Visualizzazione post con etichetta narrativa italiana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta narrativa italiana. Mostra tutti i post

02/03/18

Libro del Giorno: "Atlante Occidentale" di Daniele Del Giudice, un grande romanzo da recuperare.




Ho riletto questo libro trent'anni dopo la prima volta. 

Daniele Del Giudice, romano, classe 1949, una vita vissuta tra Roma e Venezia aveva esordito un paio d'anni prima con Lo stadio di Wimbledon, sotto l'ala protettiva di Italo Calvino che l'aveva scoperto chiedendosi se quel primo romanzo "costituisse un nuovo approccio al racconto, secondo un nuovo sistema di coordinate". 

La conferma arrivò con Atlante Occidentale, pubblicato nel 1985 che rappresentò una sorta di folgorazione per una giovane generazione di lettori, me compreso. 

Ero perciò curioso di verificare quale sarebbe stata la mia impressione dopo un così consistente numero di anni. 

Nel frattempo la carriera di Del Giudice, dopo altri  3 romanzi pubblicati - Nel museo di Reims (1988) Orizzonte mobile (2009) e In questa luce (2013) - si è incagliata in dolorose vicende personali con una malattia molto seria che ha compromesso in modo rilevante la sua produzione di scrittore. 

Atlante Occidentale, però, rimane un unicum nella produzione letteraria italiana degli ultimi decenni, qualcosa di completamente diverso rispetto alla medietà delle storie, delle ambientazioni e soprattutto dello stile abituale, soprattutto degli esordienti o post esordienti. 

Del Giudice, dunque, nel pieno degli anni '80 dell'effimero italiano, dell'Italia da Bere, dell'edonismo e dei paninari, sfornò un'opera che obbediva sorprendentemente ai canoni delle Lezioni di Calvino: leggerezza (il romanzo si apre addirittura con una lunga scena di volo, durante la quale due aereoleggeri rischiano di scontrarsi), rapidità (soltanto 152 pagine), esattezza (una cura maniacale nella ricerca delle parole) visibilità (è il vero tema del libro, tutto giocato sulla differenza, sul contrasto tra visibile e invisibile), molteplicità (l'utilizzo di uno stile assolutamente originale che utilizza la narrazione al passato e al presente in un continuo alternarsi anche dentro lo stesso capoverso), coerenza (un'opera che si conclude e offre quel che ha da dire, senza perdersi in divagazioni o sviluppi incoerenti).

Una trama apparentemente poco accattivante per il pubblico (di allora come di quello di oggi) e altamente sofisticata: un fisico italiano - Pietro Brahe - impegnato a tempo pieno (notte e giorno) nei complessissimi lavori dell'acceleratore nucleare del CERN di Ginevra e un grande scrittore alla soglia del massimo riconoscimento - Ira Epstein - che ha deciso di non scrivere più ed è interessato alla realizzazione di un Atlante della Luce, l'atlante di una geografia diversa, dove si vede a grandezza naturale ed è legata non solo ai luoghi, ma alle persone.

Incrociatisi per caso sul campo di volo, Brahe e Epstein diventano conoscenti e poi amici sullo sfondo della asettica Svizzera di bianche villette e giardini e cielo bianco e azzurro estivo, e villaggi tranquilli e silenziosi, e lungolaghi eleganti e auto di lusso.

Il dialogo è soprattutto filosofico. Brahe è concentrato a trovare le cose che non si vedono: a trovare le tracce di sfuggentissime particelle subatomiche nel grande anello dell'acceleratore; Epstein è invece interessato a capire come si formano le cose che lui vede nella sua mente e che sono già vere, prima di divenire parole.  

Lunghe dispute avvengono dunque su questo sfondo argomentativo, mentre si affiancano altri personaggi: l'assistente di Epstein, Gilda; il collega e sodale di Pietro, il tedesco Rudiger, il capoprogetto Mark.

E' un romanzo fatto di attesa e di tempi sospesi, dove nulla di reale sembra succedere veramente. Dove, come si rivela nelle ultime pagine, ciò che conta è l'esistenza di un sentimento che dà forma alle parole e che allo stesso tempo prende forma dalle parole stesse.

Il virtuosismo di Del Giudice, mai fine a se stesso, è tale, che nell'epilogo del libro, si può mettere in bocca ad Epstein una descrizione di fuochi d'artificio (a cui assistono i due protagonisti) lunga 7 pagine. 

Dopo molti anni, il romanzo di Del Giudice conferma la sua grande novità, mantenendo intatto il suo fascino enigmatico (in fondo anche profetico viste le incredibili sorprese che l'acceleratore Large Hadron Collider ha portato negli ultimi tempi con la scoperta del Bosone di Higgs) e accresce il rammarico che l'opera di questo autore non abbia potuto dispiegarsi completamente.

Un romanzo sui generis, in controtendenza rispetto al gusto comune e non facile, ma strettamente rigoroso, in termini, lingua e contenuti.

Che segna la distanza temporale dall'oggi se non altro per la constatazione che un romanzo come questo, nella Italia di oggi,  non troverebbe mai un editore disposto a pubblicarlo. 

Daniele Del Giudice 
Atlante occidentale 
1985-2009 
Einaudi Scrittori 
pp. 178 € 11,00 

Fabrizio Falconi
- riproduzione riservata 2018.

10/05/17

Un outsider troppo presto dimenticato - Alberto Lecco.





Avevo poco più di vent'anni quando ebbi l'occasione di conoscere Alberto Lecco.   Abitava nella stessa casa in cui abitò fino alla fine dei suoi giorni, nel cuore di Trastevere, in Via San Francesco a Ripa. 

Erano i primi anni '80.  Lecco, che aveva letto il mio libro di racconti d'esordio - Prima di andare - e che era uno scrittore piuttosto famoso, mi chiamò al telefono per conoscermi. Il libro gli era piaciuto, mi chiese se amavo parlare di letteratura, disse che gli interessava conoscere i gusti di uno come me, così giovane, che si affacciava allo scrivere. 

Erano cose che accadevano, in quegli anni. 

Con la timidezza tipica di quell'età mi affacciai a casa sua, all'appuntamento convenuto.  Mi ricevette con il garbo e l'eleganza di altri tempi.  Per me, che venivo da una famiglia di operai, era una delle prime esperienze nella casa di un intellettuale e tutto aveva un fascino: gli scaffali pieni di libri, i tappeti orientali, le finestre affacciate sulla vita trasteverina, il giradischi sempre acceso. 

Passammo la prima volta quasi due ore insieme. Si parlò di tutto, soprattutto di Dostoevskij che era la sua ossessione (e anche la mia, già in quegli anni). Ascoltammo Beethoven insieme, mi parlò nel suo modo fluviale, del mondo letterario italiano, che detestava, con i suoi snobismi e le sue cricche. 

Mi regalò i suoi libri, pubblicati con Mondadori, L'incontro di Wiener Neustadt,Un Don Chisciotte in America i Racconti di New York. Libri che mi affascinarono, soprattutto l'ultimo, così singolare, così diverso da quello che si pubblicava allora in Italia. 

Alberto Lecco era un intellettuale colto e raffinatissimo, assai legato alle sue origini ebraiche che interrogava in ogni libro, alla luce di un radicale cosmopolitismo che sentiva come destino inevitabile della contemporaneità. Ma era al contempo geloso delle sue origini e della grande tradizione narrativa ebraica. 

Nato a Milano nel 1921, era diventato perfettamente romano nello spirito vitale e nella confidenza con il quartiere che abitava. 

Tornai da lui parecchie volte, anche insieme ad altri amici. E sempre si ripeté lo stesso rito: con conversazioni interminabili, consigli e diktat che venivano pronunciati sempre con dolcezza - soprattutto quello di fuggire come la peste dalle conventicole e combriccole letterarie, obbedendo solo alla propria interiorità -  oro puro per la formazione di un giovane che aveva in mente di scrivere com'ero io. 

Negli anni seguenti lo persi di vista.  So che continuò a pubblicare, con sempre minore successo, totalmente isolato dal resto dell'ambiente letterario italiano. Ed è un peccato che oggi le sue ultime opere:  La morte di Dostoevskij, I Buffoni, La casa dei due fanali, siano praticamente introvabili, come del resto i vecchi. 

Sarebbe bello che qualcuno oggi, un editore illuminato, li riscoprisse.

Alberto Lecco è morto a Roma, nel silenzio quasi unanime, nel maggio del 2004, a 83 anni. 


Fabrizio Falconi



10/11/16

"Cieli come questo" di Fabrizio Falconi (romanzo).




Ho scelto una frase di Elias Canetti come epigrafe al mio romanzo - Ha condannato il proprio sogno prima che fossero cadute tutte le foglie  – perché rappresentava bene quello che succede spesso nelle nostre vite, e anche in Cieli come questo: due persone si incontrano, capiscono in modo quasi inconscio che c’è qualcosa che li lega, qualcosa di profondo – come se ci si conoscesse da sempre – ma non hanno il tempo e il modo (e il coraggio) di mettere in pratica questa conoscenza, di trasferirla dal piano dell’anima al piano della concretezza

La protagonista di questa storia è Isabella, una donna che ha superato da poco i quaranta, borghese, con un matrimonio felice, un marito dirigente di un grande sindacato nazionale e una figlia quasi ventenne già autonoma, a cui piace viaggiare in compagnia delle sue amiche. 

Il ‘lago tranquillo’ della vita di Isabella si increspa improvvisamente, nel giro di pochi giorni e di alcune circostanze concomitanti: una gravidanza non voluta e subito spontaneamente abortita, una disavventura capitata alla figlia, in vacanza in Marocco, coinvolta in uno strano incidente, e soprattutto l’incontro con un ragazzo, uno studente di filosofia, Lorenzo

Isabella si accorge, quasi per caso, di essere precipitata silenziosamente in una crisi intima, di valori, di riferimenti.

Quando incrocia Lorenzo durante alcuni seminari, capisce, sente, che quel ragazzo ha qualcosa di speciale, una purezza, perfino un anelito mistico simile al suo. Inizia una prudente frequentazione, nella quale però, nonostante una evidente attrazione, Isabella non sembra avere il coraggio di andare fino in fondo.

Ma il marito si assenta, per andare a riprendere la figlia, e durante questa assenza, Isabella si confronterà duramente, profondamente con la sua crisi, dovrà attraversarla, obtorto collo

Cieli come questo vuole essere insomma un romanzo di iniziazione, nel quale la protagonista – una come noi – deve mettere in discussione le sue certezze e affrontare la vita, fuori delle piccole sicurezze che molto spesso proteggono dagli scossoni, ma evitano quel coinvolgimento profondo, quello scambio di anime, che è il vero succo – e forse il vero senso – della vita. 


Fabrizio Falconi - Cieli come questo.

02/05/16

Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.





Inediti come 'Tradimento' scritto nel 1934, undici racconti finora ignoti, una suite autobiografica e sorprendenti cronache dalle fabbriche di Torino o dalla desolazione di Matera

Arriva in libreria domani negli ETBiblioteca Einaudi 'Un'assenza' (pp 366, euro 18) che raccoglie 'Racconti, memorie, cronache 1933-1988' di Natalia Ginzburg, a cura di Domenico Scarpa con in copertina Raja di Felice Casorati

 Sono trentasette testi, per la maggior parte mai raccolti prima d'ora, apparsi in alcuni casi in riviste o antologie, che restituiscono, lungo piu' di mezzo secolo, gli itinerari di una tra le piu' belle voci del Novecento italiano

 Nella prima parte sono raccolti per la prima volta tutti i racconti brevi di Natalia Ginzburg: quindici testi dei quali undici mai radunati prima d'ora in volume

La seconda parte, 'Memorie e cronache', con 22 testi di cui 12 mai apparsi in volume, si apre con la poesia 'Memoria' dell'8 novembre 1944. E' dedicata a Leone Ginzburg, primo marito di Natalia, morto nellaprigione di Regina Coeli in seguito alle torture dei carcerierinazisti. 

Un testo conosciuto, da rileggere e custodire come il 'Discorso sulle donne'.

 Realizzato con mezzi che sembrano poverissimi, ogni racconto di Natalia Ginzburg è, come viene sottolineato nella quarta di copertina, "una rivelazione, una vicenda che scorre su piu' nastri, che imperturbabile va addizionando gesti, oggetti e battute di dialogo, che si toccano per vie segrete e non si dimenticano". 

 Nelle oltre 350 pagine si ritrova la voce ruvida, duttile, scontrosamente intonata, della Ginzburg, nata a Palermo nel 1916 e morta a Roma nel 1991, autrice di libri come 'Le piccole virtu", 'Lessico famigliare' e 'Mai devi domandarmi'. 'Un'assenza' e' la storia di questa voce nel suo lungo percorso in cui viene reso visibile il cammino di un autore che si sperimenta nella scrittura breve come primo genere di composizione. 

Nel volume anche Notizie sui testi con una grande quantità di documenti dove, nella maggioranza dei casi, e' ancora una volta l'autrice a testimoniare di se'.



30/01/16

"Il quinto evangelio" di Mario Pomilio. Ritorna un grande libro.


Sono appena uscito dalla lunghissima lettura di un libro straordinario, Il Quinto Evangelio di Mario Pomilio, rieditato pochi mesi fa da L'orma, nella collana di testi italiani diretta da Andrea Cortellessa e divenuto un po' il caso letterario italiano del 2015.

Si tratta di un libro che ha avuto una storia particolarissima, e che alla sua uscita vinse numerosi premi (nel 1974 vinse il Premio Flaiano quando era ancora inedito; poi il Premio Napoli, e nel 1975 Prix pour le meilleur livre étranger di Parigi, 1978).

Il quinto evangelio è un testo ambiguo e un romanzo assolutamente sui generis. In qualche modo esso è l'antesignano di quel fortunato filone di romanzi storici, che ha trovato il massimo successo con Il nome della rosa di Umberto Eco nel 1980. 

Ed è un romanzo-mondo che contiene molti diversi generi, dall'epistolario all'antologia, dall'opera teatrale al saggio storico-biografico all'indagine filosofico-religiosa, costruito intorno alla ricerca di un fantomatico libro (Il quinto Vangelo, per l'appunto) che fa da fil rouge a molte altre storie che si intrecciano, dei vari personaggi che nei secoli hanno dedicato anni di ricerca (e in qualche caso la stessa loro vita) alla ricerca. 

In particolare il romanzo si costituisce di un carteggio, di tre lunghe lettere che contengono a loro volta tutta una serie di documenti storici sepolti dalla storia. 
Il prodigio che è riuscito a Pomilio è quella di raccontare una storia assolutamente fantastica, costruita però con tutte le rigorose sembianze di una vera ricerca storica. Ed è lo stesso autore ad avvertire nel colophon: « Occorre appena, credo, avvertire che questa è un'opera d'invenzione e che le stesse fonti che si menzionano o sono immaginarie (e la più parte sono tali), o sono adottate con la massima libertà. » 

In sostanza, su un telaio di base, Pomilio costruisce una serie di elementi di fantasia che forzano la realtà storica e inducono a riflettere sul senso della ricerca della verità e anche - quindi - della personale ricerca di Dio. 

La trama - anche se di trama è molto difficile qui parlare - parte dalle vicende di Peter Bergin, un ufficiale americano dislocato nel 1945 a Colonia, il quale si trova ad alloggiare in una canonica abbandonata nella quale, all'interno della biblioteca, tra le carte appartenute al vecchio parroco scomparso, scopre materiali riguardanti un misterioso "quinto vangelo", alla cui ricerca sembrava che il sacerdote avesse dedicato moltissimi anni della propria vita. 

L'ufficiale, che nella vita civile è docente universitario e storico di professione, viene conquistato dall'enigma e, una volta terminata la guerra si dedica a tempo pieno a quella ricerca, riunendo insieme ad altri giovani collaboratori, una serie di antichi documenti che parlano direttamente o indirettamente del libro proibito. 

Quando è ormai malato, dopo trent'anni, Bergin invia tutto il materiale a un certo monsignor "M.G.", segretario della Pontificia Commissione Biblica, insieme a una lunga lettera nella quale riassume le ragioni e le tappe della ricerca intrapresa, dando conto anche delle prove scoperte. 

In coda alla documentazione storica, Bergin unisce alcune lettere inviategli dai suoi allievi e collaboratori le quali, chiarisce il professore vuole aggiungere altri elementi alla ricerca. 

La risposta del prelato romano giunge due mesi dopo, troppo tardi per Bergin che nel frattempo è morto. Il testo è omesso da Pomilio e ci è dato di conoscerne il contenuto, solo in parte e indirettamente, dalla lettera che a sua volta la segretaria di Bergin, Anne Lee, invia a Roma. 

“Una risposta alla risposta” è appunto il titolo assegnato al Capitolo 16, che svela molte circostanze rimaste fino a quel momento nell'ombra. Anne Lee introduce nuovi e risolutivi argomenti tra cui un testo teatrale, punto d'arrivo della lunga meditazione sui Vangeli iniziata tanti anni prima da Bergin che attraverso i personaggi in gioco rivela sé stesso, e dubbi, le intuizioni e i dialoghi interiori fino all'apparire dell'elemento della "fede" che in conclusione sembra assumere un aspetto risolutivo. 

Il testo teatrale, in un crescendo drammatico svela il colpo di scena finale quando il Quinto Evangelista si leva in piedi … liberandosi nel frattempo della benda che ha attorno al volto e scoprendo un uomo che il volto stesso di Gesù. 

La riduzione in questi termini non fa certo un buon servizio al testo di Pomilio, che è multiforme, inafferrabile, e che rappresenta anche una sfida per il lettore, il quale è invitato a perdersi e abbandonarsi in una fitta ragnatela di indizi veri, falsi o verosimili, che lo riconducono semplicemente a riflettere sulla sua natura umana e sul rapporto con il divino. 

Ho pensato, leggendo questo libro, a quanto esso è distante da quell'eterno presente nel quale tutti sembriamo calati in questi primi decenni del terzo millennio.  

Anni luce separano la fredda liquidità contemporanea alla immane capacità d'introspezione filologica e filosofica che Pomilio sa condurre con mano magistrale, componendo un testo che è una sfida, e allo stesso tempo, una mappa di navigazione per un (auspicabile) ritorno a toni più umani. 

Fabrizio Falconi



Mario Pomilio

20/11/15

"Un amore degli anni venti" di Simone Caltabellota, i meravigliosi tempi di Sibilla Aleramo. (Recensione)




Finalmente un libro diverso

Simone Caltabellota, con pazienza certosina e amore appassionato ha ricostruito una storia perduta italiana, dell'Italia degli anni venti, una vicenda d'amore (e non solo amore, ovviamente) tra una grande scrittrice e un giovane mago, Sibilla Aleramo e Giulio Parise. 

Ma il libro è molto di più: è la ricostruzione meticolosa di quella complessa trama di relazioni, intrighi, rancori, disegni politici, tradimenti intellettuali, tradizioni iniziatiche e pratiche magiche - come recita la bandella del volume - che ruota intorno al misterioso «Gruppo di Ur» e alle figure di Julius Evola e del matematico pitagorico Arturo Reghini, avendo come teatro la Roma magica di quegli anni, con i suoi palazzi, i caffè, i teatri, le biblioteche, e anche i commissariati di polizia. 

Fu proprio durante il Ventennio infatti che la storia d'amore tra Sibilla Aleramo, all'epoca una scrittrice già famosa e  Giulio Parise, molto più giovane di lei, bellissimo e misterioso, sfida le convenzioni e la rigida disciplina di quegli anni, rispolverando l'antica e magica Sapienza pagana alle origini della civiltà italica e dell’intera cultura occidentale, quella stessa Sapienza alla quale in quegli anni si rivolgevano diverse associazioni filosofiche, massoniche, esoteriche in diverse parti d'Europa.

Sibilla e Giulio - del giovane Mago si sono perse le tracce definitivamente e al giorno d'oggi non esiste nemmeno una sua foto, per reperirla Caltabellota si è rivolto agli eredi, che ancora vivono a ROma - si incontrano, si amano, si perdono, si allontanano, si ritrovano, si tengono uniti sul filo di una esperienza iniziatica, una serie di prove che Giulio impone a Sibilla insieme alla sua distanza

E Caltabellota ricostruisce questa vicenda, mai raccontata, passo dopo passo, attingendo direttamente dalla Fondazione Gramsci e dall'Archivio Aleramo dove sono custodite le lettere originali, i biglietti autografi, le fotografie. Sono le voci di quel mondo apparentemente lontano e invece molto moderne, con le sue inquietudini, i suoi strappi, i suoi disorientamenti tra desiderio di elevazione e passioni divoranti. 

Pagina dopo pagina affiora il destino perduto di Sibilla, il suo amore che non si è completamente concesso, che è rimasto sempre misteriosamente negato, il volto di Giulio che appare e scompare, tra le diatribe di Reghini ed Evola che si accapigliano sulle riviste dell'epoca su ardue questioni filosofiche che soltanto in apparenza celano i risentimenti e i risvolti passionali, nei confronti di quella donna, Sibilla, che ha saputo tenere magicamente i fili di vicende così diverse, restando protagonista, restando sempre, anche di fronte alla sofferenza, nuda, se stessa. 

Un amore degli anni Venti 
Simone Caltabellotta 
Collana: Scrittori 
Ponte alle Grazie
Pagine: 192Prezzo: € 15.00

Fabrizio Falconi


04/11/15

"Primo Levi di fronte e di profilo", il nuovo libro di Marco Belpoliti (Einaudi) presentato a Roma alla Biblioteca Angelica.



Martedì 10 novembre 2015 alle 18.00, presso il Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica, la presentazione del volume di Marco Belpoliti: Primo Levi di fronte e di profilo. Guanda, 2015. Intervengono: Andrea Cortellessa e Umberto Gentiloni. Modera Stefano Chiodi.
(Info: Biblioteca Angelica – Piazza di Sant’Agostino 8 – tel. 0668408045/32)

In questi settant’anni Primo Levi si è imposto come il testimone per eccellenza del genocidio nazista, eppure il suo libro più famoso Se questo è un uomo, uscito nel 1947, è stato rifiutato dalle case editrici, per quanto ora sia reputato in tutto il mondo un capolavoro assoluto. Anche la vicenda letteraria di Levi, il suo riconoscimento come scrittore, è complessa; per gran parte della sua vita Primo Levi è stato un chimico che scriveva quando era possibile, nelle pause dal lavoro o durante le vacanze.

Questo libro racconta la storia delle opere di Primo Levi, come sono nate, quando sono state scritte, di cosa parlano; s’addentra nell’universo dell’autore, nei suoi molti mondi: dalla deportazione alla chimica, dalla scienza alla antropologia, dalla biologia all’etologia, dall’ebraismo alle idee politiche.

Levi è stato un uomo che si è interessato di molti campi dello scibile umano e ha praticato diverse forme letterarie, dal memoriale alla poesia, dal romanzo all’autobiografia, dal saggio al racconto. Per la prima volta vengono qui esplorate contemporaneamente le sue molteplici facce.

Costruito come una sorta di enciclopedia portatile, Primo Levi di fronte e di profilo è il risultato del lavoro ventennale di uno dei maggiori studiosi di Levi, curatore delle opere complete presso Einaudi. Racconta attraverso dieci fotografie la vita dello scrittore torinese, s’addentra nella storia dei suo libri, spiega la passione per i voli spaziali, gli animali, le parole, la linguistica, i marciapiedi, il lavoro, la scienza, la chimica, indaga i diversi temi e risponde a molte possibili domande su una opera variegata e complessa.

La sua inconsueta struttura permette di utilizzarlo in diversi modi: lo si può leggere dall’inizio alla fine, seguendone l’andamento narrativo, o consultarlo come un manuale di istruzioni per l’uso, percorrere la pubblicazione dei suoi scritti dal 1947 al 1986, seguire i temi dell’opera, passare da un argomento all’altro seguendo la propria personale curiosità oppure ricostruire la storia di ogni libro, così come la vicenda della vita o il rapporto con i grandi scrittori del passato (Dante, Leopardi, Baudelaire, ecc.), ma anche con quelli contemporanei (Lévi-Strauss, Saul Bellow, Jean Améry, Bruno Bettelheim, Hannah Arendt, ecc.). Un libro per chiunque voglia approfondire l’opera di Primo Levi, ricco di riferimenti e materiali utili, informazioni, riflessioni, documenti, collegamenti, suggerimenti.
Scritto in uno stile scorrevole, a tratti con un passo narrativo, questa è un’opera senza eguali su un autore fondamentale per capire il nostro passato, ma anche il nostro futuro.

Marco Belpoliti, saggista e scrittore, insegna presso l’Università di Bergamo, collabora a vari giornali e riviste, condirettore della collana “Riga” (Marcos y Marcos) e della rivista on line di cultura “doppiozero”. I suoi ultimi libri sono: Senza vergogna (Guanda), Pasolini in salsa piccante (Guanda); Il segreto di Goya (Johan&Levi), L’età dell’estremismo (Guanda).

29/07/15

Il giorno più bello per incontrarti (di F.Falconi) - in versione ebook e Kindle.




La scena si apre su un funerale di provincia, in una giornata umida e afosa dell’autunno 1977. 

Giovanni, il giovane italiano dal passato tormentato, è annegato in Spagna, vicino a Barcellona, e in quella chiesetta, per l’estremo saluto, sono riuniti i suoi cari: la madre, il cui volto impietrito dal dolore ricorda le contadine dipinte da Grant Wood, la moglie americana, Vivienne, dallo sguardo dolce e assente, il suo migliore amico, Alessandro - voce narrante di questo romanzo davvero intrigante - e pochi altri.

La mesta cerimonia viene interrotta dalle urla di un uomo sulla sessantina, sdentato e infuriato, che pretende una non meglio chiarita “restituzione”, brandisce un coltello e ferisce Alessandro.

É stato coinvolto da Giovanni in una truffa, si scoprirà poco dopo, e a sua volta derubato. Brandelli di un’esistenza oscura, come tante tessere scompagnate di un puzzle che stenta a prendere forma, saltano fuori a poco a poco dalle indagini della polizia, dagli appunti dello psichiatra che aveva in cura il giovane e dai ricordi di chi lo aveva conosciuto e frequentato. 

Il quadro poi si complica ulteriormente quando Vivienne, quattordici anni dopo, riceve una strana cartolina anonima dall’Olanda, vergata con una calligrafia che sembra proprio quella di Giovanni. 

Ad essa fanno seguito altri messaggi, sempre anonimi, provenienti da varie parti d’Europa. É un’altra ritorsione, una messa in scena crudele, o davvero Giovanni è ancora vivo ?

Sarà Alessandro ad annodare i fili dell’enigma e a mettere il punto finale a questa storia dalla tensione sottile e vibrante.

Continua a leggere la recensione del Secolo XIX QUI.http://www.fazieditore.it/Recensioni.aspx?libro=53

28/07/15

Cieli come questo (di F.Falconi) - In formato Kindle.



Ha condannato il proprio sogno prima che fossero cadute tutte le foglie 

Ho scelto questa frase di Elias Canetti come epigrafe del mio romanzo -– perché rappresentava bene quello che succede spesso nelle nostre vite, e anche in Cieli come questo: due persone si incontrano, capiscono in modo spontaneo che c’è qualcosa che li lega, qualcosa di profondo – come se ci si conoscesse da sempre – ma non hanno il tempo e il modo ( e il coraggio ) di mettere in pratica questa conoscenza, di trasferirla dal piano dell’anima al piano della concretezza. 

La protagonista di questa storia è Isabella, una donna che ha superato da poco i quaranta, borghese, con un matrimonio felice, un marito dirigente di un grande sindacato nazionale e una figlia quasi ventenne già autonoma, a cui piace viaggiare in compagnia delle sue amiche.

Il lago tranquillo della vita di Isabella si increspa improvvisamente, nel giro di pochi giorni e di alcune circostanze concomitanti: una gravidanza non voluta e subito spontaneamente abortita, una disavventura capitata alla figlia, in vacanza in Marocco, coinvolta in uno strano incidente, e soprattutto l’incontro con un ragazzo, uno studente di filosofia, Lorenzo

Isabella si accorge, quasi per caso, di essere precipitata silenziosamente in una crisi intima, di valori e riferimenti. 

Quando incrocia Lorenzo durante alcuni seminari, capisce, sente nel ragazzo qualcosa di speciale, una purezza, uno slancio ideale simile al suo. Inizia una prudente frequentazione, durante la quale, nonostante l'indubbia attrazione, Isabella non sembra avere il coraggio di andare fino in fondo. 

Ma il marito si assenta, per andare a riprendere la figlia, e durante questa assenza, Isabella si confronterà duramente, profondamente con la sua crisi, dovrà attraversarla, obtorto collo e fino in fondo. 

Cieli come questo vuole essere insomma un romanzo di ‘iniziazione’, nel quale la protagonista – una come noi – deve mettere in discussione ogni certezza e affrontare la vita, fuori delle piccole sicurezze che molto spesso proteggono dagli scossoni, evitando quel coinvolgimento profondo, quello scambio di anime, che è il vero succo – e forse il vero senso – della vita. 


Cieli come questo  di Fabrizio Falconi si trova oggi in formato Kindle qui - Fazi Editore - Euro 4.99.

27/07/15

E' morto Sebastiano Vassalli.


Con Sebastiano Vassalli, nato a Genova il 24 ottobre 1941 e morto oggi a Casale Monferrato dopo una malattia tenuta riservata, scompare uno dei nostri scrittori più interessanti che con la propria opera, in gran parte basata su indagini storiche, non ha fatto che indagare la natura e il carattere del nostro paese e degli italiani, cui ha dedicato nel 2007 anche 12 storie esemplari e molto critiche, raccolte col titolo 'L'italiano'. 

Romanziere storico, ma alieno dal colore e dalla ricostruzione d'ambiente romanzesca fine a se stessa, il suo indagare, studiare e raccontare il passato, partendo dalle invasioni barbariche per arrivare a Medioevo e Controriforma e proseguendo sino ai nostri giorni con la Grande guerra, il fascismo e i caldi anni '70, era un soffermarsi su momenti simbolici e esplicativi del formarsi di un paese e dei suoi abitanti, cercando di spiegarne umanità, psicologia, cultura e risvolti storico-sociali, come uno scoprire radici che sono ancora quelle che ci fanno essere quel che siamo oggi. 

Due sono i titoli piu' fortunati, che esemplificano la sua ricerca, "La notte della cometa" del 1984, omaggio e ricostruzione della vita del suo "padre folle" il poeta puro Dino Campana, uomo di passioni e tormenti, libero e perseguitato da vicende sfortunate, e il romanzo "La chimera" che, vincendo nel 1990 lo Strega, ne fa uno scrittore popolare con l'avvincente storia e lo sfaccettato ritratto psicologico di una ragazza cresciuta nel Seicento sotto il Monte Rosa, che per la sua straordinaria bellezza attira gli interessi e, vista come strega ammaliatrice, la persecuzione del clero controriformista inquisitorio dell'epoca

Aveva appena terminato un nuovo romanzo, Io, Partenope, in uscita il 12 settembre. 

Candidato quest'anno al Nobel per la letteratura dall'Universita' di Goteborg e insignito del premio Campiello alla carriera, che avrebbe dovuto ritirare a settembre, Sebastiano Vassalli, nato a Genova 73 anni fa e che si diceva abbandonato dalla famiglia, crebbe presso delle zie a Novara e in quella zona e' rimasto poi a lavorare e vivere sino a oggi. 

Laureatosi a Milano con Cesare Musatti e su una tesi su arte e psicanalisi, aderi' giovane al Gruppo '63 e scrisse romanzi sperimentali e trasgressivi come "Narcisso" e "Tempo di massacro" fino a quando, nel 1983 pubblico' "Arkadia", spietata analisi critica dei gruppi d'avanguardia di cui aveva fatto parte. 

Era l'epoca in cui stava lavorando su Dino Campana ("La notte della cometa" uscirà l'anno dopo) e si avvicina a un altro modo di intendere l'artista e la letteratura che racconta con scrittura partecipe e facendone qualcosa di avventuroso e fascinoso. 

Nel 1987 pubblica "L'oro del mondo" racconto autobiografico tenero e sarcastico attraverso cui racconta il momento fondante della nostra democrazia, quello tragico dell'uscita dal fascismo e della Resistenza raccontata da chi non l'ha vissuta in prima persona e dominata, ieri come oggi, dal malcostume e dal trasformismo. 

E' in questo romanzo che il bimbo chiede a uno zio perché si viva: "Per la nostra memoria: e per che altro? - spiego' - Per quelle poche pagliuzze di felicita' che rimangono in fondo alla memoria, come l'oro sul fondo della ba'tea", che e' per Vassalli quasi una dichiarazione di poetica. 

Seguiranno cosi' i romanzi storici, storie sempre anche complesse e umanamente avvincenti, da "La chimera" a "Marco e Mattio" (un caso psichiatrico tra le Dolomiti a fine '700 e inzio '800), da "Il cigno" (sullo scandalo del Banco di Sicilia a fine '800) a "Stella avvelenata" (viaggio di un chierico da Casale Monferrato a Parigi nel Quattrocento), sino a "Le due chiese" del 2010 (ritratto di un paese di montagna nell'Italia tra la Grande guerra e i nostri giorni) e "Terre selvagge" del 2014 (sulle invasioni di Cimbri e Teutoni nella pianura padana). 

Einaudi, Interlinea e Rizzoli sono stati i suoi editori. 

 Grande narratore di storie appassionanti, Vassalli fu anche poeta e soprattutto saggista e pronto a intervenire (dalle pagine spesso del Corriere della sera di cui era collaboratore) sulla nostra realta' e le distorsioni del mondo culturale, visti da lontano, dal suo luogo di vita ritirata che gli permetteva uno sguardo non compromesso, lucido e libero, al di fuori di ogni mondanita' e esibizione letteraria (ultimamente aveva criticato la candidatura allo Strega della Ferrante).

Cosi' si potrebbero citare molti altri suoi titoli, anche non di narrativa, tra i quali vanno comunque ricordati "Sangue e suolo" frutto di un'inchiesta in Alto Adige nel 1984, i cui temi ha ripreso ora nell'ultimo libro pubblicato, "Il confine", in cui rivede anche positivamente l'evoluzione di quella situazione critica tra le due etnie italiana e austriaca.

25/11/14

Per dirmi che sei fuoco (Santa Maria di Portonovo, Conero).





Camminano verso la chiesa, Nico davanti e Valentina subito dietro, e in pochi minuti sono al cancelletto verde che delimita il recinto all’interno del quale c’è l’antica costruzione. C’è una targa dove sono riportate notizie storiche, Valentina inizia a leggere. Nico intanto si guarda intorno alla ricerca della casa bianca. La individua nel fitto degli alberi che risalgono il crinale del monte, a pochi metri di distanza.
«Vieni».
Valentina lo segue lungo un sentiero di terriccio. Arrivano su di un piccolo spiazzo, al centro del quale c’è questa casupola di calce, di pochi metri di superficie, cilindrica, con il tetto di legno e tegole, e una finestrella munita di zanzariera.
La porta di legno non è fornita di campanello. Nico batte le nocche più volte, ma sembra proprio che non vi sia nessuno. Provano a sbirciare attraverso la finestra, le cui imposte lasciano spazio a sufficienza. C’è penombra, non si vede null’altro che il profilo di qualche mobile. Nico fa il giro della casa, nota ad un certo punto affisso al muro un quadratino di terracotta raffigurante un cane o un lupo. Nient’altro. Valentina si volta indietro: constata come dalla soglia della casetta bianca si goda una gran bella vista: il profilo della chiesa romanica, i tronchi dei pini, il fianco della montagna, il mare con le scie dei motoscafi al largo.
Tornano indietro.
Quando arrivano alla chiesa, Valentina si accorge che l’antico portone è socchiuso, ed entra. Non ha capito, non sa che intenzioni abbia Nico, se voglia aspettare lì il ritorno a casa del padre, ma intanto lei ne approfitta per visitare l’interno dell’abbazia. Però c’è poco da vedere: è stata da poco restaurata, le forme architettoniche sono romanico puro, ma è completamente spoglia, non c’è nemmeno un quadro alle pareti e agli altari, né un oggetto d’arte, un ciborio, un baldacchino, niente. Soltanto, sulla parete di fondo, una icona della Madonna. Valentina scopre una piccola targa inchiodata al muro: copia della Sacra Madonna di Kazan.
«Andiamo!»
È la voce di Nico, che la chiama, da fuori.
Valentina si prende un altro poco di tempo, poi esce dalla porticina al lato dell’abside e vede Nico già incamminato lungo il sentiero verso il mare. Tornano allo stabilimento dove si sono fermati prima. Nico entra prima di Valentina e va diretto al tavolino dov’era seduto il vecchio. Soltanto che quello nel frattempo non c’è più. Al suo posto, una ragazzina grassa, guarda anche lei la televisione. Nico le chiede del vecchio, e lei fa cenno fuori, verso la spiaggia.
Il vecchio indossa adesso un cappello di paglia, e armato di un rastrello rassoda la ghiaia, tra le fila di ombrelloni.
Nico e Valentina si avvicinano sotto il sole, che fa sudare.
Il vecchio nemmeno si accorge di loro, continua a rimestare col suo rastrello. Nico gli tocca il braccio. Lui si volta, e li guarda come se li vedesse per la prima volta. «Siamo stati alla casa bianca,» dice Nico, «ma non c’è. Ha idea di dove sia? Di quando ritorna?»
Il vecchio lo fissa con aria interrogativa.
«Montefiori!» dice Valentina.
«È una parola,» sbotta allora il vecchio, gettando via il rastrello, e passando il dorso della mano sulla fronte, «che volete che vi dica? Chi ci capisce con quello? Scompare, riappare. Chi sa dov’è… Sarà… tra i monti».


Fabrizio Falconi - Per dirmi che sei fuoco, Gaffi 2012, pag.38

La chiesa che ha ispirato questo brano è Santa Maria di Portonovo, al Conero.


02/10/14

Il giorno più bello per incontrarti (Incipit)





Prologo

Per far nascere una storia occorre silenzio. Ma io non ho bisogno di far nascere una storia. Essa c'è già, esiste.  Reclama semplicemente di essere raccontata. Dovrò spiegare tutto, nulla potrà essere tralasciato. Dare conto anche del silenzio.

Per far questo, come si conviene, è bene rendere omaggio a colui che questa storia ha generato, o dalla quale è stato immotivatamente sospinto.

A lui essa ritorna, a lui affido queste parole, pronunciate, ricordate, ripetute nonostante da ogni parte giungano fin qui inarrestabili rumori, grida e stridori dissennati.


Il giorno più bello per incontrarti, Fabrizio Falconi, Fazi editore, 1999 (incipit)

Qui la versione formato Kindle

15/09/14

'Quanto lunghi i tuoi secoli', il nuovo libro di Filippo Tuena.



Quanto lunghi i tuoi secoli (Archeologia personale) di Filippo Tuena è il 17° volume della Collana letteraria Pgi, appena pubblicato in quest'anno particolare che segna i venti anni di vita della Collana di questa casa editrice svizzera (Grigionese). 

Quanto lunghi i tuoi secoli raccoglie testi inediti e sparsi sia in prosa che in versi e alcuni esempi di scrittura teatrale e recensioni letterarie che coprono oltre un ventennio di attività sempre più indirizzata, da un lato, verso l'autofiction e, dall'altro lato, verso la saggistica narrativa. 

Come scrive Paolo Melissi per Satisfiction (a questo link anche estratti del libro), i testi inediti di Quanto lunghi i tuoi secoli hanno – in comune lo stato di “grazia” narrativa propria dei racconti dell’Antonio Tabucchi “minore” (e quello più prezioso). Scritti nell’arco di vent’anni, sono la conferma dell’importanza della forma breve, del racconto, “genere” che in Italia ha vita difficile. 

Insieme, sono tentativi di scrittura teatrale, in versi, di autofiction e saggistica narrativa, forse una delle forme risolutive del dire in quanto (ma non solo) frutto di un insieme di forme in grado di rappresentare la complessità.

Ed è con piacere grande che ho ritrovato in questo volume alcuni testi poetici di Filippo pubblicati a suo tempo nella collana Le Remore (Aletti) nel volume Quattro Notturni.

Filippo Tuena nasce a Roma nel 1953 da una famiglia di origine composite, poschiavine (Le Prese, per la precisione) e romane da parte di padre; pugliesi e triestine da parte di madre. Il suo esordio narrativo Lo sguardo della paura (Leonardo 1991) vince nel 1992 il Premio Bagutta Opera prima. Pubblica quindi altri tre romanzi. Nel 1999 esce Tutti i sognatori (Fazi), vincitore del Premio Grinzane-Cavour 2000, cui fanno seguito La grande ombra (Fazi 2001; nuova ed. 2008), Le variazioni Reinach (Rizzoli 2005), insignito del Premio Bagutta, e Ultimo parallelo (Rizzoli 2007; nuova ed. Il Saggiatore 2013), vincitore del Premio Viareggio-Rèpaci. Dal 2010 Filippo Tuena cura la collana «Tusitala» per la casa editrice romana Nutrimenti. Il suo ultimo libro è intitolato Stranieri alla Terra (Nutrimenti 2012). Attualmente Tuena sta lavorando a un libro dedicato agli ultimi anni di vita del grande musicista Robert Schumann. 

08/07/14

Per dirmi che sei fuoco (Fabrizio Falconi).





    Riesce a visitare suo padre soltanto il giorno prima. Il giorno prima che sia troppo tardi.
    Per tutta la settimana Nico ha vissuto in una sorta di stagnazione, come sospeso.  Al reparto è diventato uno di casa.  Ci ha trascorso almeno sei, sette ore al giorno.  Familiarizzando con altre facce e altre storie così diverse dalle sue. Non ha potuto fare a meno di ascoltare i racconti, le sofferenze, le speranze, i rancori sopiti di chi condivide con lui il gelido limbo della sala d’aspetto.  Uomini e donne, ragazzi e vecchi appesi al filo di una notizia, di una mezza parola detta o non detta, di un miglioramento intravisto, di un giorno intero senza buone nuove.  Non ha potuto fare a meno di sentire vicino a lui il pianto sommesso, i risolini isterici di sollievo, le domande senza risposta, ribattute come un rintocco di una campana.  C’è anche un ragazzo nel reparto, un ragazzo di tredici anni, un kossovaro caduto dal cantiere abusivo nel quale lavorava.  I medici ottimisti fanno fatica ad arginare il senso fatalistico della tragedia che incombe sulla sterminata famiglia che si avvicenda al capezzale.  Sono tutti immigrati senza passaporto, la polizia ha fatto a meno di convocarli in commissariato, loro si danno il cambio giorno e notte, interrogano i medici senza capire cosa gli viene detto, si ingozzano di panini e caramelle, condividono il dolore dei parenti degli altri ricoverati senza mai dare in escandescenze, senza farsi mai notare. 
        Fanno parte del piccolo universo dolente al quale Nico era del tutto estraneo prima dell’incidente di Michele. Anche lui vi appartiene adesso, separato dal resto del mondo dalla fragile porta a vetri del reparto.    Anche Nico, e tutte le poche o tante persone con le quali la vita di Michele si è intrecciata.  Alcune di queste, ne è convinto Nico, sono venute senza nemmeno farsi riconoscere, hanno spiato dai vetri, forse hanno chiesto qualcosa al medico di turno, e se ne sono andate.  Altri sono apparsi soltanto una volta, come l’avvocato Andò, che non si è più fatto vivo. (...)
         Con il passare dei giorni, e l’assenza di notizie significative, Nico è riuscito anche, durante le ore trascorse all’ospedale, a studiare un po’.  Ha trovato un paio di libri giusti. Una nuova chiarezza gli si è fatta piano piano spazio nella mente, riguardo alla sua tesi: ha deciso, scriverà soltanto a riguardo del rapporto con Bruna, con la giovane poetessa.  Partirà da lì.  L’energia dell’amore che rimette in moto, per l’ennesima volta – per l’ultima volta – il cuore del poeta.  Tutte le lontananze, tutti i distacchi, tutta la polvere, tutto ciò che è passato, è passato. L’esilio finisce con gli occhi di Bruna. Gli occhi di Bruna, e i suoi versi, il suo canto di poeta, il suo essere poeta, restituiscono la vita al poeta.

Hai visto spegnersi negli occhi miei
L’accumularsi di tanti ricordi,
Ogni giorno più di struggitori,
E un unico ricordo
Formarsi d’improvviso.


       Ha passato molte ore da solo, Nico.  Molte ore a leggere, ad alzare gli occhi dal libro per sorvegliare il passaggio di medici e infermieri, per accorgersi di un rumore, un segnale significativo. 

12/05/14

Lotta di classe al terzo piano - un romanzo coraggioso di Errico Buonanno.




Ci pensavo di recente: il coraggio è proprio quel che manca, che sembra mancare agli scrittori italiani. 

In molti scrivono bene, imbastiscono storie ben costruite, affilano personaggi che riescono a suscitare empatia.  Però.. però alla fine manca quasi sempre qualcosa. 

Come ha detto una volta con incredibile sintesi, Michel Serres, è proprio il coraggio la qualità umana che sembra mancare di più di questi tempi (dove tutto, anche la passione, è sotto tono, sotto traccia, dove tutto sembra tiepido e confortevolmente privo di profondità). 

Errico Buonanno, invece, il coraggio ce l'ha.  E lo dimostra con un romanzo che mette insieme una storia, un ambiente, personaggi, apparentemente del tutto inattuali, del tutto fuori moda, del tutto lontani dal gusto contemporaneo, da quello che sembra gradito al mercato. 

Buonanno ci invita - con tono leggero, divertito e divertente, ma pieno di implicazioni attuali (eccome) - a Londra, nel 1861, dove in un vecchio, fatiscente condominio, vive - a spese del sodale, pazientissimo e devoto Engels - Karl Marx.  Proprio lui.  Il personaggio e il filosofo che dopo aver dominato la scena del mondo per buona parte del Novecento, sembra oggi caduto in una specie di damnatio memoriae, come quella che capitava agli imperatori romani, dopo aver esaurito il loro Regno. 

Oggi quasi nessuno più - a parte i circoli accademici - parla più di Marx, e se è vero come è vero che anche nei periodi di massimo fulgore della diffusione del suo pensiero in Occidente si poteva affermare che quasi nessun marxista o dichiarato tale avesse mai letto una sola pagina del Capitale (un certo oblio dunque già esisteva), oggi ad essere dimenticata sembra anche la vicenda umana del filosofo, che pure già di per sé contiene molti motivi di interesse.

Buonanno mette al centro del suo romanzo proprio Karl Marx, con tutte le sue smanie e le sue idiosincrasie, a quarantatré anni, mentre è alle prese con la scrittura del libro (Das Kapital), che incendierà il secolo successivo e che vedrà la luce soltanto sei anni più tardi, nel 1867. 

A Londra Marx se la vede malissimo.

Lui e la sua famiglia, che qui sono approdati nel 1852, hanno vissuto con gli esigui proventi della sua attività di pubblicista.

Abitano in uno dei peggiori quartieri di Londra, occupano due stanze con la moglie che lo ama profondamente e crede nelle sue idee, nonostante le gravissime difficoltà e la morte, in pochi anni, per denutrizione, di tre figli, Heinrich (1850), Franziska (1852) e Edgar (1855).

Nonostante ciò, Marx non smette di studiare, scrivere, riflettere: il mondo, l'Europa, sono in rivolta.  E ovunque sembra di respirare soltanto un'attesa di qualcuno che sappia interpretare e definire questo sentimento.

In questo clima dickensiano, Buonanno costruisce un romanzo formidabile, che pagina dopo pagina diverte e commuove.  Il segreto - l'espediente - è quello di introdurre la figura del padrone di casa,  Alan John Huckabee, che sembra l'opposto di Marx: sfruttatore, cinico, invidioso, letterato fallito e vero e proprio capitalista.

Marx è un inquilino scomodo: moroso impenitente, pericolosa testa calda, frequentatore di brutti soggetti.

Tra i due opposti caratteri comincia una guerra che si stempererà, pagina dopo pagina, in una imprevista e imprevedibile empatia, una lotta solidale, dalla stessa parte, in nome dell'utopia: in fondo ogni uomo alla fine, desidera cambiare il mondo, e desidera che il mondo sia un posto migliore di quello che viviamo.

A corollario dei due, Buonanno dispone poi una serie di personaggi di contorno particolari che arricchiscono la narrazione - imbastita soprattutto sui dialoghi, che sono la vera arma in più di questo scrittore - come quello di Natasha Ivanova, che sembra uscita da un libro di Tolstoj e che con La promessa del Tamigi, "romanzo in presa diretta", regala al lettore momenti di divertimento puro.

E alla fine con quella frase così spontanea: "Huckabee, su: si guardi intorno! Non è bella la vita, anche qui fuori ? E non è bella la realtà? Il futuro, il progresso, quello vero!" concede al romanzo l'esito più appropriato.

Il futuro, il progresso, lontano dall'utopia, sono nel coraggio della vita ordinaria, nelle battaglie quotidiane, nel riso e nel pianto della vita.  E questo, anche Karl Marx, prima ancora di comprenderlo forse, lo ha vissuto interamente con la sua esistenza.

Fabrizio Falconi



Errico Buonanno

09/09/13

E' morto Alberto Bevilacqua. Il torto di essere poliedrico.





La scomparsa di Alberto Bevilacqua rende un po' più povero il panorama - già di per sè non particolarmente esaltante - della produzione culturale italiana.  

Bevilacqua, che esordì giovanissimo, a soli 19 anni, con la raccolta di racconti La polvere sull'erba, ha scritto molto (secondo alcuni, troppo), ma soprattutto ha commesso un 'errore' che non gli è stato mai perdonato dalla critica militante italiana (quella che esisteva fino a qualche anno fa e che poi si è dissolta, insieme a quella che una volta veniva definita cultura alta, disciolta in mille congreghe perlopiù virtuali e perlopiù irrilevanti, come è quasi del tutto irrilevante, tranne poche eccezioni, almeno a livello internazionale, la cultura italiana): quello di assecondare il proprio talento poliedrico.  

Se infatti in Italia viene già perdonato a fatica il fatto di avere un talento, specie in campo culturale, viene invece ritenuto del tutto imperdonabile avere più talenti, un tipo di figura intellettuale che di contrario nel mondo anglosassone o in Francia, per esempio, viene ben considerata. 

Bevilacqua ha avuto la presunzione di scrivere molti romanzi, di scrivere racconti e piccoli e lunghi saggi, di scrivere poesia e addirittura di dedicarsi al cinema con la realizzazione di ben otto film, tra i quali i primi due, La Califfa (1970) e Questa specie d'amore (1972) che erano tratti da suoi romanzi e che ottennero premi e riconoscimenti importanti, fuori e dentro l'Italia. 

Ha poi avuto anche l'ulteriore torto,  probabilmente dovuto al narcisismo che accomuna molti intellettuali, e questo ancora più grave e imperdonabile di concedersi al trash di trasmissioni televisive (ah, la televisione!) in qualità di ospite e di opinionista.

Questo pesa e peserà non poco - in Italia funziona così - sulla valutazione del Bevilacqua scrittore. E di quello regista o di quello di intellettuale a tutto tondo.  

Bisognerà aspettare, come è successo molte volte in passato, il transito del tempo, il trascorrere magari di una generazione o due, e forse anche su Bevilacqua sarà possibile esprimere un parere più serio, più obiettivo.

E magari scoprire una dote piuttosto rara che ha permeato molte delle sue opere: la sincerità.

Fabrizio Falconi.

02/09/13

Carlo Cassola, un autore dimenticato.


In tempi in cui è così difficile fare critica letteraria in Italia - pochi che leggono, pochissimi che posseggono gli strumenti della critica, ancora di meno che ricordano, può essere indicativa la vicenda di Carlo Cassola, nato a Roma il 17 marzo 1917, un narratore oggi sparito - o quasi - dalle librerie e che pure conobbe un grande successo commerciale, il che gli attirò le furie della critica di allora, che invece pretendeva di decidere tutto - oggi non decide più niente - e di stabilire una volta per tutte i valori assoluti in un campo scivoloso come quello della produzione letteraria.

                                       
(Carlo Cassola con Pasolini)

Cassola, riletto oggi sembra molto meno ingenuo di come appariva allora (implacabilmente impallinato da Calvino e soci) e soprattutto messo a paragone con molta della narrativa che si fa e si stampa oggi in Italia, appare perfino un gigante.

Questo è il ritratto che traggo dal sito Italialibri, forse una occasione per tornare su un autore oggi quasi del tutto dimenticato.

Carlo Cassola nasce a Roma nel 1917. La madre è originaria di Volterra mentre il padre è lombardo, ma vissuto a lungo anch’egli nella cittadina toscana. E infatti, proprio la Toscana, in particolare la Maremma, diventerà la patria poetica e spirituale dello scrittore, che vi si trasferirà nel ’40, partecipandovi anche alla Resistenza.

L’attività letteraria era già cominciata negli anni ’30: tra il ’37 e il ’40 Cassola aveva composto una serie di brevi racconti, in parte pubblicati sulle riviste «Meridiano di Roma» e «Letteratura» e poi raccolti in un volume dal titolo La visita. 

Dopo l’interruzione della guerra, durante la quale il lavoro di scrittura era stato quasi completamente interrotto, Cassola si dedica con continuità alla narrativa, affiancata all’insegnamento di filosofia in un liceo di Grosseto. Pubblicò i racconti lunghi Baba (1946), I vecchi compagni (1953), Fausto e Anna (1952), tutti di argomento partigiano e ambientati in quel particolare paesaggio letterario che per Cassola fu la zona compresa nel triangolo Volterra - Marina di Cecina - Grosseto: una terra arida, avara, crudele, che nelle pagine dei suoi romanzi diventa un simbolo della condizione umana, quasi un “correlativo oggettivo” della fatica di vivere.

 (Carlo Cassola)

Lo ha detto in modo efficace il poeta Mario Luzi quando, riferendosi allo sfondo geografico dell’opera di Cassola, afferma: «Per affetto e per organica intelligenza di poesia, Cassola ne ha fatto non una provincia, e sia pure la sua provincia, ma un luogo, anzi il luogo dell’anima».

Con il racconto lungo Il taglio del bosco, scritto tra il ’48 e il ’49, ma pubblicato nel 1954, la prosa cassoliana si allontana dalle tematiche storiche per assumere un tono più dimesso e intimistico, che rimarrà tipico dell’autore anche nella sua produzione successiva.

Cassola mette a punto la sua poetica del “realismo subliminare”, ossia uno sguardo letterario attento a cogliere le vibrazioni più sottili e umbratili della realtà, spesso nascoste dalle apparenze banali del quotidiano, relegate «sotto la soglia della coscienza pratica» ma che racchiudono il significato vero e profondo della vita umana.

In questa sua ricerca, Cassola tende ad isolarsi dal panorama letterario italiano, riconoscendo il suo unico maestro in Joyce, particolarmente nel Joyce di Gente di Dublino. «In Joyce — dice — scoprii il primo scrittore che concentrasse la sua attenzione su quegli aspetti della vita che per me erano sempre stati i più importanti e di cui gli altri sembravano non accorgersi nemmeno» .

Questo netto distacco dal naturalismo tradizionale segnerà d’ora in poi tutte le opere dello scrittore, determinando anche una nuova visione della storia, considerata sempre meno come il teatro di grandi eventi e di ideali alti, ma piuttosto sempre proiettata nella dimensione interiore e privata dei soggetti che in essa si trovano a vivere, spesso loro malgrado.

Così, se Il soldato (con cui Cassola vince il Premio Salento nel 1958) tratta il tema della solitudine e dell’elegia amorosa, nella raccolta di racconti La casa di Via Valadier (1956) il motivo politico si colora di forti implicazioni esistenziali, in un quadro che all’elemento storico contingente, si tratti della condizione operaia (come nel racconto Esiliati) o della caduta degli ideali della Resistenza (come nel racconto eponimo dell’intera raccolta), sempre viene anteposto lo stato d’animo che ne scaturisce, spesso segnato da un senso di inerzia ed abbandono dinanzi all’ineluttabilità degli eventi. In questa scia si viene a collocarsi anche il romanzo La ragazza di Bube, pubblicato nel 1960 ed insignito del Premio Strega.

Le scelte poetiche di Cassola non mancarono di suscitare numerose ed accese polemiche, e si attirarono a più riprese l’accusa di sfuggire all’impegno letterario e civile rifugiandosi in un vuoto lirismo e in un realismo facile, idilliaco, privo di conflitti. Rimangono emblematiche le parole a cui ricorse un Calvino particolarmente caustico per rispondere ad alcuni interventi di poetica pubblicati da Cassola sul «Corriere della Sera»: «La poetica dell’ineffabilità dell’esistenza è e resterà legata a esperienze individuali rare, a particolari congiunture storiche. Cassola dice che ha trionfato: non si rende conto che questo trionfo è una sconfitta? Cosa può voler dire questo trionfo, oggi? Romanzi sbiaditi come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti ricucinati».

Nonostante l’animosità a volte carica di acrimonia evocata dalla sua opera, il lavoro di Cassola si mantenne fedele alla propria poetica chiusa, minimale e volutamente astorica, anche nella produzione degli ultimi anni che, tra romanzi e racconti, si mantenne regolare e costante:

continua a leggere qui.


24/05/13

Cieli come questo - di Fabrizio Falconi (2002).




L’incontro durò fino all’ora di pranzo.
Terminato il tempo per le domande, Rajakrishna si alzò in piedi, fece il solito inchino e si allontanò dalla sala.
Più tardi i suoi collaboratori riferirono che dopo aver pranzato con riso e matè si era inoltrato a piedi, per il sentiero che partiva dal lato nord del borgo e si inerpicava sulle colline circostanti.
Isabella insieme ai ragazzi consumò uno spuntino all’unico bar dei paraggi, poi cercò di riposarsi sui sedili di pietra della grande vasca all’aperto, sotto la pergola. Arrotolati i risvolti dei pantaloni, immerse le gambe nell’acqua calda. Il vento era calato e il  sole era ancora alto e caldo. 
Valdemar si era addormentato su una delle panchine.
Isabella muoveva avanti e indietro i piedi nell’acqua.
Lorenzo si sedette vicino a lei.
“ Credo di essermi innamorato di te, “ disse .
Isabella non spostò lo sguardo dall’acqua. Rimase a lungo in silenzio, come se lui non avesse parlato. Sussurrò:  “ Non voglio nemmeno sentirlo. “
Lorenzo gettò un sasso nell’acqua.
“ Non servirà non parlarne. “
“ Forse non servirà, ma è quello che voglio. Non voglio parlarne. “
Nuvole rade correvano sul sole.
“ Curiosa quella scena, te la ricordi ? “ Lorenzo sembrava pensare ad altro, ora. .
“ Quale scena ? “
“ Quella scena di Nostalghia, il film di Tarkovskij.  La girò qui, in questa vasca. L’hai visto ? “
“ Sì. Però non mi ricordo bene. Sono vecchi film. Mi chiedo anzi come fai a conoscerli .“
Lui non rispose. Proseguì:
“ Nessuno ha capito bene cosa significa quella scena del matto che attraversa a piedi la vasca prosciugata con la candela in mano, e ogni volta che la candela si spegne, deve tornare indietro. Succede per tre volte ed è un piano sequenza lunghissimo.  “
“ Sì adesso mi ricordo. Secondo me era una specie di voto. “
“ Un voto ? “
“ Sì, un voto che si realizza solo se la candela rimane accesa fino alla fine della vasca. “
“ E di quale voto poteva trattarsi ? “
“ Non lo so. Forse lo stesso che chiederei io, ora, “ rispose lei.
“ E cioè ? “
“ Che il tempo per una volta si fermi. Qui. Che banale. Chissà quante volte anche tu l’hai pensato. Lo pensano tutti: quando uno trova un punto nuovo che non conosceva, dentro se stesso, vuole fermarsi. Ma nessuno può esaudire questo voto, e d’altronde è così che va il  mondo. “