo sostiene il giornalista scrittore taorminese, Gaetano Saglimbeni, che ha trovato in Inghilterra una copia di un libro dello scrittore dove c'e' un racconto ambientato a Taormina.

Hemingway allora era un diciannovenne giornalista-soldato e volontario della Croce rossa americana sul fronte della prima guerra mondiale e fu ferito mentre prestava soccorso a un soldato italiano.

Lo scrittore si fermò a Taormina durante una breve vacanza di convalescenza, tra la fine del 1918 e l'inizio del 1919, e scrisse questo racconto inedito. 

L'opera d'esordio di uno scrittore così importante apparve in libreria solo 68 anni dopo, nel 1987, quando era morto da 26 anni. 

The mercenaries e' stato pubblicato dal biografo Peter Griffin, con la collaborazione del figlio dello scrittore, Jack Hemingway, insieme ad altri inediti, tutti racconti brevi mai tradotti in italiano. 

A Taormina il giovane Hemingway fu ospitato dal duca di Bronte nella splendida villa a mezza costa sulla via Pirandello. 

"Nel racconto - dice Saglimbeni - si parla anche di cucina e vini, e di un duello alla pistola per gli occhi di una donna che avrebbe avuto come teatro il giardino di un ristorante. Spiace che queste pagine taorminesi del grande Hemingway non siano state mai tradotte in italiano e nelle nostre librerie non esistano neppure in lingua inglese".

11/12/12

Kafka: dopo 95 anni riappare una lettera sul terrore per i Topi.





Una lettera autografa di FranzKafka (1883-1925), in cui rivelava all'amico Max Brod il suo terrore per i topi, e' stata acquistata dal Deutsches Literaturarchiv, l'Archivo tedesco di letteratura che ha sede a Marbach am Neckar, per 96 mila euro ad un'asta della casa Kaupp. 


La lettera fu scritta nel dicembre 1917, mentre l'autore praghese si trovava nella fattoria della sorella Ottla per curarsi dalla tubercolosi, in Boemia. 

Il contenuto della missiva era gia' noto agli studiosi ma non si sapeva dove si trovasse l'originale, che ora e' saltato fuori con l'asta dopo 95 anni. 

Sembra che la lettera abbia cambiato almeno tre proprietari negli ultimi trent'anni. Il Deutsches Literaturarchiv mettera' in mostra l'autografo appena acquistato con altre carte di Kakfa nella prossima primavera.

Nella lettera Kafka racconta di vivere nel terrore a causa dei topi presenti nella sua stanza, di essere paralizzato da questa idea, tanto da pensare a trappole ma anche ad un gatto. 

Ma alla fine pensa che forse sarebbe meglio ricorrere alle cure di uno psicanalista per guarire da quella fobia.

La lettera di Kafa fa quasi certamente parte di quelle carte originali dello scrittore boemo che Max Brod porto' con se' in Palestina prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, nonostante l'amico gli avesse chiesto di bruciarle. 

Da allora la proprietà di quei documenti, tra cui inediti di Kakfa, è al centro di una complessa vicenda legale tra Israele, la Germania e gli eredi dell'ex segretaria di Brod. 

Una recentissima sentenza del tribunale di Tel Aviv ha stabilito che tutte le carte di Kafka affidate a Brod sono di proprieta' dello Stato di Israele. Non e' escluso che l'acquisto di questa lettera da parte della Germania apra un nuovo caso legale. 

07/06/12

E' morto Ray Bradbury, il maestro di Fahrenheit 451 .




Per me che sono cresciuto leggendo i suoi meravigliosi racconti - qualitativamente tra i migliori che abbia mai letto - la scomparsa di Ray Bradbury, avvenuta ieri è una gran brutta notizia. 

Scrittore e sceneggiatore cinematografico, Ray Bradbury e' stato uno dei maestri della fantascienza del Novecento. Amante del genere sin da ragazzo, quando comincio' a scrivere racconti pubblicati su riviste del settore, Bradbury e' nato nell'Illinois nel 1920. La sua carriera ha oscillato sempre tra la passione per la scrittura e il lavoro nel mondo del cinema. A lui si deve, infatti, la sceneggiatura di 'Moby Dick' diJohn Huston. Figlio di un operaio elettrico e di una casalinga di origini svedesi, nel 1934 a causa della grande depressione si trasferisce in California dove inizia a scrivere. 

Nel 1950 raccoglie in un unico volume le sue 'Cronache marziane', che ottengono un vasto successo internazionale non ancora intaccato dal passare degli anni. La sua fama, comunque, e' legata al romanzo 'Fahrenheit 451', realizzato nel 1951, una sorta di elogio alla lettura ambientato in una societa' distopica. Un romanzo che diventera' anche un film omonimo di successo, diretto da François Truffaut. Tanti i libri che Bradbury ha firmato nel corso della sua lunga carriera. 

Tra tutti a spiccare e' 'Il grande mondo laggiu" del 1985, una antologia di racconti, pubblicata anche con il titolo '34 racconti', in cui lo scrittore rivela ai lettori il 'suo mondo fantastico' attraverso le sensazioni e i sentimenti dei vari protagonisti, che sono circondati dalla paura e sempre in bilico tra il presente ed il futuro. Di particolare interesse e' anche 'Il gioco dei pianeti', una raccolta di racconti di fantascienza, pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1951, conosciuta con il nome 'L'uomo illustrato', piu' fedele al titolo originale ('The illustrated Man').

31/05/12

Scrittori: Peter Cameron e David Nicholls a Roma.




Cinema e letteratura: due mondi molto diversi. "La scrittura e' una delle forme espressive piu' solitarie. Il cinema uno dei modi di fare arte piu' collettivi". Lo dice lo scrittore americano Peter Cameron (nella foto) e lo sostiene anche l'inglese David Nicholls che, pero', "quando scrive un libro vorrebbe essere sul set e viceversa". 

Ieri sera sono saliti entrambi sul palco di Massenzio, al Foro romano,per il Festival Letterature, con due inediti sul tema del festival 'Semplice & Complicato'. Cameron, l'autore di 'Un giorno questo dolore ti sara'utile'(Adelphi), da cui e' stato tratto l'omonimo film di Roberto Faenza, e di 'Quella sera dorata' portato sul grande schermo da James Ivory, e' a Roma con il suo nuovo romanzo 'Coral Glynn' (Adelphi), e racconta che la sfida potrebbe essere "scrivere un libro che non possa mai essere trasporto al cinema, tutto basato sul linguaggio.  Ma non lo ho ancora fatto" dice.

E poi ammette: "adoro il cinema. Sono privo delle competenze che ci vogliono per fare il regista pero' mi piacerebbe". 

 David Nicholls, autore di tre romanzi fra cui il bestseller 'Un giorno' da cui e' stato tratto il film One Day, da lui sceneggiato, ha esordito come attore interpretando tante piccole parti al Royal National Theatre

"Gli scrittori - dice - non sono ben visti sul set, soffrono. C'e' un po' di conflitto. Del mio quarto libro non scrivero' la sceneggiatura se diventera' un film". Finora, continua Nicholls, "ho scritto sui venti, trenta, quarantenni.  Voglio fare un passo indietro nel mio prossimo romanzo e scrivere qualcosa sull'infanzia. Sara' una storia sul diventare adulti".

27/04/12

Saint-Exupery: scoperto abbozzo inedito del "Piccolo Principe". All'asta il 16 maggio.



Un abbozzo sconosciuto di "IlPiccolo Principe", il capolavoro dello scrittore-aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry (1900 -1944), sara' venduto dalla casa d'asteArtcurial a Parigi il 16 maggio.

Il manoscritto, custodito gelosamente da un collezionista privato che intende restare anonimo, e' stimato tra i 40.000 e i 50.000 euro, sei volte il prezzo di una singola pagina autografa del romanziere.

Si tratta di due pagine autografe inedite, che furono stese da Saint-Exupéry nel 1941, due anni prima della pubblicazione dell'edizione originale del racconto, e probabilmente sono anteriori anche al dattiloscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia.

Le pagine manoscritte, vergate con una grafia minuta e difficile da leggere, fanno riferimento ad una bozza dei capitoli XVII e XIX, in cui il Piccolo Principe, dopo avere percorso sei pianeti, arriva sulla Terra, il settimo pianeta.

"I passaggi di questi capitoli sono perfettamente riconoscibili anche se sono formulati diversamente da come li conosciamo nella versione a stampa e anche l'ordine e' stato invertito, ma soprattutto presentano alcune significative varianti", ha spiegato Olivier Devers, esperto di Artcurial, che con Benoit Puttemans ha fatto la scoperta.

Ma non questo non e' l'unico cimelio legato a Saint-Exupery che va all'asta a Parigi.

L'11 maggio la casa Christie's mettera' in vendita sei lettere dello scrittore indirizzate a Lucie-Marie Decour, dove racconta il suo debutto da pilota e la sua vita in Argentina. Vendute separatamente, sono stimate tra 10.000 e 22.000 euro.



18/04/12

Hermann Hesse e la paura.


Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi, del proprio cuore; si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte. Specialmente di quest'ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti.
In realtà c'è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l'ignoto lontano da ogni certezza possibile... c'è una sola arte, una sola dottrina, un solo mistero: lasciarsi cadere, non opporsi recalcitrando alla volontà di Dio, non aggrapparsi a niente, né al bene né al male. Allora si è redenti, liberi dalla sofferenza, liberi dalla paura. 


Hermann Hesse, Aforismi, pag.73.