15/02/16

La statua del Redentor sul Corcovado a Rio de Janeiro (Dieci luoghi dell'anima).


  


   Num cantinho um violao,
este amor uma cancao
pra fazer feliz a quem se ama,
muita calma pra pensar
e ter tempo pra sonhar,
da janela ve se o Corcovado,
o Redentor que lindo….

              I versi di Antonio Carlos Jobim, il padre della musica Brasiliana, di quella rivoluzione chiamata Bossanova, teorizzata e compiuta insieme a Joao Gilberto e Vinicius De Moraes, risuonano nella mente quando si intraprende un viaggio nel cuore del Brasile.  
              A me è capitato qualche anno fa, in una circostanza speciale, per la realizzazione di un reportage sulla deforestazione in Amazzonia.
              Rimasto in Brasile per quasi un mese,  e attraversato quel paese grande come un continente da est ad ovest, da nord a sud, ebbi l’impressione di apprezzarlo pienamente, di percepirne il senso della storia, e di quella filosofia di vita soltanto quando, lasciati alle spalle gli spazi sterminati del sertao, il bassopiano arido che abbraccia gran parte del nord-est,  e del bacino fluviale più esteso del mondo, feci visita al riconosciuto simbolo universale carioca.
              Come ogni simbolo, il Redentor, la monumentale statua eretta sulla sommità del Corcovado, che domina dalle sue altezze la città di Rio de Janeiro, parla molti linguaggi, e ad ognuno suggerisce qualcosa di diverso, un frammento o una suggestione di quella grande anima latino-americana che ha parlato nella storia di questo paese  attraverso i  preludi di Villa Lobos, le saghe bahiane di Jorge Amado, le imprese calcistiche, il cinema novo di Glauber Rocha.
          
           E ha parlato, appunto, anche grazie all’arte inconfondibile di Antonio Carlos Jobim.  Il quale, per sfuggire alle ombre lunghe di una infanzia grandemente sofferta – il padre, uomo religioso e tormentato, morì suicida, forse per una dose eccessiva di morfina usata per combattere la depressione – scoperta la magia di un pianoforte, si inventò una carriera di musicista, rifiutandosi in questo modo di proseguire le tradizioni diplomatiche della famiglia.
           Scelse, per vivere, una casa meravigliosa – intatta ancora oggi – immersa nel verde rigoglioso e nella pace (sembrerebbe incredibile a dirsi)  del quartiere di Ipanema.  Ci andò a vivere con la giovane moglie Thereza, e con i due figli Paulo ed Elisabeth. E qui scrisse  le canzoni di Orfeo Negro (il film che fece scoprire il Brasile a tutti, europei e americani compresi), A felicidade, Chega de Saudade, e la stessa Corcovado. Un pugno di canzoni che cambiarono la musica di quegli anni, e rimasero patrimonio di tutti.
           Erano gli anni del Brasile del presidente Juscelino Kubitschek, detto JK, eletto nel 1956,  gli anni di un memorabile e dissonante sviluppo economico che portò il Brasile alla ribalta del mondo, nella musica, nell’arte, nell’industria, nell’architettura.  A scapito di quello che in pochi decenni divenne il più grande indebitamento pubblico di un paese, destinato a pesare per così tanto tempo sulle spalle del popolo brasiliano, non si esitava a costruire l’utopia della città del futuro: la capitale Brasilia, disegnata dal genio di Oscar Niemeyer e di Lucio Costa,  sorta come un fungo nel deserto nel giro di pochi anni.
             Intanto il Brasile, quinto paese al mondo per estensione e per popolazione, diventava sempre più povero, e uno dei giganti cattolici del paese si trovava a fare i conti con la revanche dei riti sincretisti degli Orixas e di Nossa senhora da Bahia.
             Non era la prima volta che il Brasile provava a legittimarsi, nelle ambizioni più che nei fatti, potenza mondiale.
             Era già successo negli anni ‘30.  In quel tempo il Nord del pianeta si accorse del Sud non solo come deposito di ricchezze naturali, da depauperare. Il Sud era anche  ricchezza, mito primigenio, forza  creativa,   rinnovamento.
             In quegli anni dunque – esattamente il 12 ottobre 1931 – il Brasile si diede il simbolo che desiderava: una statua di Cristo alta 38 metri, e pesante 1.145 tonnellate. Scelse la data dell’anniversario della scoperta americana di Colombo, anche se quel giorno inaugurò per il Sud America (e per il Brasile) la lunga e terribile stagione dei massacri indiscriminati di ogni cultura indigena, vecchia di secoli. 
In realtà si parlava già da anni di porre una statua di Cristo in quel punto esatto. Probabilmente se ne parlava anche a causa del fatto che il primo nome che nel secolo sedicesimo i conquistatori portoghesi diedero a quel monte, dominante la spettacolare baia di Rio, fu Pinàculo de la Tentaciòn, perché  - ripido così come l’aveva disegnato la mano di Dio -  ricordava proprio il monte dal quale Cristo viene invitato dalle lusinghe del Diavolo a gettarsi nel vuoto.   Ma la prima iniziativa concreta per realizzare una scultura in quel luogo fu presa molto tempo dopo, intorno al 1850,  dal padre lazarista Pedro Maria Boss, che ne aveva parlato, senza molti risultati alla principessa Isabella, figlia dell’imperatore Pietro II, alla quale il Brasile deve l’abolizione della schiavitù. L’idea poi fu abbandonata con la proclamazione della Repubblica, nel 1889.
             E’ davvero incredibile come, nel cuore stesso di una città tentacolare e assurda come Rio de Janeiro, ancora oggi si possa respirare la magia di  quella natura incontaminata, di quel lussureggiante spettacolo naturale che per milioni di anni ha regnato incontrastato sul continente australe americano, prima della comparsa dell’uomo, e poi insieme ad esso.

tratto da: © Fabrizio Falconi - Cantagalli editore - Dieci Luoghi dell'Anima, 2009.
(continua a leggere sul libro). 



12/02/16

"La marea delle quadrature" di Dorothy Hewett (Recensione).



L'avventura editoriale di Giano è stata piuttosto sfortunata. Tra il 2004 e il 2005 la nuova casa editrice si era presentata con una serie di titoli molto interessanti e una veste editoriale raffinatissima. 


L'esperimento è durato poco, e appena qualche anno dopo, la casa editrice varesina, con i rispettivi titoli in catalogo è stata assorbita dalla Neri Pozza. 


Tra i primi titoli del catagolo di Giano, c'era anche questo romanzo di una scrittrice australiana, Dorothy Hewitt (1923-2002) presentato con il bellissimo titolo originale tradotto La marea delle quadrature (Neap Tide) e più tardi ristampato dalla stessa Neri Pozza con il titolo - assai più banale - de Il cottage sull'oceano

Si tratta di un notevole romanzo. Dorothy Hewitt, protofemminista del movimento australiana, membro del partito comunista locale, è un personaggio quasi leggendario, in Australia, con le sue scelte anticonformiste, la sua opera di poeta e romanziere, l'attività di accademica, svolta all'università di Perth, le battaglie ecologiste e di solidarietà alle rivendicazioni della popolazione aborigena. 

In Marea delle quadrature, la protagonista, Jessica Sorensen è una alter ego della scrittrice.  Una accademica in crisi - il primo marito si è suicidato, il secondo l'ha appena lasciata per una donna più giovane, la figlia di primo letto Beth, vive a Roma e non ha più rapporti con la madre - abbandona la città per trasferirsi a Zane, un piccolo villaggio, sulla costa meridionale dell'Australia.
Nel suo cottage di fronte all'Oceano, completamente immersa nella selvaggia natura del bush australiano, Jessica vive per un anno sospesa nel clima isolato di Zane, popolato da artisti e poeti in fuga dalla città, ecologisti, pescatori, diseredati vari, e figli di aborigeni. 

Inebriati dalla totale libertà del luogo, queste anime alla deriva, si incrociano, si scambiano i ruoli, si perdono definitivamente, cercano comunque un destino, anche uno qualunque, che dia significato alle loro vite. 

Jessica, che sta lavorando a uno studio sui poeti australiani dell'ultima generazione, si imbatte anche nel fantasma di uno di loro, Oliver Shine, che poco prima aveva occupato lo stesso cottage dove vive Jessica, e che è misteriosamente scomparso - forse annegato nell'oceano -  con Nettie e Mercy le due donne con cui viveva. 

A Zane c'è anche il fratello di Jessica, Tom, che vive lontano da tutti e ha da poco scoperto di aver contratto l'HIV. 

Sul grande affresco delle anime, continuamente irrequiete, continuamente in cerca, si staglia la minacciosa natura incontaminata e soprattutto l'immenso oceano, con le sue maree che - come i destini degli uomini - sono sempre in cambiamento. 

E' un romanzo pieno di dolore, dove il dolore anzi, diventa oltre che la cifra stilistica anche la chiave di interpretazione e di senso.   Jessica impara dal dolore il limite delle sue paure, in qualche modo dal dolore impara a decidere, impara dolorosamente a scegliere. 

Forse è proprio l'uscita da questa prolungata immaturità - e dalla irresponsabilità (sembra che per questi personaggi anche la creatività artistica sia in fono una semplice fuga dalle responsabilità) - che caratterizza Jessica insieme alle altre anime che popolano Zane, il punto nodale del racconto, quello verso cui tutto converge. 

La scrittura della Hewitt è sensuale e selvaggia, e non pretende di essere perfetta. Si aprono falle nel racconto e non tutte vengono colmate. Come se il racconto risentisse della stessa idiosincrasia dei personaggi, delle loro instabilità psichiche e spirituali. 

Un libro che riempie, comunque, e che lascia molte domande. Il che è tutto meno che un male. 

Fabrizio Falconi

10/02/16

Tornatore porta sullo schermo 'I Beati Paoli'.


Chi non lo ha mai letto non sa cosa si è perso. 

Quasi 1000 pagine di (colto) divertimento assoluto. 

I Beati Paoli è un meraviglioso romanzo popolare storico, di quello che è il misconosciuto Dumas italiano, Luigi Natoli; ed è davvero una bella notizia quella che presto ne vedremo una riduzione per la televisione firmata da uno dei nostri migliori registi. 

La Leone Film Group ha infatti firmato un accordo con il premio Oscar Giuseppe Tornatore per la realizzazione, prevista nel 2017, della serie televisiva in 12 episodi tratta dal romanzo "I Beati Paoli" dello scrittore siciliano Luigi Natoli. 

"I Beati Paoli di William Galt, alias Luigi Natoli, è uno dei romanzi d'appendice piu' popolari del '900 - afferma Tornatore -. Avevo sempre sognato di farne un film, ma probabilmente oggi la sua destinazione ideale e' quella del serial televisivo. Pertanto, quando i produttori Andrea e Raffaella Leone mi hanno proposto di supervisionare il progetto dirigendone la puntata pilota, ho aderito con entusiasmo. Sono certo che si tratterà di una magnifica esperienza". 

"Siamo onorati di poter annunciare questo progetto - sostengono Andrea e Raffaella Leone - che consolida il rapporto di collaborazione e di grande stima instaurato con Giuseppe Tornatore e che consente alla Leone Film Group di avviare il percorso di internazionalizzazione della produzione seriale, che costituira' un nuovo fondamentale asset per la crescita del Gruppo".

fonte ANSA

09/02/16

Torna Bontempelli, con 'L'amante fedele', il libro con cui vinse il Premio Strega nel 1953.




Torna in libreria, a oltre sessant'anni dalla prima edizione 'L'amante fedele', il libro di racconti con cui Massimo Bontempelli vinse il 'Premio Strega' nel 1953. 

La nuova edizione e' pubblicata da Incontri editrice ed e' il decimo titolo della collana Kufferle dedicata alla riproposta di testi e autori del passato, con introduzione della drammaturga e storica del teatro Patricia Gaborik, attenta studiosa dello scrittore. 

Giornalista e scrittore tra i piu' originali del Novecento, Bontempelli, morto nel 1960, nei 15 racconti de 'L'amante fedele' (pp 283 pagine, euro 15) mostra da diverse sfaccettature la sua idea di letteratura, quel "realismo magico" in seguito applicato ad autori da Borges a Rushdie

In un certo senso questa raccolta e' il coronamento della narrativa di Bontempelli per la presenza costante di alcuni elementi cardine della sua poetica, dalla centralita' del mito allo spirito di avventura che guida i suoi personaggi, alla predilezione per i protagonisti femminili. 

Diversi nelle ambientazioni e nelle atmosfere i 15 racconti sono uniti innanzitutto dallo stile di Bontempelli convinto che l'arte del Novecento dovesse essere in grado di esprimere l'"avventuroso miracolo" della vita quotidiana, in una visione in cui erano centrali i concetti di immaginazione, ironia e candore. 

Se, come scrisse Bontempelli, il mistero e' "la sola realta'", attraverso uno sguardo candido, non filtrato cioe' da intellettualismi o convenzioni sociali, e' possibile pervenire a una comprensione istintiva del mondo, in piena sintonia con la natura. E candidi sono, per gran parte, i protagonisti de 'L'amante fedele'.

08/02/16

"Guerra e Pace", la serie BBC: un prodotto di grande livello.




C'erano una volta gli italiani che sapevano fare meglio di tutti le riduzioni televisive dai grandi capolavori della letteratura. 

Fu una stagione d'oro, che passò dai cosiddetti sceneggiati - a cui lavorarono alcune tra le migliori menti e penne di quel periodo - e che oggi è morta e sepolta. 

Oggi le serie di qualità vengono dall'estero, e soprattutto dall'Inghilterra. 

La BBC, in particolare, ha deciso, dopo più di quarant’anni dall’ultimo adattamento (in quello uno dei protagonisti era Anthony Hopkins) di rimettere le mani sull'epico Guerra e Pace di Lev Tolstoj. 

La BBC ha coprodotto la serie insieme alla Weinstein Company, trovando l'accordo per la messa in onda con Lifetime, A&E Network e History

La sfida nella sfida è stata quella di una miniserie di sole 5 puntate.  Un'opera davvero improba, per ridurre il fluviale romanzo Tolstojano alla quale si è dedicato lo scrittore Andrew Davies.

Con risultati davvero sorprendenti. 

Le vicende delle cinque famiglie russe durante il periodo di guerra napoleonico sono raccontate con piena padronanza del materiale storico-narrativo e nello stesso tempo con una inevitabile brillantezza sintetica, che non umilia il romanzo. 

Splendido il cast con Lily James nei panni di Natasha, James Norton in quelli Andrei e il bravissimo Paul Dano nei panni di Pierre, oltre a Gillian Anderson, Jim Broadbent e Greta Scacchi. 

La serie è stata girata nei luoghi originari, tra la Russia e la Lituania.  La prova delle scene di Guerra, anch'essa superata con un ampio utilizzo di mezzi e di masse umane. 

Insomma, uno spettacolo per gli occhi sia per coloro che conoscono tutto e che amano questi personaggi da sempre, per essersene innamorati nella loro vita leggendoli nel capolavoro di Tolstoj, sia per il grande pubblico che non ha letto l'originale e che potrà ugualmente apprezzare.

Fabrizio Falconi

07/02/16

Caos in Francia per la rivoluzione della Grammatica: scendono in campo i puristi per la difesa dell'accento circonflesso.






Grandi polemiche in Francia per l'annuncio, circolato su molti media, dell'imminente entrata in vigore di una riforma dell'ortografia che, tra le altre cose, farebbe sparire l'accento circonflesso, in nome della semplificazione. 

Commenti indignati o ironici su social network, riflessioni con esperti sui canali all news, e persino un comunicato rabbioso del sindacato studenti Uni e dell'osservatorio dei programmi che accusavano il ministro dell'Istruzione, Najat Vallaud-Belkacem, di "credersi autorizzata a sconvolgere le regole dell'ortografia e della lingua francese"

Il Paese era in grande fermento, anche se non si capiva quale fosse la fonte dell'informazione, dato che dal ministero non erano arrivate comunicazioni ufficiali. 

A fare chiarezza e' arrivato un articolo di Le Monde, nella sezione Les decodeurs del sito, dedicata proprio al fact checking. 

"No, l'accento circonflesso non sparira'", titolava il pezzo, spiegando la riforma citata e' in realtà una proposta avanzata nel 1990 dall'Academie francaise per "semplificare l'apprendimento" di una lingua nota per la sua ortografia complessa anche per i madrelingua con elevato grado di istruzione

Che, pero', non aveva carattere obbligatorio, e in ogni caso non era stata presa in considerazione dalla legge per quasi 20 anni. 

Solo nel 2008, la Gazzetta ufficiale l'aveva "fissata come referenza", ma specificando sempre che anche le grafie precedenti sarebbero state ritenute corrette. Nessuna novita', quindi. Il fraintendimento, spiega sempre Le Monde, e' nato da una decisione degli editori di manuali scolastici che hanno deciso, a partire dalle pubblicazioni per il prossimo settembre, di usare l'ortografia riformata in modo omogeneo, dopo anni in cui ciascuna casa editrice faceva a modo suo. 

Ma per tutti gli altri la riforma, che tra l'altro non cancella del tutto l'accento circonflesso ma si limita a ridurne l'uso, resterà facoltativa come negli ultimi 26 anni.

06/02/16

Il Destino, una parola fuori moda.




Anche alle parole, come ai vestiti e ad ogni altra cosa umana, capita di passare di moda. 

Succede ora alla parola Destino, che quasi nessuno ormai pronuncia più.  Fa parte di un comune sentire, che riguarda il tentativo di esorcizzare quello che non comprendiamo e che tutto sommato ci disturba. 

Il pensiero dominante infatti è tetragono oggi nel credere e nell'affermare che in definitiva tutto è sempre nelle nostre mani, tutto possiamo decidere, tutto possiamo scegliere e alla fine siamo noi gli artefici di tutto quello che (ci) accade. 

Una pubblicità della TIM anzi, ultimamente alletta i suoi consumatori con lo slogan: La libertà di non scegliere.  Il sottotesto è che ormai siamo così ricchi, così pieni di opzioni (ricordate l'altro spot della Vodafone: Tutto intorno a te ?) che possiamo anche concederci di non scegliere nulla, tanto - verrebbe da dire - qualcun altro ha scelto per noi, e questo va comunque bene anche per noi. 

Eppure è così evidente - agli antichi questo lo appariva ancor di più, esposti com'erano alle furie naturali, delle guerre, dei massacri, delle epidemie - che c'è una grossa parte di quello che (ci) accade sulla quale noi non abbiamo proprio nessun controllo. 

Per gli spagnoli la parola 'Destino' significa arrivo. Noi per lo stesso significato abbiamo destinazione.  Destino invece, per noi, ha un senso profondamente arcaico che ha sostituito il Fatus dei Romani. 

Le due cose infatti, per i Romani, erano molto diverse. Il Destino  (fortuna) era infatti legato alle caratteristiche umane e si sposava perciò con le volontà individuali (e il libero arbitrio) che determinano la propria sorte.  Il Fatus invece per i romani indicava l'essere sottoposti a una necessità che non si conosce e che non si può controllare. Che appare come casuale (ma per i romani non lo è). 

Oggi per noi Destino significa il Fatus dei Romani. E come ogni cosa che non comprendiamo, tendiamo a rimuovere.  Se proprio poi si deve dedicare attenzione a questo fenomeno degli eventi, vi si attribuiscono gli attributi di caso, accidente, fatalità.

Eppure la tradizione umana, in occidente come in oriente, ha sempre attribuito al Destino, cioè al Fato, una caratteristica non legata fondamentalmente/esclusivamente al caso. Che un vaso di fiori cada in testa ad un passante dunque, è certamente casuale.   Ma sotto questo mantello del caso inviolabile,  la tradizione orientale ha individuato le più diverse necessità del Karma (per i buddhisti), quella occidentale un disegno non leggibile dagli umani, ma che può essere variamente interpretato, fino alle moderne scuole di psicologia del Novecento. 

Tutto questo appare oggi cancellato.  Tutto è nelle nostre mani.  E quel (poco) che non è nelle nostre mani è puro caso ( e questo sentire è ad esempio diffusissimo anche tra chi si dichiara credente di una qualche confessione religiosa), ruota della roulette. E quindi, non vale nemmeno la pena di discuterne.

Ecco dunque che si spiegano le reazioni nevrotiche di fronte ai grandi e improvvisi lutti, alle grandi e improvvise tragedie, di fronte alle quali siamo sempre più impreparati, senza strumenti (anche soltanto interpretativi) di qualunque senso. 

Fabrizio Falconi

foto in testa: frame dal video Losing my religion, dei R.E.M.


05/02/16

Stasera su Rai5 "I'm your man", docufilm dedicato a Leonard Cohen.




Musicista, scrittore, poeta e autore di colonne sonore, Leonard Cohen e' il protagonista del documentario di Lian Lunson "Leonard Cohen: I'm your Man", che Rai Cultura propone stasera alle 21.15 su Rai5.

Il regista alterna i ricordi e i racconti dell'artista con le sue piu' famose canzoni reinterpretate da altri musicisti tra i quali Bono, Nick Cave, Adam Clayton, Jarvis Cocker. 

Un documentario tra poesia e canzone alternativa che indaga sulla vita e l'arte di Cohen alla costante ricerca della spiritualita' e dell'essenza dell'individuo senza nascondere le sue debolezze di uomo e i problemi che l'artista canadese, nato a Montreal nel 1934, ha avuto con l'alcol. 

04/02/16

"The Revenant" di Alejandro González Iñárritu (recensione).



Ambientato in North Dakota nel 1823, The Revenant (in Italia è stato aggiunta la traduzione 'Il redivivo') è destinato a fare incetta di premi Oscar.

Alejandro González Iñárritu, dopo il trionfo dell'anno scorso con Birdman, ha trovato nel copione di Michael Punke, un soggetto primario, di quelli che piacciono tanto a Hollywood: un uomo lasciato da solo a combattere contro tutto e contro tutti, contro le contrarietà terribili della natura e contro la malvagità degli uomini. 

Leo di Caprio interpreta il trapper Hugh Glass a cui ne succedono di tutti i colori. Partito insieme ad una compagnia di uomini per una raccolta di pelli preziose nei gelidi territori del Nord, sopravvive prima  ad un attacco degli indiani Arikara, che sterminano gran parte dei membri della spedizione, e poi all'assalto di un enorme Grizzly che durante la fuga lo attacca e lo riduce in fin di vita.   Soccorso sul momento dai suoi e caricato su una barella, ben presto si rende necessario abbandonanre l'infermo al suo destino. 

Ma uno degli uomini lasciato ad accurdirlo fino alla fine è il terribile Fitzgerald, che non solo vorrebbe lasciarlo morire, seppellendolo vivo, ma uccide l'unico figlio adolescente, mezzosangue, di Glass, sotto i suoi occhi.

Lasciato da solo a morire, l'uomo riesce a sopravvivere.  Si automedica, si trascina prima sulle mani, poi torna a camminare utilizzando un pesante ramo come bastone, mentre l'inverno scatena tutta la sua furia. 

Il resto del film è il lento ritorno a casa di Glass, dopo l'incontro con un indiano solitario che gli salva la vita e quello con una guarnigione francese a cui riesce a rubare un cavallo. 

Mosso soltanto dal desiderio di vendicare il figlio, Glass fa ritorno al forte dove sono i suoi, solo per mettersi nuovamente in viaggio alla ricerca del criminale, che ha ucciso suo figlio. 

Il film è sontuosamente realizzato, ma è deludente. 

Sulla fattispecie della storia dell'uomo solo contro tutto e tutti, Inarritu non riesce mai a far decollare il film, e nessuna evoluzione emotiva dei personaggi si concretizza in quasi tre ore di racconto. Sembra più che altro un esercizio di stile messo a disposizione per Di Caprio, che occupa militarmente ogni inquadratura in primi e primissimi piani, per consentirgli di vincere finalmente l'agognata statuina. 

Tralasciando l'assoluta inverosimiglianza dei dettagli della storia raccontata, vengono in mente esempi recenti come Cast away di Robert Zemeckis (2000), dall'esito favolistico-narrativo ben più riuscito, o il simile Corvo rosso non avrai il mio scalpo (Jeremiah Johnson) di Sidney Pollack (1972) che aveva ben altro respiro epico. 

Insomma, Inarritu annacqua un po' il suo stile - che resta comunque vigoroso, potente - con ampie concessioni alla sinfonia degli elementi, strizzando l'occhio a Terrence Malick, ma senza la stessa poesia. 

E in effetti sembra proprio l'elemento poetico, quello più assente in questo film, troppo uguale a se stesso dalla prima all'ultima inquadratura. 

Fabrizio Falconi 





03/02/16

"Dal libro dei pensieri" di Benedetto Croce (Recensione).




E' un libro molto prezioso, questo. Dal libro dei pensieri  raccoglie diversi testi, scritti in un ampio lasso di tempo, da Pensieri sull'arte del 1885 a Tra il serio e il giocoso del 1939, al Soliloquio, del febbraio 1951 - un anno prima della morte - che appare una sorta di congedo. 

Sono testi molto preziosi perché sono molto lontani dall'immagine di Benedetto Croce a cui siamo abituati, quella del pensatore storicistico, del filosofo teoretico e ideologo del liberalismo novecentesco. 

Qui invece Croce, nei suoi scritti più intimi, si sofferma  sulle questioni più pratiche e assillanti: la passione e il sentimento, l'angoscia e lo smarrimento, la felicità e la ricerca della fede, il sesso e l'amore.

Come sotto la lente di un entomologo, Croce analizza i moti e le note più nascoste dell'anima, unendo il rigore morale ad una sorprendente prosa da puro letterato. 

E' insomma una sorta di livre de chevet,  che merita un posto privilegiato nella nostra biblioteca. E che si può leggere per singoli brani. 

C'è anche una sorta di autoanalisi, e di autocoscienza, che umanizza ogni discorso, anche quello che apparirebbe il più astratto sulla efficacia del percorso artistico e le sue implicazioni sulla conoscenza. 

Vi si leggono vere e proprie illuminazioni e brani di disarmata semplicità come questo:

Ciascuno di noi, in ogni istante, cade o sta per scivolare nell'errore, e da esso si ritrae o si rialza e sopra esso si innalza conquistando la verità, per sfiorare o ricadere in un nuovo errore e proseguire in questo ritmo, che è il ritmo stesso del pensiero pensante. 
(pag. 178)



01/02/16

Il Compleanno della Madre, morta (ma ancora viva).

Zoe e Micol Fontana con le ragazze del laboratorio

Non si smette mai di interrogarsi sulle vite dei nostri genitori. Specialmente quando se ne sono andati e ci hanno lasciato, almeno sotto forma di sembianze terrestri. 

Tempo fa, rovistando nel web ho trovato questa fotografia d'epoca, delle Sorelle Fontana, nel loro celebre laboratorio (che era nei pressi di Piazza di Spagna) e mi sono convinto di aver riconosciuto mia madre, ritratta sullo sfondo insieme alle altre lavoranti del laboratorio ( è la figura sulla destra della foto, con il cerchietto tra i capelli e il capo reclinato sul cucito). 

Oggi, 1 febbraio, mia madre, Ivana Cardinali, avrebbe compiuto 91 anni. 

Putroppo invece ci ha lasciato parecchi anni fa. 

Era una donna molto forte, dal grande spirito positivo e creativo. Era romana di molte generazioni (il suo cognome da nubile lo testimoniava con immediatezza). 

La ricordo sempre, particolarmente mentre lavorava. Nutriva una passione assoluta per il suo lavoro. Quando decise di smettere l'attività presso altri (era stata prima tagliatrice con Schubert (di cui lei parlava come un genio e un maestro), e poi con le Sorelle Fontana), interrompendo probabilmente una fruttuosa carriera, e mettendosi in proprio dopo la nascita dei figli, dedicò comunque la sua intera vita al lavoro di sarta, alla passione di ideare, progettare e realizzare vestiti su misura per altri. 

Sono nato e cresciuto quindi in una casa del tutto femminile, frequentata tutto il giorno (e spesso anche la sera) da mia madre, dalle sue lavoranti e dalle molte clienti che aveva, per le quali realizzava abiti da sposa, tailleur di moda, abiti estivi, cappotti, ogni tipo di vestito femminile. 

Il ricordo più vivo che ho di mia madre è quando era intenta e concentrata sulla parte creativa del lavoro, che era principalmente la fase del disegno e del taglio.

In quel momento, noi lo sapevamo, andava lasciata tranquilla, non poteva e doveva essere disturbata. Allora disponeva la stoffa srotolata sul grande tavolo lungo e, in piedi, come se fosse in trance, cominciava a disegnare con il gesso bianco sulla stoffa, il vestito da tagliare.  Poi, iniziava la fase del taglio, anche quella eseguita minuziosamente e in piena concentrazione. 

Io vedevo nei suoi occhi la gioia della creazione delle sue mani, quando l'abito era finito, quando l'ultima prova - davanti al grande specchio intero a tre ante - era andata bene. Quando bisognava solo piegare il vestito e confezionarlo nella busta di carta marrone.

Questo mi ha insegnato, tra le molte altre cose, mia madre.  La fatica e la gioia di essere artefici del proprio lavoro, della mente e delle mani. Il piacere estetico, insieme al piacere artigiano della realizzazione.  E poi, il metodo. La capacità di credere in se stessi, e di disporre il tempo e il talento nel migliore dei modi.

Anche per questo non finirò mai di ringraziarla. Anche per questo la sento ancora viva ogni giorno.

Fabrizio Falconi

Ivana Cardinali a diciassette anni - fronte e retro del biglietto
con dedica, scritta al fratello Franco Cardinali, arruolato nell'esercito. 

30/01/16

"Il quinto evangelio" di Mario Pomilio. Ritorna un grande libro.


Sono appena uscito dalla lunghissima lettura di un libro straordinario, Il Quinto Evangelio di Mario Pomilio, rieditato pochi mesi fa da L'orma, nella collana di testi italiani diretta da Andrea Cortellessa e divenuto un po' il caso letterario italiano del 2015.

Si tratta di un libro che ha avuto una storia particolarissima, e che alla sua uscita vinse numerosi premi (nel 1974 vinse il Premio Flaiano quando era ancora inedito; poi il Premio Napoli, e nel 1975 Prix pour le meilleur livre étranger di Parigi, 1978).

Il quinto evangelio è un testo ambiguo e un romanzo assolutamente sui generis. In qualche modo esso è l'antesignano di quel fortunato filone di romanzi storici, che ha trovato il massimo successo con Il nome della rosa di Umberto Eco nel 1980. 

Ed è un romanzo-mondo che contiene molti diversi generi, dall'epistolario all'antologia, dall'opera teatrale al saggio storico-biografico all'indagine filosofico-religiosa, costruito intorno alla ricerca di un fantomatico libro (Il quinto Vangelo, per l'appunto) che fa da fil rouge a molte altre storie che si intrecciano, dei vari personaggi che nei secoli hanno dedicato anni di ricerca (e in qualche caso la stessa loro vita) alla ricerca. 

In particolare il romanzo si costituisce di un carteggio, di tre lunghe lettere che contengono a loro volta tutta una serie di documenti storici sepolti dalla storia. 
Il prodigio che è riuscito a Pomilio è quella di raccontare una storia assolutamente fantastica, costruita però con tutte le rigorose sembianze di una vera ricerca storica. Ed è lo stesso autore ad avvertire nel colophon: « Occorre appena, credo, avvertire che questa è un'opera d'invenzione e che le stesse fonti che si menzionano o sono immaginarie (e la più parte sono tali), o sono adottate con la massima libertà. » 

In sostanza, su un telaio di base, Pomilio costruisce una serie di elementi di fantasia che forzano la realtà storica e inducono a riflettere sul senso della ricerca della verità e anche - quindi - della personale ricerca di Dio. 

La trama - anche se di trama è molto difficile qui parlare - parte dalle vicende di Peter Bergin, un ufficiale americano dislocato nel 1945 a Colonia, il quale si trova ad alloggiare in una canonica abbandonata nella quale, all'interno della biblioteca, tra le carte appartenute al vecchio parroco scomparso, scopre materiali riguardanti un misterioso "quinto vangelo", alla cui ricerca sembrava che il sacerdote avesse dedicato moltissimi anni della propria vita. 

L'ufficiale, che nella vita civile è docente universitario e storico di professione, viene conquistato dall'enigma e, una volta terminata la guerra si dedica a tempo pieno a quella ricerca, riunendo insieme ad altri giovani collaboratori, una serie di antichi documenti che parlano direttamente o indirettamente del libro proibito. 

Quando è ormai malato, dopo trent'anni, Bergin invia tutto il materiale a un certo monsignor "M.G.", segretario della Pontificia Commissione Biblica, insieme a una lunga lettera nella quale riassume le ragioni e le tappe della ricerca intrapresa, dando conto anche delle prove scoperte. 

In coda alla documentazione storica, Bergin unisce alcune lettere inviategli dai suoi allievi e collaboratori le quali, chiarisce il professore vuole aggiungere altri elementi alla ricerca. 

La risposta del prelato romano giunge due mesi dopo, troppo tardi per Bergin che nel frattempo è morto. Il testo è omesso da Pomilio e ci è dato di conoscerne il contenuto, solo in parte e indirettamente, dalla lettera che a sua volta la segretaria di Bergin, Anne Lee, invia a Roma. 

“Una risposta alla risposta” è appunto il titolo assegnato al Capitolo 16, che svela molte circostanze rimaste fino a quel momento nell'ombra. Anne Lee introduce nuovi e risolutivi argomenti tra cui un testo teatrale, punto d'arrivo della lunga meditazione sui Vangeli iniziata tanti anni prima da Bergin che attraverso i personaggi in gioco rivela sé stesso, e dubbi, le intuizioni e i dialoghi interiori fino all'apparire dell'elemento della "fede" che in conclusione sembra assumere un aspetto risolutivo. 

Il testo teatrale, in un crescendo drammatico svela il colpo di scena finale quando il Quinto Evangelista si leva in piedi … liberandosi nel frattempo della benda che ha attorno al volto e scoprendo un uomo che il volto stesso di Gesù. 

La riduzione in questi termini non fa certo un buon servizio al testo di Pomilio, che è multiforme, inafferrabile, e che rappresenta anche una sfida per il lettore, il quale è invitato a perdersi e abbandonarsi in una fitta ragnatela di indizi veri, falsi o verosimili, che lo riconducono semplicemente a riflettere sulla sua natura umana e sul rapporto con il divino. 

Ho pensato, leggendo questo libro, a quanto esso è distante da quell'eterno presente nel quale tutti sembriamo calati in questi primi decenni del terzo millennio.  

Anni luce separano la fredda liquidità contemporanea alla immane capacità d'introspezione filologica e filosofica che Pomilio sa condurre con mano magistrale, componendo un testo che è una sfida, e allo stesso tempo, una mappa di navigazione per un (auspicabile) ritorno a toni più umani. 

Fabrizio Falconi



Mario Pomilio

29/01/16

70. anniversario della nascita della Repubblica Italiana - La casa editrice Marlin lancia un contest collaborativo aperto a tutti.



In occasione del 70° anniversario della nascita della Repubblica Italiana, la casa editrice Marlin di Tommaso e Sante Avagliano promuove il contest collaborativo “70 anni di Repubblica Italiana. I fatti che ne precedettero la nascita”. 

Al centro del progetto, finalizzato alla pubblicazione di un apposito volume, la raccolta di foto e documenti inediti dei momenti che hanno preceduto il 2 giugno 1946  Correva l’anno 1946

Con un referendum gli italiani dovevano scegliere tra Monarchia e Repubblica. Bisognava eleggere anche i membri dell’Assemblea Costituente, che avrebbe scritto la nuova architettura dello Stato. 

Gli aventi diritto al voto erano 28 milioni: fu la prima votazione nazionale a suffragio universale. Un passaggio alle urne decisivo per la storia d’Italia. 

In occasione del 70esimo anniversario della nascita della Repubblica Italiana, che ricorrerà il 2 giugno 2016, la casa editrice Marlin  lancia il contest collaborativo “70 anni di Repubblica Italiana. I fatti che ne precedettero la nascita”, volto a raccogliere foto e memorie che contrassegnarono le fasi storiche attraverso le quali si arriverà a quella data, radicale punto di svolta per la storia d’Italia. 

Rivolto a librerie, archivi storici, gruppi di lettura, associazioni storico-politiche, scuole secondarie di primo e secondo grado, community on line, Aziende di Soggiorno e Turismo, Pro Loco, docenti e studiosi di storia, lettori, appassionati di storia e blogger tematici, il progetto è finalizzato alla realizzazione di un lavoro editoriale in cui tutti coloro che vi contribuiranno saranno allo stesso tempo autori del libro/catalogo sulla ricostruzione di un periodo storico fondamentale per il Paese. 

 «La passione per la storia e l’interesse a preservare la memoria di avvenimenti e personaggi che hanno lasciato il segno, ci hanno spinti a concentrare le energie professionali sui filoni della narrativa, della memorialistica e della saggistica storica - affermano Tommaso e Sante Avagliano, editori della casa editrice di Cava de’ Tirreni (Sa) - Questi filoni rappresentano la specializzazione della Marlin, decisa ad intraprendere un nuovo e stimolante percorso, con la convinzione di rivolgersi ad un pubblico che ama leggere belle storie e nello stesso tempo è interessato a conoscere il contesto storico-sociale in cui sono ambientate». 

Per contribuire alla raccolta, gli interessati sono invitati a postare sulla facebook page https://www.facebook.com/MarlinEditoreCava foto originali che riguardino momenti che hanno preceduto la chiamata alle urne, il clima politico e culturale di un’Italia appena uscita sconfitta dalla guerra, il ruolo che le potenze vincitrici giocarono in questa “partita”, le fasi salienti delle votazioni, l’esilio di Re Umberto. 

In alternativa, i materiali potranno essere inviati agli indirizzi di posta elettronica info@marlineditore.it o ufficiostampa@marlineditore.it entro il 31 maggio 2016

Le immagini dovranno essere accompagnate da una didascalia che illustri la situazione raffigurata (personaggi, luoghi, date…) e da una breve presentazione dell’autore del contributo inviato

Sarà cura della redazione della Marlin selezionare accuratamente i materiali ricevuti e citarne gli autori nell’appendice della pubblicazione, sia che si tratti di soggetti singoli (lettori, storici, appassionati di storia, blogger tematici), sia di organizzazioni (librerie, archivi storici, gruppi di lettura, associazioni storico-politiche, scuole, Aziende di Soggiorno e Turismo, Pro Loco). 

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web www.marlineditore.it, telefonare al numero 089.467774 o scrivere a info@marlineditore.it.

28/01/16

Senso di colpa e peccato, Cristianesimo e Buddhismo.





Una delle vulgate più comuni di questi nostri tempi è quella che il Cristianesimo - ma si dovrebbe dire ancor di più l'ebraismo, di cui il Cristianesimo è figlio - è una religione fondata sul peccato e (quindi) sul senso di colpa. 

Nelle chiacchiere da bar, questa è diventata una affermazione che nessuno discute più e che anzi è uno dei motivi principali per i quali tanti cristiani - sarebbe meglio dire tanti battezzati - si avvicinano al buddhismo e alla pratica buddhista, che fra proseliti anche tra gli agnostici, confortati dal fatto di avere a che fare con una pratica che non mette "il dito nella piaga", che lascia liberi, che non condanna e non spaventa con scenari catastrofici di inferni e giudizi universali. 

Tralasciando qui il discorso sul Cristianesimo e sul fatto di come esso è percepito oggi, che ci porterebbe lontano, è il caso di sottolineare che nel buddhismo, il peccato (che non si chiama peccato) cioè il vivere male, vivere contro i precetti del bene, non è affatto un elemento secondario. Tutt'altro. 

(*) Ma che succederà dopo la morte, di colui che non ha riconosciuto l'Atman (in termini occidentali potremmo dire, lo Spirito) ? Che ne sarà dei buoni, che dei cattivi ? 
Il Rig-Veda della vita dell'oltretomba ci dà qualche accenno: i buoni andranno in un luogo di eterne delizie, i malvagi di pene eterne. 

Secondo le Upanishad, solo chi ha conosciuto l'Atman, morto, si assorbirà in esso, né più tornerà in questo mondo; ma chi non è riuscito  a squarciare il velame che ricopre l'Atman e a estinguere in sé il desiderio della vita e dei piaceri, colui rinascerà in altre forme e in altri mondi, di felicità o di infelicità, a seconda che in terra avrà bene o male operato. 

Finito il periodo di espiazione o premio, ritornerà in terra dove, o conoscerà l'Atman, e morto, si assorbirà in lui, né più rinacerà, oppure, NON conosciutolo, opererà bene o male, e saranno le sue opere (Karma) le artefici del futuro destino. 

Come si vede, le buone opere non ottengono la liberazione dal circolo dell'esistenza, ma procacciano soltanto un buon avvenire dopo morto; è la conoscenza dell'Atman che libera da quel circolo. 

E perché è necessario operar bene per non incorrere in un avvenire di dolori ? Perché chi opera bene rispetta se stesso nel suo prossimo e in ogni essere vivente, l'Atman occulto in lui essendo lo stesso di quello occulto di tutte le creature;  mentre chi opera il male offende nell'altro se medesimo, nell'Atman dell'altro il suo proprio Atman. (*)

Come si vede, anche nel Buddhismo non si fanno sconti. Ma forse in tempi come questi, semplicemente il non uso della parola occidentale 'peccato' è di per sé rassicurante.



Fabrizio Falconi

26/01/16

Andrej Tarkovskij e la Meditazione Trascendentale.




Rileggendo i meravigliosi diari di Andrej Tarkovskij (*), mi sono imbattuto in un particolare che non ricordavo.  

C'è un tratto che accomuna Tarkovskij a Bergman e a Fellini: il fascino per il magico, l'inconsueto, il soprannaturale, l'inspiegabile. 

Nella sua curiosa voracità intellettuale, Tarkovskij voleva conoscere e approfondire anche temi come la parapsicologia e gli avvistamenti UFO, come risulta dagli incontri con la giornalista estone Jure Lina, residente in scandinavia, che il regista incontrò più volte nel 1976.

Tre anni più tardi, invece, durante il viaggio in Italia con Tonino Guerra, alla ricerca di locations per Nostalghia, Tarkovskij si avvicinò alla Meditazione Trascendentale, di cui abbiamo parlato spesso in questo blog.

Accadde esattamente nel luglio del 1979 quando Tarkovskij, insieme a Guerra, fu ospite di Michelangelo Antonioni, nella sua splendida villa, in Sardegna, sulla Costa Paradiso. 

Tarkovskij descrive nei diari la bellezza della villa ("Tamarindi, alberi nani, ammassi rocciosi, c'è dell'acqua tutto intorno...Una spiaggia straordinaria"); descrive i suoi ospiti (Michelangelo è molto gentile, sua moglie Enrica è piena di attenzioni, una padrona di casa perfetta); manifesta i suoi dubbi  (A sentire Tonino, questa casa costa circa 2 miliardi di lire, un milione e settecentomila dollari. La casa. Michelangelo ha troppo "buon gusto"). 

Il 31 luglio, tre giorni dopo il suo arrivo, Tarkovskij annota:

Oggi ho compiuto il mio primo esercizio di Meditazione Trascendentale, sotto la guida di Enrica.  Domani faremo l'esercizio individualmente.  Gli esercizi, o le tecniche da imparare sono quattro. Alla fine della prima lezione, l'allievo deve offrire al suo maestro (in segno di riconoscenza) un mazzo di fiori, due frutti e un pezzo quadrato di stoffa bianca (un tovagliolo oppure un fazzoletto). Domani dovrò andare a fare un po' di compere con Michelangelo. 
Prima meditazione: Mantra. 

E il giorno dopo, 1 agosto:

Meditazione al mattino. Più profonda, ma avevo la tendenza ad addormentarmi. E'un peccato che il primo giorno di digiuno coincida con il mio giorno di meditazione. Non ho avvertito le "pulsazioni blu". 
In serata la mia meditazione ha funzionato bene. Enrica ha tenuto lezione a me e a Lora (ndr la moglie russa di Tonino Guerra), Ho visto di nuovo dei lampi blu. 

poi il 3 agosto: 

La meditazione la mattina, non è andata male. La sera invece, molto male. Ho dovuto quasi smettere. Bisognava scacciare continuamente tutti i pensieri che ininterrottamente si intromettevano. Spero che domattina andrà meglio. 

Fa una certa impressione immaginare Tarkovskij, Antonioni, Guerra, in quella magica estate del 1979. Sembra moltissimo tempo fa. E sarebbe interessante scoprire come proseguì la "pratica meditativa" di Tarkovskij. 

Che ci manca sempre di più.

* I diari di Andrej Tarkovskij, con il titolo scelto dall’autore, Martirologio, sono stati pubblicati per la prima volta in Italia dalle Edizioni della Meridiana di Firenze, nel 2002, curati dal figlio del regista, Andrej A. Tarkovskij e la traduzione dal russo di Norman Mozzato. I diari coprono un intervallo di tempo che va dal 1970 all’anno della morte, il 1986.

25/01/16

"METAFORA" - Le opere di Sidival Fila all'Ambasciata del Brasile a Piazza Navona, da oggi.





Sidival Fila in mostra all'Ambasciata del Brasile a Roma.

Un dialogo fra uomo, natura e Dio. È questo ciò che suggeriscono le opere dell’artista brasiliano Sidival Fila anche in questa selezione, intitolata “Metafora”, presentata e realizzata presso la Galleria Candido Portinari di Palazzo Pamphilj in collaborazione con l’Ambasciata del Brasile in Italia. 

“Nel segno della trasformazione che opera l’uomo in relazione al Suo Creatore” – afferma la curatrice, Cinzia Fratucello – “è anche questo significativo omaggio offerto dalle rappresentanze diplomatiche brasiliane in Italia ad un figlio del Brasile. Nei musei brasiliani Sidival ha incontrato l’arte e vissuto la sua prima passione artistica; nelle città italiane, e specie a Roma, ha raffinato il suo specifico linguaggio artistico”. 

Al primo impatto, lo spettatore è attratto dall’energia espressa dai colori e dalle tessiture complesse delle tele, per lo più monocrome

A uno sguardo più attento, però, ogni opera sprigiona una varietà di tonalità e diverse alterazioni di luci e spazi. 

“Lo sguardo non si ferma all’evidenza ma va aldilà del percettibile e del materiale” – spiega Fila. “Lo spettatore è invitato ad andare oltre lo spazio e il tempo, a lasciare i bisogni e ad affacciarsi all’anelito”. 

In questa comunicazione, gioca un ruolo importante la tecnica usata per ogni installazione. Le tele a volte sperimentano l’utilizzo del lino antico, tessuto a mano cento anni prima per qualche corredo nuziale e mai usato, oppure di un ricco damasco.

 “Non è un riciclo” – commenta l’artista. “È un recupero della stoffa antica che ha subito una cristallizzazione e ora torna a vivere. Fra il momento della creazione e la nuova realtà c’è un collegamento con lo spazio lontano. Il mio intento è quello di dar nuova vita alle trame antiche. Di farle rivivere attraverso l’arte”. Fra le installazioni esposte ci saranno alcune inedite, realizzate appositamente per la mostra, “Metafore”. “ 



"Metafora" 
Opere di Sidival Fila 
a cura di Cinzia Fratucello 
Palazzo Pamphilj (Ambasciata del Brasile) | Galleria Candido Portinari 
Piazza Navona 10 | Roma Mostra dal 27 gennaio al 19 febbraio 2016 
Dal lunedì al venerdì | ore 10-17 Entrata libera 
Presentazione alla stampa: 25 gennaio ore 18


24/01/16

New York proclama il 20 gennaio "David Bowie Day".






"Blackstar", l'ultimo album di David Bowie, è entrato alla numero 1 nelle classifiche di più di 20 Paesi tra cui Usa, Uk, Australia, Belgio, Canada, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera. 

Il disco, il 28esimo dell'artista britannico pubblicato l'8 gennaio nel giorno del suo 69esimo compleanno, ha raggiunto la vetta su iTunes in 69 Paesi

Ieri, in occasione dell'ultima replica di "Lazarus", lo spettacolo in scena con le sue musiche, il Sindaco di New York City Bill de Blasio ha proclamato il 20 gennaio 2016 il David Bowie Day, che verrà celebrato ogni anno, in questa stessa data. 

23/01/16

Il Guggenheim di New York: il primo museo che da oggi è possibile visitare online.




Il Guggenheim Museum di New York da adesso in poi si potrà visitare da ogni angolo del mondo: nel senso che si potrà godere delle sue meraviglie stando comodamente al computer

Il Solomon R. Guggenheim Museum, l`avamposto newyorkese del circuito museale della fondazione Guggenheim (con sedi a Venezia, Bilbao e Abu Dhabi), ha deciso di permettere a chiunque lo desideri di visitare le sue sale grazie alla tecnologia di GoogleStreet View, la stessa che già consente di esplorare qualsiasi strada di qualunque città dallo schermo del proprio pc.

La fondazione ha inoltre voluto rendere disponibili in rete 120 opere della sua collezione permanente: quest`iniziativa è stata decisa insieme al Google Cultural Institute, che ha siglato partnership con oltre mille istituzioni dando una piattaforma di accesso onlune a migliaia di opere d'arte, sei milioni di foto, video, manoscritti e altri documenti culturali e storici. 

 Una piccola curiosità: la leggendaria struttura a spirale del museo, opera dell`architetto Frank Lloyd Wright, ha rappresentato una sfida non da poco persino per gli ingegneri del team di Google Street View

Per poter esplorare l'edificio dall`interno, oltre alle normali apparecchiature sono stati utilizzati dei droni. Le immagini sono state poi unite per fornire al visitatore virtuale un`esperienza a 360 gradi delle gallerie rotonde del Guggenheim

Il risultato è sorprendente: ci si può muovere da rampa a rampa e spostarsi vicino alle opere per ammirarle da vicino. Tra i pezzi in esposizione c'è anche "Daddy, Daddy" di Maurizio Cattelan, una scultura di Pinocchio che galleggia a testa in giù in una fontana al piano terra del museo. 

Questa spinta alla digitalizzazione sta contagiando sempre più i poli culturali: recentemente la New York Public Library ha reso disponibili più di 180.000 tra fotografie, cartoline, stampe e mappe dalle collezioni del suo gigantesco archivio, rendendo tutto il materiale scaricabile in alta definizione e gratuitamente (una delle maggiori operazioni di questo tipo mai realizzate).

La biblioteca di New York ha creato anche un gioco in cui si possono esplorare gli appartamenti newyorkesi di inizio '900 utilizzando le planimetrie depositate nel suo archivio.