18/11/18

Poesia della Domenica: "Amore, quante strade per giungere a un bacio" di Pablo Neruda.






Amore, quante strade per giungere a un bacio,
che solitudine errante fino alla tua compagnia! 
I treni continuano a rotolare soli con la pioggia.
A Taltal ancora non alloggia la primavera.

Ma tu ed io, amor mio, siamo uniti
uniti dai vestiti alle radici,
uniti d'autunno, d'acqua, di fianchi,
fino ad essere solo tu, sol io uniti.

Pensare che costò tante pietre che trascina il fiume, 
la foce dell'acqua del Boroa.
Pensare che separati da treni e da nazioni
tu ed io dovevamo semplicemente amarci, 
confusi con tutti, con uomini e con donne,
con la terra che pianta ed educa i garofani.

Pablo Neruda

16/11/18

Il Caso in Amore e Milan Kundera.






Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l'amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come uccelli sulle spalle di Francesco d'Assisi.


E' la mostra dell'anno: arrivano in Italia i capolavori della Johannesburg Art Gallery, nel segno di Mandela.


Una donna, lady Florence Phillips, e un diamante fecero nascere, tanti anni fa, la Johannesburg ArtGallery, una delle piu' affascinanti gallerie del mondo. 

Oggi la Johannesburg presta i suoi splendidi capolavori a Palazzo Ducale di Genova per ricordare al mondo il centenario della nascita di Nelson Mandela. 


Lady Florence Phillips

La mostra, 'Da Monet a Bacon - Capolavori dellaJohannesburg Art Gallery', si apre al pubblico e chiudera' il 3 marzo 2019.

Come tutti gli allestimenti di Palazzo Ducale, piu' che una mera esposizione 'Da Monet a Bacon' e' un racconto, avvolgente e morbido che prende idealmente avvio dall'Ottocento inglese e da due opere di William Turner e prosegue con il dipinto di Alma-Tadema 'La morte del primogenito' raffinata e malinconica scena ambientata in un oscuro e immaginifico Egitto, e con i lavori di due dei maggiori esponenti dei Preraffaelliti, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti di cui viene esposto il 'Regina cordium', ritratto di quella Elizabeth Siddal con la quale il pittore visse un'intensa e sfortunata storia d'amore.

La mostra continua con un'ampia sezione dedicata agli esiti della pittura di fine Ottocento e si apre con quei pittori che scelsero un nuovo approccio al vero in pittura con un piccolo 'Paesaggio' di Jean-Baptiste Camille Corot, la scogliera normanna di Etretat di Gustave Courbet e Jean-François Millet.

La generazione impressionista, introdotta da Euge'ne Boudin e Johan Barthold Jongkind, viene rappresentata da Edgar Degas (con le sue 'Due ballerine'), la bellissima 'Primavera' di Claude Monet e 'Sulla riva del fiume a Veneux di Alfred Sisley.

Avanti: ci sono i post-impressionisti Paul Ce'zanne (I Bagnanti), Vincent Van Gogh (Ritratto di un uomo anziano), Pierre Bonnard, Edouard Vuillard e oltre: varcando la soglia del Novecento, s'incontrano le opere di due dei maestri piu' celebrati del secolo: Henri Matisse e Pablo Picasso che aprono alle nuove istanze dell'arte contemporanea con Ossip Zadkine e altri.

Non mancano esponenti della seconda meta' del secolo: Francis Bacon e Henry Moore e i due protagonisti della pop art americana come Andy Warhol, al Ducale con il trittico dedicato a Joseph Beuys.

La mostra viene chiusa dall'arte che si e' sviluppata in Sudafrica nel Novecento: Maggie Laubser, una delle esponenti dell'espressionismo sudafricano, Maude Sumner, Selby Mvusi e George Pemba, pittori dai forti interessi per il sociale che raccontano le tradizioni del Paese e la vita urbana e la realta' dell'Apartheid.

Fonte ANSA

15/11/18

David Grossman: "Contro il cinismo" (dilagante).





Amo l'umorismo, disprezzo il cinismo, che è il modo crudele con cui ci chiamiamo fuori dalla vita. E con cui dimostriamo disperazione. I cinici ridicolizzano tutto e si dicono incapaci di cambiare le cose. Così la morsa di cinismo ci avvolge sempre di più, l'indossiamo come un'armatura. 
La cosa triste è che spesso ci diciamo: ok, viviamo tempi duri, proteggiamoci, quando la situazione sarà migliore potremo toglierla. In realtà dopo un po' quell'armatura s'infiltra nel nostro dna. E diventa difficilissimo liberarsene. Gradualmente questa diventa la tua grammatica interiore. Il modo in cui vedi la vita e la gente.




14/11/18

Da domani, 15 novembre, al Colosseo, Foro Romano e Palatino una spettacolare mostra dedicata alla Dinastia dei Severi: "Roma Universalis".



L’impero e la dinastia venuta dall’Africa è la grande mostra che ripercorre la storia della dinastia dei Severi: l’ultima, rilevante famiglia imperiale, che regnò per quarant’anni, dal 193 al 235 d.C. 

Promossa dal Parco archeologico del Colosseo, la rassegna - ideata da Clementina Panella che l’ha curata con Alessandro D’Alessio e Rossella Rea - si articola tra Colosseo, Foro Romano, Palatino. 

Dal 15 novembre 2018 nei tre luoghi coinvolti dall’esposizione vengono ricordate le tappe di una dominazione che ha suggellato una straordinaria stagione di riforme: tra tutte la constitutio antoniniana. 

Emessa da Caracalla nel 212 d.C., concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’impero. 

Un provvedimento rivoluzionario, che portava a compimento un processo plurisecolare di estensione dei diritti civili e con cui finalmente si completavano le premesse ideali di universalismo e cosmopolitismo implicite nell’istituzione imperiale, solo parzialmente realizzate da Augusto più di due secoli prima. 

La mostra, con l’organizzazione e la promozione di Electa, presenta al secondo ordine del Colosseo circa cento tra reperti archeologici e opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri. Attraverso di essi, in quattro sezioni, si illustrano gli sviluppi storico-politici e l’evoluzione artistica e architettonica a Roma e nelle regioni dell’impero. 

Una ricca sequenza di ritratti della dinastia apre il percorso, ricordando le origini della famiglia: con Settimio Severo proveniente da Leptis Magna, in Libia, e con la moglie Iulia Domna da Emesa, in Siria, nominata Augusta e donna di grande influenza politica. Tra i pezzi in mostra, anche tre rilievi di recente scoperta negli scavi della metropolitana di Napoli, appartenenti a un Arco onorario. Senza dimenticare i frammenti della Forma Urbis, mappa catastale in marmo voluta da Settimio Severo, ancora oggi fondamentale documento per lo studio dell’antica topografia di Roma e in mostra oggetto di una scenografica ricostruzione multimediale. 

Testimonianza poi della fioritura nel campo dell’artigianto artistico, i vetri finemente lavorati da Alessandria d’Egitto e da Colonia, le ceramiche dalla Tunisia o i sublimi argenti conservati al Metropolitan Museum of Art (USA). Al Palatino sono visibili per la prima volta le vestigia di uno straordinario insieme architettonico: le cosiddette Terme dell’imperatore Elagabalo, venute alla luce in un angolo delle pendici del colle lambito dalla via Sacra che racconta una lunga storia di trasformazioni edilizie. 

Un ciclo statuario scoperto proprio in questo sito, mai esposto prima d’ora e composto da ritratti e busti di marmo di pregevole qualità, è riunito nel Tempio di Romolo. 

Il percorso di visita sul Palatino prosegue attraverso i luoghi dei Severi, estesi su circa due ettari, di cui i segni più evidenti sono le imponenti arcate e le terrazze, insieme allo Stadio con la straordinaria sala dei capitelli dal soffitto a cassettoni stuccato.

Qui sono riuniti preziosi frammenti architettonici e scultorei restaurati per l’occasione. 

Nel Foro Romano viene aperto alla visita per la prima volta un tratto del vicus ad Carinas. Il vicus era tra i più antichi percorsi di Roma e collegava il popoloso quartiere “delle Carine” sul colle Esquilino. Oggi, attraverso questo accesso, ci si affaccia sul Templum Pacis, di cui, dopo un lungo restauro, è visibile il magnifico opus sectile Roma, 14 novembre 2018 3 pavimentale. Nel 192 d.C. un incendio distrusse quasi completamente il templum, ricostruito da Settimio Severo riproponendo la monumentalità della costruzione originaria. 

In questa occasione fu collocata, in una sala adiacente all’aula di culto, la Forma Urbis Romae, di cui restano sul muro di facciata della basilica dei SS. Cosma e Damiano le impronte delle lastre di marmo su cui era incisa. 

“La mostra ha il fine di far conoscere al più vasto pubblico possibile l’ultimo periodo dell’impero in cui Roma fu grande, governata da imperatori che lasciarono un’eredità forte e duratura in molti campi, pur nell’avanzare del declino”, spiega Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. Due le pubblicazioni edite da Electa. Il volume di studi, dai numerosi contributi scientifici, ripercorre la storia della dinastia dei Severi senza trascurare alcun aspetto: dall’analisi delle riforme e il loro impatto sulla società, alle novità nelle arti e in architettura a Roma e in tutta l’estensione dell’impero. I testi forniscono il quadro completo dei caratteri di un’epoca segnata dall’ultima grande famiglia imperiale. A questa pubblicazione si affianca un’agile guida, bilingue italiano e inglese, che accompagna il visitatore attraverso le varie sezioni della mostra e nel percorso tra Foro Romano e Palatino.

Dal 15 Novembre 2018 al 21 Dicembre 2018
ROMA
LUOGO: Colosseo / Foro romano / Palatino
CURATORI: Clementina Panella, Rossella Rea, Alessandro d’Alessio
ENTI PROMOTORI:
  • Parco Archeologico del Colosseo
COSTO DEL BIGLIETTO: intero € 12, ridotto € 7,50. Valido due giorni, permette un accesso al Colosseo ed uno al Foro Romano-Palatino e alle mostre in corso. Gratuito cittadini sotto i 18 anni della comunità europea ed extracomunitari, personale docente italiano della scuola di ruolo o con contratto a termine dietro esibizione di idonea attestazione rilasciata dalle istituzioni scolastiche
TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39.06.39967700

Libro del Giorno: "Una volta" di Wim Wenders.



Più che un libro, un oggetto d'arte, questo pubblicato a suo tempo dalle benemerite Edizioni Socrates di Roma.

Si tratta di un magnifico libro fotografico pubblicato da Wim Wenders prima in Germania nel 1993 e poi subito tradotto in Italia, al tempo in cui il regista tedesco era fresco reduce dall'aver girato alcuni dei suoi più noti capolavori, Lo Stato delle Cose (1982), Paris, Texas (1984), Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin), (1987), Fino alla fine del mondo (Bis ans Ende der Welt) (1991) Così Lontano così vicino (In weiter Ferne, so nah!) (1993), e Lisbon Story (1994). 

Una volta è dunque tutto questo: diario di riprese e di sopralluoghi per i set dei suoi film, taccuino di viaggio ("viaggiare è la cosa al mondo che mi piace di più", dichiara lo stesso Wenders nella intervista finale), sperimentazione fotografica (molte delle foto del volume sono state prese da Wenders con polaroid), narrazione (ognuna delle foto o delle serie fotografiche, infatti viene preceduta da un testo che comincia con le parole "una volta"...).

Naturalmente sono protagonisti i paesaggi estremi e desolati così tanto amati da Wenders, che sono al centro dei suoi film (il deserto Australiano e Ayers Rock, messi poi al centro di "Così lontano, così vicino"; la costa portoghese, utilizzata come set per "Lo stato delle cose"; le strade di Lisbona, protagoniste di "Lisbon story", le case in bianco e nero e i quartieri di Berlino, che fanno da sfondo a "Il cielo sopra Berlino"; le lande dell'America più profonda, utilizzate come ambientazione della perdizione di Travis, il protagonista di "Paris, Texas").

Insomma, un lungo viaggio affascinante tra volti di gente perduta, incontrata fugacemente in viaggio e paesaggi fortemente evocativi. 

Impreziosiscono il volume una bellissima introduzione dello scrittore  Daniele Del Giudice (di quanto si sente la sua mancanza oggi) e una lunga intervista finale a Wenders realizzata da Leonetta Bentivoglio, firma de La Repubblica, in cui il grande regista tedesco espone la sua visione del cinema, del lavoro, dell'amore, della vita. 


13/11/18

Libro del Giorno: "Sotto il tiro di presagi" di Paul Celan.



Dalla estesa produzione poetica di Paul Celan (1920-1970), Einaudi trasse qualche anno fa questo volume che contiene una parte delle quasi cinquecento poesie che dopo la morte tragica del poeta - annegatosi nelle acque della Senna -  in varie sedi furono ritrovate, in parte già pronte per essere date alla stampa, altre ricopiate più volte, corrette, datate, raccolte in cartelle. 

Una vera sorpresa che arricchisce la conoscenza di una delle voci poetiche più alte del Novecento ben oltre le celebrate raccolte di Papavero e memoria (1952), Luce Coatta (del 1970), Di soglia in soglia (1996) e Conseguito Silenzio (1998). 

Sono poesie drammatiche, terse o oscure allo stesso modo, personali ("Non ho mai scritto una riga che non abbia avuto a che fare con la mia esistenza", scriveva Celan nel 1962 all'amico Erich Einhorn) e collettive, sulla memoria, il tempo, l'incomunicabilità, il Sè e l'altro. 

Un vastissimo corpus - il volume raggiunge le 500 pagine - del tutto eterogeneo, dove si leggono poesie di un unico verso:   .... e la grandine mi colpiva dappertutto attorno a me (pag.205) e sequenze di un centinaio di liriche che si aprono con misteriose parole, neologismi criptici ed evocativi: Skat on, NONDIQUI, Gershom, Supermaestro, Rosipreti, Carriaggio Marino, Crivello, Annera, ecc...

Ad esse si aggiungono e si affiancano le poesie dove l'alta voce di Celan si leva maggiormente riconoscibile, nella luce e nei contrasti che la caratterizzano.  Nel diaframma spezzato che rimanda l'immagine di un'anima tormentata, eternamente alla ricerca di se stessa, perennemente in cerca di una (impossibile) salvezza.

Sotto il tiro di presagi, sempre.

Guardami attraverso,
eccomi, ancora una volta,
vieni 
più vicino, non mai
ero un altro 
che me stesso. 

Fabrizio Falconi

Paul Celan
Sotto il tiro di presagi
Poesie Inedite 1948-1969
Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien
Einaudi 2001 

12/11/18

Egitto: riemergono dai millenni rare mummie di Scarabeo e una necropoli di gatti.




Rare mummie di scarabei, assieme a decine di gatti venerati come divinita' e loro simulacri bronzei, sono stati rinvenuti da una missione archeologica egiziana a sud del Cairo, in necropoli di animali che custodivano anche un sarcofago di cobra e due di coccodrilli

E' quanto emerge da un post su Facebook del ministero delle Antichita' egiziano che dà conto di una presentazione di queste scoperte avvenuta oggi. 

Si tratta fra l'altro delle "prime mummie di scarabei ad essere state dissotterrate nella necropoli di Menfi", annuncia la nota, segnalando anche - senza fornire le dimensioni - "due grandi mummie di scarabei" rinvenute in "sarcofago rettangolare di calcare", avvolte nel lino e "in un ottimo stato di conservazione".


A Saqqara la missione ha scoperto tre tombe del Nuovo Regno usate come "necropoli di gatti", precisa fra l'alto il ministero. 

Sono state dissotterrate "decine di mummie di gatto assieme con cento statue lignee dorate" raffiguranti questi felini adorati dagli antichi egizi: e' stata trovata anche una statuetta in bronzo dedicata a Bastet, la divinita' con sembianze di gatto. 

Sono venute alla luce pure dorate statuette lignee di un leone, di una mucca e un falcone, emerge fra l'altro ancora dalla nota. 

11/11/18

Poesia della Domenica - Sonetto n.40 di Shakespeare. "Prendi ogni mio amore, amor mio".



40.
Prendi ogni mio amore, amor mio, sì, prendili tutti:
cos’altro avrai di più di quanto avevi prima?
Nessun amore, amor mio, che tu possa chiamar sincero;
ogni mio era già tuo prima che tu avessi questo.
Se quindi per amor mio, l’amor mio accogli,
non posso rimproverarti di come te ne servi;
ma biasimato sii se invece tu m’inganni
per capriccioso gusto di quel che tu disprezzi.
Ladro gentile, io ti perdono il furto
anche se mi spogli del poco che possiedo;
eppure amore sa che è maggior dolore
soffrir d’amor l’inganno che d’odio la ferita.
Grazia lasciva, che nell’amor detergi il male,
osteggiami come vuoi, ma non diventiam nemici.

40.
Take all my loves, my love, yea, take them all;
What hast thou then more than thou hadst before?
No love, my love, that thou mayst true love call;
All mine was thine before thou hadst this more.
Then if for my love thou my love receivest,
I cannot blame thee for my love thou usest;
But yet be blamed, if thou thyself deceivest
By wilful taste of what thyself refusest.
I do forgive thy robbery, gentle thief,
Although thou steal thee all my poverty;
And yet, love knows, it is a greater grief
To bear love’s wrong than hate’s known injury.
Lascivious grace, in whom all ill well shows,
Kill me with spites; yet we must not be foes.


William Shakespeare

10/11/18

Due sepolcri profanati a Roma: La storia di Maria e Termanzia e dei gioielli perduti delle Imperatrici Romane.


Come sanno bene gli studiosi dell’occultismo, la profanazione di tombe costituisce da sempre un modo – non sempre gradevole – di scatenare e liberare le forze negative di quelle presenze che la fantasia popolare ha battezzato con il nome di fantasmi. Esiste una lunga e consolidata tradizione in merito, che affonda le radici nella storia stessa dell’umanità, e basti qui ricordare le parole attribuite a Lord Carnarvon – colui che fu protagonista e finanziatore della impresa che portò alla scoperta della tomba di Tutankhamon – e che pronunciò sul letto di morte (nell’aprile del 1923, al Cairo, pochi mesi dopo la scoperta della celebre tomba): «Ho udito il richiamo di Tutankhamon, sto per seguirlo!» 

Qualcosa di simile, frutto di una semplice suggestione, o reale manifestazione ‘esoterica’ per coloro che credono, deve essere avvenuto spesso, nella millenaria storia di Roma, quando i cacciatori di tesori, allettati dalle meraviglie che spesso si narravano depositate all’interno di nobili sarcofaghi, non si facevano scrupoli a profanarli e a saccheggiarli. Qualche volta poi i saccheggiatori in questione non avevano le sembianze di avventurosi Indiana Jones ante-litteram, ma addirittura si rivestivano perfino dei paramenti più sacri, quelli dei Papi. 

Una vera profanazione fu quella compiuta da Paolo III, Alessandro Farnese, il quale prima di essere eletto al soglio pontificio, nel 1534 a sessantasei anni di età, era stato un grande viveur, uomo di mondo e padre di quattro figli, avuti da una nobildonna romana. Impegnato nelle gestione dell’interminabile Concilio di Trento (durato 18 anni) e nei consueti intrighi romani, Paolo III ebbe anche modo di occuparsi in prima persona dei grandiosi lavori di demolizione della vecchia Basilica di San Pietro e della edificazione della nuova cupola, i cui lavori affidò al genio di Michelangelo Buonarroti. 

Nel corso di questi lavori, ovviamente, il ventre della Basilica restituì una quantità immane di illustri sepolture, che mai erano state violate nel corso dei secoli. 

Una delle più famose era quella che riguardava il sepolcro di Maria e Termanzia, le due figlie del generale romano Stilicone (con ascendenze barbariche, il padre era un comandante dei Vandali) che andarono spose ad Onorio, l’imperatore romano d’Occidente, dal 384 fino all’anno della sua morte, nel 423. La prima ad andare in moglie ad Onorio – che era anche suo zio, per parte di madre – fu Maria, la primogenita di Stilicone, nel 398. 

Il matrimonio, fastoso e monumentale, durò soltanto dieci anni. Alla morte di Maria, che non aveva avuto figli, nel 408, Onorio ne sposò la sorella minore, Termanzia. Anche questo matrimonio, come il primo era stato fortemente voluto ed incoraggiato proprio da Stilicone, che attraverso di esso, mirava al consolidamento del proprio potere personale. La seconda volta, però, non fu ugualmente fortunata. Onorio, sentendosi prigioniero di un così ingombrante personaggio, pensò bene di disfarsene, ordinando l’uccisione di Stilicone. Poi, l’imperatore provvide ad allontanare anche Termanzia dalla corte di Ravenna, e la relegò in esilio a Roma, fino alla sua morte che avvenne nel 418. 

I tre protagonisti di questa vicenda, Onorio, Maria e Termanzia, si ritrovarono insieme soltanto dopo la morte dell’imperatore, quando si decise di seppellirli insieme nella stessa fastosa tomba nel vestibolo della vecchia Basilica di San Pietro. 

E la sepoltura rimase in quel luogo, intatta e inviolata per più di un millennio, fino a quando appunto nel febbraio del 1543 i picconatori di Paolo III ebbero l’ordine di compiere la profanazione. 

Quel che fu scoperto all’interno del preziosissimo sarcofago aveva dell’incredibile. Dalla descrizione che il più grande archeologo e studioso di Roma Antica, Rodolfo Lanciani, fece dello spettacolo di fronte al quale si trovarono gli operai assoldati dal papa, si scopre che la bellissima imperatrice giaceva in una bara di granito rosso, vestita regalmente con abiti i cui tessuti erano intrecciati a filamenti d’oro, e dello stesso materiale era anche il velo che le copriva il volto e il petto. 

E’ lo stesso Lanciani ad informarci che la fusione di questi materiali produsse un considerevole ammontare di oro puro, pari a quasi quaranta libbre. Senza contare, ovviamente, il resto: ovvero un cesto di argento puro, ricolmo di ammennicoli scolpiti nel cristallo di rocca, e in ogni altra sorta di pietra preziosa. 

E ancora, una lampada d’oro e di cristallo, quattro vasi d’oro, dei quali uno tempestato di gemme, e un secondo recipiente di argento contenente centocinquanta oggetti, anelli, orecchini, collane, bottoni, spille, ciascuno di essi tempestato di gemme preziose. Le lettere e i nomi incisi su alcuni pezzi testimoniavano la provenienza dei preziosi doni, o la dedica del personaggio illustre a cui erano ispirati. 

Il pezzo più prezioso, la cosiddetta bulla – ovvero il ciondolo a imitazione di quello che portavano al collo i giovani dell’antica Roma fino al compimento della maggiore età - riportava le incisioni dei nomi di Onorio, Maria, Stilicone, Serena, Termanzia e Eucheio, posti a raggiera a formare una doppia croce con l'esclamazione « Vivatis! » tra loro. 

Bulla facente parte dei doni nuziali di Onorio a Maria, e ritrovato nella tomba di quest'ultima nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano: il chi-rho è formato dall'intreccio dei nomi 'Onorio', 'Maria', 'Stilicone' e 'Serena', accompagnati dall'esclamazione 'Vivatis!'.

Tutta questa meraviglia, si dissolse rapidamente, come spiega Lanciani nel prosieguo del suo racconto: Con l'eccezione di questa bulla, [...] ciascun pezzo è scomparso. [...] Non si trattava del lavoro di orefici del quinto secolo, ma erano di origine classica; in fatti rappresentavano una porzione dei gioielli imperiali, che Onorio aveva ereditato dai suoi predecessori, e che aveva offerto a Maria in occasione del suo matrimonio. 

Claudiano, il poeta di corte, li descrisse espressivamente come quelli che avevano brillato sul petto e la testa delle imperatrici dei giorni andati. Tanto per chiarire, si sarebbe trattato – secondo alcuni – nientemeno che degli stessi monili, proprio gli stessi, che nel giorno delle nozze si tramandavano tutte le imperatrici romane, da Livia, moglie di Augusto, fino appunto all’epoca di Onorio. Un valore davvero incalcolabile. 

Eppure di questi splendori fu fatta man bassa, per la maggior parte finirono ad arredare paramenti e insegne papali, ben 50 libbre d’oro furono ricavate soltanto dalle vesti di cui le mummie erano ricoperte, per non parlare della incredibile quantità di gioielli – spille, collane, bracciali – e suppellettili – vasi, lucerne – a cui toccò la stessa sorte. Al giorno d’oggi resta ben poco di questo vero tesoro, ma per averne una idea basta ammirare la celebre ‘bulla’ della quale parla Lanciani, conservata al Museo del Louvre a Parigi. 

Quel che forse Paolo III e i suoi profanatori non avevano previsto era che gli spiriti illustri che abitavano quelle tombe non avrebbero accolto con favore la profanazione selvaggia dei propri beni così a lungo custoditi. Nacque così la voce di una feroce vendetta di Maria e Termanzia che per prima cosa si accanirono proprio contro i muratori e gli scalpellini che materialmente avevano operato la profanazione del sepolcro, presentandosi loro in spaventose visioni notturne, e conducendoli tutti a morte, uno per uno, dopo improvvise e inspiegabili malattie, e infine Paolo III, i cui ultimi anni di pontificato furono amarissimi, con il celebre furibondo litigio con il cardinal Farnese, suo nipote, che lo prostrò a tal punto da gettarlo in una lunga malattia che lo portò a morte. 
Il sepolcro di Papa Paolo III Farnese a San Pietro

I fantasmi di Maria e Termanzia, però, continuarono a perseguitare il papa profanatore – racconta la leggenda – anche dopo la sua sepoltura che avvenne in San Pietro, e per la quale fu disposto un grandioso monumento funebre affidato a Giacomo della Porta. 

I fantasmi velati delle due donne, secondo il racconto popolare, continuarono ad infestare a lungo, per vendetta, il luogo del sepolcro del papa Farnese, lasciandovi traccia perfino nella grande statua bronzea raffigurante il pontefice che sovrasta il monumento e che secondo queste voci, è diventata sempre più scura proprio a causa delle malevole carezze lasciate dal passaggio dei due fantasmi femminili.

08/11/18

Enzo Bianchi: "Nessuno vive solo per se stesso" - un intervento illuminato.


È terminato il sinodo dei vescovi dedicato a “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” e ora attendiamo con fiducia le ricadute nelle chiese e nelle realtà locali di quei giorni di preghiera, lavoro, dialogo, discernimento comunitario e dei documenti che ne sono scaturiti e ne scaturiranno. 

Tornando al mio monastero ritrovo nella mia bisaccia di mendicante i volti così diversi di tanti giovani che le parole dei padri sinodali hanno saputo tratteggiare, sovente anche attraverso tonalità di luce contrastanti. A loro, da anziano che li guarda con simpatia e cerca ogni giorno di ascoltarli, chiederei di meditare su una semplice verità: nessuno vive per se stesso e solo da se stesso. 

La sua felicità, il suo bene dipendono sempre anche dal tessuto di rapporti che ognuno crea, custodisce, sviluppa ogni giorno. E in questo tessuto un giovane deve scoprire di essere debitore verso molti altri che gli hanno reso possibile il suo presente, sacrificando qualcosa o molto del loro presente: altri hanno faticato, operato rinunce, a volte hanno dato la vita o, perlomeno, l’hanno spesa affinché il loro mondo fosse più umano. Molti hanno lavorato all’umanizzazione della società e della vita, hanno sacrificato qualcosa del loro presente affinché il futuro fosse più vivibile, più umano. 

E questo debito è ancora più grande per i giovani che vivono in una condizione ancora ignota a molti, troppi loro coetanei, immersi in un presente segnato da miseria, fame, guerra, migrazione forzata… 

È importante esserne consapevoli, perché se i giovani non dimenticano il loro passato né le sofferenze di tanti loro compagni di cammino ai quattro angoli del mondo, allora non sono tentati di appiattire il loro presente solo al fine del godimento; non sono tentati di crescere dandosi un comportamento individualistico, egoistico, in cui pensano solo a se stessi senza gli altri, magari a costo di mettersi contro gli altri. 

Un giovane che comprende il suo essere debitore verso gli altri, il suo aver ricevuto dagli altri, sente di avere responsabilità neo confronti degli altri e del futuro collettivo della società e dell’umanità intera: ecco come uno scopre, assume l’etica, che è sempre un guardare alla convivenza, alla communitas, in modo da vivere con gli altri nel rispetto, nella giustizia, nella collaborazione, nella solidarietà, in modo da godere insieme della vita piena, della pace, fino a sperare insieme… 

E così un giovane scopre il bisogno di autodominio, di autocontrollo, impara a discernere tra le proprie voglie ciò che è possibile, ciò che è buono, ciò che costruisce la vita insieme agli altri. Si tratta di assumere la disciplina che non cede a concessioni continue a ciò che si vuole, si sente, si desidera, a ciò che soddisfa. Essere intelligenti, esercitare un giudizio, mettere in atto tutte le proprie facoltà intellettuali è un dono e una responsabilità. 

La vita infatti è complessa, sempre esposta al male e al bene, tentata dal demonio e nel contempo attirata dalle energie dello Spirito santo. Immerso in questo contesto, il cristiano è chiamato, indipendentemente dalla sua età, a leggere il futuro, a scegliere un’azione piuttosto che un’altra, ad accogliere o rifiutare una chiamata. 

Proprio qui si situa la necessità del discernimento, carisma che va invocato, custodito e costantemente affinato; fino a possedere, se Dio la concede, quella chiaroveggenza spirituale che è vera partecipazione allo sguardo di Dio sugli uomini, sulle cose e sugli eventi, attraverso un progressivo cedere alla sua grazia che ci attira. Compito non facile, quello del discernimento quotidiano, soprattutto per un giovane sollecitato da chi ha interesse a orientare in un determinato senso le scelte, per trarne profitto a breve o a lungo termine. Eppure compito ineludibile: non esistono infatti scelte individuali che non abbiano effetto di bene o di male sulla vita sociale, sul futuro di tutti! L’esistenza di un giovane deve saper vivere anche le rinunce, anche il sacrificio, ma è in questo modo che si conosce la beatitudine della comunione dell’amicizia, dell’amore: e allora si può vivere sperando, sì sperando… 

Ha scritto sant’Agostino: «In tutte le cose umane nulla è bene per l’uomo, se l’uomo non ha uomini amici». Si vive umanamente bene solo se fin da giovani condividiamo, se siamo responsabili gli uni degli altri, se conosciamo la dolcezza della societas, la bontà della communitas.

Fonte: Enzo Bianchi - Monastero di Bose


07/11/18

La targa in Via Tevere per il "romano" Michael Collins, uno degli eroi dell'Apollo 11.

La targa commemorativa di Michael Collins 
nella casa di Via Tevere a Roma.

Pochi romani sanno che Michael Collins, uno degli eroi della missione dell'Apollo 11, della quale stanno per ricorrere i festeggiamenti per il cinquantennale, prima di formarsi all'accademia militare di West Point ed essere selezionato dalla NASA come astronauta nel 1963, era nato (in pieno Ventennio, il 31 ottobre 1930) e vissuto per i primi anni della sua infanzia a Roma. 

Più esattamente Collins nacque nella casa al numero 16 di via Tevere a Roma, dato che il padre aveva in quel momento un impiego militare all'ambasciata statunitense in Italia. 

Una targa commemorativa fu posta - ed è ancora visibile - qualche mese dopo l'impresa lunare, nella casa del Quartiere Trieste.  

La targa commemorativa di Michael Collins 
nella casa di Via Tevere a Roma.

Michael Collins, pur non essendo mai sceso sul suolo lunare, ebbe un ruolo esiziale nella missione dell'Apollo 11.  Nel 1968 un'ernia del disco gli aveva impedito di pilotare la capsula Apollo 8, mettendo  in forse la sua carriera di astronauta (era considerato il più esperto pilota e conoscitore del CSM, il Modulo di Comando e di Servizio), ma dopo un intervento chirurgico, risolse il problema. 

Poté così partecipare alla missione Apollo 11 nel luglio del 1969. Collins era il pilota del Modulo di Comando e di Servizio (CSM) che orbitava attorno alla Luna, mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin erano sulla superficie lunare. 

Ciò nonostante, dopo il distacco dal LEM, Collins, a bordo della sua capsula fu il primo essere umano a vedere il lato oscuro della Luna, trovandosi poi a più riprese ad essere l'essere umano più lontano dalla Terra nonché il più isolato, anche dal punto di vista delle comunicazioni, perché come è noto, l'astronave era irraggiungibile da qualsiasi contatto radio via terra durante il suo passaggio in orbita oltre la superficie del satellite visibile dalla Terra. 

Una missione leggendaria che può essere rivissuta al cinema proprio in questi giorni nella ricostruzione di First Man, pellicola girata da Damien Chazelle con Ryan Gosling nei panni del protagonista, Neil Armstrong.

Fabrizio Falconi

Michael Collins


06/11/18

L'amore si costruisce ?





L'amore si costruisce ?  

Ricordo una bella canzone di qualche anno fa di Ivano Fossati, che si intitolava proprio: La costruzione di un amore. La costruzione del mio amore/ Mi piace guardarla salire/ Come un grattacielo di cento piani/ O come un girasole diceva quel testo. 

Eppure si fatica sempre a immaginare l'amore come una costruzione.  Perché siamo dominati dall'idea che l'amore è il meno razionale dei sentimenti e il meno suscettibile di ordine esteriore. Proprio a causa del fatto che l'amore risponde soltanto al suo ordine interiore. 

Non è però in contrasto con questo, affermare che anche l'amore ha bisogno di cura. Tutti nella vita sperimentano che - come una pianta formata dall'essenza delle due anime che si amano - nessun amore resiste se non vi è una cura continua, assidua, dativa. 

L'amore vive cioè di una sua vita propria - nasce spontaneamente e molto spesso neanche da un perché: nasce da un riconoscimento reciproco e nasce come dono molto raro - ma nello stesso tempo ha bisogno di nutrirsi. Ha bisogno di nutrirsi soprattutto quel complesso di cose che sostengono l'amore: la stima, la coerenza, la fiducia, la presenza, il rispetto, la considerazione, la felicità, la festa, la gioia, la sincronia dei gesti, dei pensieri, l'ascolto. 

Questo, potrebbe definirsi più generalmente è il volersi bene. Che è la cura dell'amore, ciò che sostiene l'amore. 

Lo ha espresso bene uno scrittore molto (troppo?) prolifico come Erri De Luca con queste parole: Il volersi bene si costruisce. L'amore lo senti immediato, non ha tempo. E' dire "ti sento" , un contatto di pelle, un abbraccio, un bacio. Mantenersi, il mio verbo preferito, tenersi per mano. Ti può bastare per una vita intera, un attimo, un incontro. Rinunciarvi è folle sempre e comunque. 


Fabrizio Falconi 





Libro del Giorno: "Peggy Guggenheim" di Laurence Tacou-Rumney




Un volume che è la più accurata biografia esistente di Peggy Guggenheim indubbiamente una delle più importanti mecenati e collezioniste dell'arte del Novecento, accompagnata da un incredibile apparato fotografico che attinge copiosamente dall'archivio personale della stessa ereditiera lasciato nel Palazzo Venier dei Leoni, affacciato sul Canal Grande di Venezia, ultima sua abitazione e sede della Collezione Peggy Guggenheim, colei che fu ribattezzata "l' ultima dogaressa". 

Si tratta dunque di un saggio biografico e analitico originariamente pubblicato in Francia dall'editore Flammarion, di cui è autrice la giornalista Laurence Tacou, moglie di Sandro Rumney, nipote quest'ultimo di Peggy, visto che è uno dei figli di Pegeen, la figlia di Peggy, morta suicida a Parigi nel 1967. 

E' stato proprio il nipote Sandro Rumney a fornire abbondanti materiali inediti sulla vita e l' attività di sua nonna. 

Se il personaggio di Peggy Guggenheim ci era noto attraverso le cronache artistiche e mondane del suo tempo, nonché le sue memorie pubblicate nel 1946 con il titolo Out Of This Century - Confessions Of An Art Addict,  libro che destò un grande scandalo all'epoca, grazie ai documenti confidenziali a cui ha attinto, Laurence Tacou mette in luce in questo volume  i volti contrastanti di questa donna singolare: orfana errabonda; seduttrice sempre alla ricerca del suo Pigmalione; star degli anni folli; mecenate che scoprì alcuni dei maggiori artisti suoi contemporanei; avventuriera sempre in lotta contro i pregiudizi del suo tempo; volitiva e coraggiosa nell' avversità e tuttavia fragile e romantica. 

Margaret detta Peggy, discendente da due delle più potenti famiglie ebree degli Stati Uniti (nonostante uno dei suoi nonni fosse venuto al mondo in una stalla) nasce a New York il 26 agosto 1898. 

La morte del padre Benjamin fu il primo terribile choc della sua vita. Benjamin aveva dilapidato buona parte del suo patrimonio, lasciando il grosso della fortuna dei Guggenheim nelle mani del fratello Salomon e morì da eroe durante l'affondamento del Titanic, di cui era uno dei passeggeri a bordo. 

Peggy, che ha il bernoccolo degli affari, prenderà la sua rivincita. I suoi esordi sono però difficili. Rimasta orfana a quattordici anni prova l' umiliazione di essere considerata come "la parente povera", ma non tarda a reagire. 

Spinta dalla volontà di sfuggire al suo ambiente borghese comincia a lavorare appena ventenne in una libreria frequentata da giovani artisti.
Incontrerà così Laurence Vail, drammaturgo d' avanguardia, che oscillerà poi fra letteratura e pittura. Coup de foudre immediato, ma subito l' amante scompare.

Peggy lo ritroverà a Parigi, dopo una breve avventura con un giovane russo, Fira Berenson. Insieme a Laurence si lancia allora nella bohème degli anni folli, frequentando i celebri caffè di Montparnasse e Saint-Germain-des-Prés.

E' in cima alla torre Eiffel che Laurence chiede la sua mano. La vita con colui che Peggy chiamerà "l' eterno marito" e da cui avrà due figli, Sindbad e Pegeen, sarà sempre tumultuosa. Lui le fa grandi scenate in pubblico. Un giorno, perché la moglie ha sacrificato alla moda la sua opulenta capigliatura, getta dalla finestra mobili e soprammobili, poi fugge di casa stringendo al petto la chioma recisa. I loro continui bisticci comprometteranno la loro unione.

A Saint Tropez durante un ballo, John Holmes, atletico scozzese e aspirante scrittore, bacia focosamente Peggy in presenza del marito, il quale minaccia di ucciderlo. Situazione vaudevillesca.

Peggy e il bel John fuggono insieme e vagabondano attraverso l' Europa, prima di stabilirsi a Parigi. Quando, nel 1934, Holmes muore in seguito a una caduta da cavallo, Peggy sprofonda in una grave depressione.

Sarà salvata da un' amicizia equivoca con la scrittrice Dijuna Barnes, che le dedica Nightwood, un libro ispirato agli amori saffici.

Poco dopo Peggy avrà un' altra relazione appassionata con lo scrittore Douglas Garman, editore di una rivista di avanguardia. Il guaio è che lui si converte al marxismo e si invaghisce di una militante operaia. Fine del loro amore. "Credo sia la fine della mia vita", dichiara Peggy.

Avrà però la forza di reagire impegnando tutte le proprie energie nella creazione di una galleria d' arte, ' Guggenheim Jeune' , iniziando così la sua carriera di collezionista e mecenate. Marcel Duchamp, suo consigliere artistico, la introduce negli ambienti del surrealismo e dell' astrattismo. La prima mostra, dedicata a Jean Cocteau, riscuote un immediato successo. 

La seconda lancia Kandinsky, al tempo del tutto sconosciuto.

La terza consacrerà i maggiori scultori dell' avanguardia internazionale, fra cui Brancusi, Calder, Moore e Arp. I vernissage della "Guggenheim Jeune" costituiscono sempre degli avvenimenti artistico-mondani. 

In quel periodo Peggy incontra Samuel Beckett a un pranzo al Fouquet' s. Lui la riaccompagna a casa, poi timidamente propone di accompagnarla a letto, e lei accetta. La loro relazione durerà circa un anno. L' enigmatico scrittore irlandese dedicherà alla vamp vari poemi firmati Oblomov.

Frattanto scoppia la seconda guerra mondiale. Peggy vuole allora salvare a tutti i costi dalla minaccia nazista la sua collezione di "arte degenerata".

Riuscirà a spedire negli Stati Uniti, dissimulati sotto abiti e cappotti, intere casse di preziosi Kandinsky, Klee, Picabia, Severini, Miro, De Chirico, Dalì e altri, dichiarati come "effetti personali". Poi a sua volta s' imbarca per New York con "l' eterno marito" Laurence e i figli, e il futuro marito Max Ernst. 

Il suo idillio con il pittore surrealista, cominciato come un' avventura diventa un' irresistibile passione, che li condurrà a un matrimonio, il quale non tarderà a trasformarsi in inferno. Lei considera lui come un bambino irresponsabile ed è gelosa delle sue conquiste, in particolare di Leonor Fini e di Dorothea Tanning. Lui è violento e la tratta da puttana.

La picchierà a sangue per un bacio innocente del suo amico di sempre Marcel Duchamp. Dopo aver divorziato da Max Ernst, Peggy avrà ancora una relazione col collezionista inglese Mc Pherson. Tuttavia il suo agitato percorso amoroso volge al termine, mentre si afferma il suo ruolo in campo artistico.

In piena guerra, nel 1942, Peggy apre a Parigi una nuova galleria, "Art of this Century", con una grande mostra consacrata alle opere di ben 77 artisti, molti dei quali le dovranno il loro successo (fra quelli che chiama i suoi "figliocci di guerra" figurano Robert Motherwell e Jackson Pollock, da lei scoperto quando lavorava come falegname). 

Per dimostrare la sua imparzialità fra surrealismo e astrattismo, i due movimenti che ha promosso, il giorno dell' inaugurazione Peggy accoglie i suoi invitati ostentando all' orecchio destro un orecchino che raffigura un paesaggio miniaturizzato di Tanguy e al sinistro un mini-mobile di Calder. Dopo la firma della pace, Peggy attraversa un periodo difficile. "Art of this Century" è in crisi.

Lei deve mantenere due ex mariti. Peraltro molti artisti amici sono ripartiti per l' Europa, perciò decide di chiudere la sua galleria newyorkese e andarsene anche lei per tentare una nuova avventura sul Vecchio Continente.

E' a Venezia che concreterà il suo ultimo sogno, installando i suoi tesori nel Palazzo Venier e nel giardino adiacente. Diventata cittadina onoraria della Serenissima vi trascorrerà serena gli ultimi anni, continuando ad arricchire la sua collezione, partecipando regolarmente alla Biennale di Venezia, confortata dall' amore dei suoi nipoti e dall'affetto per i suoi cani. 

Pur con tutti i limiti di un testo che appare sostanzialmente didascalico, il volume ha un enorme valore testimoniale di una meravigliosa epoca della cultura e dell'arte del Novecento, che ha influenzato l'intera storia dell'Occidente.

(Fonte: Elena Guicciardi per La Repubblica, 14 agosto 1996). 


Peggy Guggenheim. L'album di una collezionista 
di Laurence Tacou Rumney 
Octavo Editore, 1996


05/11/18

Venduta all'asta a 234 mila euro una lettera di suicidio di Baudelaire.


Una lettera di gioventu' del poeta francese Charles Baudelaire, con la quale annunciava la sua intenzione di suicidarsi, e' stata venduta a 234mila euro all'asta presso la casa Osenat.

La missiva, datata 1845, e' indirizzata a Jeanne Duval, la "musa" del poeta. La sua stima preliminare andava tra 60 e 80mila euro.

Faceva parte di una collezione privata francese. "Quando la signorina Jeanne Lemer vi consegnera' questa lettera, io saro' morto (...) Mi uccido perche' non posso piu' vivere, perche' la pena di addormentarmi e quella di risvegliarmi mi sono insopportabili", scrive il poeta nel messaggio.



Baudelaire, allora 24enne, diede un seguito alla minaccia, accoltellandosi, senza tuttavia subire gravi conseguenze.

Vivra' ancora altri 22 anni. 

Altri testi del poeta dei "Fiori del male" sono in vendita.

Inoltre andranno all'asta missive di Barbey d'Aurevilly, Delacroix, Hugo, Manet indirizzate al poeta. 

Fonte Afp - Askanews 

04/11/18

Poesia della Domenica - "Torna come fa la luna ogni mese" di Nicola Grato.






torna come fa la luna ogni mese,
esci dalla nuvolaglia
di silenzio e raccontami di te –
di quel che vedi e che hai veduto
se ancora rimani muto davanti
al cangiare dei cieli di maggio;
se ti ricordi dei campi di sulla,
delle giornate di luce brulla
al Castello Maniace di Siracusa,
o delle serenate al tuo paese
che ingegnavi su un mandolino
a tre corde. Torna e dimmi qualcosa,
la parola che non ho capito –
senti l’attrito dell’aria quando è
caldo, segna col dito sul vetro
appannato la forma di un sole,
il tuo rito privato per un domani
migliore.



Nicola Grato, da Inventario per il macellaio, Interno Poesia, 2018

02/11/18

La strana tribù degli Hemingway, segnata dalla depressione. Un libro.



"Quando mio nonno apri' la porta e vide suo figlio, cioe' mio padre, con i collant da donna, non disse nulla e richiuse la porta. Poi avrebbe detto soltanto 'noi Hemingway apparteniamo a una strana tribu''.

John Hemingway, nipote del grande scrittore, ricorda cosi' in modo toccante un momento difficile della sua famiglia, riportato nel libro "Unastrana tribu'" (Marlin), presentato giorni fa al Caffe' degli Specchi, 70 anni dopo la visita del nonno in quella città e in quel luogo.

Il libro, pubblicato nel 2007 negli Stati Uniti e da allora uscito in tanti Paesi e in Italia soltanto da pochi mesi, e' un ritratto affettuoso ma impietoso della famiglia Hemingway, segnata da un tratto depressivo che "avrebbe portato mio nonno a subire l'elettrochoc, cosi' come mio padre Gregory, piu' volte - racconta John - Mio padre era bipolare, poi all'eta' di 65 anni circa, ha cambiato sesso. Mia madre era schizofrenica, un mio bisnonno si e' suicidato", precisa ancora. 

Insomma, come scrive nell'introduzione del libro Roberto Vitale, "John riesce a mostrare il lato umano e vero di un uomo che ha usato la propria immagine come corazza per proteggersi dalle difficolta' e da quella quotidianita' difficile da affrontare".

Ha avuto il coraggio di "aprire l'armadio di famiglia", come ha detto alla presentazione. Hemingway, uno scrittore che, come ha indicato il docente di Letteratura angloamericana all'Universita' di Trieste Leonardo Buonomo, "con la sua modernita', lo stile monastico e la precisione" ha influenzato "non soltanto la letteratura alta ma anche quella popolare, si pensi ad esempio al noir americano, alla figura del detective di poche parole. E in Italia ancora di piu'".

John oggi vive a Montreal (Canada), ma e' stato a lungo a Milano e conosce bene i luoghi che contribuirono a fare di Ernest uno dei principali scrittori al mondo.

"La guerra combattuta in Italia dove rimase ferito rimanendo miracolosamente vivo, e l'Italia stessa hanno forgiato mio nonno", racconta oggi.

Fonte ANSA

01/11/18

Dal 5 Novembre torna al cinema "Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman restaurato.



Per il centenario della nascita di Ingmar Bergman la Cineteca di Bologna porta in sala dal 5 novembre il restauro, realizzato dallo Svenska Filminstitutet, di uno dei titoli piu' iconici del regista svedese: Il settimo sigillo. 

Dopo l'anteprima, a giugno in Piazza Maggiore a Bologna nell'ambito della 32/a edizione del festival Il Cinema Ritrovato, Il settimo sigillo torna al cinema grazie al progetto della Cineteca di Bologna Il Cinema Ritrovato.

Al cinema, per la distribuzione dei classici restaurati.

Realizzato nel 1957, Il settimo sigillo segue le tracce del cavaliere Antonius Block (Max von Sydow) e del suo scudiero Jöns (Gunnar Björnstrand) che, reduci disillusi delle Crociate, fanno ritorno nella Svezia del Trecento e la trovano in balia della peste e della disperazione.

Sulla spiaggia Block incontra la Morte, e, in una delle piu' efficaci alternanze campo/controcampo mai realizzate, la sfida a una partita a scacchi per prendere tempo e poter compiere un'azione che dia un senso alla sua vita.

L'evocazione visionaria, tragica e farsesca del Medioevo scandinavo racchiusa nel Settimo sigillo ha origini remote che affondano nelle fantasie d'infanzia dell'autore.

Capolavoro tra i capolavori di Bergman, questa grande allegoria dell'uomo in cerca di Dio e in balia della morte, torna a parlarci con la potenza grafica del suo paesaggio e la chiaroscurale profondita' della sua inquietudine.

 "L'idea di realizzare Il settimo sigillo - raccontava Bergman - e' scaturita in me dalla visione dei temi trattati negli affreschi e nelle pitture medievali: i buffoni girovaghi, la peste, i flagellanti, la Morte che gioca a scacchi, i roghi delle streghe e le Crociate. Il film non ha pero' l'ambizione di restituire un'immagine realistica della vita in Svezia durante il Medioevo: e' un saggio di poesia moderna, che traduce le esperienze della vita di un uomo moderno, un saggio tuttavia modellato, sia pure molto liberamente, su spunti medievali. Il mio intento e' stato quello di dipingere come dipingevano i pittori del Medioevo, con lo stesso impegno oggettivo, con la stessa sensibilita' e la stessa gioia".

fonte ANSA