08/08/20

"Sempre per sempre" - una poesia di Francesco De Gregori




Sempre per sempre

Pioggia e sole
Cambiano
La faccia alle persone
Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano
E tornano
E non la smettono mai
Sempre e per sempre tu
Ricordati
Dovunque sei
Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai
Ho visto gente andare, perdersi e tornare
E perdersi ancora
E tendere la mano a mani vuote
E con le stesse scarpe camminare
Per diverse strade
O con diverse scarpe
Su una strada sola
Tu non credere
Se qualcuno ti dirà
Che non sono più lo stesso ormai
Pioggia e sole abbaiano e mordono
Ma lasciano
Lasciano il tempo che trovano
E il vero amore può
Nascondersi
Confondersi
Ma non può perdersi mai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai
Fonte: LyricFind
Compositori: Francesco De Gregori

Testo di Sempre e per sempre © Sony/ATV Music Publishing LLC

06/08/20

Cosa è l'amore di una madre. (da Romain Gary)


Soltanto quando raggiunsi la quarantina cominciai a capirlo. Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto.

Ci vengono delle cattive abitudini. Si crede che ci sia dovuto. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare. Ci si fa affidamento. Si guarda, si spera, si aspetta. 

Con l'amore materno la vita ci fa all'alba una promessa che non manterrà mai. 

In seguito si è costretti a mangiare gli avanzi, fino alla fine. Ogni volta che una donna ci prende tra le braccia e ci stringe al cuore, si tratta solo di condoglianze. Si ritorna sempre a guaire sulla tomba della propria madre come un cane abbandonato.  

Mai più, mai più, mai più.  Braccia adorabili si chiudono intorno al nostro collo e labbra dolcissime ci parlano d'amore, ma noi sappiamo già tutto. Noi siamo stati alla sorgente troppo presto e abbiamo bevuto tutto. 

Quando ci riprende la sete, si ha un bel cercare da ogni parte: non ci sono più pozzi, ma solo miraggi. Abbiamo fatto, alla prima luce dell'alba, uno studio approfondito dell'amore e ci siamo documentati troppo bene.

Dovunque andremo, porteremo con noi il veleno dei confronti; e passiamo il tempo aspettando ciò che abbiamo già avuto. 

Non dico che dobbiamo impedire alle madri di voler bene ai loro piccoli. Dico semplicemente che sarebbe bene avessero qualcun altro, oltre i figli, a cui voler bene. Se mia madre avesse avuto un amante non avrei passato la vita a morir di sete dietro ogni fontana. Disgraziatamente per me, io so distinguere i veri diamanti. 

Romain Gary, da La promessa dell'alba 


05/08/20

Libro del Giorno: "Parlarne tra amici" di Sally Rooney




E' diventata subito un fenomeno letterario Sally Rooney (classe 1991), irlandese laureata al prestigioso Trinity College di Dublino e lanciata dal suo editore con l'eloquente slogan di: "la Salinger della generazione Snapchat". 

Parlarne tra amici (Conversations with Friends) è il suo primo libro, l'esordio, avvenuto nel 2017, bissato l'anno seguente da Persone Normali (Normal People, anche questo pubblicato in Italia da Einaudi), nel 2018, che ha vinto il Costa Book Award, e soprattutto è stato trasformato in una splendida serie televisiva (titolo omonimo), che nei paesi anglosassoni ha messo d'accordo tutti ed è ancora poco vista in Italia. 

Rooney scrive - nei due romanzi che ha scritto finora - di cose che conosce bene. Quasi tutti i personaggi del primo e del secondo libro orbitano nel mondo dell'università dublinese, tra aspirazioni artistico-letterarie e famiglie disfunzionali di provenienza; tra relazioni fluide che non si stringono mai del tutto, espiazioni personali, equivoci, comunicazioni frammentate che avvengono attraverso mail e messaggi what's app, feste piuttosto banali, conversazioni sui massimi e minimi sistemi, e soprattutto il rito del bere, in compagnia o da soli, bere molto. 

Ma mentre in Normal People i protagonisti sono soltanto due, i poco più ventenni Marianne (alto borghese e sfigata perché strana) e Connell (orfano di padre, di famiglia umile), che si amano moltissimo, lasciandosi e riprendendosi e ancora lasciandosi,  in Conversations with Friends i protagonisti sono quattro, due coppie: le studentesse Frances e Bobbi (che formavano una coppia lesbica ma si sono lasciate, pur continuando a costituire un connubio artistico - Frances scrive testi poetici e Bobbi le interpreta su palchi di ritrovi universitari) e Melissa e Nick, più grandi di loro di dieci o quindici anni:  Melissa è una fotografa e pubblica libri, Nick è un attore trentaduenne, bello e fallito e con problemi psicologici. I due sono sposati da parecchi anni. 

La vicenda si innesca quando Melissa contatta le due ragazze per realizzare un servizio delle loro performances. Frances e Bobbi si ritrovano a frequentare la casa sua e di Nick, con le feste alcoliche e borghesi, a conoscere i loro amici, ad accettare i loro inviti nella villa in Francia, a confrontarsi in lunghe conversazioni durante i pasti, in cui si parla di anarchia, della persecuzione dei neri in America, del capitalismo, delle malefatte della finanza globale. 

Accade così che Frances si innamora di Nick (che fra l'altro è il primo uomo che si sia mai portato a letto) e Bobbi si scopre infatuata di Melissa alla quale sottopone timide avances

Il focus della narrazione si stringe sempre più intorno a Frances (che rassomiglia in modo notevole alla Marianne di Normal People, ne è anzi per molti versi la controfigura e probabile controfigura della stessa autrice, Sally Rooney): intorno alle sue nevrosi, ai suoi istinti di autolesionismo (che ritornano in tutto il romanzo e sono anch'essi comuni alla Marianne dell'altro romanzo), alla sua afasia, alla sua scoperta del sesso, alla sua ipocondria che si manifesta poi in veri disturbi psicosomatici e non. 

Qui però, al contrario di Normal People, che ha uno sviluppo più lineare e coerente, la vicenda comincia ad aggrovigliarsi intorno all'inconcludenza dei vari personaggi, che dicono tutto e il contrario di tutto, e fanno tutto e il contrario di tutto: si capisce fin troppo l'intento della Rooney, di descrivere senza enfasi e con apparente freddezza, la confusione contemporanea, l'analfabetismo sentimentale, l'allergia a ogni tipo di responsabilità, la fluttuazione come sistema di vita, l'insoddisfazione e l'inconcludenza come unico orizzonte possibile. 

Nick, l'unico maschio dei quattro protagonisti, è l'emblema di questa palude: indeciso a tutto, si lascia guidare dalla sua passività-remissiva, limitandosi ad assecondare le richieste - sessuali, sentimentali, decisionali, minime - che gli vengono formulate. 

Nessuno dei quattro personaggi suscita l'empatia del lettore (in Normal People era impossibile invece non averne per l'onesto e fragile Connell e anche per la volubile Marianne), e con il passare delle pagine, si finisce per avvertire l'inautentico di questa narrazione e un fastidioso senso di compiacimento dell'autrice per i suoi personaggi, perduti in questo confortevole cupio dissolvi che non è mai definitivo e sempre rimandabile. 

Insomma, c'è la sensazione che il successo della Rooney di questo primo romanzo sia dovuto più che altro alla immedesimazione da parte dei molti lettori nelle fragilità emotive dei personaggi e sopratutto di Frances, piuttosto che all'indubbio talento della scrittrice.  

Le cose sono andate meglio con il secondo romanzo e soprattutto con la miracolosa messa in scena della serie televisiva tratta da Normal People, che ha potuto avvalersi di due giovanissimi interpreti veramente straordinario che hanno saputo dare faccia, corpo e sincerità a una storia di formazione intensa e dolorosa. 


Fabrizio Falconi 

04/08/20

100 anni fa nasceva Enzo Biagi, un testimone del tempo. Le celebrazioni.


'Testimone del tempo', autore di oltre ottanta libri e di interviste che hanno scritto la storia del '900, inventore del primo rotocalco televisivo, ma anche "il primo direttore di tg ad affidare la conduzione a un giornalista, o a convincere l'allora direttore generale Bernabei a consentire alle troupe di alloggiare negli stessi hotel e a mangiare negli stessi ristoranti dei giornalisti: un modo per scambiarsi le idee, sentirsi piu' squadra, velocizzare i servizi". 

E ancora, "il cronista che ha rivoluzionato il linguaggio televisivo: senza Linea diretta, senza Il fatto, forse Report e tanti altri programmi di inchiesta non ci sarebbero stati, o avrebbero avuto un volto diverso"

Loris Mazzetti e' convinto che "raccontare il suo lavoro" sia il modo migliore per ricordare Enzo Biagi a 100 anni dalla nascita, il 9 agosto 1920 a Lizzano in Belvedere, in localita' Pianaccio

E se il paesino in provincia di Bologna si prepara a celebrare il centenario aprendo, proprio il 9 agosto, il ristrutturato museo-centro di documentazione Enzo Biagi e una mostra fotografica, presentando il francobollo dedicato al giornalista e inaugurando, sempre a Pianaccio, 'Via Enzo Biagi', in tv l'omaggio al giornalista - morto a Milano il 6 novembre 2007 - parte su Rai3 l'8 agosto in seconda serata con 'La mia virgola. Enzo Biagi alla scoperta del mondo', il documentario di Matteo Parisini che ripercorre la vita e la carriera di Biagi attraverso le grandi interviste, i programmi tv, i documentari. 

Domenica 9 agosto, alle 13, sempre su Rai3, la replica di 'Biagi e Benigni. La strana coppia', lo speciale curato dallo stesso Mazzetti per la serie 'Per Enzo Biagi: le grandi interviste': in primo piano, il rapporto di amicizia e di stima tra i due, dal 1976, quando Biagi comincio' a raccontare Benigni per la carta stampata, al 1985, primo incontro di fronte alla telecamere di Linea diretta, fino all'intervista al Fatto del 2001, prima dell'editto bulgaro di Berlusconi che nel 2002 costo' al giornalista l'allontanamento dalla Rai. 

Alle 18, ancora su Rai3, viene riproposto 'La mia virgola', mentre in seconda serata su Rai1 lo Speciale Tg1, a cura di Daniele Valentini, e' dedicato ai 100 anni di Biagi. 

"Dal 2017, quando sono tornato a Rai3 - racconta ancora all'ANSA Mazzetti, storico collaboratore di Biagi, autore, regista, scrittore, firma del Fatto quotidiano - ho realizzato 31 speciali su Enzo, a partire dai dieci anni dalla morte, passando per Cara Italia, Giro del mondo, le Grandi interviste. Mi e' sembrato il modo giusto di chiudere una storia che ha visto una grande battaglia e un unico vincitore della guerra: Biagi. E mi piace ricordare che quando nel 2007, qualche mese prima di morire, ritorno' sugli schermi Rai con RT, dimostro' di essere rimasto se stesso dicendo: 'Scusate, sono tanto contento di rivedervi. E confesso che sono anche commosso. Ma c'e' stato qualche inconveniente tecnico che ci ha impedito di continuare il nostro lavoro. L'intervallo e' durato cinque anni. Mi aveva avvolto la nebbia della politica'. Solo poche parole, senza polemica, perche' c'erano i fatti da raccontare"

Un esempio "ineguagliabile di stile, sobrieta', ma anche fermezza, capacita' di aprire 'tutte le porte'. Penso ai colloqui con Ali Agca, con Gheddafi, Fava, Dalla Chiesa. Penso al serial killer Gianfranco Stevanin che inizio' l'intervista negando le sue responsabilita' e la fini' chiedendo scusa ai familiari delle vittime. O al lampo nello sguardo di Francesca Mambro - ricorda ancora Mazzetti - quando Enzo le chiedeva conto dell"esecuzione' di un carabiniere. 

Chi intervisterebbe oggi? Donald Trump, con la stessa passione che lo ha spinto sempre a fare le domande decisive". "Ho un solo rammarico - conclude -: forse in questi anni non e' stato fatto abbastanza, e penso in particolare alla carta stampata - per Biagi e per tutto quello che ha dato ai lettori, agli spettatori e alla storia del giornalismo". 

03/08/20

Per i 100 anni di Federico Fellini, a Rimini si apre il "processo ai Vitelloni"



E' il Vitellone di felliniana memoria l' 'imputato' del tradizionale Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli (Forli'-Cesena) promosso da Sammauroindustria. 

Nomignolo nato dall'inventiva dello sceneggiatore Ennio Flaiano (spiego' la derivazione dall'abruzzese "vudellone", una budella da riempire), nel tempo ha assunto connotati controversi: positivi, del seduttore per eccellenza della Riviera romagnola; negativi, del maschilista tout court. 

A dibattere nel tribunale a Villa Torlonia, alle 21, saranno la giornalista de Il Manifesto Daniela Preziosi, che guidera' l'accusa, e Gianfranco Angelucci, stretto collaboratore del regista riminese, alla difesa. Presidente del Tribunale Miro Gori, fondatore del Processo; il verdetto sara' emesso dal pubblico munito di palette (400 i posti disponili causa restrizioni Covid). 

Il Processo e' un chiaro omaggio ai 100 anni di Federico Fellini. "Vitellone e' uno che non fa nulla e campa, anche in eta' da lavoro, sulle spalle della famiglia - spiega Gori -. Perfetta da questo punto di vista e' la rilettura felliniana di Amarcord dove in Lallo, zio del protagonista Titta, la figura del vitellone si fonde con quella del 'pataca'. Se questo e' un primo e assai grave capo d'imputazione in una Repubblica 'fondata sul lavoro', altri non mancano: dall'incapacita' di crescere, maturare, staccarsi dall'adolescenza, al maschilismo radicale che ha indotto nell'opinione comune l'analogia tra vitellone e seduttore da spiaggia, come racconta Sergio Zavoli, altro illustre riminese, nel documentario 'I vitellini'. 

Ma spettera' all'accusa definire con esattezza il capo dell'imputazione e alla difesa trovare attenuanti e reali motivi per l'assoluzione". 

Le prime schermaglie tra le due parti non mancano. Secondo l'accusatrice Daniela Preziosi "i Vitelloni restano un monumento alla peggio gioventu' maschile, regredita al comodo eterno stato infantile, mammoni e traditori, bandiere di un'inconcludenza che e' indifferenza. Bighellona, bovina, bulla, banale, irredimibile". 

Diverso il punto di vista del difensore Angelucci: "I luoghi comuni, le convenzioni, nascondono spesso pregiudizi che conducono verso una strada sbagliata. I Vitelloni sono ben altro da cio' che in molti pensano, e ci stupiremo insieme a scoprire quanto la loro natura, che ci appartiene cosi' da vicino, rappresenti forse la nostra parte piu' nobile". 

31/07/20

Luoghi dell'Anima: Cabo Espichel, in Portogallo. Un posto e una storia bellissimi




        La storia della cristianità non è fatta solo di grandi templi, magnificenza, ori e porpora, ma anche – e soprattutto? – di luoghi umili, fuori dalle rotte, di pietre dimenticate, o mute, di storie minute sussurrate dal vento.
        Una di queste storie, una storia semplice, l’ho trovata molti anni fa, in Portogallo.
        Lisbona, all’epoca, era un cantiere sterminato, in vista dell’Esposizione Universale del 1998, che doveva cambiare la faccia a un paese rimasto ancorato alle struggenti malinconie della sua terra e della sua musica, anche dopo la fine della dittatura salazarista, la più lunga di tutto il Novecento in Europa.
        In quei giorni non c’era una sola parte di Lisbona immune dal frastuono delle ruspe. Una nuvola bianca di polvere, enorme, si levava al di sopra del Bairro Alto, della Baixa, dell’Alfama.
        Dalla terrazza dell’Elevador de Santa Justa, ardita costruzione del prediletto allievo di Eiffel, riuscivi a vedere i colpi inferti alla città, in ogni direzione, e il traffico impazzito, in coda sul Ponte 25 Aprile (l’unico mezzo per varcare l’estuario del Tago, prima della costruzione dell’immenso ponte Vasco de Gama, realizzato appunto per quella Esposizione Universale), sotto il sole cocente.
        Fu scelta obbligata lasciarsi alle spalle il prima possibile l’infernale caos, e fuggire verso sud, dove solerti depliants forniti dalla receptioniste dell’albergo di Lisbona, promettevano paesaggi deserti, spiagge selvagge, e invitanti degustazioni gastronomiche.
       Il Portogallo vive del suo mare.
       Nel bene o nel male, ne determina i destini. Il clima più piovoso d’Europa condiziona l’umore degli abitanti, lo spazio sconfinato che si spalanca dietro ogni curva di strada statale dirotta il pensiero su termini immateriali.
       Succede così anche quando si imbocca, in macchina, l’autostrada IP1, che arriva in poche ore fino alle coste dell’Algarve.
        Questa strada, appena oltrepassato l’enorme ponte sospeso sull’estuario del Tejo, com’è il nome del fiume in portoghese,  devìa leggermente verso destra, verso la costa atlantica, per poi dirigersi verso Setubàl.  A sud di Lisbona il litorale dapprima è sabbioso,  poi all’improvviso si ergono le rocce scoscese della Sierra de Arrabida, il promontorio che culmina nel Cabo Espichel,  secondo lembo più occidentale di tutto il continente europeo.
        Il primato in questo senso spetta infatti al Cabo da Roca (pochi chilometri a nord di Lisbona), quello che i romani chiamarono promontorium magnum,  leggendario punto di partenza   dei navigatori portoghesi, cantato da Camoes nelle Lusiadi.
            Onde a terra acaba/ e o mar comeca  Dove la terra finisce e il mare comincia.

            Ma se si immagina un Finisterre, il Cabo Espichel non ha eguali.  
            La strada si divide in due prima di Sesimbra, e punta dritto verso il margine del  promontorio.  Sembra non offrire alternative, giunti all’ennesima curva, di non poter far altro che terminare nel vuoto.
            Così è.



            La strada asfaltata si ferma qualche decina di metri prima di un antico, isolato complesso religiosa, diviene una lingua di sterrato che prosegue oltre e non si ferma fino all’ampia distesa di terra che un centimetro dopo precipita nell’oceano. Cabo Espichel è una specie di zoccolo di roccia, spianato, 180 metri a strapiombo sul mare.  Vi si arriva attratti dal magnete del grande Faro bianco, che svetta di lato, sulla scogliera. Poi, si entra, senza quasi accorgersi, in un lunghissimo recinto rettangolare. Sullo sfondo, la facciata della Chiesa di Nossa Senhora do Cabo, come viene comunemente chiamata dalla gente del posto, nonostante il nome esatto sia: Santuario de Nossa Senhora de Pedra Mua. Ai lati della Chiesa, in un perimetro perfettamente rettangolare, le due ante dell’Hospedarias, l’alloggio per i pellegrini, che cominciarono a visitare questo luogo, sempre più numerosi, a partire dal XII secolo.
            Prima di entrare in chiesa, oltrepassandola, si procede verso la scogliera, arrivando proprio sul punto più a strapiombo della costa.  I gabbiani, guinchos come li chiamano qui, disegnano rapide traiettorie nel vento forte. L’aria è tersa, l’orizzonte ampio, senza più ostacoli. Qui, come in tutto il Portogallo, è ancora viva la memoria dell'epopea del descumbrimiento, l'epoca delle navigazioni che portarono i malinconici e impavidi lusitani lungo le coste dell'Africa e nelle terre più remote del pianeta.  I vecchi della zona conoscono a memoria i racconti tramandati da intere generazioni,  di tempi dimenticati, quando i fari andavano ad olio di oliva, e qualche volta facevano cilecca: le navi nel mare, quand’era in tempesta, si illudevano, attratti come falene dalla luce di Espichel,  d’essere ormai in vista del porto di Lisbona, e finivano per schiantarsi contro la scogliera.
           Le sventure dei naviganti non finivano nemmeno con il naufragio, perché nascosti tra i rovi, sotto la pioggia, c’erano pirati ad  attendere i  superstiti, per ucciderli e saccheggiare il bottino.
            Approfittavano, gli assassini, di quegli unici sentieri che scendono ancora oggi stretti e serpeggianti sul fianco della scogliera, ma che è meglio conoscere bene prima di affrontarli, se non si vuol finire nel precipizio: dicono che questi sentieri siano stati tracciati centinaia di anni fa, dai pacifici pescatori che vivevano qui, prima ancora dei pirati,  e che benedivano ogni giorno questi fondali ricchi di pesci, soprattutto bacalao, e bodiao, e poi alghe, cucinate direttamente sul fuoco ed erano, sembra, gustosissime.
          Deve essere capitato ad uno di questi pescatori, un semplice umile pescatore tra tanti, in un mattino di luce, di scorgere all’improvviso, quella misteriosa visione, mentre risaliva dal suo scoglio. Fu un prodigio inspiegabile, la cui fama si diffuse come un lampo, in un’epoca in cui  il Portogallo era tornato ad essere cristiano. Nel 1064 Coimbra era stata riconquistata, strappata agli arabi,  dopo quasi quattro secoli. Diventava nuovamente capitale del Regno.
         Ed ecco che in questo villaggio sperduto, eremo estremo verso l’occidente, un pescatore scorge un segno:  Maria - Nossa Senhora per il popolo, per gli umili, le donne, i pescatori -  la madre di Gesù, appare a cavallo di una mula.
          Non esistono descrizioni ufficiali dell’evento: possiamo soltanto immaginarlo. Possiamo immaginare la diffidenza e lo spavento, gli sguardi sospetti, e la propagazione del racconto del pescatore. Che a quanto pare, non ebbe altri testimoni, oltre a lui. La convocazione da parte di qualche alto prelato, gli interrogatori, i tentativi di dissuasione, forse. L’ostinazione del pescatore.
          Il miracolo quotidiano del cristianesimo è anche questo:  che in un luogo così, la voce di un pescatore in un mattino assolato, diventi fede. Fede per tutti.
          Non sappiamo attraverso quali passaggi la tradizione orale si trasformò in convincimento e fede, e memoria di e per tutti.  Quel che sappiamo è che la leggenda, nel trascorrere delle generazioni, aggiungeva ogni volta nuovi particolari, come quello secondo cui la mula, la mula di Cabo Espichel, la mula di Maria, aveva lasciato perfino delle impronte, bene impresse in una pietra, sulla scogliera, pietra che naturalmente divenne oggetto di venerazione.
          E così, dopo  tre secoli, tre secoli durante i quali questa storia divenne il cemento di una intera popolazione,  nel 1410 si costruì il primo santuario, anzi più propriamente l’eremo, pensato espressamente per loro, i mareantes, la gente del mare, gli eterni protagonisti delle stagioni di Espichel. All’inizio doveva essere solo una piccola costruzione, minima come quella che adesso si ammira a circa 100 metri dalla Chiesa, e oggi è conosciuta come Ermida da Memória o anche  Capela da Memória, minuta cappella con cupola,  all’interno decorata con splendidi azulejos azzurri e bianchi. 
         E’ questo il luogo esatto in cui apparve la visione e in cui fu originariamente conservata l’immagine della Vergine, di origine misteriosa, che celebrava l’apparizione di Maria sulla Mula.
          Questa immagine era il lasciapassare per ogni impresa, per ogni avventura tra le onde, per ogni giornata di duro travaglio lontano da casa, consegnati mani e piedi al capriccio della sorte, e delle tempeste. Di tutto quel che l’uomo non può mai controllare, e lo aspetta nel buio della notte, nel vento improvviso, nella mareggiata che spezza la schiena,  e non perdona.  Dove oggi sorge la rozza croce di pietra, lì iniziava la lenta processione dei mareantes, verso l’immagine della Vergine.



I due lati porticati dell’Hospedarias , una volta occupati dagli alloggi per i pellegrini, oggi sono in abbandono, fatiscenti, chiusi.   Soltanto vicino alla Chiesa c’è una piccola bottega, che vende bevande fresche, e qualche vecchia cartolina. 
           Una vecchia contadina, che vende semplicemente le sue mercanzie dentro cassette di legno, ci guarda, spiega che ha imparato un po’ di italiano da un lontano parente, scappato al fascismo, e rimasto lì per cinque anni prima di riuscire a imbarcarsi per l’America.
           Lei si chiama Maria Dominga, ci dice, e quel nome le è stato imposto proprio in onore di Nossa Senhora. Per loro, per la gente di Espichel, Nossa Senhora è una persona, prima di tutto. Qualcuno a cui affidarsi, che capisce, che dà consigli. “Molte tragedie”, ci dice, parandosi gli occhi dal sole, con la mano rugosa dritta come un ventaglio, “sono state evitate da lei, è lei che ha detto a un uomo, prima della tempesta: non andare ! E lui non è partito. Si è salvato.”
            Davvero ?
            “Anche mio marito non è partito,” spiega seriamente con uno sguardo da bambina corrucciata in un volto di vecchia, “il giorno dopo c’era tempesta, una tempesta  grande, muito muito…. Grande   agita la mano, per far intendere che si tratta di qualcosa veramente memorabile.   “ E il mio marito fu livre de perigro , seguro.”
            E’ ancora vivo ?  No, risponde, non è più vivo, ma una malattia, sembrerebbe quasi voglia dire con quel ciondolare della testa, una giusta malattia – non l’ingiusta tempesta – lo ha portato via.
            Poi ci fa segno di seguirla. 
            Di nuovo attraversiamo il piazzale dietro la chiesa, sotto il sole.   Ci conduce, con andatura spedita, senza esitazioni, fino al punto di osservazione dove eravamo poco prima.
           Poi ci chiede di osservare una linea nella roccia della scogliera, verso sud, la dove le falesie sono altissime.   Effettivamente, guardando con attenzione, c’è una linea più scura, che attraversa diagonalmente la parete scoscesa, come la vena di una mano.
          “ La vedete ?  Quella fenda…si è formata quando…. È arrivato il grande tremor de terra ! ”
          So a cosa si riferisce, naturalmente.  So cosa intendono i portoghesi quando si parla di ‘grande tremor de terra’.   ‘Il’ terremoto,  quello vero, qui è stato uno soltanto, quello che nessuno – come idea - ha mai dimenticato, nessuno che viva qui.  Il terremoto del 1755.   Uno dei più spaventosi terremoti che abbiano mai scosso il suolo della terra, a memoria d’uomo.
          “ Quella fenda non esisteva, prima, “ disse la donna, “ a mio padre lo raccontò mio nonno, e a mio nonno, suo nonno..”
          Capimmo cosa sosteneva.  La crepa sulla scogliera, questo intendeva, si era formata quel giorno del 1755, e aveva rischiato di spaccare per sempre la montagna in due, portando in fondo all’Oceano il Cabo Espichel, con il suo santuario.  
           Oracao, pedido…”
           Erano state le preghiere, questo ci disse, a fermare la crepa nella montagna.  Il racconto dei nonni sosteneva che tutta la gente di Cabo Espichel, quando la terra aveva preso a tremare, come mai nella storia, e le onde si erano alzate fino a cento metri,  tutta la gente, si era chiusa dentro il Santuario a pregare.  E la sorte sembrava segnata, perché quella crepa sulla scogliera voleva soltanto dire che….
           Ma le preghiere a Nossa Senhora, furono ascoltate.
           Nossa Senhora non voleva questo. Voleva proteggere la gente di Cabo Espichel.
           La donna indicò ancora la riga scura sulla scogliera:
           “ Sì è fermata, da quel giorno ! Si è fermata lì. E non si è più mossa.  La fenda è ferma, da più di duecento anni ! “
         
           Quando tornammo a Lisbona, qualche giorno dopo, ripensai al grande terremoto del 1755, che in qualche modo i furori dei cantieri in corso evocavano con fumi e strepiti. La mattina del primo novembre di quell’anno, 1755, un sisma del nono grado della scala Richter rase al suolo questa città, causando quasi centomila morti.  Le scosse provocarono danni incalcolabili in tutto il Portogallo, perfino in zone lontanissime dalla  capitale, come la costa dell’Algarve, interessando 10 milioni di chilometri quadrati di territorio. Il terremoto fu avvertito in Olanda, nelle Antille, nelle Barbados, e i danni furono disastrosi perfino sulle coste del Marocco.  6 interminabili minuti di puro terrore. Il mare, a Lisbona – raccontarono i pochi superstiti – si ritirò del tutto, lasciando le barche in secca; dopo qualche minuto un’onda spaventosa si abbattè   su tutta la costa aggiungendo nuova devastazione, penetrando nell’entroterra, fino alle colline di Cintra.
           L’apocalisse, quel giorno, bussò alle porte di un paese sfortunato, lo lasciò in ginocchio, ancor più motivato nel suo ‘bisogno di sventure’.
           In tanta devastazione, Cabo Espichel, il fragile sperone di roccia, aveva resistito.  Il silenzio era salvo.  L’impronta prodigiosa della mula, era ancora al suo posto.  E la
semplice fede di  Maria Dominga si rinnovava ogni giorno nel simbolo della linea scura della fenda, che una misericordia non umana, aveva cristallizzato sul fianco della scogliera, per sempre.



Tratto da: Fabrizio Falconi, Dieci Luoghi dell'Anima, Cantagalli Editore, 2009 - Vedi il libro su Amazon clicca qui

30/07/20

Naufragio nel 1712: il mare della Sardegna restituisce un incredibile tesoro di monete d'oro




Un eccezionale ritrovamento di monete antiche nei fondali del Golfo di Orosei e' stato possibile grazie alla segnalazione di un subacqueo tedesco, che la scorsa estate aveva rinvenuto i primi 11 reperti. 

Grazie alla collaborazione tra i carabinieri del comando provinciale di Nuoro - a cui l'uomo aveva segnalato il caso - e dei nuclei Tutela patrimonio culturale e subacquei di Cagliari, al termine di una campagna di prospezioni archeologiche marine durata tutta l'estate scorsa, sono stati rinvenute 46 monete antiche di cui 27 in oro di conio spagnolo risalenti al periodo XVI-XVIII secolo, 3 in oro di conio francese (presumibilmente Luigi XV), 2 piemontesi del XVII sec. e 14 in argento di conio spagnolo del XVII sec.; 3 frammenti ceramici di anfore, un frammento di ceramica decorata con smalti ed un frammento di metallo, tutti di presunta epoca romana. E' stato individuato inoltre un timone di grosse dimensioni, di quasi 5 metri attribuibile ad una nave spagnola del XVII secolo. 

"Si tratta di uno dei ritrovamenti piu' importanti nel Mediterraneo - ha spiegato il dirigente della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Sassari e Nuoro Bruno Billeci, nel corso di una conferenza stampa nella sede del comando provinciale dei carabinieri di Nuoro -. L'ipotesi piu' plausibile è che le monete siano finite in acqua in seguito a un naufragio di una media imbarcazione che trasportava una riserva aurea, a ridosso del 1712, visto che alcune monete conservavano un filo di conio di quell'anno

Abbiamo condotto l'attivita' di controllo con i funzionari e tecnici responsabili di archeologia subacquea e le monete ritrovate sono variamente datate dal 1556 al 1712. Molte sono in stato di conservazione ottimale altre sono fortemente degradate e sono in corso di restauro nel nostro centro di Li Punti. La maggior parte delle monete sono spagnole". 

29/07/20

Quando i nazisti bruciarono le Navi di Caligola a Nemi

L'Ancora di legno di una delle due Navi di Caligola recuperata negli anni '20 e '30 nel Lago di Nemi


I nazisti in ritirata bruciarono le navi di Caligola e ora il comune di Nemi chiede i danni alla Germania

La giunta comunale della cittadina laziale ha votato una delibera su proposta del primo cittadino, Alberto Bertucci per chiedere i danni alla Germania per la distruzione "delle due famose navi romane dell'Imperatore Caligola". 

Le due navi, ritrovate nel secolo scorso tra il 1928 e il 1932, furono 'dolosamente e intenzionalmente bruciate la notte del 31 maggio 1944 dal 163° Gruppo Antiaereo Motorizzato tedesco che occupava la zona ed era in ritirata'. 

Dunque "quel danno irreparabile di un bene archeologico non fu il risultato di una imprevedibile azione bellica ma -spiega il sindaco Bertucci- un consapevole gesto di sfregio. Per questo chiediamo il risarcimento". 

"Si ritiene - aggiunge il Sindaco Alberto Bertucci" di sottoporre a giudizio risarcitorio nei confronti della Repubblica Federale di Germania per i danni morali e materiali subiti dalla collettivita' di Nemi a causa dell'irreparabile danno causato a un bene archeologico di inestimabile valore". 

"Abbiamo ritrovato relazioni, ampie documentazioni, testimonianze: i nazisti allontanarono tutti i residenti e il custode. Decisero di dare alle fiamme quei tesori. Non c'e' dubbio", aggiunge Bertucci. Il sindaco (che guida una lista civica di centro) pero' va oltre: «Noi non chiediamo semplicemente i danni. 

Vorremmo che, con un gesto significativo di spirito europeo, le autorita' tedesche collaborassero con noi per ricostruire cio' che emerse delle due navi ricorrendo alle nuove tecnologie di riproduzione. Grazie a un libro dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato del tempo, abbiamo una grande mole di dati, misure, immagini per procedere a un'opera di riproduzione, in concorso col governo tedesco e magari con la mediazione del nostro ministero per i Beni e le attivita' culturali». 


28/07/20

Libro del Giorno: "Padri e figli" di Ivan Turgenev





Padri e Figli, (in russo Отцы и дети) fu pubblicato nel 1862 da Ivan Turgenev che nel romanzo affronta l'emersione della mentalità rivoluzionaria nella Russia della seconda metà del XIX secolo e la conseguente crescente protesta contro il regime in atto e la mentalità conservatrice della società del tempo. 

Il titolo evoca quindi la nuova relazione della giovane generazione con quella dei suoi padri, la prima animata da ideali sovversivi e rivolta al progresso sociopolitico.

Il romanzo fu pubblicato per la prima volta in Le Messager Russe nel 1862. E fu proprio Turgenev il primo a rendere popolare il termine nichilismo, con il romanzo che suscitò accese polemiche nella Russia di Alessandro II, al punto che l'autore lavorò nel corso degli anni a sei nuove edizioni del suo capolavoro: nel 1862, 1865, 1869, 1874, 1880 e 1883. 

La storia si svolge attorno a un conflitto ideologico tra generazioni. 

Il romanzo inizia il 20 maggio 1859, quando Nikolaij Petrovic Kirsanov accoglie suo figlio Arcadij tornato dall'università,accompagnato dal personaggio centrale del romanzo, Evgenij Vassiliev Bazarov, che conosce e professa idee materialiste e anti-tradizionaliste. 

Nikolaij Petrovic vive con suo fratello Pavel, un personaggio dal carattere malinconico e orgoglioso e meno liberale di suo fratello. Nikolaj cerca di aprirsi alle idee moderne e vive pacificamente nel suo dominio terriero. 

Vedovo, la sua padrona è Fenecka, uno dei suoi contadini, di cui è il padre del bambino. 

Dopo un'accesa discussione con lo zio Pavel, i due giovani preferiscono andare in città con i genitori di Bazarov, che incarnano invece valori tradizionali della Russia. 

Incontrano Anna Sergeevna, una ricca vedova di 29 anni, che li invita a farle visita nella sua tenuta dove vive anche la sua giovane sorella Katja, piuttosto ritirata. 

Evgenij si innamora contro ogni sua previsione, di Anna e, nonostante i suoi principi rivoluzionari, dichiara il suo amore per lei, il che sconcerta la giovane donna. 

Arkadij, nel frattempo, si sente attratto da Katia. 

I due studenti tornano quindi dai genitori di Bazarov e poi nuovamente da Nicolaij Petrovic, dove si impegnano in nuove discussioni ed Evgenij in nuovi esperimenti scientifici. 

E' qui che una discussione con lo zio Pavel degenera in un duello tra i due uomini. Pavel viene colpito alla gamba. Arkadj dichiara il suo amore a Katia. 

La fine del romanzo è tragica e coinvolge Evgenij mentre gli altri personaggi vanno poi verso il loro destino: Arcadij sposa Katia, Pavel si traferisce all'estero, in Germania, Anna Sergeevna si sposa a Mosca. 

Un romanzo straordinario e perfetto, dove ogni pagina è una lezione di letteratura. 

Traduzione di Giuseppe Pochettino
Introduzione a cura di Franco Cordelli
2014 
ET Classici 
pp. 264 
€ 10,50 
ISBN 9788806224134

    27/07/20

    E' morta a 104 anni Olivia de Havilland



    Si è spenta ieri a Parigi, all'età di ben 104 anni, Olivia de Havilland, una delle più celebri attrici del Novecento. Pubblico qui il ricordo di Alessandra Baldini per Ansa:

    Addio all'ultima delle grandi dive dell'epoca d'oro di Hollywood e ultima sopravvissuta del cast principale di "Via col Vento": Olivia de Havilland e' morta nel sonno nella sua casa parigina. 

    L'indimenticabile Melania Wilkes della saga ideata da Margaret Mitchell e adattata da Hollywood in uno dei suoi primi film in Technicolor aveva da poco compiuto 104 anni e una foto (incerto quando fosse stata scattata) che la ritraeva su una bicicletta a tre ruote era per l'occasione diventata popolarissima su Twitter. 

    Dame Olivia viveva dal 1955 a Parigi, in un appartamento vicino al Bois de Boulogne

    L'attrice, il cui debutto risale al 1935 in "Sogno di Una Notte di Mezza Estate", non doveva aver preso di buon grado l'annuncio di qualche giorno fa che Hbo aveva sospeso dalla programmazione in streaming di "Via col Vento" sulla scia delle proteste del Black Lives Matter. 

    Il film, per cui De Havilland, rivale in amore della protagonista Rossella O'Hara, conquisto' una nomination ma non l'Oscar che ando' invece a Hattie McDaniel (la nera "Mamie"), e' stato poi riportato in circolo con una nuova introduzione che inquadra la saga ambientata al tempo della Guerra Civile nel contesto storico della piaga della schiavitu'. 

    Al contrario del personaggio della dolce (ma forte) Melania, De Havilland e' sempre stata una "tosta" e l'avanzare degli anni non le aveva tolto il gusto per le battaglie anche nelle aule dei tribunali. 

    Solo due anni fa Olivia aveva portato davanti al giudice "Feud: Bette and Joan", un docudramma del canale FX, sostenendo che il suo personaggio era stato inserito nel copione senza permesso, travisando per di piu' i suoi rapporti con le protagoniste, Bette Davis e Joan Crawford, e con la sorella Joan Fontaine

    L'attrice aveva perso la causa, arrivata l'anno scorso fino alla Corte Suprema. 

    Olivia De Havilland era diventata famosa negli anni Trenta al fianco di Errol Flynn in una serie di film "cappa e spada" come "Captain Blood" e "Le Avventure di Robin Hood": ruoli di "damigella in pericolo" in cui inevitabilmente finiva prigioniera per poi essere salvata dall'eroe di turno. 

    Se l'Oscar per "Via col Vento" le era sfuggito, la diva conquisto' comunque due Academy Awards: il primo nel 1946 per "A Ciascuno il Suo Destino" nella parte di una madre che cerca di riconquistare il figlio dato in adozione; il secondo per "L"Ereditiera": una donna controllata dal ricco padre e tradita da un amante avido ma che alla fine riesce a dire l'ultima parola.

     Politicamente Olivia era di sinistra, intollerante pero' degli estremismi di qualsiasi colore politico: nemica dei comunisti di Hollywood ma anche chiamata a deporre in Congresso negli anni del Maccartismo. Negli anni Ottanta era passata a lavorare con la televisione e aveva vinto un Golden Globe per "Anastasia: The Mystery of Anna". 

    26/07/20

    Poesia della Domenica: "Alhambra" di Fabrizio Falconi






    Alhambra


    arriva il culmine in cui sei stanco
    hai valicato e sei disceso
    in pianura ma le gambe
    non ti reggono.

    Alhambra vorresti per rinfrescare
    le membra, un laccio rosso
    per abbandonare i tuoi sensi
    non pensarci più
    promuovere l'onda
    del tuo dissesto
    nei passi che restano
    all'ombra di te relitto
    senza più lamentazioni
    risentire il soffio di primavera
    almeno una volta
    all'ombra
    perdere la testa
    sotto le fronde
    dell'olmo
    riposare gli occhi 
    senza domande, senza questioni
    senza tranelli da scartare
    senza pretese assillanti
    o margini,
    solo il ronzio delle api
    che finirà al tramonto
    prima della caduta
    notturna.






    25/07/20

    Libro del Giorno: "Armance" di Stendhal


    Armance (pubblicato senza il nome dell'autore, nel 1827 ) è il primo romanzo di Stendhal . 

    La trama è ambientata ai  tempi della Restaurazione: Octave de Malivert, un giovane brillante ma introverso appena uscito dal Polytechnique, ama Armance de Zohiloff, che condivide i suoi sentimenti. 

    Ma Octave nasconde un pesante segreto: “Sì cara amica”, le disse, guardandola infine, “Ti adoro, non dubiti del mio amore; ma chi è l'uomo che ti adora? è un mostro. " 

    Octave è in preda a una profonda confusione interiore, e il suo silenzio illustra il male del secolo dei romantici. 

    Octave tuttavia sposa Armance. Il loro matrimonio sembra felice. Ma, una settimana dopo il  matrimonio, Octave decide di andare in Grecia, dove decide di avvelenarsi volontariamente con una miscela di oppio e digitale durante il viaggio in nave.  

    “Il sorriso era sulle sue labbra e la sua rara bellezza colpiva anche i marinai incaricati di seppellirlo." 

    Con note scritte a margine delle pagine della sua copia personale di Armance , Stendhal ha riassunto l'argomento del suo lavoro come segue: “Il protagonista è confuso e infuriato perché si sente impotente, cosa di cui si è assicurato andando alla signora Auguste con i suoi amici, poi da solo, ecc. La sua sventura lo priva della ragione proprio nei momenti in cui è in grado di vedere più da vicino le grazie femminili.  1) Si vede disprezzato dall'unica persona a cui parla sinceramente di tutto. 2) Cerca di riguadagnare questa stima; questa circostanza è assolutamente necessaria per poter prendere l'amore e ispirarlo senza sospettare. Condizione sine qua non poiché è un uomo onesto. 3) Gli dice che ama. 4) Vuole parlare. 5) Un duello e lesioni lo impediscono. 6) Credendosi pronto a morire, confessa il suo amore. 7) Il caso lo serve; la sua padrona gli fa promettere di non chiederla mai in matrimonio. 8) Lei scende a compromessi per lui in modo da essere disonorato se non la sposa. 9) Decide di ammetterle di avere un difetto fisico come Luigi XVIII, M. de Maurepas, M. de Tournelles. 10) È deviato da questo dovere da una lettera. 11) La sposa e si uccide. 

    Stendhal dunque esordì con un romanzo e con una trama destinata a far molto rumore: egli  sapeva molto discretamente come infondere il segreto senza mai parlarne apertamente e infatti per tutta la narrazione il vero problema di Octave non viene mai rivelato esplicitamente.

    André Gide considerava questo romanzo il più bello dei romanzi di Stendhal, a cui era grato di aver creato un amante impotente, anche se lo rimproverava di aver schivato il destino di questo amore: "Non sono convinto che Armance [sarebbe] venuto a patti con esso"

    Stendhal descrive, in parole segrete, un omosessuale, in un momento in cui la censura della stampa proibiva di discutere chiaramente di questo argomento. 

    E già in questo primo romanzo si rivela l'arte narrativa, sublime, di Stendhal destinata poi a eternarsi ne La Certosa di Parma e Il Rosso e il Nero.

    La presente edizione, nei Grandi Libri Garzanti, soffre di una incomprensibile sciatteria, con mille refusi sparsi per il testo e incomprensibili passaggi nella traduzione, che pure è firmata da Franco Cordelli.