09/05/20

Goffredo Parise e Roma: un rapporto, un sentimento, un racconto - Da "Le Rovine e l'Ombra" di Fabrizio Falconi



Goffredo Parise era giunto a Roma i primi giorni di marzo del 1960. All’amico Comisso una settimana prima aveva scritto: Tra una settimana parto per Roma dove resterò quasi stabilmente data l’impossibilità per me di stare ancora a Milano. Le ragioni sono molte (…) Mi annoio atrocemente, e non della dolce noia del Veneto (…) ma di una noia acre e inutile, impiegatizia e tramviaria, da grandi magazzini asettici. Insomma mi sento come un aquilone sotto la pioggia (…) basta con questo libeccio che soffoca i voli. (23)

E’ la noia la grande nemica che già pedina questo trentenne inquieto, venuto dalla provincia veneta. Eppure Milano è la città che ha regalato a lui, figlio di una ragazza madre,  amicizie importanti, un lavoro di prestigio (lavora alla Garzanti) e il grandissimo successo a soli 25 anni con Il prete bello.

Parise però ha bisogno di altro. E sembra trovarlo: nel Corriere della Sera, in un articolo del ’72 ricorda: Quando a trent’anni sono sceso a Roma, è stata la liberazione. Ho incontrato l’Italia.  E a Comisso scrive: Freneticamente vivo ciò che avevo voglia di vivere e che Milano mi aveva soffocato, ossia la mia fantasia… Vivo insomma intensamente ancora i giovani anni che mi restano, nel modo che mi è congeniale, nell’estro e nel disordine dell’avidità, nel sogno e nell’avventura…

In effetti a Roma Parise trova una ben calda accoglienza: Montale, Piovene, Moravia diventano amici, nel 1964 va a vivere in Via della Camilluccia, vicino di casa a Gadda, comincia a scrivere per il cinema e firma sceneggiature per Bolognini, Fellini, Tonino Cervi.  Conosce anche Marco Ferreri, e si innamora artisticamente del suo folle genio creativo. Scrive per lui il copione de L’ape regina, uno dei più censurati e controversi della filmografia di Ferreri.

Finché l’irrequietezza non lo ferma, spingendolo a mettersi in viaggio per i famosi reportage da mezzo mondo, è Roma la casa di Parise. Prima di far ritorno nel Veneto, dove compra una casa a Salgareda, un piccolo borgo sul Piave, nei primi anni ’70.

Roma resta comunque per lo scrittore Parise, sempre un punto di riferimento. Il punto di ritorno dai suoi viaggi, l’approdo solare e d’ombra, il luogo della eterna fantasia, del sogno che si rinnova.

E quando tra il 1971 e il 1981 pubblica i suoi Sillabari, Parise scrive un racconto proprio su Roma, uno degli ultimi, lasciando incompiuta la sua opera, com’è noto, alla lettera S.

Dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z, scrive nella celebre Avvertenza al testo del gennaio 1982, Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore. (24)

La prima cosa che scopriamo allora è che per Parise Roma è un sentimento. Come Amicizia, Dolcezza, Fame, Ozio, Povertà o Simpatia, che sono altri titoli del Sillabario.

Il racconto – uno dei più misteriosi del libro – inizia in modo bruciante con un viaggiatore, un uomo che si sentiva straniero senza però esserlo, che una domenica d’inverno, al crepuscolo, arriva con un rapido, dal nord, alla stazione di Roma. (25)

Già dai finestrini la città gli appare col suo inconfondibile aspetto, le enormi case innestate sui colli rognosi di rifiuti e untume e le pietre dell’Arco di Porta Maggiore da cui sorgono ciuffi d’erba e alberelli.
Il viaggiatore, appena sceso dal treno, riconosce anzi, sente, la mortale presenza dei secoli e della storia, come sempre quando arriva.

La città delle rovine dunque lo accoglie con un canto di morte. Il cielo però, color violetta e la luce limpida della tramontana, colorano subito la scena di presenze vive: donne africane vestite di bianco, soldati, uomini delle più diverse razze che si muovono nel crepuscolo, il colore delle cose che varia sempre più verso l’ombra.

L’uomo sale su un taxi ed attraversa la città stranamente deserta, senza traffico, come non l’aveva vista mai.
Giunto a casa, entra e lascia la borsa ma subito esce di nuovo spinto dalla luce. Prende a passeggiare sul lungotevere, viene avvicinato da un giovane africano – con occhi dalla cornea bianchissima -  che vuole vendergli una coperta. Ed è curiosa questa Roma che sembra già popolata solo di stranieri, di africani in particolare. Molto tempo prima del dovuto, Parise già è così che la vede.  

L’uomo prosegue a piedi fino al Circo Massimo, mentre non pare sera a causa della luce.  E’ un crepuscolo di quelli che regala a Roma, che sembra non trascolorare mai definitivamente nell’ombra, che permane a lungo in una condizione di incertezza sospesa, tra ombra e luce.

Al Circo Massimo, l’uomo si imbatte in un travestito – anche questo di colore – che con una parrucca bionda in testa sbuca fuori da un cespuglio muovendosi con gesti di danza e aprendo e chiudendo la grande bocca rossa.

Giunto alla Passeggiata Archeologica e poi alle Terme di Caracalla il viaggiatore si sente in uno stato d’animo molto strano, sentendosi ancora più straniero di quanto lo fosse in modo leggero e trepidante, camminando molto piano, attratto dal terreno intorno ai muri e alle rovine. Si sente anche dentro una specie di narcosi, mentre la luce viola è ancora nel cielo e spunta una prima stella al di là delle mura romane.

Prende a rovistare tra i ciuffi di erba polverosa, i kleenex, i rifiuti, le bottiglie di birra, dai quali affiorano frammenti di pietra bianchissima, quasi porosa, certamente molto antica.

Ed è qui che accade qualcosa di veramente inaspettato e terribile.

Il racconto, che era proseguito fin qui in una sorta di allucinato resoconto di quieta e inquieta contemplazione, prende una piega completamente diversa: il viaggiatore si ritrova all’imboccatura di un anfratto, proprio tra quelle antiche mura.  Sulle prime pensa alla nicchia di guardia delle Terme. E pronuncia tra sé il nome tepidarium ricavandone un senso di totale rilassatezza. Ma ecco che dopo essersi acceso una sigaretta, scorge una figura muoversi nella luce viola. E’ una donna molto grassa e anziana, accucciata e con le calze arrotolate. Vicino a lei c’è un giovane etiope, alto con gran capelli crespi, molto simile al venditore di coperte incontrato poco prima sul Lungotevere.

E prima che l’uomo se ne renda conto, ancora avvolto dalla passività della luce viola nel cielo notturno, viene colpito da un fendente di coltello, sferrato dall’etiope. Arrivano altri colpi, nel ventre, nel petto, nel collo e l’uomo quasi senza sentire dolore, zampilla sangue a fiotti abbondanti e regolari come in chiaro ma anche oscuro accordo con il cuore.

E’ la frase con cui si chiude il racconto, e anch’essa sembra tagliente come una rasoiata. 

L’assurdità della scena e di questa fine – cosa facevano i due nell’oscurità ? La donna con l’aria da portinaia romana e l’etiope ? Un rapporto sessuale ? O un qualche diverso affare ?  E perché l’etiope reagisce con tale violenza ? Per un semplice furto ? O perché l’uomo ha involontariamente scoperto – o sta per scoprire – un segreto ? – è come un nero sipario che cala apparentemente senza scopo, senza alcuna finalità.

Eppure anche questa fine ha qualcosa di catartico. L’uomo muore quasi senza sentire dolore, il suo essere sembra come  ingoiato dentro il teatro di quella città notturna, dalla luce viola, dalle sue rovine. E nel ventre di una rovina egli trova la fine, quella fine che forse è cercata, forse è auspicata, sembrando quasi una liberazione: l’abbandono all’effimero destino, alla sua apparente insensatezza.

Ma la chiave (anche) di questa morte è nella sua innocenza. 

Una parola decisiva per Parise, che in quegli anni scrisse a proposito di com’era sorta in lui l’idea di scrivere i Sillabari: Sentivo una grande necessità di parole semplici. Un giorno, nella piazza sotto casa, su una panchina, vedo un bambino con un sillabario. Sbircio e leggo:l’erba è verde. 
Mi parve una frase molto bella e poetica nella sua semplicità ma anche nella sua logica. C’era la vita in quel "l’erba è verde", l’essenzialità della vita e anche della poesia...
Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie. 
Ecco la ragione intima del sillabario. (26)

Roma è dunque un sentimento, le rovine sono sentimento e anche la morte è sentimento. Quella morte interiore che Parise ha attraversato così tante volte nel corso della vita, rinascendo ogni volta dalle proprie rovine. 

Le guerre che visitò come inviato, i posti più strani del mondo che incontrò, non modificarono niente in lui, al punto di invidiare chi era rimasto, a scrivere, fermo nella sua stanza.

Nel suo eremo di Ponte di Piave, dove si rinchiude per vivere gli ultimi anni della sua vita, Parise trova forse un senso alla sua eterna inquietudine.  Non ci sono più rovine intorno. Ma solo la melodia della natura, dei ruscelli e delle campane.

E in lui si incarna forse quella morte vagheggiata nel racconto scritto per i Sillabari.  Una morte soltanto fisica, che è compimento di quanto fatto, e punto interrogativo per un altrove sconosciuto.  Nel racconto Famiglia, nei Sillabari, aveva scritto quello che è sembrato il suo perfetto epitaffio:
...godette per un po' le "gioie della vita", incontrò, vide e amò molti occhi, pelli, le calme e le intelligenze pratiche di altre famiglie, poi cessò di godere le "gioie della vita" e di lui non si ebbero più notizie se non per sentito dire.

23. Questa citazione e quelle che seguono sono rese pubbliche dalla Casa di Cultura Goffredo Parise, Ponte di Piave (TV).

24. Goffredo Parise, Sillabari, Adelphi, Milano 2004.
25. Tutte le citazioni sono tratte dal racconto Roma, in G. Parise, Sillabari, Op.cit. pag. 327 e ss.
26. da Il Gazzettino, 31 ottobre 1972, in F. Sala, “Il Sillabario dei sentimenti”
27. Famiglia, in Sillabari, op. cit. p. 137.


Tratto da Fabrizio Falconi, Le rovine e l'ombra, Castelvecchi, Roma, 2017

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08/05/20

Meraviglia al Pantheon: Da una buca nel selciato della piazza riemerge il vecchio pavimento imperiale




Il Pantheon continua a rivelare antiche meraviglie rimaste nascoste: le indagini archeologiche seguite all'apertura di una buca in Piazza della Rotonda hanno riportato alla luce l'antica pavimentazione (della piazza) di epoca imperiale.

Le sette lastre di travertino, che si trovano a una quota di circa 2,30 / 2,70 metri sotto il piano stradale con dimensioni di circa 80 per 90 centimetri per uno spessore di 30 centimetri, sono state ritrovate una prima volta negli anni '90 del secolo scorso in occasione della costruzione di una galleria di sottoservizi, e lo scavo venne rilevato e documentato

"Dopo oltre vent'anni dal loro primo rinvenimento -spiega Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma- riemergono intatte le lastre della pavimentazione antica della piazza antistante al Pantheon, protette da uno strato di pozzolana fine. Una dimostrazione inequivocabile di quanto sia importante la tutela archeologica, non solo una occasione di conoscenza, ma fondamentale per la conservazione delle testimonianze della nostra storia, un patrimonio inestimabile in particolare in una citta' come Roma". 

In epoca imperiale la piazza era molto piu' grande della attuale e si apriva di fronte al Pantheon, il tempio dedicato a tutti gli dei fatto costruire da Agrippa tra il 27 e il 25 avanti Cristo. 

L'area e' stata interamente ristrutturata nel II secolo dopo Cristo dall'imperatore Adriano, e anche la piazza venne rialzata e nuovamente pavimentata. 

Le quote cui si trovano le lastre, oggi rimesse in luce, appaiono pertinenti alla fase adrianea del complesso

Il cantiere in un primo momento in capo al I Municipio, consegnato poi ad Acea continuera' nei prossimi giorni per il ripristino idrico e con ulteriori indagini archeologiche della Soprintendenza Speciale di Roma in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.



07/05/20

Libro del Giorno: "La maschera di Dimitrios" di Eric Ambler



Eric Clifford Ambler, nato a Londra nel 1909 e morto sempre a Londra nel 1998, è stato un geniale  scrittore e sceneggiatore britannico, autore di alcune fra le più famose spy story della letteratura gialla. Tentò la fortuna anche a Hollywood, dopo la seconda guerra mondiale, in cui servì nella truppe inglesi per sei anni occupandosi di riprese sui luoghi di battaglia. 

Ma visto che l'esperienza americana non fu esaltante, tornò in Europa nel 1958 a scrivere romanzi, sempre di ambientazione spionistica o thriller, genere di cui fu il nobilitatore insieme a Graham Greene e William Somerset Maugham.

La maschera di Dimitrios è uno dei suo gialli migliori, dalla trama intricata e ricca di suspence

L'azione ha inizio a Istanbul, intorno alla metà degli anni Trenta. Nel corso di un ricevimento Charles Latimer, giallista inglese di successo, viene avvicinato dal più imprevedibile degli ammiratori, il colonnello Haki – alto ufficiale dei servizi segreti e scrittore di suspense alle prime armi. La trama che il colonnello sottopone a Latimer, e che vorrebbe che quest’ultimo sviluppasse in proprio, è rozza, fiacca, artificiosa.

Ma poi Haki allude alla vicenda «scombinata, non artistica», priva di «moventi occulti» di Dimitrios Makropoulos, il più grande criminale europeo di quegli anni, coinvolto in ogni delitto compreso fra il traffico di eroina e l’assassinio politico.

E così, da alcuni indizi contraddittori disseminati in una conversazione apparentemente casuale, ha inizio l’inquietante «esperimento investigativo» di Latimer, che inseguirà le tracce di Dimitrios fra le rive dell’Egeo, i quartieri turchi di Sofia e i boulevard di Parigi, trasformandosi via via da elegante, distaccato scrutatore di fatti in protagonista di un romanzo a tinte forti.

Perfetta fusione di suspense e atmosfera, sottile analisi del funzionamento di ogni investigazione – letteraria o poliziesca che sia –, questo libro, per molti il primo a essere evocato quando si parla di Ambler, è anche lo straordinario documento di un’epoca in cui la civiltà e la mente dell’uomo europeo non potevano non vedersi riflesse in uno specchio oscuro, inafferrabile e sinistro: i Balcani.

La maschera di Dimitrios è stato pubblicato per la prima volta nel 1939.


Eric Ambler
La maschera di Dimitrios
Traduzione di Franco Salvatorelli
Adelphi, 2000
pag. 9.30 euro

05/05/20

Pentagono rilascia tre video su incontri in volo con presunti Ufo





Il Pentagono ha rilasciato ufficialmente tre video girati da piloti della Marina degli Stati Uniti che mostrano incontri in volo con quelli che sembrano essere degli Ufo. 

Uno di questi video - tutti in bianco e nero - risale a novembre 2004; gli altri due sono stati girati a gennaio 2015. 

Dell'esistenza di queste immagini aveva parlato in passato il New York Times. 

Il dipartimento della Difesa Usa ha reso noto, in un comunicato, di avere preso la decisione di pubblicare i video "per dissipare eventuali idee pubbliche sbagliate sulla veridicita' o meno delle immagini diffuse o sul fatto che ce ne fossero altre"

Il fenomeno aereo osservato nei video rimane qualificato come 'non identificato'", ha aggiunto il Pentagono.

Su uno di questi video e' possibile vedere un oggetto di forma allungata muoversi rapidamente: lo stesso oggetto, pochi secondi dopo essere stato individuato da uno dei sensori a bordo dell'aereo della Marina statunitense, scompare alla sinistra con un'accelerazione improvvisa. 

In un altro video, invece, e' possibile vedere un oggetto sopra le nuvole

Il pilota statunitense si chiede se sia un drone: "C'e' un'intera scia. Sta andando contro il vento! Un vento da ovest di 120 nodi!", afferma il suo compagno di volo. "Guarda questa cosa!", prosegue il suo interlocutore, mentre l'oggetto in questione comincia a girare.

Un pilota della Marina statunitense ora in congedo, David Fravor, che ha incontrato uno di questi Ufo nel 2004, ha detto alla Cnn nel 2017 che l'oggetto in questione si muoveva in maniera irregolare. "Mentre mi avvicinavo a lui accelero' rapidamente verso sud e scomparve in meno di due secondi", ha raccontato. Fu "come una pallina da ping pong che rimbalza su un muro", aveva aggiunto. 

Da parte sua, Harry Reid, ex senatore del Nevada, Stato in cui si trovano le installazioni segrete della Zona 51 dell'Aeronautica americana, in un tweet si e' detto "contento del fatto che il Pentagono stia finalmente trasmettendo queste immagini", pur deplorando che cio' "scalfisce soltanto la superficie della ricerca e delle documentazioni disponibili". 

"Gli Stati Uniti devono dare uno sguardo serio e scientifico a questo e a tutte le potenziali implicazioni per la sicurezza nazionale. Il popolo americano merita di essere informato", ha proseguito. Nel dicembre 2017, ricorda oggi l'Afp, il dipartimento alla Difesa Usa aveva ammesso di avere finanziato fino al 2012, data ufficiale del suo completamento, un programma segreto di diversi milioni di dollari per indagare sugli avvistamenti di Ufo.

Fonte Afp - Askanews

04/05/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 64."Into the Wild-Nelle terre selvagge" ("Into the Wild"), di Sean Penn, 2007


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 64."Into the Wild-Nelle terre selvagge" ("Into the Wild"), di Sean Penn, 2007

Into the Wild, con l'inutilissima aggiunta italiana nel titolo di "Nelle terre selvagge" - nell'originale solo Into the Wild - è il bellissimo film diretto da Sean Penn - che due anni prima aveva realizzato l'ottimo La Promessa dall'omonimo romanzo di Friedrich Durrenmatt -  uscito nel 2007.

Come è noto, il film è un adattamento dal libro omonimo (Into The Wild, in italiano:Nelle terre estreme), scritto da Jon Krakauer nel 1996 e che racconta la vera storia di Christopher McCandless, anche conosciuto con il soprannome di Alex Supertramp. 

Come si racconta nel film, Christopher McCandless era uno studente americano brillante, appena laureato e con un futuro brillante.

Rifiutando i principi della società moderna, dopo una cena in un ristorante con i suoi genitori, per celebrare il suo diploma, Christopher però decide di andare sulla strada, senza avvisare la sua famiglia.

Rinuncia così al sogno americano preparato per lui, brucia i documenti, invia tutti i suoi risparmi all'organizzazione no-profit Oxfam e parte in macchina per gli Stati Uniti meridionali. 

Scopre l'Arizona, il Grand Canyon, la California arrangiandosi con i lavori più strani attraverso Dakota o Colorado per finanziare il resto del suo viaggio.

Arrivato in Messico, decide di tornare indietro e raggiungere l'Alaska.

Fa tutto il possibile per arrivarci e alla fine raggiunge Fairbanks facendo l'autostop.

Scopre le montagne innevate e si rifugia in un autobus abbandonato. Rimarrà lì per cento giorni. Più di tre mesi di solitudine, dedicato alla comprensione interiore della natura e degli esseri umani.

Scopre in Alaska la felicità sempre cercata, una pace spirituale e una sorta di paradiso puro e salutare.

Dopo due anni di viaggio, decide che è ora di tornare a casa. Ma è bloccato dal fiume ed è costretto a
rimanere sull'autobus, in attesa che l'acqua del fiume scenda.

Esistono poche differenze tra due piante boreali della famiglia delle Fabaceae: Hedysarum mackenzei, che è tossica, e Hedysarum alpinum, la cui radice gonfia è commestibile.

Affamato, si basa sulla sua guida botanica Tanaina Plantflore 2 che interpreta erroneamente e si avvelena accidentalmente mangiando semi di Hedysarum mackenzii.

Nel frattempo, capisce che la solitudine non è l'ideale dell'uomo.

Chris è un giovane amato da tutti, anzi, tutte le persone incontrate durante il viaggio prenderanno da lui amore o amicizia.

Ma, accecato dal suo ostinato sogno dell'Alaska, Christopher non percepisce la felicità che l'amore dell'altro può portare.

Ne prende coscienza leggendo le righe di un'opera di Tolstoj che descrive la perfetta felicità in una micro-società rurale.

Poco prima della sua morte, Christopher McCandless ha scritto con una penna su una pagina di un libro "La felicità è reale solo se condivisa ".

Il film termina con una fotografia di autoritratto di Christopher McCandless scattata poco prima di morire. Un testo esplicativo menziona che i cacciatori lo hanno trovato due settimane dopo la sua morte.


Un film bellissimo e crudo, che analizza a fondo la poesia della natura e il mistero del carattere umano: un'opera che inaugura anche un pensiero ecologico nuovo, in cui la natura e l'uomo non sono sullo stesso piano, perché l'essere umano non ne è semplicemente una parte: oltre a questo, l'uomo è anche dotato di logos, cioè di pensiero e linguaggio.  L'essere umano ha dunque bisogno di entrare-in-dialogo con altri esseri umani, ma anche con la natura che lo circonda e che egli ha per secoli devastato e distrutto concependola come mezzo e non come fine. 

Into The Wild ha vinto moltissimi premi in tutto il mondo ed è ormai diventato un classico, un film amato da diverse generazioni. 

Into The Wild - Nelle Terre Selvagge
(Into The Wild)
di Sean Penn
Usa, 2007
Durata: 148 minuti
con Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone, Brian H. Dierker.


30/04/20

Domani, 1 Maggio, la Piramide Cestia apre le sue porte Online


Bianca, di marmo di Carrara, bellissima e inconfondibile, la Piramide e' uno dei simboli di Roma: a questo monumento e' dedicato il nuovo contributo della Soprintendenza Speciale di Roma che sara' fruibile da domani per la campagna La cultura non si ferma del ministero per i Beni e le Attivita' Culturali e per il Turismo. 

"La Piramide è stata costruita nel I secolo avanti Cristo - spiega Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma-, e da allora ha attraversato le vicende di Roma, testimone della grande Storia e delle piccole storie della Capitale. Il video che le abbiamo dedicato permette di cogliere dei dettagli che rappresentano lo scorrere del tempo, fino ai nostri giorni. Questo, come gli altri contenuti che ogni giorno pubblichiamo sul nostro sito, sulle pagine Facebook e Instagram della Soprintendenza, sono un modo per restare insieme e, al contempo, per invogliarvi a tornare nei nostri luoghi della cultura appena sara' di nuovo possibile"

Dai tempi degli imperatori Augusto e Aureliano, che facendola diventare parte delle Mura difensive ne impedi' la sua spoliazione e distruzione, dai piu' recenti restauri alle tragiche giornate del settembre del 1943, la Piramide con il suo profilo egizio e' parte imprescindibile di Roma, incastonata tra l'Aventino e il rione Testaccio.

Con la concessione della musica eseguita dall'Orchestra e dal Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano, la visita virtuale dalle ore 10 del 1° maggio sara' on line su: 

www.youtube.com/user/MiBACT
www.soprintendenzaspecialeroma.it
www.youtube.com/c/SoprintendenzaSpecialeRoma
www.facebook.com/soprintendenzaspecialeroma
www.instagram.com/soprintendenzaspecialeroma

Fonte ANSA


29/04/20

2019: Ancora un altro anno "più caldo di sempre". Gli ultimi dati sconvolgenti sul clima


Mentre in tutto il mondo si celebrava il 50esimo anniversario della Giornata della Terra, l'Earth day, dal rapporto sullo stato del clima in Europa, diffuso dal programma dell'Ue Copernicus, emergeva la drammatica situazione nel Vecchio continente. 

Il 2019 e' stato l'anno piu' caldo mai registrato in Europa, oltre 1,2° C sopra la media, seguito da vicino dal 2014, 2015 e 2018

La temperatura della superficie terrestre supera di quasi 2° C quella della seconda meta' del XIX secolo. 

Undici dei 12 anni piu' caldi sono stati dal 2000.

Le maggiori anomalie annuali della temperatura si sono verificate nell'Europa centrale e orientale

Le temperature giornaliere minime e massime medie sono state piu' calde quasi ovunque nel continente. 

Tutte le stagioni sono state piu' calde della media, con l'estate che e' stata la quarta piu' calda almeno dal 1979. 

L'aumento delle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) e' tale, rimarcano i ricercatori, che "dovremmo guardare indietro di milioni di anni nella storia per trovare concentrazioni elevate come nel 2019" di gas serra, responsabili del surriscaldamento globale

E notizie preoccupanti arrivano anche dal Polo Nord: il Mar glaciale artico potrebbe ritrovarsi del tutto libero dai ghiacci in estate anche prima del 2050.

Un aiuto potrebbe venire dai gas rinnovabili (biometano e idrogeno); l'immissione di una quota del 10% nelle reti di tutta Europa, insieme all'aumento dell'elettricita' rinnovabile, consentira' al continente di raggiungere la neutralita' climatica nel 2050, abbattendo del 55% le emissioni di CO2 gia' entro il 2030, secondo le stime di uno studio commissionato dal consorzio europeo Gas for climate.

Greta Thunberg ha chiesto ai leader mondiali di agire insieme sulla base delle conoscenze scientifiche per affrontare le situazioni critiche attuali, dalla pandemia di Covid-19 al riscaldamento globale. L'emergenza climatica, ha sottolineato l'ecoattivista svedese, "potrebbe non essere cosi' immediata come la crisi del coronavirus, ma dobbiamo affrontarla ora, altrimenti diventera' irreversibile". Un monito e' arrivato da Papa Francesco, che ha rimarcato come "a causa dell'egoismo siamo venuti meno alla nostra responsabilita' di custodi e amministratori della Terra. L'abbiamo inquinata e depredata, mettendo in pericolo la nostra stessa vita", ma "non c'e' futuro per noi se distruggiamo l'ambiente che ci sostiene".

E' nata intanto 'Stop Global Warming', raccolta firme per chiedere alla Commissione europea di elaborare una proposta legislativa per fermare il riscaldamento globale spostando le tasse dalle persone all'ambiente, e dunque tassando le emissioni di CO2. Un'idea gia' supportata da 27 Premi Nobel e oltre 5200 scienziati.


28/04/20

Umberto Galimberti: Riflessioni ai tempi del Coronavirus sul senso del futuro


Umberto Galimberti per GQ ha scritto questa riflessione sui tempi che stiamo vivendo


Il cambiamento imposto dal coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. Succede perché ci troviamo nella condizione in cui tutta la nostra modernità, la tutela tecnologica, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò di cui andiamo vantandoci, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente a che fare con la semplicità dell’esistenza umana. 

Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non controlliamo nulla nell’istante in cui la biologia esprime leggermente la sua rivolta. Dico leggermente, perché questo è solo uno dei primi eventi biologici che denunceranno, da qui in avanti, gli eccessi della nostra globalizzazione. 

Se questo è il quadro, c’è forse un’incapacità di evolverci, come esseri umani? Il Cristianesimo ha diffuso in Occidente un ottimismo che ci ha insegnato a pensare in questi termini: il passato è male, il presente è redenzione e il futuro è salvezza. Questa modalità di considerare il tempo è stata acquisita dalla scienza, che a sua volta dice che il passato è ignoranza, il presente è ricerca e il futuro è progresso. 

Persino Karl Marx è un grande cristiano quando predica che il passato è ingiustizia sociale, il presente farà esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro renderà giustizia sulla Terra. E Sigmund Freud, che pure scrive un libro contro la religione, sostiene che i traumi e le nevrosi si compongono nel passato, che il presente sia magico e che il futuro sia guarigione. Non è così. Il futuro non è il tempo della salvezza, non è attesa, non è speranza. Il futuro è un tempo come tutti gli altri. 

Non ci sarà una provvidenza che ci viene incontro e risolve i problemi nella nostra inerzia. Speriamo, auguriamoci, auspichiamo: sono tutti verbi della passività. Stiamo fermi e il futuro provvederà: non è così. Quindi cosa dobbiamo fare? Non c’è niente da fare, c’è da subire. Accettiamo che siamo precari: ce lo siamo dimenticati? Rendiamoci conto che non abbiamo più le parole per nominare la morte perché l’abbiamo dimenticata. 

Ammettiamo che quando un nostro caro sta male lo affidiamo all’esterno, a una struttura tecnica che si chiama ospedale, e da lì non abbiamo più alcun contatto. Una volta i padri vedevano morire i figli quanto i figli vedevano morire i padri. C’erano le guerre, le carestie, le pestilenze. Esisteva, concreta, una relazione con la fine. Oggi l’abbiamo persa. Quando qualcuno sta male, mancano le parole per confortarlo. 

Diciamo: vedrai che ce la farai. Che sciocchezza. Che bugia. Perché abbiamo perso il contatto con il dolore, con il negativo della vita. E quindi come facciamo ad avere delle strategie quando il negativo diventa esplosivo? Mi chiedete: il timore di cambiare è un limite valicabile? Facciamo prima un punto sulla realtà. Sono trent’anni che il Paese non è governato: accorgerci ora che abbiamo cinquemila letti in terapia intensiva quando la Germania ne ha 28 mila, scoprire che le carceri sono in subbuglio e che è possibile scappare sui tetti, ammettere adesso che andavano costruite altre strutture perché i detenuti potessero vivere in condizioni almeno vivibili; è il conto che stiamo pagando per essere stati distratti, per non aver preteso una guida vera. 

Per non parlare del debito pubblico: un macigno che si farà ancora più pesante per sopperire alle difficoltà economiche di questi mesi. È questo il limite, reale. E se lo troveranno davanti soprattutto i giovani, che al momento sembrano non morire con la stessa velocità e intensità dei vecchi: poi toccherà a loro, se non si ammalano, continuare a esistere in questo mondo. È un momento di sospensione, specie dalla frenesia quotidiana. 

Mi dicono: per molti è un valore positivo, per altri un monito del fato. Io penso che la sospensione ci trovi soprattutto impreparati: ci lamentiamo tutti i giorni di dover uscire per andare a lavorare, ma se dobbiamo fermarci non sappiamo più cosa fare. Non sappiamo più chi siamo. Avevamo affidato la nostra identità al ruolo lavorativo. La sospensione dalla funzionalità ci costringe con noi stessi: degli sconosciuti, se non abbiamo mai fatto una riflessione sulla vita, sul senso di cosa andiamo cercando. 

Siccome non lo facciamo, poi ci troviamo nel vuoto, nello spaesamento. E allora chiediamoci: il paesaggio era il lavoro? L’identità era la funzione? Fuori da quello scenario non sappiamo più chi siamo? Questo è un altro problema. Non basta distrarsi nella vita, bisogna anche interiorizzare e guardare se stessi. Finora siamo scappati lontano, come se noi fossimo il nostro peggior nemico. I nostri week end non erano l’occasione per volgere lo sguardo a noi, ai nostri figli. Erano fughe in autostrada. Perché conosciamo due modalità dell’esistenza: lavorare e distrarci. Fuori dal quel cerchio, è il nulla. Un quarto della popolazione italiana è estremamente fragile: il virus lo ha dimostrato. 

C’è chi si sorprende del relativismo della società rispetto ai più deboli. Ma è inevitabile. So bene che se mi dovessi ammalare io passerei in secondo piano, perché sono da salvare prima i giovani. Il problema è perché siamo arrivati a dover affrontare questo tipo di scelta, perché non abbiamo provveduto a creare le condizioni, e le strutture, per fronteggiare il dilemma. Moriremo per inefficienza. Se un virus si propaga con un numero di vittime paragonabile ai morti in guerra è chiaro che andrà tracciata − netta − la linea tra chi deve vivere e chi morire. 

Ora: l’egoismo non sta diventando adesso un valore primario. È già il valore primario nella nostra cultura. La solidarietà è andata a picco in questi anni. Individualismo, narcisismo, egoismo: sono tutte figure di solitudine. La socializzazione si è ridotta alla propria parvenza digitale. E se anche l’istruzione, superata questa fase sperimentale, costretta dai tempi, dovesse poi venire diffusa via internet? I ragazzi hanno bisogno di imparare ma anche di guardarsi in faccia, di ridere, di capire attraverso lo sguardo se l’altro dice la verità o sta mentendo. Hanno bisogno di esperienze fisiche. Nell’isolamento e nelle avversità, gli esseri umani hanno bisogno di sentire di non essere soli a lottare. 

I cinesi di Wuhan se lo gridavano dalle finestre. Quindi se la rete digitale ha reso possibile la connessione là dove non c’è possibilità di incontro, mi viene da pensare: bene, ottimo, ha dimostrato la sua utilità. Ma per come ha funzionato fino a ora, Internet ha anche isolato i nostri corpi. Un conto è dirsi le cose in rete, un conto è dirsele di persona. Il problema, da qui in poi, è di continuare ad avere una relazione sociale secondo natura, in cui un uomo incontra un uomo, e non l’immagine di un uomo in uno schermo. 

Quando potrà risollevarsi l’animo umano? E come? Il degrado è stato significativo. Secondo me l’animo umano era più all’altezza di queste situazioni all’epoca dei nostri nonni, quando la fatica e la penuria e la povertà erano le condizioni della solidarietà. Nelle società opulente abbiamo sviluppato invece l’egoismo, perché ci era consentito, non avendo più bisogno del nostro prossimo. Che l’umanità occidentale sia a perdere mi sembra evidente: siamo costretti in casa con le nostre scorte alimentari e il nostro letto caldo, l’unica pena che ci è inflitta è non poter uscire. Siamo il popolo più debole della Terra, il più assistito dalla tecnologia: se manca la luce per dodici ore andiamo nel panico. Mi spingo oltre: il razzismo di noi italiani, al di là di come viene indotto, ha una ragione radicata nell’inconscio. Abbiamo paura degli africani perché capiamo che quei signori capaci di attraversare i deserti, sopravvivere alle carceri e attraversare il mare sono biologicamente superiori a noi. Bios vuole dire vita. Ed è la biologia, accettiamolo, che vincerà.

Umberto Galimberti per GQ ha scritto questa riflessione sui tempi che stiamo vivendo



27/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 63. "Roma" di Alfonso Cuaròn, 2018



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 63. "Roma" di Alfonso Cuaròn, 2018

Era da tantissimo tempo, più o meno da 35 anni, che non mi capitava, al cinema, di veder girare, di veder muovere la macchina da presa, di veder fotografare un film, come faceva Andrej Tarkovskij. 

E' l'unico paragone - e direi quello definitivo - che mi è venuto, guardando il film del messicano Alfonso Cuaròn, che ha fatto incetta di premi in tutto il mondo (compreso l'Oscar 2018 per il miglior film straniero e 10 candidature complessive), affascinando pubblico e critica con una pellicola che - essendo stata prodotta interamente da Netflix - è stata distribuita solo per qualche giorno nei cinema (purtroppo) ed è stata poi universalmente vista mediante streaming. 

Cuaròn ha scritto e girato una storia molto semplice, di chiarezza esemplare, e universale. Girandola con una fotografia stupefacente, in un bianco e nero scintillante e argenteo, con lenti o lentissimi movimenti di camera, pochissimi (quasi nessuno) primi piani, continue carrellate, con un senso dell'inquadratura incredibile, in cui ogni taglio diventa perfetto, incornicia un pezzo di realtà significante nella vita - apparentemente insignificante - di un gruppo di persone, che compongono una famiglia.  

Un senso della visione orizzontale e verticale.  Tutto in questa storia e in questo racconto è allo zenit. Tutto è come sotto una lente, che amplifica e scalda.

Al punto che chi osserva resta soggiogato, diventa parte della storia e della pellicola, perdendo la distanza che esiste tra osservatore e osservato. Si è immersi in una altra dimensione. I sensi restano vigili, allerta, l'emozione è palpitante, non si può che essere trasportati dentro (non con) quello che succede sullo schermo. 

ROMA 
Regia di Alfonso Cuarón.
Mexico, Usa, 2018 
con Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Marco Graf, Daniela Demesa, Diego Cortina Autrey. 
durata 135 minuti


Qui sotto la trama, con avvertenza di spoiler, per chi deve vedere ancora il film: 

Gli eventi del film si svolgono nel 1970 e nel 1971, prevalentemente a Città del Messico. Cleo è una domestica nella casa di Sofia, suo marito Antonio, i loro quattro bambini piccoli, la madre di Sofia, Teresa e un'altra cameriera, Adela. 

Tra scene della vita di Cleo con la famiglia - la pulizia, la cucina, portare i bambini a scuola, servire i pasti, mettere a letto i bambini e svegliarli - diventa chiaro che il matrimonio tra Sofia e Antonio è teso, fino a quando Antonio, medico, parte per due settimane per recarsi ad una conferenza in Québec. In realtà non tornerà alla fine del viaggio, ma Sofia tiene nascosto il suo allontanamento ai bambini, dicendo loro che il viaggio si è prolungato. 


26/04/20

Centenario di Fellini: Esce "La Roma di Federico Fellini", un libro che racconta il rapporto del Maestro con Roma.



E' uscito da poco in libreria "La Roma di Federico Fellini", un ottimo baedeker che permette di ricostruire - e ritrovare - tutti i luoghi della città eterna amati dal grande regista e da lui inseriti nei film che ne hanno decretato il genio. 

Roma del resto ha avuto un ruolo decisivo, primario, nella filmografia del maestro. Ecco la scheda del libro:


Via Margutta, dove una targa indica la sua abitazione. Non può non iniziare da qui la passeggiata romana alla scoperta dei luoghi di Federico Fellini nel centenario della sua nascita, avvenuta il 20 gennaio 1920. 

Il legame tra Fellini e la Capitale ha fatto la storia del cinema. E ha contribuito pure alla storia dell’immagine della città, che il regista ha letto con sguardo lucido ma anche visionario e riscritto secondo suggestioni da sogno che della realtà hanno finito per fare mito. Fontana di Trevi richiama immediatamente il bagno di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. Al Teatro 5 di Cinecittà sono state girate molte delle scene cult dei suoi film e negli Studios sono ancora conservati alcuni dei costumi che hanno caratterizzato il suo immaginario. Poi, il bar Canova, in piazza del Popolo, dove amava prendere il caffè, l’Eur di Boccaccio ‘70, il Mausoleo di Cecilia Metella ne Lo sceicco bianco, il Parco degli Acquedotti e ovviamente via Veneto per La dolce vita, le Terme di Caracalla per Le notti di Cabiria e così via. Tra indirizzi del suo privato e location per le riprese, un viaggio alla scoperta della Roma felliniana.


Valeria Arnaldi 
La Roma di Federico Fellini. I luoghi iconici del regista nella Capitale 
Editore: Olmata 
Collana: Romae 
Anno edizione: 2020
Euro 11 Pagine: 96 p


25/04/20

Festa della Liberazione: "Per i morti della resistenza" di Giuseppe Ungaretti

Per i morti della resistenza – Giuseppe Ungaretti


Qui
vivono per sempre 
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.

La poesia fa parte della raccolta Nuove (1968-1970).

24/04/20

Arriva "Anthropocene- L'epoca umana", un bellissimo documentario sul dominio (malato) dell'Uomo sulla Terra, con lo spettro Covid-19



Non si puo' guardare 'Anthropecene -L'epoca umana', documentario di Nicholas de Pencier, EdwardBurtynsky e Jennifer Baichwal, senza pensare che l'attualità, l'oggi, sarebbero perfetti per il suo ultimo capitolo. 

L'ombra imminente del Coronavirus e' insomma sempre presente in questo film disponibile ora in VOD. 

Ma cosa vuol dire Anthropocene?

È un modo per definire un rito di passaggio non da poco, quello che vede per la prima volta gli esseri umani influenzare e determinare i destini della Terra piu' di ogni altra forza naturale messa insieme. 

L'Epoca Olocenica, iniziata 11.700 anni fa con lo scioglimento dei ghiacciai, sarebbe cosi' finita e sostituita dall'Anthropocene, dove gli esseri umani, diventati la specie piu' forte al mondo, minacciano ormai la sua stessa esistenza. 

Da qui immagini di tanti disastri, quelli derivanti dall'estrazione mineraria, l'urbanizzazione, l'industrializzazione e l'agricoltura.

E ancora la proliferazione delle dighe, il dirottamento dei corsi d'acqua e l'acidificazione degli oceani e, infine, la presenza invasiva di plastica e cemento

Originariamente concepito come saggio fotografico e terzo di una trilogia - dopo Manufactured Landscapes (2006) e Watermark (2013) -, il progetto multimediale si e' sempre piu' evoluto includendo installazioni cinematografiche, murales ad alta risoluzione di Edward Burtynsky, cortometraggi VR a 360 ° e, infine, installazioni di realta' aumentata.

E tutto questo con la voce di Alba Rohrwacher ad accompagnare le immagini di un disastro annunciato come quelle della barriera di cemento in Cina che copre il 60% della costa continentale, quelle delle suggestive miniere di potassio negli Urali, la grande barriera corallina in Australia e, infine, quelle degli stagni di evaporazione del litio nel deserto di Atacama

All'incrocio tra arte e scienza, Antropocene - L'epoca umana testimonia comunque, attraverso l'esperienza e non la didattica, un momento critico nella storia geologica - portando un'esperienza provocatoria dell'ampiezza e dell'impatto della nostra specie.

"La filosofia del nostro film - spiega Nicholas de Pencier - non e' mai stata quella didascalica ne' tantomeno quella intellettuale. Il desiderio era piuttosto quello di cercare di essere piu' empirici possibile con la speranza che lo spettatore, non essendo investito da troppe informazioni, ne ricevesse un effetto piu' intenso e forte. 

Avere a che fare con le sole immagini - continua il regista - spinge a essere piu' attivi, a riflettere sulla base di pensieri ed emozioni. Cosa che avviene meno se si utilizzano le interviste. 

Non fornendo molte informazioni avevamo bisogno di creare un interesse visivo anzi, direi, una seduzione visiva in grado di spingere il pubblico a contemplare queste cose. Abbiamo cercato comunque - conclude - di non creare una visione troppo estetica del disastro del mondo attraverso una scelta di luoghi che invitassero anche a riflettere in maniera piu' profonda". 

Fonte: Francesco Gallo per ANSA


21/04/20

Oggi Roma festeggia 2773 anni di storia ! Tutte le iniziative (nonostante il Coronavirus)



Roma oggi, 21 aprile, festeggia i 2773 anni di storia. 

Ecco le iniziative, pur nel clima surreale della pandemia che ha reso la città deserta. 

Oggi alle 16.30 sara' possibile partecipare sulla piattaforma gratuita Zoom alla conferenza in diretta del ciclo I martedi' da Traiano

Nel nuovo appuntamento, dal titolo La memoria sulla pietra, Maria Paola Del Moro parlera' del valore della memoria personale e familiare nella societa' romana. 

Attraverso i canali web e social del Museo Pietro Canonica, si potra' seguire il secondo appuntamento di Radio Canonica, il progetto divulgativo con podcast audio, dedicato al racconto della vita dello scultore piemontese e della ricca collezione di sue opere. 
Continuera' il percorso intrapreso nella prima puntata e si concentrera' sulle prime conoscenze artistiche del giovane Pietro nella puntata La scoperta dell`arte. Non mancheranno le attivita' dedicate ai piu' piccoli. 

Il Museo della Casine delle Civette a Villa Torlonia continuera', per il quinto appuntamento de La Casine delle Meraviglie, a raccontare la dimora del Principe Giovanni Torlonia attraverso gli animali che sono raffigurati al suo interno, proponendo ai bambini di disegnarli a casa. 

In questa occasione si parlera' del Salottino dei Satiri e della raffigurazione al suo interno di un animale portafortuna: la chiocciola. 

Alle 11 sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma si ricordera' il Natale della citta' presentando un puzzle di immagini tratte dall'Album di Roma, progetto online nato dalla collaborazione tra l`Istituzione con Roma Capitale e l`Archivio Capitolino

Strumento unico per approfondire la conoscenza della Capitale, l`Album di Roma raccoglie immagini provenienti da archivi privati, enti e istituzioni, che ricostruiscono la Roma del Novecento: un volto a tratti dimenticato della citta', dei suoi territori e delle sue micro comunita'. 

Per i bambini l'istituzione alle 17.00 e' in programma, sempre sulla pagina Facebook delle Biblioteche di Roma, la presentazione del libro Roma in rima di Massimiliano Maiucchi, con le illustrazioni di Fabio Magnasciutti, novita' editoriale pubblicata da Palombi Editori.

 La video lettura delle filastrocche su Roma sara' accompagnata da guanti animati, oggetti, pupazzi e volumi pop-up e sara' intervallata da giocolerie, magie comiche, favole e canzoni. 

Con .TdROnline, .laculturaincasa e .iorestoacasa domani alle 16 sui canali social del Teatro di Roma verra' trasmesso il primo incontro del ciclo Luce sull`Archeologia per raccontare le origini di Roma, tra mito e storia, attraverso la collaborazione e gli interventi introduttivi dello storico dell`arte Claudio Strinati, del direttore dei giornali Archeo e Medioevo Andreas M. Steiner e del direttore associato dell`Istituto Nazionale di Studi Romani Massimiliano Ghilardi. Carmine Ampolo, professore emerito di Storia Greca alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Orietta Rossini, responsabile dell'Archivio Storico Capitolino, gia' Responsabile del Museo dell'Ara Pacis, e Anna Mura Sommella, gia' direttrice dei Musei Capitolini di Roma, illustreranno al pubblico i contesti archeologici dell`area centrale di Roma per comprendere la formazione della citta', in particolare gli scavi del Foro di Cesare e quelli sul colle Palatino. 

Inoltre, sono previsti un approfondimento sul Tempio di Giove Capitolino e un racconto delle origini di Roma attraverso sette capolavori ispirati al simbolo della citta', la Lupa. 


20/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 62. "Tutto su mia madre" (Todo sobre mi madre) di Pedro Almodovar, 1999



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 62. "Tutto su mia madre" (Todo sobre mi madre) di Pedro Almodovar, 1999 

Nella complessa e fenomenale filmografia di Pedro Almodovar, Tutto su mia madre ha un posto di rilievo, per i molti richiami al cinema classico, da Joseph L. Mankiewicz (Eva contro Eva) a  John Cassavetes (La sera della prima), al cinema di Douglas Sirk e per il fatto che questo film è valso a Almodovar il premio Oscar per il miglior film straniero nell'anno 2000.

E' forse il film più intimista di Almodovar e quello più drammatico.

L'infermiera ed ex attrice Manuela lascia il suo lavoro e Madrid, dopo la morte accidentale del figlio diciassettenne Esteban, per cercare il padre del ragazzo, che originariamente si chiamava Esteban (come il figlio) e che, dopo una operazione per cambiare sesso, ha preso il nome di Lola, e non sa nulla dell'esistenza di suo figlio.

Il figlio aveva precedentemente scritto una sceneggiatura intitolata "Todo sobre mi madre", in cui si pentiva di non aver mai incontrato suo padre.

A Barcellona, dove vive Lola, Manuela incontra Agrado, una vecchia amica che, come Lola, è una donna trans.

Da quel momento in poi gli avvenimenti e le storie dei vari personaggi si sovrappongono in modo vorticoso. Manuela conosce Rosa, una suora destinata ad andare in missione, che si trova però sieropositiva e incinta.

Il padre del bambino, con sorpresa e dolore di Manuela, è ancora Lola.

Agrado, grazie a Manuela, lascia il marciapiede per lavorare da Huma, come assistente tuttofare.

Manuela, infatti, era riuscita a conoscere Huma e a raccontarle la storia di Esteban. Anche Huma sta vivendo una storia travagliata, essendo in ansia per Nina, un'attricetta tossicomane, con cui ha intessuto una storia d'amore.

Rosa partorisce quindi un bimbo, fortunatamente sano, a cui dà il nome di Esteban (il terzo Esteban del film), e che affiderà a Manuela prima di morire. Al funerale di Rosa finalmente compare Lola, che, debilitata dall'HIV, subisce il carico dei suoi errori, fra cui la consapevolezza d'essere padre di un figlio ormai morto e di uno appena nato.

Un dramma che non diventa mai farsa, e che rispetto ai film precedenti di Almodovar è messo in scena in modo più silenzioso e non spettacolare; persino l'umorismo è stato sacrificato ai gravi episodi di malattia e morte, amore e obiettivi di vita.

Rigoroso e commovente.

TUTTO SU MIA MADRE 
(Todo sobre mi madre)
Regia di Pedro Almodóvar. 
Spagna, 1999 
con Penélope Cruz, Cecilia Roth, Marisa Paredes, Candela Peña, Antonia San Juan. 
durata 105 minuti




17/04/20

Libro del Giorno: "Denti Bianchi" di Zadie Smith


Ogni tanto fa bene misurarsi con il talento allo stato puro. 

Fa parecchia impressione il fatto che Zadie Smith, nome d'arte di Sadie Adeline Smith, nata a Brent, quartiere nord-ovest di Londra (un'area multiculturale abitata prevalentemente dalla classe operaia) nel 1975 da padre inglese e da madre giamaicana, emigrata in Gran Bretagna nel 1969, ha scritto questo densissimo, articolatissimo romanzo, il suo romanzo d'esordio - 540 pagine - quando aveva soltanto 23 anni. 

Denti Bianchi (White Teeth)- pubblicato nel 2000 in GB - è stato uno dei libri d'esordio  più fortunati degli ultimi decenni nel mondo, e a ragione, diventando immediatamente un caso letterario mondiale, vincendo il Whitbread First Novel Award 2000, il Guardian First Book Award, il Commonwealth Writers First Book Prize e il James Tait Black Memorial Prize per la narrativa.

Stavolta quindi c'entra ben poco la costruzione di un fenomeno a tavolino, le scuole di scrittura, la perspicacia di abili agenti letterari. 

C'entra più che altro - oltre al talento puro - la vicenda personale di Zadie Smith. Nata da un matrimonio misto (per il padre era il secondo), Zadie ha una sorellastra, un fratellastro e due fratelli minori. I suoi genitori hanno divorziato quando aveva quattordici anni. 

Dopo aver accarezzato diversi sogni artistici, in diversi campi, il suo talento si è precocemente espresso nella letteratura. 

Dopo aver studiato nelle scuole statali locali, Zadie Smith si iscrisse al King's College di Cambridge per studiare letteratura inglese. Mentre frequentava l'università pubblicò alcuni racconti in una raccolta di scritti di studenti. 

Un editore intuì il suo talento e le offrì un contratto per un romanzo ancora da scrivere. Zadie Smith decise di contattare un agente letterario e da allora, cioè ancor prima di completare il primo capitolo del primo romanzo, è rappresentata dalla Wylie Agency. 

Denti bianchi apparve così sul mercato editoriale nel 1997, molto prima di essere completato. 

Basandosi solo su manoscritti parziali, diversi editori si disputarono i diritti, che vennero infine ceduti alla Hamish Hamilton Ltd.

Zadie Smith completò Denti bianchi durante l'ultimo anno dei suoi studi a Cambridge. 

Quando nel 2000 il libro venne pubblicato diventò immediatamente un bestseller.

Era l'inizio di un duraturo successo. Oggi Zadie Smith oltre a essere autrice affermata (cinque finora i romanzi pubblicati, oltre a un gran numero di racconti), è anche docente (dopo aver insegnato fiction alla Columbia University School of the Arts, dal 1º settembre 2010 ha insegnato la stessa materia presso la New York University come professore tenuter (cioè a tempo indeterminato). 

Denti Bianchi è un romanzo di qualità e di maturità sorprendente - soprattutto e ancor di più considerata l'età della sua autrice quando lo scrisse - che si ispira e rinnova la grande tradizione del romanzo anglosassone, che va da Dickens a Saul Bellow.  

Raccontando le peripezie di Archie e Samad due amici (uno bianco e anglosassone e l'altro di origini pakistane e mussulmano) che hanno combattuto al fronte insieme, e delle loro famiglie in un lasso di tempo che va dagli anni '40 al 2000, Zadie Smith forgia un grande romanzo corale, pieno di ironia e intelligenza, di fantasia quasi pirotecnica e di così ampio respiro, che si concentra sui problemi della compatibilità multiculturale e del mondo globalizzato, in cui identità e radici sono spazzate via dalla confusione e dall'arroganza della modernità, in un continuo rimescolamento di carte. 

In un continuo flusso che si muove dalla nostalgia del passato (le generazioni adulte) e della terra di provenienza alle sconnessioni e alle inquietudini del futuro (le seconde generazioni sedotte dal consumismo occidentale e dalla sua amoralità ipertecnologica), Denti Bianchi si fa apprezzare perché non prende parte, non tifa, non parteggia, non predica e non dà soluzioni. 

Si tratta cioè di letteratura allo stato puro, di ciò che la letteratura dovrebbe essere. 

Semmai un difetto si può trovare è proprio nella ridondanza delle descrizioni emotive, delle sottili annotazioni su ogni singolo personaggio, della minuziosa attenzione stilistica che innerva la scrittura in ogni singola frase e rende la storia, a tratti, perfino troppo densa di fatti minimi o trascurabili. 

Un grande esordio, comunque, che unisce divertimento e intelligenza.