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22/05/20

Roma e i romani secondo Federico Fellini, una sintesi geniale


Nel centenario della nascita, vale la pena tornare a occuparsi di Federico Fellini.

Recentemente, tra le sue vecchie interviste, ho scoperto quella che per me è la più perfetta definizione dei romani (quelli veri, quelli che quasi non esistono più) data da uno che non era romano e che poi è diventato il più romano di tutti.

La riporto qui si seguito:

"Roma è una città di bambini svogliati, scettici e maleducati: anche un po' deformi, psichicamente, giacché impedire la crescita è innaturale. Anche per questo a Roma c'è un tale attaccamento alla famiglia. Io non ho mai visto una città al mondo dove si parli tanto dei parenti. 'Te presento mi' cognato. Ecco Lallo, er fijo de mi' cugino'. 

E' una catena: si vive tra persone ben circoscritte e ben conoscibili, per un comune dato biologico. Vivono come nidiate, come covate... 

E Roma resta la madre ideale, la madre che non ti obbliga a comportarti bene. Anche la frase molto comune. 'Ma chi sei? Nun sei nessuno!' è confortante. Perché non c'è solo disprezzo, ma anche una carica liberatoria. Non sei nessuno quindi puoi essere tutto. 

Insultata come nessun'altra città, Roma non reagisce. Il romano dice: ' Mica è mia, Roma.' Questa cancellazione della realtà che fa il romano, quando dice: 'Ma che te frega!", nasce forse dal fatto che ha da temere qualcosa o dal papa o dalla gendarmeria o dai nobili. Egli si in chiude in un cerchio gastrosessuale.

Onore al maestro. 

26/04/20

Centenario di Fellini: Esce "La Roma di Federico Fellini", un libro che racconta il rapporto del Maestro con Roma.



E' uscito da poco in libreria "La Roma di Federico Fellini", un ottimo baedeker che permette di ricostruire - e ritrovare - tutti i luoghi della città eterna amati dal grande regista e da lui inseriti nei film che ne hanno decretato il genio. 

Roma del resto ha avuto un ruolo decisivo, primario, nella filmografia del maestro. Ecco la scheda del libro:


Via Margutta, dove una targa indica la sua abitazione. Non può non iniziare da qui la passeggiata romana alla scoperta dei luoghi di Federico Fellini nel centenario della sua nascita, avvenuta il 20 gennaio 1920. 

Il legame tra Fellini e la Capitale ha fatto la storia del cinema. E ha contribuito pure alla storia dell’immagine della città, che il regista ha letto con sguardo lucido ma anche visionario e riscritto secondo suggestioni da sogno che della realtà hanno finito per fare mito. Fontana di Trevi richiama immediatamente il bagno di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. Al Teatro 5 di Cinecittà sono state girate molte delle scene cult dei suoi film e negli Studios sono ancora conservati alcuni dei costumi che hanno caratterizzato il suo immaginario. Poi, il bar Canova, in piazza del Popolo, dove amava prendere il caffè, l’Eur di Boccaccio ‘70, il Mausoleo di Cecilia Metella ne Lo sceicco bianco, il Parco degli Acquedotti e ovviamente via Veneto per La dolce vita, le Terme di Caracalla per Le notti di Cabiria e così via. Tra indirizzi del suo privato e location per le riprese, un viaggio alla scoperta della Roma felliniana.


Valeria Arnaldi 
La Roma di Federico Fellini. I luoghi iconici del regista nella Capitale 
Editore: Olmata 
Collana: Romae 
Anno edizione: 2020
Euro 11 Pagine: 96 p


23/01/20

La sopravvalutazione - tutta italiana - della politica




In questo anno in cui si celebrano i 100 anni (dalla morte) di Modigliani, i 100 (dalla nascita) di Fellini, i 500 (dalla morte) di Raffaello Sanzio, i 100 (dalla nascita) di Benedetti Michelangeli, l'Italia preferisce crogiolarsi nella Craxitudine.

Il che conferma quello che ho sempre pensato: che in questo paese c'è da sempre una super-eccessiva importanza data alla politica, che da noi è spesso - e oggi più che mai - farsa, commedia, intrattenimento, chiacchiera becera, operetta. Eppure la politica - specie quella italica - conta molto poco alla fine.

Nella economia di una vita contano o conterebbero molto molto di più le felicità, le ricchezze, le consapevolezze donate alle nostre anime e all'anima complessiva del paese che abitiamo, dagli spiriti illuminati che nei più diversi settori hanno dimostrato cosa può dare e fare l'indole umana creativa.

Invece preferiamo arrotolarci nel piccolo nostro cortile di torti e ragioni, di battaglie perse sugli scranni e vendette o riscatti. Che, dico io, lasceranno flebilissima, impalpabile traccia nella storia collettiva e ancor di più individuale.

Fabrizio Falconi
gennaio 2020 

17/01/20

Centenari di Fellini e Tonino Guerra: "Cento anni di sogni" al Maxxi di Roma domenica 19 gennaio



In occasione del centenario della nascita di Federico Fellini (20 gennaio 1920 - 31 ottobre 1993) e di Tonino Guerra (16 marzo 1920 - 21 marzo 2012), Fondazione Cinema per Roma e MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo celebreranno i due grandi artisti con un evento speciale a cura di Mario Sesti che si svolgera' domenica 19 gennaio a partire dalle ore 17.30 presso l'Auditorium del MAXXI (via Guido Reni 4a). 

"Legati dall'incanto delle fantasie infantili dei borghi romagnoli e successivamente dal cinema e dall'invenzione di realta' visionarie, Fellini e Guerra avrebbero compiuto, nel 2020, cento anni - dice Mario Sesti - Insieme hanno marcato a fuoco la storia del cinema e l'identita' italiana con opere come Amarcord, E la nave va, e Ginger e Fred".

L'evento, a ingresso gratuito, prendera' il via con la proiezione de Il lungo viaggio (Dolgoe putescestvie) di Andreij Khrzhanovskij. 

Nel film, Tonino Guerra trasforma in animazioni i disegni di Fellini: donne dalle grandi forme, vitelloni e personaggi malinconici e Gelsomina che suona la tromba per chiamare a raccolta tutti sul Rex. 

"Ho fatto un sogno - racconta Guerra che, come l'avvocato di Amarcord e' la voce narrante - con gli schizzi di Federico si imbarcano alla ricerca di un'isola lontana, fatata. Ma quando la raggiungono, il Maestro e Giulietta li lasciano, continuando da soli il lungo viaggio".

A seguire, si proietterà il documentario Fellini Fine Mai di Eugenio Cappuccio, applaudito alla 76a Mostra del Cinema di Venezia. 

Dopo aver incontrato, da adolescente, il regista a Rimini ed esserne diventato assistente, l'autore ne ricostruisce il percorso scavando nel ricchissimo repertorio televisivo della e Rai raccogliendo numerose testimonianze originali, fino a inoltrarsi nell'area segreta dei "fantasmi" di Fellini, i film che non riusci' a realizzare: Il viaggio di G. Mastorna e Viaggio a Tulum, imbattendosi, per la prima volta, in nuove scoperte, affascinanti misteri e inquietanti rivelazioni. 

11/12/19

Si apre a Rimini la Grande Mostra dedicata a Federico Fellini per i 100 anni dalla nascita !




Si alzera' sabato 14 dicembre a Castel Sismondo - nel cuore di Rimini - il sipario su Fellini 100. Genio immortale. 

La mostra, rassegna dedicata al maestro del cinema e primo passo verso le celebrazioni per il centenario della nascita in programma nel 2020, quando saranno tolti i veli al museo internazionale a lui dedicato che si sviluppera' tra Castel Sismondo, Piazza Malatesta e il Cinema Fulgor. 

L'esposizione - il taglio del nastro e' previsto nel pomeriggio poi, in via straordinaria, rimarrà aperta fino alle 24 - ruota attorno a tre nuclei di contenuti: il primo racconta la storia d'Italia a partire dagli anni Venti-Trenta attraverso l'immaginario dei film di Fellini; il secondo e' dedicato al racconto dei compagni di viaggio del regista e il terzo alla presentazione del progetto permanente del 'Museo Internazionale Federico Fellini'. 

Dopo l'allestimento riminese, la mostra, nell'aprile 2020, approdera' a Roma a Palazzo Venezia.

Intanto, nella sua ultima seduta, la Giunta comunale di Rimini ha approvato il progetto esecutivo sul museo dedicato al regista romagnolo per quanto riguarda il Fulgor, sala in cui il piccolo Fellini si innamoro' del cinema

I lavori partiranno a marzo per concludersi entro il 2020 con una spesa prevista di 1.100.000 euro. Il Fulgor si appresta ad ospitare, oltre agli spazi espositivi, i servizi di biglietteria, di bookshop e di caffetteria

Sui primi due piani del palazzo che lo ospita sara' sviluppato e reinterpretato il rapporto tra la terra d'origine e l'intera opera di Fellini, in un gioco di rimandi tra realta' e immaginazione, ricordi e sogni, storia ed espressione artistica, mentre uno spazio aperto caratterizzera' il terzo piano della struttura. 

Uno spazio in cui lo spettatore potra' godere delle immagini dei film di Fellini, delle musiche di Nino Rota e dell'insieme di voci, sussurri, inviti, rumori che fanno da contrappunto alla colonna sonora delle pellicole felliniane. 

18/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 4. "Roma" di Federico Fellini.



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


4. "Roma" di Federico Fellini (1972).


Come si fa a scegliere dentro la meravigliosa produzione di Federico Fellini?  

Noi scegliamo di salvare, alla fine del mondo, un suo film considerato minore  che pure ottenne la Nomination come Migliore film straniero ai Golden Globe del 1973 e il Gran premio della tecnica al Festival di Cannes del 1972, oltre al premio del Miglior film straniero assegnato in quell'anno dal Syndicat Français de la Critique de Cinéma. 

Perché questa scelta?

Perché Roma viene da sempre considerata una città-mondo. Anzi, come dicevano i padri latini, il caput mundi. Specchio e concentrato degli umani vizi e debolezze e gloria delle virtù umane. 

E' significativo che l'atto d'amore più completo concepito per Roma, la sua storia, le sue rovine, il suo mondo, sia stato realizzato da un non-romano. 

Da non romano, trapiantato a Roma dalla provincia emiliana, Fellini riuscì come nessun altro, grazie allo spirito della sua ispirazione poetica a cogliere l'essenza più intima, nascosta della vita della Città, le sue luci e le sue ombre, l'ombra delle sue immani rovine, le luci della sua resilienza, tra ironia, sberleffo, disincanto. 


Grazie all'espediente di mettersi lui al centro del film - nei panni del giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale - Fellini pesca nei suoi ricordi di allora, la Roma fascista, la Roma del Ventennio che però sa accogliere questo giovane estroso che va subito ad abitare nel popolare quartiere di Piazza dei Re di Roma. 

Da questo punto di partenza, Fellini però intesse un patchwork pieno di ogni cromia, con quadri e personaggi eterogenei e scene tutte memorabili: dal defilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia all'ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare, dal teatrino di un avanspettacolo  all'incontro del regista con giovani universitari a Villa Borghese,  dalla Festa de' Noantri fino alla memorabile scena finale del raid notturno dei motociclisti che attraversano tutta Roma da nord e Sud fino alla Cristoforo Colombo, metafora della vecchia città ormai e ancora una volta cancellata dalla brutale modernità. 

Il passaggio da un topos all'altro della narrazione avviene senza soluzione di continuità e senza filo narrativo: è l'antesignano assoluto di quello che oggi chiamiamo docufilm : né vero documentario, né vero film.  Una lunga guache di un grande artista che si esercita sul tema che gli è più congeniale, muovendo e giocando su tutti i registri: emotivo, nostalgico, ironico, profetico, poetico. 

Una vera opera-testamento che non invecchia e che resta un classico. 

l film venne presentato in prima nazionale al cinema Barberini di Roma il 18 marzo 1972.


Fabrizio Falconi

02/02/19

Storie Romane: Via Veneto e la vicenda di Fra' Pacifico, il frate che "dava i numeri".



Via Veneto e i numeri di Fra’ Pacifico.

Era la più elegante via di Roma, lo è anche oggi forse, anche se il suo fascino sembra essere decaduto, dopo il magico decennio degli anni ’60 dove per una serie di circostanze questa strada di Roma si trovò ad essere additata come il centro del mondo, il centro del mondo che contava: Via Veneto è universalmente nota. Eppure il suo nome completo è Via Vittorio Veneto.  La strada infatti, pur essendo ubicata nel dedalo di vie dedicate alle diverse regioni italiane, cambiò la sue denominazione dopo il 1918, quando si scelse di dedicarla al comune di Vittorio Veneto, teatro della gloriosa e decisiva battaglia vinta dagli italiani contro gli austriaci durante il primo conflitto mondiale.

Fu scelta dunque, forse per mera praticità, la Via che esisteva già dal 1886 quando era sorto il quartiere Ludovisi, dallo smembramento della bellissima Villa (vedi il capitolo precedente) e che era intitolata alla regione veneta.

Tra il 1890 e il 1960, la Via si arricchì di elegantissimi palazzi e ville (la più celebre è la Villa Margherita, oggi sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti) divenuti con il tempo sontuosi alberghi, sedi diplomatiche o di istituti bancari.

Fu però il genio di un artista, Federico Fellini, a trasformare questa strada un mito. C’è qualcuno che oggi sostiene che la Via, in realtà, non fu mai un vero e proprio punto di aggregazione degli intellettuali di allora. E’ pur vero che i tavolini degli eleganti caffè ospitavano molti dei registi e degli scrittori più in voga, nel dopoguerra italiano, come racconta anche Eugenio Scalfari in un suo famoso libro di memorie.  Ma  Fellini ci mise molto del suo, inventando letteralmente un luogo, tanto è vero che pretese ed ottenne dalla produzione di allora di ricostruire la Via, così come era, fedelmente, nel rassicurante spazio dell’amatissimo teatro di posa numero 5 di Cinecittà dove il regista riminese girò la gran parte dei suoi film.

Federico Fellini seduto ai tavoli di Doney

E a Via Veneto, Fellini era in effetti un habitué come è possibile verificare dalle molte foto d’epoca che lo ritraggono seduto ai tavolini dei caffè.

Oggi la Via non ha più sicuramente lo charme di allora, anche se resta una meta privilegiata del turismo internazionale e presenta molti motivi di interesse e di curiosità, che riportano ai secoli del passato, come la celebre Fontana delle Api scolpita nel 1644 da Gian Lorenzo Bernini e commissionata da Papa Urbano VIII o come la celebre chiesa di Santa Maria della Concezione, eretta da Antonio Casoni nel 1626 per il cardinale Antonio Barberini, cappuccino, a sua volta fratello di Urbano VIII, che per i romani è la Chiesa dei Cappuccini (della quale parliamo anche in un altro capitolo di questo Rione) con il suo cimitero con più di quattromila scheletri di frati.

A proposito di questa Chiesa è poco conosciuta la vicenda di un converso del convento, un cappuccino, tale Fra Pacifico, vissuto nell’Ottocento, che a Roma divenne una vera e propria celebrità per una sua dote molto particolare: sembra infatti che avesse una incredibile capacità di predire numeri del lotto regolarmente vincenti.


Divenne una tale fenomeno, in città, che il popolo sembra si riunisse in vere calche e assembramenti di fronte alla Chiesa per poter avere dal fraticello le agognate combinazioni vincenti.  La cosa, ovviamente, suscitò ad un certo punto la contrarietà delle autorità ecclesiastiche: la notizia anzi arrivò direttamente all’orecchio di Papa Gregorio XVI (1831-1846), il quale dispose il trasferimento di Fra’ Pacifico.

La qual cosa fu accolta con vero e proprio dolore dalla popolazione, che si raccolse davanti a Santa Maria della Concezione per implorare un’ultima combinazione vincente.   In quella occasione, però, il frate sorprese tutti, declamando una frase sibillina che però i popolani non fecero molta fatica ad interpretare:  Roma, SE SANTA SEI/ perché crudel SE’ TANTA?/ SE DICI che SE’ SANTA/ certo bugiarda SEI !

Che, decrittato, significava una bella cinquina di numeri: 66,70,16,60,6. 

Le cronache riferiscono che anche stavolta il Frate non sbagliò e una buona parte di Romani festeggiò una cospicua vincita.


10/12/18

All'Ara Pacis una grande e bellissima mostra tutta dedicata a Marcello Mastroianni.


Una vita tra parentesi”. Così Marcello Mastroianni amava definire la sua vita. Le parentesi tra un set e l’altro, tra un palcoscenico e l’altro, lungo una carriera fatta di un’infinità di film, di spettacoli, di personaggi.

L’esposizione ripercorre la carriera straordinaria di Mastroianni. Dagli esordi con Riccardo Freda nel 1948 alla collaborazione con Federico Fellini, di cui diventò un vero e proprio alter ego.

Più di cento film tra gli anni Quaranta e la fine dei Novanta, e molti riconoscimenti internazionali: tre candidature all’Oscar come Miglior Attore, due Golden Globe, otto David di Donatello, due premi per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes e due Coppa Volpi al Festival di Venezia.

Un attore entrato prepotentemente nell’immaginario collettivo, identificato dal semplice profilo (pensiamo all’icona creata da Fellini in 8 e ½), ma su cui in realtà c’è ancora molto da scoprire.

E per andare a fondo nella scoperta, come osserva il curatore Gian Luca Farinelli, dobbiamo tallonare la sua filmografia in quanto specchio della sua stessa vita.

Ed è proprio questo il percorso che seguirà la mostra Marcello Mastroianni, a partire da un tratto distintivo della sua personalità: quell’umiltà che gli faceva amare gli altri attori, figure di un pantheon che raccoglieva Gary Cooper, Clark Gable, Tyrone Power, Errol Flynn, John Wayne, Greta Garbo, Jean Gabin, Louis Jouvet, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Amedeo Nazzari, Totò, Assia Noris, e nel quale trionfava, non a caso, Fred Astaire, un attore capace, come sarà poi Marcello, di recitare con tutto il corpo (ricordiamo una delle sequenze fondamentali interpretate da Mastroianni: quella in cui si scatena nel ballo in Le notti bianche, il film di Luchino Visconti che segnerà il suo riconoscimento come attore “importante”).

Tutta la vita e la carriera di Marcello Mastroianni sono raccontate in questa mostra che raccoglie i suoi ritratti più belli, i cimeli e le tracce dei suoi film e dei suoi spettacoli, alternando immagini e racconti e immergendo lo spettatore in quello che è stato ed è ancora il più conosciuto volto del cinema italiano. Un percorso attraverso scritti, testimonianze, recensioni, oltre a un raro apparato fotografico che ritrae l’attore come non siamo abituati a ricordarlo, sul palco, vicino agli altri grandi nomi che hanno fatto la storia del teatro italiano, da Vittorio Gassman a Rina Morelli, da Paolo Stoppa a Eleonora Rossi Drago.

Cinema e teatro, le due anime di uno degli attori più importanti del nostro cinema, raccontate in dialogo costante grazie ai materiali conservati dalla Cineteca di Bologna, dallo stesso Mastroianni e da numerosi altri archivi (da quello dell’Istituto Luce a quello della Rai) con i quali è stato costruito questo percorso privilegiato che accompagnerà lo spettatore attraverso cinquant’anni di cultura e costume italiani.

Museo dell'Ara Pacis , Spazio espositivo Ara Pacis 
Dal 26 ottobre al 17 febbraio 2019 Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima). 24 e 31 dicembre 9.30-14.00 Chiuso il 25 dicembre e l'1 gennaio 

18/06/18

Nanni Moretti ieri: "L'unico partito al quale mi sono mai iscritto è quello di Fellini."




CASTIGLIONCELLO — «Un film politico? No, il prossimo sarà — come La stanza del figlioHabemus papam e Mia madre che non avevano bisogno dell’attualità — un’opera dove la politica non avrà spazio». 

Di più, al momento, Nanni Moretti non dice: lo sta scrivendo, è la fase più delicata. 

Ma, ultimo ospite dopo Anna Foglietta e Luca Guadagnino di Paolo Mereghetti a «Parlare di cinema a Castiglioncello», il regista non si sottrae alla curiosità del pubblico. 

E dichiara apertamente la sua militanza a un partito: «Quello di Fellini. Ho iniziato tardi a andare al cinema, verso i 15 anni. Tra i miei amici c’erano due partiti, quello di Antonioni e quello di Fellini. Io mi iscrissi al secondo». 

La tessera, a distanza di 50 anni (compirà i 65 in agosto), non l’ha stracciata. E ieri sera come pellicola da presentare agli spettatori dell’arena in pineta ha scelto , anziché una delle sue. 

Ama quasi tutti i suoi film. «Quando uscì La città delle donne non mi convinse, mi sembrava troppo poco scritto, lui allora non vedeva l’ora di andare in teatro e girare. Ogni tanto ci incontravamo. Un giorno andammo a pranzo insieme. La sera prima avevano dato in tv Amarcord, gli dissi quanto l’avessi ritrovato bello, gli parlai dell’importanza di una sceneggiatura forte. Vero, mi disse lui, ma l’ho scritta dopo».

Come il maestro riminese, anche Moretti ha costruito con il suo cinema un’autobiografia in pubblico, tra Michele Apicella e se stesso. «Fin dall’inizio, 45 anni fa, mi sono venute naturali tre cose: stare dietro ma anche davanti alla cinepresa, raccontare il mio ambiente, politico e generazionale, e farlo con autoironia. Ci ho preso gusto e mi sono divertito a costruire un personaggio: la passione per i dolci, una certa rissosità, le inquadrature delle scarpe, lo sport più praticato che visto. A un certo punto sono precipitato nella prima persona, con Caro diario. Una delle tre parti racconta il tumore che ebbi, fu naturale interpretare me stesso».

19/03/18

Ritrovata la Triumph di "Marcello" ne "La dolce vita": era a Rimini.


Chi non ricorda la meravigliosa Triumph nera guidata da Marcello, ne "La Dolce Vita", con la quale Mastroianni scarrozza di notte la meravigliosa Anita in giro per Roma ? 

Ebbene, è stata ritrovata da un appassionato di auto d'epoca, Filippo Berselli, avvocato ed ex parlamentare. 

L'auto - considerata al terzo posto in una classifica americana delle 10 più celebri della storia del cinema - è stata ritrovata per caso. Berselli era da tempo a caccia di una Triumph T3 - lo stesso modello di quella de La Dolce Vita e su internet si è imbattuto proprio nella vendita di un esemplare di questa auto, subito incuriosito dal fatto che fosse stata immatricolata sin dall'origine in Italia. 

Contattato il venditore e dopo una breve trattativa la acquista.  Salvo scoprire poco dopo, dall'esame cronologico del Pra che la targa di prima immatricolazione era stata Roma 324229 e risaliva al 15 luglio 1958.  

Da un esame più approfondito della carta di circolazione, Berselli scopriva poi che dopo un paio di passaggi proprietari, l'auto era stata rivenduta nel maggio 1959 alla società di produzione film Riama: proprio la società di Rizzoli e Amato che aveva prodotto La Dolce Vita. 

Ricostruendo la vicenda per intero, Berselli ha appurato che il primo proprietario fu Armando Berni, nipote del re delle fettuccine Alfredo dell'omonimo, celebre ristorante di Piazza Augusto Imperatore, che all'epoca era frequentato dal jet-set internazionale.  


Nei mesi successivi Berni  intestò poi l'automobile a Maurizio Conti che all'epoca era un attore alle prime armi, con qualche particina in pellicole del genere Peplum e anche nel Bell'Antonio a fianco di Mastroianni e anche ne La Dolce Vita.

Anche Conti frequentava il ristorante Alfredo ed era amico di Armando Berni. Rintracciato da Berselli, Maurizio Conti - ancora vivo e in forma, ha raccontato di non aver mai guidato la vettura, ma di aver fatto soltanto da prestanome al Berni, che forse aveva già troppe auto intestate. 

A un certo punto, Armando evidentemente decise di riappropriarsi della macchina: aveva avuto un'offerta da Fellini stesso, o dai produttori, che frequentavano il ristorante della Dolce Vita. E così la Triumph passò nelle mani della Riama cinematografica. 

Oggi l'auto, dopo essere stata esposta nel 2016 nella rassegna Effetto Notte - e dopo un accurato restauro in una carrozzeria di Rimini (per incredibile coincidenza era andata a finire proprio nella città del Regista....) - fa bella mostra di sé in importanti rassegne d'auto d'epoca internazionali.

Fabrizio Falconi

fonte: Emilia Costantini, Quella spider che segnò la Dolce Vita, il Corriere della Sera, 18 giugno 2016.



09/01/18

Riapre il mitico Cinema di Fellini, il "Fulgor" di Rimini.



Il Cinema Fulgor, la sala di Federico Fellini, riaprira' a Rimini il 20 gennaio, giorno del compleanno del 'Maestro' romagnolo che la ricostrui' negli studios di Roma per girare 'Amarcord'

Saranno 36 ore di festa per una "riapertura non convenzionale", ha detto il sindaco, Andrea Gnassi. 

Si parte alle 22 del 19 gennaio nella piazzetta San Martino con una festa organizzata dai locali del posto e poi un appuntamento speciale, alla mezzanotte quando ci sara' un ingresso, con ospiti d'eccezione, negli spazi del Fulgor che vanta una sala cinematografica ideata dallo scenografo da Oscar, Dante Ferretti

Il 20, nella mattinata inaugurale a festeggiare ci sara' anche il ministro dei Beni e delle attivita' culturali e del turismo, Dario Franceschini, oltre a personaggi del cinema e dello spettacolo mentre la sede sara' aperta al pubblico fino a notte. "Il senso della riapertura del Fulgor nel giorno del compleanno di Federico Fellini - commenta Gnassi - sta appunto nel concetto di festa, di contentezza, di gioia per un ritorno che va a beneficio di tutti. L'apertura del Fulgor sara' popolare, non elitaria". 

Fellini sul set di Amarcord con il "Fulgor" ricostruito a Cinecittà

Il Fulgor nasce nel 1914, ma e' solo nel 1920 che trova sede nell'attuale palazzo Valloni dopo una prima ristrutturazione ad opera dell'architetto Addo Cupi. Poco piu' di 97 anni dopo, il cinema, ristrutturato dall'architetto Anni Maria Matteini, riapre e nell'inusuale allestimento di Ferretti che con Fellini ha lavorato a 6 film, si rivivra' una vera e propria messa in scena cinematografica che esalta la magia "dell'andare al cinema" oltre che del "fare cinema"

Il primo film che Fellini vide al Fulgor fu 'Maciste all'Inferno' e nell'allestimento vi e' proprio un omaggio al cinema americano degli anni '30 e '40. La programmazione della sala sara' curata dalla societa' Khairos e l'ossatura della programmazione sara' costituita da film di qualita' e nuove uscite, mentre una parte importata sara' dedicata a Fellini. Tra gli obiettivi rendere il cinema un luogo aperto per incontri con corsi e mostre, approfondimenti e studi, anche la mattina. 

08/12/17

"Questo non è un film su Casanova. E' un film su di me!" Donald Sutherland rivela i segreti del "Casanova" di Fellini.



In una bellissima intervista rilasciata a Paola Piacenza per Io Donna del Corriere della Sera del 2 Dicembre 2017, il grande Donald Sutherland svela alcuni retroscena molto interessanti del suo lavoro in Italia con due grandi registi come Bernardo Bertolucci e Federico Fellini.  Riporto qui a beneficio dei lettori del Blog la parte riguardante. 

Dice di aver detto no a film perché violenti, eppure non esiste personaggio più violento di quello che lei interpretò in Novecento. 

Aaaaaahhh !!! Sì sì, (in italiano). Allora, un giorno io vado da Bernardo e gli dico "Ho qui una pubblicazione underground che un amico che lavora in una casa editrice di San Francisco mi ha dato.  E' un articolo sulla psicologia di massa del fascismo. Questo voglio fare nel film: un fascista che sia un burocrate."    E Bertolucci: "No, no, deve essere un mostro".   Così per due settimane noi abbiamo girato due versioni di ogni scena, la sua e la mia. 

Mi lasci indovinare...
Bernardo ha tenuto la sua. Bernardo ha... (fa un gesto con le mani come di un uccello che si libra nell'aria, ndr). Quando poi mi ha invitato a vedere il film finito, gli ho detto: "Mi hai spezzato il cuore". 

Lei ha un corposo capitolo italiano nella sua carriera. Mi racconta come lavorò con Fellini in Casanova ?
Mi spiace, non posso. Non ne ho idea. Posso solo dirle che le prime 5 settimane sono state le peggiori della mia vita e che nei 12 mesi successivi mi sono posto tutte le domande che un attore e un uomo dovrebbe farsi. 
La mia relazione con Federico era molto problematica e lo è stata a lungo, poi improvvisamente intorno alla quinta settimana di riprese come per magia tutto ha cominciato a funzionare.  Lui sedeva sulle mie ginocchia, mi chiedeva cose impossibili e io le facevo, come stregato. 
Mia moglie mi odia quando lo dico, ma la nostra era quasi una relazione sessuale per il genere di intensità che sprigionava.
Ricordo che era venuto a trovarmi a Parma, sul set di Bernardo, ed eravamo andati via con la Mercedes che la produzione mi aveva dato. Sul sedile posteriore avevo accumulato libri su Casanova.  "Che cos'è questa roba ?" Apre il finestrino e li getta. "Che cosa fai, Federico ?" urlo io. E lui: "Questo non è un film su Casanova. E' un film su di me!"

tratto da: Sono morto tante di quelle volte... intervista di Paola Piacenza a Donald Sutherland, Io Donna, Corriere della Sera, 2 dicembre 2017, p.104. 


03/03/17

Federico Fellini, il Genio Nevrotico.




Ci manca. 

Manca il grande genio nevrotico di Federico Fellini.  Sentiamo la sua mancanza ogni giorno di più, perché solo attraverso quell'occhio forse avremmo potuto oggi decifrare, accendere una luce su giorni sempre più caotici, insensati, grotteschi. 

Ho il sospetto che in fondo Fellini si sia sentito sempre un alieno rispetto al tempo che viveva. Era come se provenisse da un altro mondo. La sua anima si elevava probabilmente su strati diversi, lontana dalle apparenze, anche se le apparenze degli altri, le manie, i tic, le deformazioni, le deformità, erano quelle che più affascinavano il suo cinema. 

Si sentiva un alieno perché - pur essendo pienamente epigono della italianità (un concetto ambiguo e temporalmente breve visto che l'Italia esiste solo da un secolo e mezzo) - era estraneo alle masse, come recitava uno slogan di qualche tempo fa. 

Anche se - ennesima contraddizione - delle masse egli seppe perfino diventare il cantore. 

Si sentiva un alieno perché era sostanzialmente un nevrotico, tendenzialmente depressivo. Gli giovò l'analisi (junghiana), gli giovarono le escursioni nel folle e nel magico (come le visite da Rol), gli giovò la contiguità con il senso cattolico dell'esistenza, di cui seppe essere - estrema contraddizione - il massimo dissacratore, come nella celebre scena della sfilata degli abiti talari. 

Fu tutto sommato sempre un sofferente (e massimo gaudente), fragile e potentissimo dal punto di vista psicologico.  Sofferente perché disadattato alla realtà che viveva e che non riusciva ad accettare per colmo di volgarità (il vero tarlo che lo uccideva e che riusciva ad esorcizzare pienamente solo traducendolo in paradigma). 

Sofferente perché estraneo in un mondo sbagliato che lo affascinava oltre ogni misura e che gli incuteva timore. 

Sofferente al punto che aveva bisogno di ricrearlo, il mondo, nel chiuso confortevole dello Studio 5 di Cinecittà. 

Soltanto tra quelle mura si sentiva padrone del gioco, si sentiva libero, in grado di trasformare e sublimare la sua nevrosi in arte creativa. 

Ricreato il mondo, lui era finalmente libero di rovesciarne i lati angosciosi in gioco, le ossessioni in girandole, la morale in sentimento nostalgico. 

Nostalgia di quello che non esiste e non può esistere, di ciò che è libero e non è prigioniero degli incardinati meccanismi della prosa. 

Nella vita si sentiva spesso vittima - di se stesso, degli eventi, della fortuna, delle relazioni - nell'arte era libero e vittorioso perché libero di poter fallire. 

Il Genio in fondo è questo. Libertà dall'essere e dal dover essere. Libertà di essere (tutto) per se stessi e quindi per il mondo e nel mondo. 

Fabrizio Falconi
(riproduzione riservata). 

25/10/16

Don De Lillo a Roma: "non sarei quello che sono senza Fellini e Antonioni".



Il modo "in cui scrivo ha cominciato ad assumere una certa forma grazie al cinema europeo. Mi hanno formato autori come Antonioni, Fellini ma anche Kurosawa". 

Lo ha detto uno dei piu' grandi scrittori americani viventi, Don DeLillo protagonista di uno degli incontri ravvicinati con il pubblico della Festa del Cinema di Roma

Circa un'ora di conversazione fra Antonio Monda e l'autore di capolavori come Rumore bianco e Underworld, tornato da poco in libreria con 'Zero K', costruita intorno all'amore di DeLillo, per il cinema di Michelangelo Antonioni. 

Ha infatti aperto l'incontro leggendo un suo breve testo scritto ad hoc su 'Deserto rosso'. Un viaggio tra colori, suggestioni e conversazioni intime del film. 

"Qui la bellezza e' un'ossessione, sembra che il film non possa evitare di essere bello" spiega. DeLillo rende anche omaggio alla protagonista, che definisce "bellissima", Monica Vitti: "e' l'anima inquieta del cinema di Antonioni, incaricata di non interpretare ma semplicemente esistere"

Deserto rosso secondo lui "insiste a dire che vale la pena di notare tutto, fino alla piu' sottile sfumatura". 

Commentando poi le scene della trilogia in bianco e nero del regista (L'avventura, La notte e L'eclisse), sottolinea, che anche oggi "nella societa' delle immagini, la letteratura non e' messa in pericolo dal cinema

Ci sono ancora persone con il bisogno di scrivere come altri hanno quello di fare film. Eppure i ragazzi dovrebbero essere consci che il futuro, se ti metti a scrivere romanzi, sara' difficile... ma lo fanno lo stesso". 

Un accenno, infine all'ispirazione che viene ai registi dalla violenza, da Bonnie e Clyde a Il padrino, da La rabbia giovane a Il mucchio selvaggio, "dove viene illustrata in modo quasi surreale" e al primo film che ha visto: "potrebbe essere stato un cartone animato sui Viaggi di Gulliver".

fonte ANSA

25/07/15

Fellini raccontato dal lettino - Ritratto di Ernst Bernhard di Filippo La Porta.



Ernst Bernhard


Sapete cosa univa Federico Fellini, Giorgio Manganelli, Adriano Olivetti, Natalia Ginzburg, Amelia Rosselli, Aldo Rosselli, Vittorio De Seta, Luciano Emmer, Cristina Campo, e perché hanno tutti frequentato, per periodi più o meno lunghi, via Gregoriana 12 a Roma ?  
Sono stati pazienti di Ernst Bernhard, lo psichiatra ebreo berlinese che in fuga dai nazisti visse in Italia dal 1936 fino alla morte, nel 1965 (e con un breve internamento in un campo di prigionia fascista).  Il suo studio era al sesto piano di Via Gregoriana 12, con le finestre spalancate sui tetti di Roma. 

Comincia così un bellissimo articolo di Filippo La Porta, sul Messaggero del 15 luglio scorso che potete leggere interamente QUI.

La Porta traccia così il ritratto del celebre psichiatra Ernst Bernhard, amico di Jung (da cui però lo divideva un'ansia religiosa legata alla sua formazione hassidica, la fiducia in una provvidenza divina, la ricerca di un Dio nascosto), attraverso i suoi illustri pazienti, in particolare con Fellini che frequentò lo studio dello psichiatra dal 1960 al 1965, anni fondamentali della sua produzione artistica. 


Bernhard era non solo psicanalista rigoroso, ma anche aperto all'esoterismo, alla lettura della mano, all'oroscopo e a ogni altro strumento diagnostico, fedele alla convinzione che tra il cielo e la terra ci sono molte più cose di quante ne possa immaginare la scienza. 

Bernhard era anche uno studioso de I Ching,  il libro sapienziale della tradizione cinese, e nella recensione La Porta ricorda il prezioso libro I Ching di Ernst Bernhard, a cura di Luciana Marinangeli, pubblicato dalle Edizioni La Lepre, che contiene un commento di Bernhard, insieme a lettere, testimonianze, conversazioni con l'allieva prediletta, Silvia Rosselli. 

Una lettura da non mancare. 





06/04/15

E' morto Desmond O' Grady - Un ricordo.

Desmond O' Grady

Nessuno ne ha parlato in Italia, ma qualche tempo fa (agosto 2014) è morto Desmond O' Grady uno dei più grandi poeti contemporanei, che ho conosciuto qualche estate fa. 

O' Grady, nato in Irlanda, a Limerick il 27 agosto 1935, ha attraversato da outsider il Novecento, entrando in contatto con le più grandi personalità del secolo, da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir a Picasso, da Samuel Becket a Ezra Pound, di cui fu amico intimo per lungo tempo. 

Desmond O' Grady ed Ezra Pound a Spoleto nel 1966

Desmond O'Grady (in camicia bianca e cravatta) vicino ad Ezra Pound e insieme ad altri poeti, Spoleto 1965. 


Desmond O'Grady decise di seguire la sua strada poetica a 15 anni e la seguì ignorando tutto, era un uomo fuori dalla mentalità della sua Irlanda, un "estraneo". Come la sua poesia era cittadino del mondo, nel senso abusato di questo termine. 

Irregolare ed errabondo, visse per diverso tempo a Roma, dove finì anche nel cast felliniano de La Dolce Vita, dove in una scena memorabile (a casa dell'intellettuale Steiner)  interpreta praticamente se stesso. Eccola : 




Al termine delle sue peregrinazioni ha fatto ritorno nella sua Irlanda, dove è morto.  Il suo collega Séamus Heaney, premio Nobel per la Letteratura nel 1995, lo ha definito "... una delle principali figure del mondo letterario Irlandese". 

Era membro di Irelands Aosdana, l'Organizzazione Irlandese degli Artisti. 

Ha pubblicato oltre 40 libri di poesia. Desmond O'Grady è uno di quei valorosi scrittori irlandesi che hanno fatto la rivoluzione con la penna cercando una rivincita storica e culturale per i suoi simili. 

E' indimenticabile, per me, il ricordo di una sera d'estate di alcuni fa (doveva essere il 1999) al Ristorante La capanna del negro (che oggi si chiama molto più prosaicamente Il vecchio Tevere), a Porta Portese, uno dei ristoranti preferiti di Pasolini, che affaccia sull'ansa del fiume di fronte a Testaccio. 

O'Grady, accompagnandosi con il solito vino a profusione, recitò per noi, in inglese, una delle sue poesie più grandi.  Questa, che riporto nella sua traduzione italiana e nella sua versione originale: 

E, sottratti all'agonia della luce,
lasciandoci dietro tutta la distruzione passata,
stendiamoci ancora sul vecchio letto
solido sotto il tetto d'alghe e bambù,
aprendo l'un l'altro bianche braccia felici.

Poi lascia che ti racconti tutta quella storia,
l'arte di sopravvivere nella lotta quotidiana:
i colpi dati, le percosse ricevute,
di anni vagabondi di vincite e di perdite
cercando di non diventare un distruttore.

Mentre veglio su di te, lascia cadere i lunghi capelli
che siano d'ombra alle tue spalle prima del sonno,
perché tutto questo luogo si romperà
e andrà in pezzi se ti dovessi assentare.

Desmond O'Grady - da 'Pillow Talk'. 

And, out of the light's agony
leaving behind all past destruction,
let us lie down again on that old bed
steadfast under the bamboo and seaweed ceiling, 
opening glad white arms to one another.

Then let me tell you all that story
That's the skill of survival in the daily struggle:
the blow's given, the beatings taken, 
of wandering for years and of wins and losses
in the search not to end a destroyer.

While I watch over you, let down your long hair
to shadow your shoulders before sleep
for all this place shall break
and fall apart should you go absent. 



Un grande poeta, Desmond O' Grady, un sognatore romantico (o post-romantico), un irregolare vissuto come si dovrebbe vivere.  Rischiando il cuore ogni volta, cercando soltanto di diventare (come diceva Nietzsche) quello che si è. 




Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata 2015

06/10/14

Teatro dell'Opera e i licenziamenti-skock. La profezia di Fellini (e la memoria corta di Dante Ferretti).




Si fa un grande uso di questi tempi dell'aggettivo profetico.

Si fa presto a dire profetico.

Eppure, se questo aggettivo deve essere usato per una volta con cognizione, lo dovrebbe per Prova d'Orchestra, che Fellini realizzò nel 1979. 

Un filmetto realizzato per la RAI di allora, che se rivisto oggi, proprio oggi alla luce di quanto sta succedendo al Teatro dell'Opera di Roma, con i licenziamenti collettivi-shock decisi dalla giunta Marino, lascia di stucco.  

Sulla vicenda è intervenuto ieri anche lo scenografo Dante Ferretti, tre volte premio Oscar, che di quel film realizzò gli scenari, in una intervista al Corriere della Sera, nella quale - fra l'altro - ricorda di come fu proprio lui a suggerire a Fellini l'idea della grande sfera d'acciaio per le demolizioni che nel tragico finale del film demolisce le pareti del Teatro, all'interno del quale gli orchestrali hanno litigato ferocemente, si sono ribellati al direttore d'orchestra e hanno distrutto tutto. 

Leggendo l'intervista però, sono rimasto molto sorpreso dalla inesattezza - o dalla mancanza di memoria - di Dante Ferretti, peraltro non corretta dall'estensore della intervista, il bravo Paolo Conti. 

Arriva infatti, alla fine della intervista, dopo che si è parlato del significato del film, che era per Fellini una metafora dell'Italia (di allora e di oggi), ingovernabile e anarchica, dove vige solo interesse e tornaconto personale e dove alla fine ci va sempre di mezzo l'innocente (A Federico piacque moltissimo l'idea della palla per le demolizioni, racconta Ferretti, volle che ci fosse una vittima, l'arpista che muore sotto le maceri. Il personaggio più mite e dolce),  Paolo Conti domanda a Ferretti:

Cosa spera che accada ora al Teatro dell'Opera di Roma ? 

Risponde Ferretti:

"Mi auguro che si ripeta la scena finale del film. Lì la sfera abbatte la parete, costringe tutti al silenzio e si riprende il lavoro seguendo il direttore d'orchestra. Oggi spero che tutti a Roma decidano di rimboccarsi le maniche e di lavorare per il bene del Teatro. Non credo ci siano alternative."

Credo che davvero l'interpretazione dell'apologo in questo modo, non renda onore al genio di Fellini. 

Ferretti infatti dimentica che il finale del film è piuttosto agghiacciante: dopo la demolizione e dopo lo shock e la morte dell'innocente, è vero infatti che gli orchestrali riprendono il lavoro - tra le macerie - seguendo il direttore d'orchestra. 

Ma nel frattempo, il direttore d'orchestra è diventato un tiranno. 

Il film si conclude con un pugno allo stomaco: appena conclusa la prova, il direttore, che è un tedesco, comincia a gridare sempre più forte, in modo isterico, in tedesco, lo schermo va a nero, e resta solo la voce fuori campo del direttore, distorta dalla rabbia autoritaria, che è sinistramente sovrapponibile a uno dei discorsi tenuti alle folle da Adolf Hitler negli undici anni del suo potere folle e sanguinario. 

Non è affatto, perciò un lieto fine. Gli orchestrali sono tornati al lavoro solo perché una forza più grande li ha spaventati, li ha sottomessi.  In pochi istanti sono diventati agnellini e sono ora disposti ad assecondare il direttore che verrà (se sarà un direttore buono o uno terribile e criminale, sarà la stessa cosa). 

Davvero non c'è da augurarsi un finale così per la penosa vicenda del Teatro dell'Opera di Roma - e per l'Italia tutta.   

Ci sarebbe bisogno di un finale come quello auspicato da Dante Ferretti. Che non è però quello descritto da Fellini, che forse conosceva gli italiani meglio di tutti. 


Il finale di Prova d'Orchestra

Fabrizio Falconi - riproduzione riservata.