05/01/20

Poesia della Domenica: "Il giorno più freddo dell'anno" di Fabrizio Falconi






il giorno più freddo dell'anno


se almeno non ci fosse
questo freddo rigido come un
ombrello aperto, a non far respirare
a troncare le notti
e l'infinito; per chi parlo ?

questa influenza depositata
nel fondo di caffè delle circostanze
non prevede nulla di buono,
lo sbaglio acclarato è umido
come una foglia d'acero
caduta al mattino
allo specchio non ti riconosci
e nemmeno nei passi
mancanti,  qualcosa o qualcuno
ha detto che ti ha perduto;
il bambino: forse, o forse
quel bambino è la tua salvezza
nei fiori di gennaio
e quando Giove tornerà a risplendere.

c'era un segnale di sconfitta
all'orizzonte, il comandante
nordista non voleva
vederlo,
gli indiani erano pronti per lo scalpo
tutto si sarebbe svolto
secondo piani
e tecniche
di abbandono non avrebbero
funzionato, il danno
sarebbe rimasto come una sveglia
scarica
o un'insegna
per altre battaglie,
combattute da altri.



04/01/20

Sabato d'arte: Michelangelo vide la giugulare 100 anni prima della medicina



C'e' un dettaglio nel David di Michelangelo sfuggito a 500 anni di osservazioni e che conferma il genio del grande scultore, pittore, architetto e poeta italiano, in grado col suo 'occhio clinico' di anticipare la scienza. 

Se in molte sculture, e nella fisiologia quotidiana delle persone, la vena giugulare dalla parte superiore del busto attraverso il collo non e' visibile, infatti, nel capolavoro del Rinascimento esposto a Firenze e' chiaramente "distesa" e in rilievo sopra la clavicola di David. 

Come accadrebbe in ogni giovane in salute che si trova ad un livello di eccitazione perche' deve affrontare un avversario potenzialmente letale - in questo caso, Golia. 

Un particolare che indica come lo spirito di osservazione abbia portato Michelangelo a scolpire qualcosa che poi sarebbe stato descritto nel dettaglio 100 anni dopo, cioe' la meccanica del sistema circolatorio

A rilevarlo e' un articolo di Daniel Gelfman, del Marian University College of Osteopathic Medicine di Indianapolis, su Jama Cardiology. 

Il medico americano che ha visto la statua quest'anno durante una visita in Italia e' stato il primo a notare il dettaglio. 

La distensione della vena giugulare secondo quanto spiega l'esperto puo' verificarsi anche con problematiche come "elevate pressioni intracardiache e possibili disfunzioni cardiache", ma il David e' giovane e in ottime condizioni fisiche

Solo in un altro contesto - uno stato di eccitazione temporanea - si distingue bene. 

"Michelangelo, come alcuni dei suoi contemporanei - scrive Gelfman - aveva una formazione anatomica. Mi sono reso conto che deve aver notato una distensione venosa giugulare temporanea in soggetti sani che sono eccitati"

"All'epoca della creazione del David - osserva - nel 1504, l'anatomista e medico William Harvey non aveva ancora descritto la vera meccanica del sistema circolatorio. Cio' non avvenne fino al 1628". 

Anche nel Mose' vi e' lo stesso particolare anatomico, mentre la vena giugulare di Gesu' nella Pieta' non e' distesa o visibile (anche in questo caso anatomicamente corretta nel contesto)

Per i cardiologi uno dei messaggi importanti che arrivano da questo articolo e' che anche i medici devono avere spirito di osservazione quando visitano i loro pazienti. 

Nell'era odierna delle scansioni e degli esami del sangue ad alta tecnologia, spiega Marcin Kowalski, dello Staten Island University Hospital, "mi stupisce sempre quando gli studenti di medicina sono in grado di diagnosticare le malattie con la semplice osservazione. Spero che l'arte dell'esame fisico non scompaia dal repertorio dei nostri giovani medici". 

03/01/20

Torna alla luce dopo 60 anni il carteggio tra T.S. Eliot e la sua musa, Emily Hale


  
T.S. Eliot con Emily Hale nel 1936

 Lui le aveva ordinato di bruciare le lettere

Lei, l'amica di sempre, aveva disobbedito. E cosi' oggi, dopo esser rimasta per 60 anni chiusa in dodici scatoloni negli archivi della Princeton University Library, la corrispondenza tra il poeta premio Nobel T.S. Eliot e la sua confidente e musa Emily Hale vedra' finalmente la luce

Per Anthony Cuda, studioso dell'autore di "La Terra Desolata", "e' forse l'evento letterario del decennio".  

Dagli scatoloni sono emerse oltre mille lettere datate tra 1930 e 1956 che promettono di gettare luce inedita sulla vita e il lavoro di Eliot: su opere ad esempio come "Il libro dei gatti tuttofare" portato a Broadway da Andrew Lloyd Webber con il musical "Cats". 

Il focus è ovviamente sulla relazione con Emily, rimasta al centro di congetture per decenni e che ha ispirato romanzi come "The Archivist" di Martha Cooley, ma non solo: come ha notato Princeton, sorprese potrebbero arrivare "sulla conversione religiosa del poeta, il suo atteggiamento verso le donne, le sue decisioni alla casa editrice Faber and Faber e il loro impatto sulla cultura del Regno Unito"

Era stata la Hale a donare l'archivio a Princeton con la condizione che le lettere restassero segrete fino a 50 anni dalla morte dell'ultimo dei loro autori: lei nel caso specifico, scomparsa nel 1969, mentre Eliot l'aveva preceduta di quattro anni. 

Si erano conosciuti ragazzi a Cambridge, Massachusetts, nel 1912 quando Eliot studiava a Harvard e lui, secondo un saggio pubblicano nel 2002 sul New Yorker, si sarebbe segretamente innamorato dell'intellettuale bostoniana. 

L'amicizia era rinata nel 1927, dopo la crisi del primo matrimonio del poeta con la britannica Vivienne Haigh-Wood, mentre la Hale, che non si era mai sposata, aveva continuato a insegnare teatro in universita' americane tra cui lo Scripps College in California

Secondo Cuda, la relazione con Emily doveva essere "incredibilmente importante" e la corrispondenza contenere "dettagli profondamente intimi", altrimenti non si capisce perche' Eliot fosse cosi preoccupato per la pubblicazione. 

Le lettere cominciano infatti dopo la fine del primo matrimonio con Vivienne, una donna instabile morta nel 1947 in manicomio. Studiosi hanno notato come "Burnt Norton", il primo poema della serie "Quartetti" che prende il nome da una casa in Inghilterra visitata con la Hale, e' significativo per alcuni versi che suggeriscono opportunita' mancate e quel che avrebbe potuto essere e non e' stato. 

02/01/20

Libro del Giorno: "Wittgenstein - Il dovere del genio" di Ray Monk


Quando si arriva al termine di questa monumentale, magnifica biografia di Ray Monk, scritta nel 1988, e diventata il testo di riferimento della materia, si sperimenta lo strano fenomeno - che accade soltanto per le opere notevoli - per cui la persona di Ludwig Wittgenstein sembra divenuta così familiare, che ne sentiamo perfino la perdita umana, come di qualcuno che conosciamo bene e che fa parte della nostra cerchia. 

Minuziosissimamente documentata, questa biografia, esprime già nel sottotitolo la linea che ha guidato Monk: quella di riconoscere nella vicenda storico-biografica di Wittgenstein la messa in scena degli imperativi descritti da Otto Weininger in Sesso e Carattere, il libro che più di ogni altro influenzò il filosofo viennese durante la sua formazione: quelli cioè di permettere al genio - al genio artistico, filosofico, speculativo, creativo - di emergere a qualunque costo, nel corso di una esistenza: esiste cioè un dovere che riguarda chi è depositario di un dono così grande, di un talento così grande, non solo di non disperderlo, ma di preservarlo da ogni sorta di interferenza e di contaminazione di qualunque implicazione mondana.

Wittgenstein prese così sul serio questo precetto nella sua vita, che al genio, al suo genio, sacrificò tutto: l'enorme patrimonio di famiglia (proveniva da una delle famiglie più ricche d'Europa), rinunciando a tutta la sua parte d'eredità; la comodità e la facilità di ogni sistemazione di vita e di professione; la vita sociale (costringendosi a esili solitari nelle sperdute lande di Norvegia o Irlanda); la vita accademica; gli affetti personali compresa la sessualità. 

Lungo le seicento, fitte pagine del testo di Monk si seguono così le vicende del grande filosofo, in quattro diversi tempi: la prima, gioventù, le radici familiari, l'arrivo in Inghilterra, prima a Manchester e poi a Cambridge, l'amicizia con Bertrand Russell (un sodalizio difficile che durante gli anni collasserà), la prima fuga nel fiordo norvegese e la partenza al fronte militare, per la prima guerra mondiale, durante la quale Wittgenstein rimase arruolato ininterrottamente per cinque anni;   la seconda parte con la faticosa pubblicazione del Tractatus, la sua opera capitale, l'unica che pubblicò durante la vita, e che sconvolse il mondo filosofico e accademico; la terza parte con il periodo tra le due guerre, la relazione con Francis Skinner, il crollo dell'Austria sotto l'incombere della minaccia nazista, la dissoluzione del patrimonio famigliare, il rischio concreto per i suoi congiunti di finire stritolati - in quanto ebrei - nella macchina della Shoah;  infine la quarta parte con il secondo conflitto mondiale vissuto in Inghilterra, da esule, come volontario negli ospedali di Londra e poi il faticoso e doloroso dopoguerra, fino alla scoperta della malattia fatale (cancro alla prostata) e la morte a soli 62 anni. 

Wittgenstein attraversò la prima metà del secolo con la profondità implacabile del suo pensiero, e soprattutto con la necessità di essere all'altezza del compito morale che lo attendeva, di diventare ed essere cioè prima di tutto una persona decente, la preoccupazione che ricorre praticamente ovunque nei diari e nelle riflessioni intime del filosofo. 

Un grande libro che si legge appassionatamente come un grande racconto a metà tra la pura narrazione e il rigore scientifico di studio dell'opera di quello che oggi è considerato - con Heidegger - il maggior filosofo del Novecento. 


27/12/19

Arriva a Roma la più grande mostra mai allestita su Raffaello, alle Scuderie del Quirinale



Raffallo in mostra dal 5 marzo alle Scuderie del Quirinale a Roma. Oltre cento opere dell'artista riunite insieme, come mai in passato.

Una grande mostra monografica, con oltre duecento capolavori tra dipinti, disegni ed opere di confronto, dedicata a Raffaello Sanzio, nel cinquecentenario della sua morte, avvenuta a Roma il 6 aprile 1520 all'eta' di appena 37 anni

L'esposizione, intitolata semplicemente RAFFAELLO, costituisce l'apice delle celebrazioni mondiali a 500 anni dalla scomparsa e rappresenta l'evento di punta del programma approvato dal Comitato Nazionale appositamente istituito dal Ministro Dario Franceschini e presieduto da Antonio Paolucci. Realizzata dalle Scuderie del Quirinale (appartenenti alla Presidenza della Repubblica e gestite dal Mibact attraverso la societa' in-house ALES), in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi, la mostra e' curata da Marzia Faietti e Matteo Lafranconi con il contributo di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di Teodoro. 

Un autorevole comitato scientifico presieduto da Sylvia Ferino ha affiancato e approfondito il lavoro del team curatoriale, stimolando un dialogo fruttuoso tra gli specialisti del settore piu' accreditati al mondo, come Nicholas Penny (gia' direttore National Gallery di Londra), Barbara Jatta (direttore Musei Vaticani), Dominique Cordellier (Muse'e du Louvre), Achim Gnann (Albertina, Vienna), Alessandro Nova (Kunsthistorisches Institut, Firenze). 

Anche in termini di capolavori in prestito (oltre che di lavoro scientifico svolto), e' stato determinante il contributo delle Gallerie degli Uffizi, con circa 50 opere delle quali oltre 40 dello stesso Raffaello

Ma anche tanti altri musei di importanza internazionale hanno contribuito ad arricchire la rassegna con capolavori dalle loro collezioni: tra questi, in Italia, le Gallerie Nazionali d'Arte Antica, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la Fondazione Brescia Musei, e all'estero, oltre ai Musei Vaticani, il Louvre, la National Gallery di Londra, il Museo del Prado, la National Gallery of Art di Washington, , l'Albertina di Vienna, il British Museum, la Royal Collection, l'Ashmolean Museum di Oxford, il Muse'e des Beaux-Arts di Lille. 

Complessivamente saranno piu' di 200 le opere in mostra. La mostra verra' inaugurata il 3 marzo 2020 alla presenza delle piu' alte cariche dello Stato e dei rappresentanti ufficiali dei principali paesi prestatori.

Dal 5 marzo la mostra aprira' al pubblico e sara' visitabile fino al 2 giugno. 

"La mostra su Raffaello e' una grande mostra europea che raccoglie capolavori mai riuniti finora. Il giusto modo per celebrare la grandezza e la fama di un artista universale a 500 anni dalla sua morte. La prestigiosa esposizione alle Scuderie del Quirinale, che come quella dedicata a Leonardo al Louvre vede la collaborazione dei piu' grandi musei italiani e internazionali, permettera' al pubblico di ammirare un corpus considerevole di opere di Raffaello". Cosi' ha affermato il ministro Mibact, Dario Franceschini. Il presidente e ad Ales-Scuderie del Quirinale, Mario Di Simoni ha aggiunto: "La mostra di Raffaello, realizzata in collaborazione scientifica e di prestiti con gli Uffizi, e' la dimostrazione di quanto sia corretta la collocazione delle Scuderie del Quirinale in stretto collegamento con il grande sistema dei musei statali. È il coronamento ideale dei vent'anni di apertura al pubblico delle Scuderie del Quirinale". Il direttore Gallerie degli Uffizi, Schmidt: "Le Gallerie degli Uffizi, dove si concentra il piu' grande numero di dipinti e disegni di Raffaello al mondo, partecipano con entusiasmo all'organizzazione di questa ricorrenza epocale, per offrire una nuova, approfondita visione di Raffaello, specialmente per il periodo in cui l'artista visse a Roma. La mostra, frutto di una collaborazione senza precedenti tra le Gallerie degli Uffizi e le Scuderie del Quirinale, si svolge non a caso nella capitale: Roma non e' solo una tappa biografica dell'artista, ma il simbolo della dimensione nazionale della sua arte e del suo pensiero". 

26/12/19

La Chiesa dedicata al protomartire cristiano: Santo Stefano Rotondo a Roma





La chiesa di Santo Stefano Rotondo, dedicata al protomartire romano, sul Celio, è una delle più antiche ed originali di Roma, nota soprattutto per la sua forma circolare che ha fatto supporre si trattasse di un edificio pagano, trasformato in chiesa nel V secolo d.C quando fu consacrata da papa Simplicio I (468-483), dedicandola a Santo Stefano il primo martire della Chiesa, martirizzato per lapidazione nel 35 d.C. In effetti scavi recenti hanno dimostrato che l’edificio di culto fu edificato sopra i resti di una caserma romana – i Castra peregrina – e di un antico mitreo.

La sua forma, in origine, era davvero misteriosa nella sua perfezione geometrica: tre anelli concentrici intersecati da quattro navate che formavano una croce greca.

Al giorno d’oggi gli anelli concentrici sono soltanto due e uno solo è il braccio della croce greca.   Anche così però l’interno dell’edificio resta molto impressionante, per la vastità dell’ambiente e la selva di colonne antiche (di diversi ordini) che sorreggono la grandiosa cupola.

L’interno è poi essenzialmente scarno, privo di altari o arredi sacri, con la sola sedia episcopale che troneggia vicino all’entrata e che sembra sia quella sulla quale sedeva San Gregorio Magno.

Ma quello che sicuramente impressiona di più nel severo vuoto dell’edificio è la serie di affreschi che ricopre l’interno sulle pareti tra le colonne. Sono ben trentaquattro. L’imponente complesso pittorico è opera di quattro mani, quelle del Pomarancio (Nicolò Circignani, 1519-1591) e di Antonio Tempesti (1555-1630). La serie – in parte danneggiata – comincia con La strage degli innocenti e prosegue di riquadro in riquadro illustrando con crescente realismo i più atroci supplizi che si possano immaginare. In modo talmente minuzioso e didascalico ( con cartigli al di sotto che forniscono ogni spiegazione ) da risultare per molti visitatori insopportabile alla vista.


Queste scene furono rappresentate proprio con intento didattico: in piena controriforma, la chiesa di Santo Stefano era infatti frequentata dai giovani gesuiti del Collegio Germanico Ungarico, custodi della Basilica, i quali sotto falso nome venivano inviati in Europa alla fine del Cinquecento con la missione di riacquistare clandestinamente fedeli per la Chiesa di Roma, pressata da una duplice minaccia: a nord il movimento riformatore di Martin Lutero, a est i turchi ottomani.

Gli affreschi di Santo Stefano fornivano dunque un compendio di quello che aspettava questi missionari, se fossero stati scoperti: come per i martiri romani, avrebbero subito terribili torture, che avrebbero fatto desiderare loro ardentemente la morte, in una sorta di Imitatio Christi.

E ancora oggi, a guardarle, queste scene atterriscono: un martire a cui sono state mozzate le mani, le quali poi legate ad una cordicella, gli sono state messe appese al collo; un uomo che viene scorticato a sangue, vivo, con un raschietto uncinato; un altro a cui viene estratta la lingua con una tenaglia e tagliata con un coltello da cucina; una doppia flagellazione con fascine di legno; due che vengono lasciati squartare da cani; un uomo appeso a due carrucole, con una palla di piombo appesa ai piedi, che viene bruciato pezzo a pezzo con le torce; un altro che viene disossato su una sorta di tavolo anatomico come una moderna scena tratta da un film horror; un uomo a cui viene infilato piombo fuso attraverso la bocca;  altri sui quali viene versato olio bollente; una donna cui viene infilato un tridente nel petto mentre uno dei torturatori muove l’argano che le tira le braccia fino a squartarla; un altro martire cui viene tagliata una mano con una scimitarra e il cui sangue molto realisticamente scorre a fiumi al di sotto del piedistallo.

Sotto ciascun riquadro gli artisti provvidero a sistemare una iscrizione in duplice lingua,  latino per i novizi e italiano per i frequentatori della chiesa, con la dettagliata spiegazione dei diversi episodi.
Insomma decapitati, mutilati, sbranati, sepolti vivi, bruciati che rimandano alle attuali persecuzioni che ancora oggi colpiscono gli infedeli in diverse parti del mondo: un vero campionario degli orrori che ancora oggi sortisce il suo effetto assai macabro.


Tratto da: Fabrizio Falconi - Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015


25/12/19

Poesia di Natale: "A metà di un tetro inverno" di Christina Rossetti

A metà di un tetro inverno 


A metà di un tetro inverno
il vento gelido si lamentava,
la terra era dura come ferro,
l’acqua come pietra;
la neve era caduta, neve su neve
neve su neve
a metà di un tetro inverno
tanto tempo fa.
Il nostro Dio,
il cielo non può trattenerlo,
né la terra sostenerlo;
cielo e terra scompariranno
quando verrà il suo Regno;
a metà di un tetro inverno
una stalla fu sufficiente
per il Signore, Dio incarnato
Gesù Cristo
Bastò per lui,
dei cherubini
che lo adorassero notte e giorno,
un seno pieno di latte
e una mangiatoria piena di fieno.
Bastò per lui,
e gli angeli
caduti in passato,
il bue e l'asino e il cammello
lo adorassero
Angeli ed arcangeli
erano tutti lì riuniti,
cherubini e serafini
affollavano l’aria,
ma solo sua madre
nella sua beatitudine di vergine
adorò il suo Amato
con un bacio.
"Cosa posso dargli
povera come sono?
Se fossi un pastore
vorrei portare un agnello,
se fossi un Magio
vorrei fare la mia parte,
ecco ciò che posso donargli -
gli dono il mio cuore"






In the bleak mid-winter

In the bleak mid-winter,
Frosty wind made moan;
Earth stood hard as iron,
Water like a stone;
Snow on snow had fallen,
Snow on snow,
In the bleak mid-winter,
Long ago.
Our God,
Heaven cannot hold Him,
Nor earth sustain,
Heaven and earth shall flee away
When He comes to reign:
In the bleak mid-winter,
A stable-place sufficed,
The Lord God Almighty,
Jesus Christ.
Enough for Him
Whom Cherubim
Worship night and day,
A breastful of milk
And a mangerful of hay;
Enough for Him,
whom Angels
Fall down before,
The ox and ass and camel,
Which adore.
Angels and Archangels,
May have gathered there,
Cherubim and seraphim,
Thronged the air;
But only His Mother,
In her maiden bliss,
Worshipped the Beloved,
With a kiss.
What can I give Him,
Poor as I am?
If I were a Shepherd,
I would bring a lamb;
If I were a Wise Man,
I would do my part,
Yet what I can I give Him,
Give my heart.

24/12/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 50. "Festen" di Thomas Vinterberg (1998)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 50. "Festen" di Thomas Vinterberg (1998)


Festen fu la grande sorpresa del 1998: questo film danese, diretto da Thomas Vinterberg secondo i dettami del metodo Dogma 95 (è il primo film girato con questa tecnica messa a punto dallo stesso Vinterberg insieme al connazionale Lars Von Trier che l'ha poi portata definitivamente in auge) vinse il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes di quell'anno, con un budget di 1,3 milioni di dollari.

Il film racconta con crudezza feroce la storia di una riunione di famiglia per celebrare il sessantesimo compleanno del padre. 

È una commedia oscura che manipola soggetti di morte e traumi famigliari.

Helge (Henning Moritzen), rispettato uomo d'affari e patriarca di famiglia, festeggia il suo sessantesimo compleanno nell'hotel a conduzione familiare

Riuniti in una grande festa di famiglia e di amici ci sono sua moglie Else (Birthe Neumann), il suo imbronciato figlio maggiore Christian (Ulrich Thomsen), il figlio minore e rozzo Michael (Thomas Bo Larsen), e sua figlia Helene (Paprika Steen) che ha viaggiato molto). 

Un'altra sorella, Linda, si è recentemente suicidata in hotel. Helene trova la lettera di suicidio di Linda, ma lo nasconde in una bottiglia di medicina dopo essere stato sconvolta dal contenuto non divulgato. 

Michael combatte con sua moglie, che aveva precedentemente abbandonato sul ciglio della strada con i loro tre figli.
  
Alla cena di compleanno di Helge, Christian fa un brindisi a suo padre. Durante il brindisi, accusa pubblicamente suo padre di aver abusato sessualmente sia di lui che della sorella gemella (che si è recentemente uccisa) da bambina.

Dopo un iniziale silenzio scioccato, la festa continua come al solito mentre gli ospiti decidono di  far finta di niente. 

Helge allontana Christian per iniziare una conversazione confusa sulle sue accuse. Mette in discussione le sue motivazioni per averlo calunniato, e Christian sembra ritrattare la sua accusa. 

uttavia, Christian è spinto ad ulteriori azioni dallo chef dell'hotel Kim (Bjarne Henriksen), un amico d'infanzia che conosce l'abuso. 

Christian quindi continua il suo brindisi accusando Helge di aver causato la morte di Linda a causa del trauma causato dall'abuso. 

Helge parla solo a Christian e fa offerte minacciose per far apparire Christian coinvolto in un rapporto incestuoso con Linda. 

Esacerbando ulteriormente le tensioni della giornata, si presenta il fidanzato nero di Helene Gbatokai (Gbatokai Dakinah), facendo sì che il razzista Michael guidasse la maggior parte dei festaioli nel cantare la canzone danese " Jeg har set en rigtig negermand " per offenderlo. 

Christian viene perfino picchiato e legato a un albero nel bosco fuori dall'hotel. Ma riesce a liberarsi.  La cameriera, Pia, trova la lettera di suicidio di Linda e la consegna a Christian. 

Christian consegna la nota a Helene e la legge ad alta voce di fronte agli ospiti della festa. 

Nella nota, Linda afferma di essere sopraffatta dal trauma dell'abuso di Helge. 

Helge ammette i suoi misfatti e lascia la sala da pranzo. 

Christian ha un'allucinazione di Linda, che lo fa svenire. 

Anche Michael, ubriaco, chiama Helge fuori e lo picchia duramente. 

La mattina seguente, la famiglia e gli ospiti fanno colazione quando Helge entra e parla al gruppo. Ammette le sue malefatte e dichiara il suo amore per i suoi figli. Michael dice a suo padre di lasciare il tavolo.

Il castello di Skjoldenæsholm è stato il luogo delle riprese di questo film duro e lucido, che resta impresso nella mente e nei cuori. 





22/12/19

Poesia della Domenica: "Annunciazione - Le parole dell'Angelo" di Rainer Maria Rilke




Annunciazione - Le parole dell'Angelo

Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti. Ma tu hai stupende
benedette le mani.
Nascono chiare a te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu, tu sei la pianta.

Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta.

Ho steso ora le ali, sono
nella casa modesta
immenso; quasi manca lo spazio
alla mia grande veste.
Pur non mai fosti tanto sola,
vedi: appena mi senti;
nel bosco io sono un mite vento,
ma tu, tu sei la pianta.

Gli angeli tutti sono presi
da un nuovo turbamento:
certo non fu mai cosí intenso
e vago il desiderio.
Forse qualcosa ora s’annunzia
che in sogno tu comprendi.
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola
come nella foresta.

Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina...

Ma tu, tu sei la pianta.


Rainer Maria Rilke
Traduzione di Giame Pintor