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29/12/16

Hervé Clerc - "Le cose come sono - una iniziazione al buddhismo comune" (Recensione)




Per chi è in cerca di una introduzione (o una iniziazione, come è scritto nel sottotitolo) al buddhismo, come filosofia di vita e come pratica quotidiana, il libro di Clerc è un ottimo strumento. 

Scritto con tono completamente a-confessionale, da un punto di vista sostanzialmente laico, Le cose come sono racconta prima di tutto un incontro molto personale con l'essenza del buddhismo, come è stato vissuto dall'autore. 

Clerc (a indurlo a scrivere è stato il suo amico Emanuele Carrère) si è portato questa storia dentro per quattro decenni. Fu infatti più di quarant'anni fa che, reduce dai fervori e dai clamori del maggio '68, ebbe «un'esperienza incommensurabile rispetto a tutte quelle che avrebbe poi fatto nella sua vita e, ovviamente, a quelle fatte in precedenza»: si trattò di una vera e propria illuminazione, pervenuta al termine di una esperienza di droghe, che spalancò le porte ad una nuova percezione della realtà: una esperienza squassante di nudo, immobile, vuoto. 

Clerc non sapeva allora non sapeva che cosa fosse. Soltanto più tardi ha trovato la radice di questa esperienza meticolosamente, miracolosamente descritta negli antichi testi buddhisti. 

Così, riprendendo oggi il filo della propria biografia, riesce a renderci partecipi di un insegnamento plurimillenario, e nella forma più semplice e spoglia possibile, scardinando cliché, tic accademici, gerghi, mode, che invoglia alla lettura. Allo stesso tempo lo studio dei testi classici del buddhismo e delle sue radici è comparato con l'esperienza occidentale, in particolare con gli esiti di quella ricerca fenomenologica che da Husserl ad Heidegger si è avvicinata - per certi toni - alla tradizione millenaria orientale. 

Un libro insomma affascinante, denso di spunti e con un prezioso glossario finale che racchiude i termini e le formule principali del pensiero buddhista. 


Hervé Clerc 
Le cose come sono 
Una iniziazione al buddhismo comune 
Traduzione di Carlo Laurenti 
Piccola Biblioteca Adelphi 2015, 
3ª ediz., pp. 259 € 14,00 

30/09/16

Il libro del giorno: "Paul e Virginie" di Bernardin de Saint-Pierre.



Uscito nel 1788, il proto-romanzo romantico-naturalistico che influenzò intere generazioni con la storia primitiva e tragica di due giovani che si amano pudicamente nell'Ile de France (l'attuale Mauritius) e che il destino separa precocemente, senza riuscire a separare le loro anime.

Miracolo di scrittura pura, di fronte alla quale anche le ingenuità e le forzature passano in secondo piano, di fronte alla quale non resta che ammirare il mistero di qualcosa che è riuscito a cogliere il quid più intimo della natura umana, condannata ad essere in bilico, sempre. 

Un classico da riscoprire continuamente. 



19/01/16

E' morto il grande Michel Tournier.




A 91 anni e' morto, lontano dai riflettori di Parigi, Michel Tournier, considerato uno dei più grandi scrittori francesi del secolo scorso, più volte citato come candidato al Nobel per la letteratura.

Arrivato tardi alla scrittura - aveva 42 anni alla pubblicazione del suo primo romanzo - Tournier ha scritto per adulti e adolescenti, riuscendo a mescolare mito e storia.

Per Gallimard, pubblicò a meta' anni Sessanta "Venerdi' o il limbo del Pacifico", ispirato al Robinson Crusoe di Daniel Defoe.

Nel 1970 ottiene - unico scrittore francese nella storia - il premio Goncourt all'unanimità della giuria, per "Il re degli Ontani", che vendera' in 4 milioni di copie.

"Venerdi' o la vita selvaggia", versione semplificata della sua prima opera, vendette 7 milioni di copie e fu tradotta in 40 lingue, diventando un classico per ragazzi letto ancora oggi in tutte le scuole.


fonte ANSA


25/03/15

"Memorie di una ragazza perbene", di Simone de Beauvoir - L'eloquenza della testimonianza.



Ci sono libri che ti girano intorno per una vita, e scelgono loro il momento e il punto in cui presentarsi. Per me è stato così con Memorie di una ragazza perbene, che mi aveva sfiorato a lungo senza incontrarmi mai.

La Beauvoir si dedicò alla sua biografia - una vita lunga e piena - a partire dal 1958, e  Memorie di una ragazza perbene ne rappresenta la prima parte, pubblicata nel 1958 cui faranno seguito altre tre parti, L'età forte (1960), La forza delle cose (1963), A conti fatti (1972).

È un'opera, come è noto, fondamentale perché perché offre, insieme alla storia personale della scrittrice e della sua famiglia, la testimonianza in presa diretta sull'atmosfera e sul dibattito culturale svoltosi in Francia dagli anni trenta fino alla fine degli anni Sessanta.

Memorie d’una ragazza perbene si apre come un manifesto (e il suo incipit è uno dei più noti della narrativa contemporanea: «Sono nata il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino, in una stanza dai mobili laccati in bianco che dava sul Boulevard Raspail».

Retrospettivamente, Simone de Beauvoir che all'epoca ha cinquant’anni, ripercorre con minuzia i suoi primi vent’anni di vita: un romanzo di formazione femminile, in cui si assiste gradualmente alla nascita - o meglio alla identificazione - di un carattere.

Sono memorabili le pagine nelle quali Simone descrive la sua prima infanzia, un mondo apparentemente dorato - quello dell'alta borghesia parigina - rassicurato dal ruolo assegnatole nel mondo, quello della brava bambina, a cui è richiesto non tanto di scoprire il mondo, ma di viverlo nei confini assegnati.

Si stagliano le due figure, quella del padre, individualista e dalla morale caduca, e quello della madre, che incarna il rigore della vita spirituale.

Simone trascorre i primi anni tra il conforto rassicurante della fede che le è stata insegnata e l’amore per la lettura.

Ma ben presto la disillusione del caro mondo infantile,  che non è proprio quel che appare, lascia il posto alla curiosità divorante, alle inquietudini, e ai turbamenti dell'adolescenza.

E' di questo periodo il rapporto sempre più intenso con Zazà, la prima, vera amica, la rottura con Dio e la religione (che apparentemente resteranno immutabili fino alla morte) e la autoconsegna alla missione artistica.

L'amore per il cugino Jacques - contrastato e ambiguo - il rifiuto dell'idea del matrimonio, la decisione di iscriversi alla Sorbona, dove entra in contatto con i più grandi intellettuali dell'epoca: da Simone Weil a Merleau-Ponty (suoi compagni di corso), Raymond Aron, Paul Nizan e ovviamente Sartre, nel quale Simone trova un sodale, un complice più che un amante e un compagno, un vero alter-ego maschile.

Un cammino di emancipazione, contro tutto e contro tutti, verso la libertà intellettuale e la liberazione dai luoghi circoscritti in cui il femminile all'epoca è recluso. 

E' una testimonianza, quella di Simone, che resta agli atti del Novecento. E in qualche modo precede il valore strettamente letterario dell'opera. Che pure è importante. Personalmente ho trovato e trovo la prosa della Beauvoir (e la sua poesia) molto più eloquente per il lettore di oggi (e più alta più compiuta), di quella dello stesso Sartre (che oggi mi appare molto più datato). Insomma, un libro che sa ancora parlare - anche quando il mondo appare del tutto trasfigurato da quei tempi lontani nel quale tutto sembrava da scoprire, tutto sembrava da cambiare.

Fabrizio Falconi


17/10/14

Handke: "Modiano è un grande scrittore, ma aboliamo il Nobel."



Lo scrittore austriaco residente a Parigi, Peter Handke, ha dispensato grandi lodi al collega francese Patrick Modiano, insignito quest'anno del Nobel per la letteratura, criticando pero' il prestigioso premio letterario e proponendo anzi di abolirlo.

"Modiano e' davvero un autore notevole con un'opera unica", ma il riconoscimento, con la sua "falsa canonizzazione" della letteratura, non porta nulla di buono: "il Premio Nobel andrebbe finalmente abolito", ha detto Handke in dichiarazioni all'agenzia austriaca Apa. 

Secondo il 71/enne scrittore austriaco, autore di capolavori come i romanzi', Breve lettera del lungo addio, Infelicita' senza desideri, il Nobel porta "un momento di attenzione, sei pagine nel giornale", ma per la lettura non porta nulla. 

Handke ha ammesso che l'essere stato lui stesso quest'anno nella rosa dei candidati al Nobel, non lo ha lasciato indifferente: "certo che ti prende, ti infastidisce, e allora ti infastidisci con te stesso perché ci pensi: è una cosa così indegna e al contempo si diventa per un po' se stessi indegni". 

Handke aveva scoperto e presentato al pubblico tedesco Modiano negli anni '80 e tradotto fra l'altro in tedesco anche il suo romanzo 'Una gioventù". Modiano scrive quello che ha in mente e il risultato continua poi a librarsi, ha spiegato: "in molti autori dopo non si libra nulla". 

A differenza dell'ultimo Nobel francese, Jean-Marie Gustave Le Clezio, Modiano e' davvero un bravo scrittore: "questa e' una cosa molto rara".

09/10/14

Premio Nobel per la Letteratura 2014 a Patrick Modiano. VIDEO.



Molti oggi sentendo l'annuncio di Patrick Modiano come Premio Nobel per la letteratura 2014 hanno insistito sulla bizzarria dell'Accademia svedese, che da un po' di anni a questa parte si diverte a spiazzare il pubblico dei lettori forti e meno forti, con i quali evidentemente non è in sintonia.  

Anche Modiano è in Italia un quasi perfetto sconosciuto, anche se le Edizioni Einaudi pubblicano dal 2005 quasi regolarmente ogni sua nuova uscita (si immagina con poco successo di vendite.. prima di oggi).

In Francia Modiano è un autore molto conosciuto, da sue opere sono stati tratti parecchi film.  Per i lettori italiani questo qui sotto è un piccolo ritratto-video in due minuti.



Mentre QUI potete trovare una bella intervista a Modiano realizzata da Bernard Pivot, all'uscita del suo romanzo Le petit Bijou, tradotto in italiano soltanto come Bijou ed edito, come gli altri da Einaudi.

Al prossimo Nobel.

15/11/13

100 anni fa la Recherche di Proust. Un articolo di Alessandro Piperno su Swann




Cento anni fa, ieri, esattamente il 14 novembre 1913, debuttava, dopo una serie di risposte negative di varie case editrici, "Dalla parte di Swann", primo volume del capolavoro di Marcel Proust "Alla ricerca del tempo perduto", che restera' nella letteratura mondiale. 

Editori Internazionali Riuniti celebra l'anniversario riproponendo, nella collana Asce, le "Poesie" (traduzione della poetessa Luciana Frezza), una silloge di componimenti editi in riviste, o in differenti raccolte di lettere, o in pubblicazioni di amici dell'autore, o in plaquettes di "versi ritrovati", o ancora inediti provenienti per lo piu' dall'archivio di Madame Mante-Proust e dal Fonds Marcel Proust dell'Universita' dell'Illinois a Urbana. 

Nella stessa collana e' presente anche il romanzo "Gelosia" (traduzione di Cristiana Fanelli) del maestro francese.



Alessandro Piperno Marcel Proust. Perché Swann (la vittima) è uno di noi

Chissà se tra le tante definizioni della Recherche non possa trovare spazio anche questa: la Recherche è la lunga impudica confessione di un saggista impazzito. Proust è alle soglie della mezza età, in piena sindrome Salieri: pensa che Dio gli abbia regalato il dono di saper riconoscere la bellezza, ma non di saperla inventare. Spinto dal risentimento, si mette a scrivere un saggio letterario contro Charles Augustin de Sainte-Beuve, uno dei più grandi scrittori francesi del XIX secolo. Ma ecco che questo astioso saggista, nonché romanziere fallito, trascinato dalle sue elucubrazioni, viene preso dalla smania di raccontarci i fatti suoi o, quanto meno, i fatti di un tizio che gli somiglia parecchio: da allora in poi non riesce più a fermarsi. Il risultato è il più fiabesco e, allo stesso tempo, il più nichilista romanzo mai scritto.

fonte ANSA  -  Corriere della Sera – la Lettura 10 novembre 2013

13/08/13

Folgoranti citazioni dal "Dell'amore" di Stendhal.






Niente è interessante quanto la passione, perché tutto è imprevisto, e colui che agisce è anche quello che subisce. Niente è piatto, quanto l'amore-gusto dove tutto è calcolo come in tutti gli affari prosaici della vita.
(p.201)

A Roma, a causa del poco interesse degli avvenimenti di ogni giorno, a causa del sonno della vita esterna, la sensibilità si accumula a favore delle passioni.
(p.122)

ciò che è accidentale fa molto in amore.
(p.260)

Non si può arrestare l'amore se non agli inizi. 
(p.107)

si è quel che si può, ma si sente quello che si è.
(p.80)

a meno che non si tratti di una passione nata poco a poco e nella prima giovinezza, una donna di spirito non ama mai a lungo un uomo comune.
(p.87)

ci sono due disgrazie al mondo: quella della passione contrastata e quella del vuoto assoluto.
(pag.70)

citazioni tratte da Stendhal, Dell'amore, ediz. Garzanti, 1982, traduz. Maddalena Bertelà.

26/11/12

Pietro Citati: Flaubert, ritratto d'artista da giovane solitario.




Riporto qui una anticipazione del bellissimo articolo comparso il 20 novembre 2012 sul Corriere della Sera, su Gustave Flaubert, firmato da Pietro Citati. 


Flaubert, ritratto d'artista da giovane solitario Era nato per il riso, il grottesco e la buffoneria ma con la malattia scoprì il senso della rinuncia

A ventun anni Gustave Flaubert era bellissimo: di una bellezza eroica, scrisse Maxime du Camp. Aveva una pelle bianca leggermente rosata sulle guance, lunghi capelli fini e ondeggianti, era alto e largo di spalle, aveva la barba abbondante e di un biondo dorato, gli occhi enormi, color verde mare, protetti da sopracciglia nere: mentre una voce echeggiante come un suono di tromba, i gesti eccessivi e un riso squillante ricordavano i giovani condottieri galli che avevano lottato contro le armate romane. Salmodiava la prosa, urlava i versi, s'infatuava di una parola che ripeteva sino alla sazietà, riempiva tutto col suo rumore, sdegnava le donne attratte dalla sua bellezza, svegliava gli amici alle tre del mattino per portarli a vedere un effetto di chiaro di luna sulla Senna. Aveva un'immensa vitalità fisica. Sembra che solo il mare potesse fronteggiarlo. La primavera e l'estate era sempre nell'acqua, nella Manica e nella Senna, nuotando e vogando su un canotto, che il padre gli aveva acquistato.

Il padre gli aveva imposto di studiare legge, abbandonando la letteratura; e il 10 novembre 1841 si iscrisse alla facoltà di Diritto di Parigi, sebbene continuasse ad abitare a Rouen. L'8 gennaio 1842 era a Parigi. Discese all'Hôtel de l'Europe, rue Le Pelletier, e scrisse alla madre. «Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile, come dice Candide»: poi si informò sul programma e gli orari del corso del primo anno. Ma il diritto non era, per Flaubert, «il migliore dei mondi possibili». «La giustizia umana», scrisse qualche mese dopo a un amico, «è per me quello che c'è di più buffonesco al mondo, un uomo che ne giudica un altro è uno spettacolo che mi farebbe crepare dal ridere, se non mi facesse pietà... Non vedo nulla di più idiota del diritto, se non lo studio del diritto. Ci lavoro con un estremo disgusto».

Malgrado queste dichiarazioni, cominciò a studiare legge, a Rouen e nell'appartamento che aveva affittato a Parigi al numero 19 della rue de l'Est. Era furibondo. «Il diritto mi uccide - scriveva il 25 giugno 1842 a Ernest Chevalier -, mi abbrutisce, mi sconnette, mi è impossibile lavorarci. Quando sono rimasto tre ore con il naso sul Codice, durante le quali non ho capito nulla, mi è impossibile andare oltre, mi suiciderei». «Voglio finirla prima possibile - ripeteva il 10 dicembre alla sorella Caroline -, perché non può durare più a lungo così, finirei per cadere in una condizione di idiotismo o di furore. Questa sera, per esempio, sento simultaneamente queste due piacevoli condizioni di spirito». «Sono così irritato, così infastidito, così furioso - continuava 5 mesi dopo -. Qualche volta ho voglia di dare dei pugni al mio tavolo e di far volare tutto a pezzi: poi, quando l'accesso è passato, mi accorgo dalla mia pendola che ho perso mezz'ora in geremiadi, e mi rimetto ad annerire della carta e a voltare le pagine più velocemente di prima». Bestemmiava spaventosamente, alternava ruggiti e sbadigli, pestava i piedi, gettava grida di desolazione.

Quando lo studio del diritto non gli offuscava la mente, faceva la parte del Garçon: un ruolo ilare, grottesco, rabelaisiano, che derideva l'immensa idiozia del mondo, e insieme se stesso. Se entrava in questa parte, non poteva uscirne. Diceva e ripeteva levando le braccia in un gesto di ammirazione: «Non so se tu capisci la grandezza di questo: quanto a me, lo trovo enorme (anzi: hénaurme)». E gridava. «È enorme! Enorme!». Quando gli amici non condividevano il suo entusiasmo, li trattava da bourgeois, che era la sua massima ingiuria. A Parigi, cenava frequentemente da Dagneau, rue de l'Ancienne Comédie, insieme a Louis de Cormenin, Maxime du Camp e Alfred Le Poittevin. Restavano sino all'ora della chiusura, chiacchierando con i gomiti sul tavolo. Parlavano di tutto, tranne che di politica. Dalla personalità di Dio e dall'identità dell'io fino alle buffonerie dei piccoli teatri, tutto era buono per gettarsi in teorie a perdita d'occhio. «Saltavamo - continua Maxime du Camp - da un soggetto all'altro senza preoccuparci troppo delle transizioni. Mi ricordo una conversazione a proposito di una farsa recitata allora al Palais-Royal, che continuò con l'analisi del libro di Gioberti sull'estetica, e finì con l'esposizione delle Idee ebraiche di Herder».

Malgrado la compagnia degli amici, aveva una profondissima nostalgia per la famiglia. Scriveva a Caroline: «Ora sono tutto solo che penso a voi, immaginando quello che fate. Siete là tutti accanto al fuoco, dove io solo manco. Si gioca al domino, si grida, si ride, si è tutti insieme, mentre io sono qui come un imbecille, con i due gomiti sulla tavola a non sapere che fare... Amo la mia vecchia stanza di Rouen, dove ho passato delle ore così tranquille e così dolci, quando sentivo attorno a me tutta la casa muoversi, quando tu venivi alle quattro per fare della storia o dell'inglese, e invece di storia e inglese parlavi con me fino a cena. Per amar vivere in qualche luogo, bisogna viverci da molto tempo. Non è in un giorno che si scalda il proprio nido». «Quando penso a voi altri, qualcosa di buono e di dolce mi rianima e mi rinfresca, mille tenerezze gaie mi tornano al cuore, e vado dall'uno all'altro guardandovi tutti andare, venire, parlare col suono della vostra voce».

A Rouen, amava soprattutto Caroline, il suo «topo», il suo «topolino»: «Se mi ami molto è giusto, perché io ti 
ho molto amata». A Caroline era legato da una strettissima complicità: insieme condividevano la letteratura e il riso - le due divinità di Gustave. «Ho nelle orecchie il tuo riso sonoro e dolce, quel riso per il quale mi farei crepare in buffonerie, per il quale darei la mia ultima facezia, persino la mia ultima goccia di saliva». A volte, solo, nella camera di Parigi, faceva smorfie nello specchio, o gettava il grido del Garçon, come se la sorella fosse là per vederlo e ammirarlo. «Che sciocchezze dirò e farò nella carrozza con te! Quali smorfie e quali buffonerie! Ti prometto un riso come non ne hai mai sentito». Intanto, Caroline era a Rouen: disegnava, dipingeva, suonava il piano; e pensava al fratello, desiderava vederlo e parlargli. Senza il fratello la casa era vuota e triste: anzi, faceva «vomitare di noia».

07/11/12

Intervista a Jean D'Ormesson - "Sono un agnostico tentato di credere."



Celebra le donne e la Ragione, il sacro e il dovere, la Storia e il romanzo, in una trentina di libri come La Gloire de l’Empire, Histoire du Juif errant; la Douane de mer o Une fête en larmes: Jean d’Ormesson è uno degli scrittori francesi più conosciuti e soprattutto più amati dai suoi lettori. Entrato all’Académie française nel 1973, è stato, a 48 anni, il più giovane accademico da lungo tempo. Aristocratico, repubblicano, innamorato di Chateaubriand e di Venezia, è un erede dei Lumi per la sua cultura enciclopedica, un libero pensatore affermato e soprattutto un focoso innamorato della vita e dei suoi piaceri. Dall’alto delle sue 81 primavere piene di fascino e di vitalità, Jean d’Ormesson è, da solo, una parte del patrimonio letterario francese. Agnostico, flirta volentieri con il problema di Dio.

Si ritrova Dio nella maggior parte dei suoi libri. Come può spiegarlo quell’agnostico che lei dice di essere?

Infatti Dio è presente nei miei libri. Au plaisir de Dieu, per esempio, mette in primo piano il patriarca di una grande famiglia, ma in realtà, dietro il destino della sua discendenza, Dio appare come il primo personaggio del libro. Dio è una grande domanda, forse la sola, e mi abita da sempre. Dio e il tempo costituiscono un doppio tema che da molto tempo mi perseguita. Devo farle una confidenza: ho fatto degli studi che mi hanno portato alla Scuola Normale superiore, e poi all’aggregazione in filosofia. Ma segretamente ho sempre voluto studiare la storia delle religioni che mi appassionava fin dall’infanzia. Quando ero studente invidiavo i compagni che studiavano ebraico e che risalivano così alla fonte dei grandi testi religiosi. Per questo motivo rimpiango molto di essere stato troppo pigro per imparare questa lingua e l’arabo. D’altronde nella filosofia non mi piaceva molto la logica né la psicologia: mi piaceva la storia della filosofia. Così, non avendo studiato la storia delle religioni, ho fatto la storia della filosofia.

Da dove le proviene questo interesse per le religioni?

Prima di tutto è un interesse puramente intellettuale che parte non dal problema di Dio, ma da quello dell’uomo. Roger Caillois, questo scrittore ateo così difficile a capirsi, capace di scrivere sull’uomo e sul sacro come sulle meduse, mi aveva detto un giorno quanto era colpito nel constatare che l’evoluzione va sempre nello stesso senso e che il caso dell’evoluzione non ha mai distrutto la salita dell’uomo. Infatti si va sempre verso la crescita della complessità. Perché? Vi sono due risposte possibili: il caso e la necessità da un lato, la creazione del mondo da parte di un Dio buono dall’altro. Questo interrogativo non finisce mai di preoccuparmi.

Verso quale parte propende?

Non credo nel Dio rivelato delle religioni, ma l’ipotesi secondo la quale l’universo è frutto del caso e dalla necessità mi sembra un’idea folle. Accetto tutto dell’evoluzione, ma perché la necessità sfuggirebbe all’investigazione filosofica? Credo bene che la materia sia energia, ma il tempo? Il tempo è una realtà strettamente spirituale: dov’è l’avvenire se non nel nostro spirito? Dov’è il passato? Jaurès è esistito, Alessandro Magno è esistito. Ma dove si trovano? Soltanto nel nostro spirito! Tuttavia è formidabile, entusiasmante! L’avvenire si cambia in presente per trasformarsi in passato; viviamo continuamente in un presente che non esiste. Perché in fondo non c’è presente, ma piuttosto una frangia fra l’avvenire e il passato. E noi viviamo costantemente in questo spazio che non esiste. È come se Dio ci mostrasse che il mondo fosse metafisico. Per me, Dio e il tempo sono legati da uno stesso interrogativo. Un altro esempio che turba è la teoria del big bang, accettato quasi all’unanimità dalla comunità scientifica, la quale però non si accorda sulla domanda che segue: il big bang è all’origine del tempo o è ciò che avviene nel tempo? Da parte mia, io penso che è il big bang che ha creato il tempo. Ma è possibile anche che il big bang abbia preceduto l’universo. Aristotele ci ha insegnato che il mondo era eterno, infinito, immobile. Ora la scienza ci ha rivelato il contrario: l’universo ha una storia, quel che negava Aristotele. Da questo a dire che il big bang è la creazione… Capisco che i papi si siano impadroniti dell’idea: era allettante. La regolazione dell’universo è un argomento che perora la causa di una intelligenza superiore e trascendente che le religioni chiamano Dio. 
Oppure si può dire che il caso è un bravo ragazzo…

Lei dice che Dio prima di tutto per lei è una preoccupazione intellettuale. Le sue problematiche non sono state guidate dall’educazione religiosa che le è stata inculca dai genitori?

No. E con ragione : mio padre non mi ha fatto dare un’educazione religiosa. Era quel che oggi si chiamerebbe un cristiano di sinistra, un democratico popolare, come si diceva allora, uscito da una famiglia di parlamentari segnata dal giansenismo. Ricordo di averlo sentito dire quando ero bambino: “Oh, tutto questo… Non è molto sicuro.” Quel “tutto questo” era Dio, la Vergine Maria, gli angeli. Mi ha impressionato a quel tempo: bisogna fare attenzione a quel che si dice ai bambini piccoli… Ho avuto una vita incredibilmente protetta da una famiglia amante e coraggiosa. Devo a mia madre di aver imparato i rituali religiosi. Essa veniva da una famiglia reazionaria, molto di destra e molto cattolica, Mi hanno insegnato le preghiere, ma non ho mai avuto accanto un nonno, né ho frequentato i gesuiti. Non rientrava nell’educazione come mio padre la concepiva: lui era laico e ardentemente repubblicano. E la mia famiglia era evidentemente assai liberale, nel senso antico della parola, cioè molto tollerante.

Da bambino dunque non ha mai avuto la fede?

No, non sono mai stato pio. Quando mi dicevano di pregare, io non pregavo, ma pensavo alle stelle: “Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale nell’intimo di noi”, ha scritto Kant. Qualche volte ho avuto l’impressione che bisognasse sforzarsi. Andavo alla messa, ma era già un esercizio sociale. Dalla parte di mia madre, al castello di Saint-Fargeau, c’erano delle processioni che seguivamo, ma da parte mia non c’era alcun fervore.

Le capita però di sentire il desiderio di Dio?

Sì, e in modo pazzesco! Ho sete di Dio. Faccio fatica a credere e però credo che c’è qualche cosa d’altro. In questo la figura del Cristo mi affascina. L’incarnazione è Dio che si fa uomo: vi è obbligato, per farsi conoscere; e per reciprocità, se si fa uomo, l’uomo si fa Dio! In questo risiedono la forza e la bellezza della religione cristiana. Perché Dio non esiste. Se si può dire qualche cosa di lui, è che egli è. Ma non “esiste”. Esistere significa essere in questo tempo che passa, e significa dunque anche morire. Dio è fuori del tempo e delle forme alle quali noi, gli uomini, non possiamo sfuggire. Dio è, e basta. Noi non possiamo conoscerlo: come dice Heidegger, “c’è un essere da qualche parte”. In questo l’incarnazione è un’idea formidabile. Anche i Vangeli mi commuovono profondamente. Come pure il perdono o la comunione dei santi, che sono delle meravigliose invenzioni cristiane.

Lei parla da vero cristiano…

Non ho paura di dire che sono cristiano, ma mi domando se ho il diritto di dirlo, perché non sono praticante e non mi comunico. Ma ho sempre pensato che sarei seppellito da cristiano, e non per ragioni sociali, ma perché mi sento cristiano. Supponiamo che i cristiani siano perseguitati, per fortuna non è il caso nel nostro paese, io credo che dichiarerei a voce alta la mia identità, a meno di non essere un vigliacco. In compenso, nella società cattolica dominante che è la nostra, sono piuttosto un beffardo con i miei compagni atei. Non ho nessuna certezza, ma dopo tutto quello che ci siamo detto, se lei mi chiedesse di rispondere sì o no alla domanda “Dio esiste?”, io le risponderei sì!. Sono un agnostico tentato di credere.

È questa la ragione per cui nel suo ultimo libro, la Création du monde, il suo personaggio principale dialoga con Dio, ma soltanto nei suoi sogni?

Si potrebbe sognare di Dio, se non ci fosse? Io sogno molto di Dio. Questo romanzo è, in questo senso,quasi una autobiografia. In ogni caso questo libro, che non è assolutamente un libro religioso, è per me come una preghiera. Posso persino dire che è stato scritto attraverso di me: mi sembra talora che, come molti altri miei libri, mi sia stato dettato da fuori! Lei sa, quando scrivo, ho sempre l’impressione che si scriva attraverso di me. Non sono molto spiritualista, ma credo che si possa essere attraversati: pensi all’entusiasmo di uno sportivo che compie una gara, o anche all’uomo politico trasportato dal suo discorso. Dio è là. Spesso mi dico che tutto questo è troppo vago, che non faccio che andare a tastoni: sono agnostico e mi dico anche cristiano. In fondo continuo a interrogarmi. Ma non credo che potremmo porci tali problemi se veramente non ci fosse nulla.

Dopo la sua morte si aspetta o spera qualche cosa?

Spero qualche cosa. La resurrezione… Pensi come mi piacerebbe! Il mio destino mi tormenta. Ma è ancora un problema inestricabile. Per esempio, quando scompaiono le persone che amiamo, ci ricordiamo di loro. Quando l’avventura umana sarà terminata, nessuno si ricorderà di tutti gli esseri umani che sono vissuti? Non posso credere che non ci sia memoria nell’universo. E quando scomparirà l’universo, non posso credere che non ci sia una memoria trascendente dell’universo e che tutto questo cada nel nulla. In fondo per Dio non ci sarebbero che due catastrofi: la prima sarebbe di sparire per sempre nell’oblio, ma la seconda sarebbe che si scoprisse con certezza che esiste.

Perché?

Egli è nascosto! Dio è nascosto e deve restarlo, perché noi possiamo interrogarci sulla sua esistenza. Per me la libertà degli uomini sta nel fatto che essi possono negare Dio. Ed è una libertà sacra. Il mondo è fatto in modo che Dio possa passare per un'ipotesi inutile. Ma si può anche dire che, accettando tutto dalla scienza, quest’ultima è egualmente sottoposta a qualche cosa di oscuro che è lo spirito e che lascia continuamente aperto il problema di Dio.

(da Le monde des religions, 21, pp. 78-81 Risposte raccolte da Frédéric Lenoir e Karine Papillaud)

04/10/12

Scrittori: apre in Francia il museo di Stendhal.



Un museo dedicato a Stendhal e alla sua famiglia ha aperto le porte a Grenoble, città natale dello scrittore francese, capitale dell'antica provincia del Delfinato. 

Il nuovo spazio espositivo consente di approfondire la vita dell'autore di "Il rosso e il nero" e "La Certosa di Parma" e soprattutto di conoscere meglio la sua famiglia e il suo apprendistato letterario. 

Il museo di Henri Beyle, conosciuto come Stendhal (1783-1842), è collegato alla Biblioteca municipale di Grenoble che conserva numerosi manoscritti del romanziere e documenti iconografici stendhaliani. 

L'edificio in cui sorge il nuovo museo è stato ricavato dalla ristrutturazione di due appartamenti dove Stendhal visse l'infanzia e l'adolescenza, tra i 6 e i 16 anni, dove abito' con il nonno. 

Due grandi saloni all'italiana presentano una galleria dei ritratti della famiglia di Stendhal, che compare raffigurato in un busto in marmo. 

Tra i cimeli autografi esposti spicca il manoscritto della sua autobiografia. 

Il museo ospita la ricostruzione dello studio del giovane autore con curiosità legate alla sua giovinezza, come la passione per la botanica. 

E' stato ricavato anche uno spazio dedicato ad esposizioni temporanee, la prima delle quali è dedicata ad un omaggio all'Italia, dove Stendhal visse e viaggiò a lungo. 

02/10/12

Intervista ad Andrei Makine - Il romanzo nell'epoca della comunicazione.


  

Di Andrei Makine, è da poco uscito presso l’editore Einaudi,  Il libro dei brevi amori eterni.

* Murielle Lucie Clé­ment. – Andreï Makine, la sua idea di let­te­ra­tura è mutata, da quando è ini­ziata la sua car­riera, una ven­tina d’anni fa?

Andreï Makine. – In linea gene­rale no, ma si tratta anche di capire cosa lei intenda con “idea di letteratura”.

M. L. Clé­ment. – La sua idea per­so­nale e gene­rale di letteratura.

A. Makine. – Il posto che la let­te­ra­tura occupa in que­sto mondo, il posto che la let­te­ra­tura occupa rispetto alle espres­sioni arti­sti­che non let­te­ra­rie, rispetto alla filo­so­fia? Il campo va ben deli­mi­tato. La let­te­ra­tura era, per me, una spe­cie di sacer­do­zio. Si entra nella let­te­ra­tura come si entra in ordine reli­gioso. Ma senza alcuna con­no­ta­zione asce­tica o reli­giosa. Un impe­gno totale. Un altro modo di vivere. Proust diceva:” Leg­gere è assen­tarsi dalla vita”. Un libro è un altro modo di vivere. E’ pos­si­bile acce­dere in modo com­pleto a que­sto modo di vivere? Non credo, per­ché siamo dei sem­plici esseri mor­tali e dun­que siamo inte­res­sati a nume­rose altre atti­vità. Tanto più che, gra­zie a Ver­laine, la let­te­ra­tura è diven­tata quasi una bat­tuta: “E tutto il resto è letteratura!”
La visione che ne hanno i russi è abba­stanza ori­gi­nale. Non hanno creato grandi sistemi filo­so­fici, e hanno rime­diato a que­sto con la crea­zione let­te­ra­ria. Essere scrit­tore, in Rus­sia, signi­fica essere anche un pen­sa­tore e un filo­sofo. Que­sto con­fine, che tro­viamo in Fran­cia e in Ger­ma­nia, tra let­te­ra­tura e i grandi sistemi filo­so­fici come quello di Car­te­sio, di Hegel o di Kant, là non esi­ste. I russi, dun­que, sono dei sin­cre­ti­sti, e ciò può essere utile. Gli ha per­messo di evi­tare lo svi­luppo ple­to­rico di una let­te­ra­tura leg­gera, che è sem­pre stata indi­cata come bel­le­tri­stika. Una parola, “belle let­tere”, che in fran­cese suona nobile, ma in russo è un peg­gio­ra­tivo e ingloba tutto ciò che è avan­spet­ta­colo, roman­zetto da leg­gere in treno, tutti i generi minori, i roman­zetti facili. E che sono sem­pre stati disprez­zati, in Rus­sia. Quale sarebbe, allora, il ruolo della let­te­ra­tura, come defi­nirla? Una spe­cie di sote­rio­lo­gia. La let­te­ra­tura è soprat­tutto que­sto. Dopo i miei primi lavori, il mio modo di vedere la let­te­ra­tura si è diver­si­fi­cato, se non altro pro­prio gra­zie all’influenza che, soprat­tutto, hanno eser­ci­tato le cose che ho scritto. Ci sono campi, come il tea­tro, che un tempo mi sem­bra­vano inac­ces­si­bili. Non avrei mai pen­sato di scri­vere un pezzo di tea­tro, e invece l’ho scritto. Ho scritto dei saggi, anche se non mi con­si­de­ravo un sag­gi­sta. E, infine, non avrei mai pen­sato di scri­vere un testo, che l’attualità mi ha spinto invece a scri­vere, come Cette France qu’on oublie d’aimer.

M. L. Clé­ment. – Ci può rac­con­tare come è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Biso­gne­rebbe scri­vere un libro intero per rac­con­tare la nascita di una voca­zione. Rian­diamo per un istante al signi­fi­cato eti­mo­lo­gico di que­sta parola, la vox, la voce che ti parla. Non nel senso che si sen­tano delle voci e che ne si venga illu­mi­nati. La chia­mata viene lan­ciato da realtà incon­fu­ta­bili, a cui si pensa senza pen­sarci, pur pen­san­doci: l’eroe, la morte, la bre­vità della vita, la fuga­cità del nostro essere, la sof­fe­renza, la morte dei nostri cari, il Male, il Bene, insomma, tutti i grandi inter­ro­ga­tivi che si pone l’umanità e che esi­gono una rispo­sta da parte nostra. E biso­gne­rebbe tro­vare un modo appro­priato per rac­con­tare tutto que­sto in modo non sco­la­stico, né oscuro, né alam­bic­cato. Tro­vare un lin­guag­gio sem­plice per dire la morte, l’eroe, la sof­fe­renza, il Bene, il Male ecc. E così, senza star lì ad archi­tet­tare la cosa, si ritorna a que­sto, ai grandi sistemi filo­so­fici, per par­lare in modo esatto.

M. L. Clé­ment. – Non ha vera­mente rispo­sto alla mia domanda. Come sono comin­ciate le cose? Com’è che è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Sì ma, vede, io sono stato tal­mente tante cose. Lei avrebbe potuto chie­dermi, com’è stato com’è che a dodici anni è diven­tato un fac­chino in un mer­cato kol­ko­ziano, o un pastore e poi un sol­dato e così via. A un certo punto ho pen­sato di voler diven­tare uno spor­tivo di pro­fes­sione. Siamo tutte que­ste facce. Nabo­kov era un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio. Que­sta era la sostanza del suo essere, della sua voca­zione? Forse un modo per sbar­care il luna­rio, come sono stati per me i mille mestieri che ho fatto.

M. L. Clé­ment. – Glielo chiedo per­ché, prima, lei è stato uno stu­dente uni­ver­si­ta­rio e ha scritto una tesi di dot­to­rato e degli arti­coli di cri­tica let­te­ra­ria. Forse avrei dovuto porre la domanda in modo diverso e chie­derle come lei è diven­tato un romanziere.

A. Makine. – L’analisi let­te­ra­ria è un aspetto sus­si­dia­rio rispetto alla crea­zione let­te­ra­ria. Imma­gi­niamo un cam­pione di For­mula 1 che, per esem­pio, s’interessi anche di mec­ca­nica. Que­sto gli dà qual­cosa. Cono­sce meglio il motore, come fun­ziona, i suoi limiti, ma non rim­piazza il suo talento di pilota. Un giorno, forse, quando avrà perso il suo ingag­gio, potrà sal­tare dall’altra parte e diven­tare un mec­ca­nico. Suc­cede lo stesso con la voca­zione letteraria.

M. L. Clé­ment. – Come scrive un romanzo, che è poi quello che lei fa, soprat­tutto. Ecco, vor­rei sapere come nasce un romanzo di Andreï Makine. Parte per prima cosa dall’idea di un per­so­nag­gio? O c’è una sto­ria che le parla, al principio… ?

Intervista realizzata da Marie Lucie Clément per Le Nouvel Observateur.

07/09/12

Michel Serres: "E' il coraggio quello che manca oggi."




Michel Serres è uno straordinario intellettuale.  E le sue parole non sono mai 'neutre', non passano mai senza lasciare il segno come si vede nel video qui sopra che testimonia una sua - divertente - non consueta apparizione in una trasmissione televisiva. 

Un mio caro amico recentemente mi ha riferito la risposta che Serres ha dato, durante una riunione tra amici, quando gli è stato chiesto: “qual è, tra le virtù umane, la più importante?” .

Serres ha risposto: “Il coraggio.” L’interlocutore è rimasto interdetto perché si aspettava un’altra risposta, forse più scontata: la generosità, l’amore per gli altri, l’intelligenza, ecc..

Serres ha specificato che per lui oggi il coraggio è più importante delle altre qualità o virtù umane. Ed è sempre più decisivo. Ogni attitudine umana, dice - pensiamo alla politica, al giornalismo, o anche la fede – senza il coraggio, oggi non vale niente.

Occorre coraggio, si potrebbe aggiungere, nelle vite omologate di oggi, per raggiungere la pienezza dei propri convincimenti, per riconoscere anche la propria umanità, visto che nel mondo liquido di cui si parla tanto oggi e nel quale sembreremmo precipitati, c’è il rischio di annegare.

Ci vuole coraggio per essere se stessi. Ci vuole coraggio per avvicinare gli altri (la distanza è il nostro parametro preferito, attualmente, l’unica misura che sembra ci faccia dormire sonni relativamente tranquilli) e per fidarci di loro.

Ci vuole coraggio per pronunciare le cose con il loro nome e per rendere il pane alla verità, quando la verità – è affermato da ogni parte – non esiste più, anche se si continua a nascere, vivere e morire, e tutto questo sembrerebbe VERO, se solo fossimo capaci di osservarlo con occhi primigeni.

Ci vorrebbe il coraggio di un Cristo per tornare a stabilire la forza dell’aut-aut e non dell’et-et che oggi ci ha soggiogati del tutto. “Non potete servire Dio e la ricchezza” dice, con lingua tagliente, ed è una sentenza che non ammetterebbe discussioni e distinguo. Eppure, come siamo divenuti abili a discernere, a disquisire, a stemperare e ad annacquare. Come siamo divenuti poco coraggiosi.

27/04/12

Saint-Exupery: scoperto abbozzo inedito del "Piccolo Principe". All'asta il 16 maggio.



Un abbozzo sconosciuto di "IlPiccolo Principe", il capolavoro dello scrittore-aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry (1900 -1944), sara' venduto dalla casa d'asteArtcurial a Parigi il 16 maggio.

Il manoscritto, custodito gelosamente da un collezionista privato che intende restare anonimo, e' stimato tra i 40.000 e i 50.000 euro, sei volte il prezzo di una singola pagina autografa del romanziere.

Si tratta di due pagine autografe inedite, che furono stese da Saint-Exupéry nel 1941, due anni prima della pubblicazione dell'edizione originale del racconto, e probabilmente sono anteriori anche al dattiloscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia.

Le pagine manoscritte, vergate con una grafia minuta e difficile da leggere, fanno riferimento ad una bozza dei capitoli XVII e XIX, in cui il Piccolo Principe, dopo avere percorso sei pianeti, arriva sulla Terra, il settimo pianeta.

"I passaggi di questi capitoli sono perfettamente riconoscibili anche se sono formulati diversamente da come li conosciamo nella versione a stampa e anche l'ordine e' stato invertito, ma soprattutto presentano alcune significative varianti", ha spiegato Olivier Devers, esperto di Artcurial, che con Benoit Puttemans ha fatto la scoperta.

Ma non questo non e' l'unico cimelio legato a Saint-Exupery che va all'asta a Parigi.

L'11 maggio la casa Christie's mettera' in vendita sei lettere dello scrittore indirizzate a Lucie-Marie Decour, dove racconta il suo debutto da pilota e la sua vita in Argentina. Vendute separatamente, sono stimate tra 10.000 e 22.000 euro.



15/03/12

Maupassant lo scrittore più venduto in Francia (quasi 4 milioni di copie in 8 anni) - un solo italiano in classifica, Primo Levi.


La notizia non può che farmi piacere, vista la mia passione per il grande Maupassant. Ecco il dettaglio:

Guy de Maupassant superstar nelle librerie francesi. Spetta infatti all'autore di "Bel-Ami" e "Una vita" il palmares delle vendite tra gli scrittori di lingua francese. 

Dal gennaio 2004 al gennaio 2012 Maupassant ha venduto complessivamente quasi 3,8 milioni di copie (per la precisione 3.790.000). 

Nello stesso periodo secondo posto per Molière, che con le sue celebri commedie, da "L'avaro" a "Il misantropo", ha venduto 3.400.000 di copie. 

Poco meno di 3 milioni di esemplari per il terzo posto conquistato da Emile Zola (2.900.000), per il quarto di Albert Camus (2.810.000) e per il quinto di Victor Hugo (2.710.000). 

Sono questi i risultati di un'indagine di "Le Figaro litteraire", pubblicata oggi dal quotidiano parigino, realizzata con la collaborazione di Gfk, che per la prima volta propone "la classifica dei classici" sulla base delle vendite effettive nelle librerie in Francia nell'arco di un periodo di otto anni. 

"E' la prima volta che accade: nessuno finora aveva valutato il numero reale delle copie vendute dai nostri autori classici", sottolinea il supplemento letterario del "Figaro", ricordando come nella comune convinzione degli specialisti Marcel Proust (38/esimo in classifica con 790.000 copie) sembrava uno tra i piu' richiesti, Alexandre Dumas (27/esimo con 980.000) appariva incrollabile sul suo trono e Antoine de Saint-Exupery (ottavo con 2.310.000) con il suo "Piccolo principe" si diceva il piu' venduto in assoluto. 

Il primo ed unico autore italiano nella classifica dei 50 classici piu' venduti e' Primo Levi, trentesimo con 930.000 copie. 

 Dalla classifica esclusiva realizzata da "Le Figaro" insieme a Gfk emerge un podio di 50 autori classici, tra francesi e stranieri di tutte le categorie mescolate (romanzi, saggi, teatro e poesia) dove non mancano sorprese. 

Il primo scrittore straniero per numero di copie vendute si piazza al sesto posto, ed e' la regina del giallo, l'inglese Agatha Christie (2.650.000), che sopravvanza nettamente il campione del giallo alla francese, Georges Simenon, il padre del commissario Maigret, che conquista solo la 26/esima posizione (990.000). 

Al settimo posto arriva l'austriaco Stefan Zweig, autore dell'autobiografico "Il mondo di ieri" e di biografie di illustri personaggi, che in Francia risulta molto amato, visto che in otto anni e' riuscito a vendere ben 2.510.000 esemplari, qualcosa come 200.000 copie in piu' rispetto all'amatissimo Saint-Exupery e oltre 300.000 copie in piu' di Voltaire (nono posto con 2.200.000), sommo filosofo dell'Eta' dei Lumi. 

Per trovare un altro filosofo bisogna arrivare al quattordicesimo posto con Jean-Paul Sartre (1.320.000). Decimo classificato Honore' de Balzac (2.020.000). La classifica vede poi William Shakespeare (1.510.000), George Orwell (1.350.000), Jules Verne (1.330.000), Charles Baudelaire (1.280.000), Jean Anouilh (1.240.000), Boris Vian (1.230.000), Eugene Ionesco (1.230.000), JR Tolkien (1.200.000), Gustave Flaubert (1.190.000), Robert Louis Stevenson (1.180.000). 

14/09/11

" Trascende ogni mio controllo" - Il fantasma della perversione.



Che cosa penserebbe oggi l'ufficiale napoleonico Pierre Choderlos de Laclos dell'inspiegabile successo del suo romanzo Les Liasons Dangereuses ?


Scritto più di due secoli fa, tacciato di libertinaggio e pornografia, letto, idolatrato e condannato, obliato per quasi un secolo, oggi, sul finire del ventesimo secolo e all'inizio del ventunesimo il libro è nuovamente in auge: l'ultimo trionfo, quello più recente, è la "nomination" a ben sette premi Oscar di Dangerous Liasons, il film che il regista britannico Stephen Frears ha tratto dal romanzo di Laclos. Ma è in preparazione anche Valmont, firmato addirittura da Milos Forman.  E poi il teatro con la riduzione realizzata da Christopher Hampton, ragazzo prodigio del teatro inglese che è arrivato in Italia con la regia di Antonio Calenda, mentre una nuova versione delle Relazioni Pericolose, con Paolo Poli è in tournée in Italia.

Sulla scia di questo rinnovato ed euforico interesse, anche il mondo editoriale ha riscoperto quello che Proust definì "il più spaventosamente perverso dei libri".  Nel nostro paese torna in libreria l'opera di Laclos nella nuova edizione Einaudi, arricchita da una nota introduttiva di Alberto Beretta Anguissola (Le Amicizie Pericolose, pagg.347)  . Risulta piuttosto difficile cercare di spiegare quali siano i motivi di un così eclatante ritorno per un romanzo che sino a qualche anno fa stentava a farsi strada fuori della cerchia dei tenaci estimatori del geometrico rigore delle Liasons.

"Le relazioni pericolose"  come si saprà è un romanzo epistolare in 175 lettere che racconta di una doppia corruzione: la marchesa di Marteuil, per vendicarsi di una rivale, la virtuosa principessa di Tourvel, incarica il visconte di Valmont, sotto la promessa di concedersi a lui a impresa compiuta, di circuire la giovane presidentessa.  Sempre per vendicare la marchesa, l'obbediente visconte deve inoltre sedurre la sedicenne Cècile, promessa di un ex-corteggiatore della De Merteuil.

Una rapida occhiata tra la corrispondenza privata di Laclos è sufficiente per scoprire il lato privato dello scrittore: lungi dal mettere in pratica la "teoretica" libertina "egli si rivela come un uomo umile, amante della famiglia, incapace per mancanza di coraggio o per sfortuna di fare progressi nella carriera militare, insomma "il migliore dei mariti", come lo definisce lo stesso Proust. " Mi affligge la triste situazione della mia sposa e dei miei tre figli che lascio senza risorse, " scrive Laclos durante l'agonia che lo condurrà alla morte nel luglio del 1803 a Taranto, dove si trova per una spedizione al servizio dell'esercito napoleonico.
Ed è evidente come questo patetico quadro di marito devoto strida non poco con i contenuti trasgressivi del libro.

D'altronde, Laclos scriveva qualche anno dopo la pubblicazione del romanzo: " La filosofia ci ha indicato la direzione di marcia, ma solo le passioni possono farci raggiungere la mèta. La ragione, se resta sola, fallisce perché non la forza di redimere l'uomo e la società."   In questa sfiducia nella onnipotenza della ragione senza passioni sta allora forse la chiave del ridestato interesse per Laclos e per il suo romanzo.  Al di là infatti delle mode libertine e delle dissertazioni sulle tattiche e i destini amorosi, Les Liasons rappresenta un efficace proclama contro i rischi della società del piacere razionale.   "Laclos," scriveva Maurizio Cucchi nell'introduzione all'edizione Garzanti del romanzo, " ci presenta il quadro realistico di una società moralmente dissoluta e crudele, lanciata verso l'autodistruzione nel momento in cui concepisce l'idea del massimo potere e del completo piacere, del dominio incontrastato e con ogni mezzo."

Una società in qualche modo simile alla nostra.

Fabrizio Falconi, Il fantasma della perversione,  Paese Sera, 28 febbraio 1989.

27/02/11

Il cielo della Memoria - di Marcel Proust.




Qualcuno l'ha definita la poesia più bella che sia mai stata scritta. E certamente non è così difficile convenirne, nella magnifica traduzione qui sotto. 


Tutto cancella il tempo come l’onda cancella
i giochi dei fanciulli sulla sabbia spianata.
Dimenticheremo le vaghe, le precise parole
che schermavano, tutte, un poco d’infinito.

Tutto il tempo cancella, ma non offusca gli occhi,
sia chiari come l’acqua o d’opale o di stella.
Belli come nel cielo o dentro un lapidario,
brilleranno per noi d’un fuoco triste e gaio.

Gli uni, a un vivente scrigno trafugati gioielli,
duri raggi di pietra mi getteranno in cuore,
come quando nella palpebra conflitti, sigillati,
lucevano d’un raro, illusorio splendore.

Ad altri dolci fuochi da Prometeo rapiti
la scintilla d’amore che in esso palpitava
per soave tormento abbiam portato via,
gioie troppo preziose o luci troppo pure.

Il cielo della mia memoria costellate in eterno,
inestinguibili occhi delle donne che ho amate !
Sognate come morti, brillate come glorie,
scintillerà il mio cuore come a maggio la notte.

Simile a una nebbia d’oblio cancella i volti,
i gesti che altra volta adorammo al divino,
che ci resero folli, che ci resero saggi,
grazie di perdizione, e simboli di fede.

Tutto cancella il tempo, le sere confidenti,
le mani ch’io posavo sul suo collo di neve,
i suoi sguardi che l’arpa dei miei nervi sfioravano,
la primavera che su noi scuoteva i suoi turiboli.

Altri occhi, pur essendo d’una donna gioiosa,
al pari dei rimorsi erano vasti e neri,
spavento delle notti, mistero delle sere.
Fra le sue belle ciglia c’era l’anima intera,

e come un gaio sguardo era vano il suo cuore.
Altri, simili al mare così dolce e cangiante,
ci smarrivano all’anima che in essi è prigioniera
come incalza l’ignoto nelle sere marine.

Solcammo, mar degli occhi, i tuoi limpidi flutti.
Gonfiava il desiderio le rattoppate vele;
delle antiche tempeste dimentichi, andavamo
sull’onda degli sguardi a scoprire altri cuori.

Tanti sguardi diversi, così simili i cuori !
Vecchi, delusi ostaggi degli occhi,
dovevamo restarcene a dormire sotto le fronde… Ma anche
sapendo tutto voi vi sareste imbarcati

per avere quegli occhi gravidi di promesse
come un mare che a sera fantastica del sole.
In inutili imprese vi siete prodigati
per giungere al paese del sogno che, vermiglio,

si lamentava d’estasi oltre le acque vere,
sotto la santa arca d’una nube, profeta
crudele. Ma è pur dolce avere per un sogno
queste piaghe, e festoso brilla il vostro ricordo.


Traduzione di Giovanni Raboni - Gallimard, 1982.