13/04/12

Pessoa e la felicità.




La felicità è fuori dalla felicità. Non c'è felicità se non con consapevolezza. Ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto. 

Fernando PessoaIl libro dell'Inquietudine.

12/04/12

Gli obelischi di Roma - 3. Obelisco Vaticano




Torniamo dunque, ai nostri obelischi (qui le precedenti puntate). E oggi è di volta il terzo in ordine di erezione: l'obelisco vaticano, il più misterioso di tutti, proprio perché l'unico rimasto sempre in piedi.
Se è vero quello che viene riportato dai Vangeli apocrifi, e soprattutto negli Atti di Pietro, questo obelisco ha 'assistito' al massacro dei cristiani, ordinato da Nerone a seguito dell'incendio di Roma nel 64 d. C. per allontanare da sé l’accusa di averlo provocato.
Nerone incrimina di esso i Cristiani e ne mette a morte, secondo le fonti dell'epoca, una multitudo ingens, fra atroci sofferenze, negli horti Neroniani in Vaticano (Tacito, Annali XV, 44). 

Per capire bene lo svolgimento della scena, bisogna capire cosa era il Circo Neroniano, in realtà già di Caligola: era una grande arena (non paragonabile alle dimensioni del Circo Massimo, ma con nella spina centrale proprio il nostro Obelisco ). 

Gli Horti sono quella macchia di vegetazione al di sopra del Circo. Erano - e sono - le pendici del Colle Vaticano. In quell'epoca, lì esisteva una strada di collegamento che permetteva l'ingresso a chi arrivava dal Nord di Roma. 

La storia di questo obelisco ne fa uno degli oggetti più importanti nella storia dell'umanità. 

3. Obelisco Vaticano 

spostato nella destinazione attuale nel 1585 – 

altezza m.23,36.

L’unico sempre rimasto eretto. 

Secondo Plinio, fu originariamente eretto da Nencoreo (Nebkaure Amenemhet II) figlio di Sesotide (1992 – 1985 a.C.), a Eliopoli - oggi periferia de Il Cairo.

Rotto durante i lavori di allestimento romani del Forum Iulium ad Alessandria, compiuti da Cornelio Gallo, l'Obelisco aveva in origine dimensioni gigantesche: 52 m. e 50 cm di altezza !

Dopo la rottura, il fusto superiore alto m.25,36 (l’attuale obelisco) fu trasportato a Roma dalle navi romane per ordine di Caligola intorno al 30 a.C., ad ornamento del suo circo privato sul Colle Vaticano (con iscrizione dedicatoria, ancora visibile, a Cesare, Augusto e Tiberio ). 

Anepigrafo, cioè privo di geroglifici. 

Eretto originariamente sul lato sinistro della Basilica Vaticana (a fianco dell’attuale Sagrestia, dove una lapide sul pavimento ne ricorda ancora oggi l'originaria ubicazione). 



nella foto qui di fianco si legge: ('SITO DELL'OBELISCO VATICANO FINO ALL'ANNO 1586')


Fu spostato al centro della piazza San Pietro (appena 200 metri di 'cammino'), dove è posizionato oggi, sotto Sisto V , dopo incredibili lavori (che coinvolsero 400 carri trainati da quadrighe e migliaia di operai e facchini)  coordinati  dall’architetto Domenico Fontana in tredici mesi dal settembre 1585 al settembre 1586.



La storia di questo obelisco, dunque è lunga 4.000 anni !  E comincia due millenni prima di Cristo, in Egitto. 
Come abbiamo poi già detto, l'Obelisco Vaticano è l'unico risparmiato dall'ondata devastatrice dei Goti, comandati dal Re Totila, che quando entrano a Roma nel 546, mettendola a ferro e fuoco, abbattono tutti gli obelischi, in quanto simbolo della grandezza e della prepotenza di Roma. fermandosi soltanto di fronte a quello Vaticano. 

Di fronte all'Obelisco, infatti, era stata eretta la grande Basilica Costantiniana, in onore dell'Apostolo Pietro, sul luogo della sua sepoltura.  

Anche i Goti rispettarono dunque questa memoria, considerando che non erano ancora passati  500 anni dalla morte di Pietro.

Sull'enorme piedistallo dell'attuale Obelisco si leggono le iscrizioni dedicatorie: 

SIXTUS V PONTIFEX MAXIMUS OBELISCUM VATICANUM DIS GENTIUM IMPIO CULTU DICATUM AD APOSTOLORUM LIMINA OPEROSO LABORE TRANSTULIT ANNO MDLXXXVI PONT II
cioè (più o meno):


"Sisto V Pontefice Massimo fece porre con immenso sforzo l'obelisco vaticano di fronte all'ingresso. Esso era stato originariamento dedicato a divinità pagane attraverso cerimonie profane. Anno 1586, secondo anno del ponteficato".


Le iscrizioni sugli altri lati recitano: 
"CHRISTUS VINCIT CHRISTUS REGNAT CHRISTUS IMPERAT CHRISTUS AB OMNI MALO PLEBEM SUAM DEFENDAT"
e
"ECCE CRUX DOMINI FUGITE PARTES ADVERSAE VICIT LEO DE TRIBU JUDA"   



Fabrizio Falconi © riproduzione riservata. 

11/04/12

25 anni fa la morte di Primo Levi.


L'11 aprile 1987 moriva Primo Levi. Il suo corpo lo trovarono al fondo della tromba delle scale nella casa dove abitava, in corso re Umberto a Torino.

Oggi, dopo 25 anni, sono stati annunciati i lavori di ristrutturazione che riapriranno tra qualche mese la palazzina dell'ex Siva di Settimo Torinese dove lui lavoro'. Era una fabbrica di vernici, diventera' un grande contenitore dove troveranno ospitalita' rifugiati politici provenienti da ogni parte del mondo, un museo, uno spazio teatrale e un punto vendita dei prodotti di Libera, prodotti provenienti dai terreni sequestrati alla mafia.

La gestione sara' affidata a Terra del Fuoco che gia' l'ha eretta a luogo simbolo di partenza del Treno della memoria che ogni anno porta centinaia di studenti in visita nei lager. In quella palazzina, a pochi metri dall'autostrada Torino-Milano, dal 1947 al 1975 si recava Primo Levi che ne divento' direttore generale.

All'epoca la Siva era la prima fornitrice di vernici isolanti dell'Unione Sovietica. Quell' esperienza lo segno' tanto che in molti suoi libri ci sono importanti riferimenti alla sua attivita' di chimico, un esempio su tutti "La chiave a stella".

Quando Levi vinse il Premio Campiello con il libro "La Tregua", i dipendenti della Siva gli fecero una grande festa nella sala mensa. Chiusa vent'anni fa, e' rimasta per lungo tempo uno dei tanti giganti di cemento che la deindustrializzazione ha distrutto, ma e' stata sottratta all'asta e quindi alla probabile demolizione, dal Comune di Settimo e dal suo sindaco Aldo Corgiat. Recentemente ha ottenuto un finanziamento dal Senato di 350 mila euro che permettono l'avvio dei lavori che si concluderanno - e' stato assicurato oggi - prima della partenza del prossimo treno della memoria, a gennaio 21013.

"Riconsegniamo alla citta' un simbolo importante dove troveranno spazio importanti attivita' storico-culturali, ha detto il sindaco Corgiat. "Oggi - ha aggiunto il presidente di terra del Fuoco, Oliviero Alotto - abbiamo la straordinaria opportunita' di dare una casa al Treno e ad altri progetti, una casa che vogliamo diventi un laboratorio di conoscenza e di riflessione, per noi, per i ragazzi e le ragazze del Treno e per tutti quelli che lo vorranno, a partire dal passato e dalla memoria che di quel passato costruiamo".

10/04/12

Gli obelischi di Roma - 2. Obelisco Capitolino.


Ecco la seconda puntata della nostra serie dedicata agli obelischi romani (qui la prima puntata). 

Procedendo nell'ordine temporale di ri-erezione dei 13 obelischi egizi autentici presenti a Roma, dopo la devastazione seguìta alla caduta dell'impero romano, tocca ora al secondo.

2. Obelisco capitolino, oggi situato nella villa Mattei – Celimontana.

fu rieretto nel 1407, che è anche l'anno al quale risalgono le prime notizie certe relative a questo obelisco. 

La stele è costituita di due pezzi, l'uno sormontante l'altro: quello inferiore, liscio e senza geroglifici, quello superiore, più breve (altezza: 2,68 m. ) e con geroglifici riconducibili a Ramesses II (1290- 1233 a.C.).

La provenienza è incerta: secondo alcuni autori era forse pendant di quello macuteo nell’Iseo Campense

Ri-eretto a seguito dei moti popolari romani del 1404 come simbolo libertario sul Campidoglio - esattamente sul lato destro del convento aracoelitano, dalla parte della piazza, in posizione sopraelevata -  fu rimosso e disteso a terra alla fine del 1537 sotto Paolo III Farnese nell’ambito dei lavori di risistemazione del Campidoglio. 

Nel 1582 fu donato dalle autorità capitoline al nobile Ciriaco Mattei che ne aveva fatto richiesta per abbellire il circo nella sua villa (attuale Celimontana dove si trova tuttora e dove è finalmente ammirabile nella sua elegante struttura, dopo anni di incuria). 


08/04/12

Raoul Precht a Roma con "I viaggi dell'Ofiuco".





Segnalo l'unica rappresentazione romana de  I Viaggi dell'Ofiuco, uno spettacolo teatrale costruito sull'ultima raccolta del poeta romano -  ma residente a Lussemburgo - Raoul Precht,  con Teo Bellia e voce recitante di Angiola Baggi.

Lo spettacolo andrà in scena domani, Lunedì 9 aprile 2012 alle 21:00 al



Via Romolo Gessi, 8 - Roma

(Prenotazione raccomandata al  347 2319450 (posti limitati)

E' un appuntamento da non mancare. 

La poesia della Domenica di Pasqua. 'Emmaus' di Cristina Campo.




Emmaus

...
Ti cercherò per questa terra che trema
lungo i ponti che appena ci sorreggono ormai
sotto i meli profusi, le viti in fiamme.
Volevo andarmene sola al Monte Athos
dicevo: restano pagine come torri
negli alti covi difesi da un rintocco.

...
Ma ora non sei più là, sei tra le grandi ali incerte
trapassate dal vento, negli aeroporti di luce.

...
Nei denti disperati degli amanti che non disserra
più il dolce fiotto, la via d'oro del figlio...

Cristina Campo (1923-1977)  Da La Tigre Assenza, Milano, 1991, p.36

07/04/12

Pasqua: l'evento della resurrezione.



Su cosa è basata la fede di coloro che si dicono cristiani ?

Viviamo in tempi non semplici per le religioni in generale e per il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare che al di là delle interpretazioni dei numeri e delle nuove conversioni  nei paesi dell'Asia o dell'Africa - sono costrette dalla rapida evoluzione dei tempi e dei costumi, a ri-pensare seriamente le proprie origini: su cosa è realmente radicata la propria fede. Su quale principio si appoggia, su 'cosa' si crede esattamente, come mette in luce anche la pregevole inchiesta sull'ultimo numero di Sette, il supplemento del Corriere della Sera.  

Il fondamento del Cristianesimo - che è una religione personificata, cioè una religione che crede sostanzialmente in una persona e cioè Gesù Cristo, che è figlio di Dio- e non solo e semplicemente in un insieme di precetti morali -  è la resurrezione dell'uomo Gesù.

Resurrezione che per i credenti cristiani non è affatto un evento simbolico o astratto, ma del tutto concreto, cioè storicamente avvenuto.  Questo fondamento paradossale è però il cardine sul quale si edifica l'intera costruzione della fede cristiana e senza del quale la fede cristiana non ha senso alcuno. 

Su questo insisteva, fino a rischiare di essere noioso, Paolo di Tarso.

Il quale nella Prima lettera ai Corinzi, fornisce un dettaglio di cronaca, sul quale spesso anche i cristiani tendono a sorvolare. 

Ma che invece è bene non dimenticare, anche perchè la Prima Lettera ai Corinzi è stata scritta intorno al periodo di Pasqua del 57 d.C. 

Si tratta quindi di uno dei più antichi (o del più antico in assoluto )scritti neo-testamentari - precedente alla stessa redazione dei Vangeli - e redatto a breve distanza dai fatti raccontati, cioè ad appena venticinque anni dalla morte di Gesù Cristo.  

Quando dunque molte delle persone che 'avevano visto' , dovevano essere ancora in vita. 

Ecco infatti quel che scrive Paolo:

Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Cor 15,3-8). 

 Molto si è discusso e si continuerà a discutere sul senso di queste misteriosissime parole (specie le ultime). Ma su di esse, non bisognerebbe smettere di ragionare, quando si parla di Cristianesimo.

06/04/12

Gli obelischi di Roma - 1 Obelisco Macuteo




Chi ama Roma e le sue meraviglie dimentica forse troppo spesso che i più antichi manufatti umani esistenti nella città Eterna, non appartengono all'epoca Romana, bensì precedono questa epoca di parecchi secoli, e in qualche caso anche di più di un millennio. 

Roma è infatti la città al mondo a possedere il maggior numero di Obelischi Egizi autentici, e cioè ben 13. 

La grandissima parte di questi obelischi furono trasportati dall'altra sponda del Mediterraneo - dove avevano già alle spalle una storia plurisecolare - dalle navi romane, al termine di incredibili viaggi che comportavano difficoltà tecniche impensabili, per noi moderni.

E' importante ricordare infatti che per i Romani gli Obelischi mantenevano intatto il loro valore simbolico soltanto se perfettamente integri (al punto che al primo accenno di crepatura, durante il trasporto, essi venivano immediatamente abbandonati).  

Dunque queste operazioni di trasporto si avvalevano di tecniche ingegneristiche assolutamente straordinarie. Per averne un'idea basta leggere le cronache del trasporto di un obelisco moderno - quello detto di Mussolini al Foro Italico, fatto discendere via fiume (Tevere) dalle cave di Carrara, durante il Ventennio - per rendersi conto di quali e quante difficoltà bisognava affrontare, anche in tempi tecnologicamente  molto più avanzati.

In questa rassegna per il nostro blog, elencheremo i 13 obelischi romani nell'ordine esatto in cui furono ri-eretti, dopo le devastazioni che seguirono alla caduta dell'Impero Romano in seguito alle quali tutti - con l'unica eccezione dell'Obelisco Vaticano - furono abbattuti.

Cominciamo col cosiddetto Obelisco Macuteo, quello che oggi si trova di fronte al Pantheon. 

1. Obelisco macuteo ( oggi in piazza della Rotonda al Pantheon ) 
rieretto nell'anno1404.
Dimensioni:  – altezza dal piedistallo m.6,34.

Fu originariamente eretto dal faraone Ramesses II (1290-1223 a.c. ) a Heliopolis, oggi periferia de Il Cairo.

Presenta estesi Geroglifici. 

Proveniente dalla zona del Collegio Romano, dove sorgeva il tempio Iseum et serapeum, dedicato alle divinità dell'Antico Egitto, e abbattuto in seguito all'invasione di Roma da parte dei Goti, fu ri-eretto a seguito dei moti del 1404 nell’odierna Piazza san Macuto come simbolo libertario ( Schola Bruti ). 

Spostato sotto Clemente XI in Piazza del Pantheon ad ornamento della fontana del Della Porta del 1575, nell'anno 1711. 


04/04/12

40.000 visualizzazioni per il Blog .

Questo post semplicemente per ringraziare davvero i lettori che hanno permesso di raggiungere molto velocemente la 'bella cifra' di 40.000 visualizzazioni per questo Blog. 

Grazie ! 

03/04/12

Piccole bugie tra amici (Recensione)


 

Sta per uscire anche in Italia Les Petits Mouchoirs (tradotto impropriamente come al solito: "Piccole bugie tra amici"), il film di Guillaume Canet, che in Francia è diventato un piccolo 'caso' con 6 milioni di spettatori e molti articoli sui giornali.

Interpretato da ottimi attori come Marion Cotillard, François Cluzet e Jean Dujardin ('The Artist'), il film - una commedia agrodolce sulle vicende di un gruppo di amici quarantenni alle prese con la scomparsa di uno di loro (tema che sembra molto molto vicino a quello de 'Il Grande Freddo')  -  nella sua semplicità dice alcune cose interessanti sui vizi della contemporaneità occidentale e in particolare sulla condizione della 'generazione di mezzo'. 

Si scopre così che in  queste vite liberate e dissipate, e completamente incentrate sul sesso e sulla sessualità (vissute in modo nevrotico o paranoico), l'ultimo tabù rimasto è quello della omosessualità - ma solo di quella maschile. 

E' l'omosessualità, vera o presunta o immaginata di uno degli amici, a scatenare imbarazzi, reticenze, ironie, e insieme le risate più convinte offerte dal canovaccio della sceneggiatura.

Insieme a questo, l'altro enunciato del film - non molto originale, per la verità - è che questa generazione è fondamentalmente una generazione di immaturi, di persone non formate, di eterni adolescenti, incapaci di prendere una direzione, nella vita, perché eternamente in fuga dalle proprie responsabilità e dal sacrificio, eternamente inebriati dal piccolo o grande sballo continuo, dal divertimento - se possibile - che diventa tetro rituale di solitudine, dal cerebralismo inutile, dalla coltivazione ossessiva del proprio ego, esattamente come fanno gli adolescenti.  

La morte è l'unico antidoto, sembrerebbe decretare il film, l'unico mezzo che serve per crescere.   Per abbandonare i piccoli e grandi isterismi, le nevrosi, ed essere capaci di scoprire la parte autentica di sé, che normalmente si fa di tutto per non ascoltare, nel chiasso insensato di queste vite.

Un film interessante, decisamente troppo lungo - con almeno 40 minuti di troppo - che dimostra la vitalità del cinema d'Oltralpe.

01/04/12

La poesia della domenica - Il Giardino degli Ulivi di Rainer Maria Rilke.



IL GIARDINO DEGLI ULIVI

Egli s’inerpicò sotto il fogliame
Tutto grigio e come dissolto nella terra degli ulivi
Nella polvere affondò le mani ardenti
E infine vi adagiò la fronte.

Dopo tutto, era questa la fine.
E ora devo andarmene, mentre lo sguardo si spegne,
e mi domando perché vuoi che dica che tu esisti,
se più non riesco a trovarti.

Io non ti trovo più. Non in me, no.
E nemmeno negli altri. Non in questa pietra.
Non ti trovo più. E sono solo.

Solo con tutta l’umana miseria
Che tentai di alleviare in nome Tuo,
di Te che non esisti. O vergogna infinita...

Più tardi si raccontava: venne un Angelo-
Perché un Angelo? No, venne la notte
A sfiorare gli alberi, insensibile.
E nei loro sogni, s’agitavano gli apostoli.
Perché un Angelo? No, venne la notte.

E non fu insolita ma come tante;
come ne vengono a centinaia.
Là dormono cani e giacciono pietre.
Ah, una notte triste, una qualsiasi,
che aspetta si faccia nuovamente giorno.

Perché chi così prega non lo visitano gli angeli,
né notti di prodigio per lui scendono.

Tutti lasciano solo chi si perde,
e sono abbandonati anche dai padri
ed esclusi dal grembo delle madri.

Rainer Maria Rilke, in Poesie I, Torino, 1994, pp.471-3

30/03/12

Trio di fine Millennio - The E-book




E' una pagina del nuovo lavoro - pubblicato in forma di libro elettronico, ebook acquistabile da Amazon.com QUI -  realizzato su un testo poetico, Trio di fine millennio, di Fabrizio Falconi e dipinti - la serie Il Giardino - di Justin Bradshaw.  

Dalla premessa: 

Trio di fine millennio è stato originariamente scritto nell’estate del 1989 nel sud della Francia, durante i festeggiamenti per la ricorrenza del secondo centenario della Rivoluzione del 1789.
L’ispirazione originale derivò dalle suggestioni di quel viaggio, dal contrasto tra l’attraversamento della rigogliosa natura e dei colori di quelle regioni in quella stagione e gli intenti umani privati e collettivi.  
Tre canti di questo poemetto furono pubblicati indipendentemente dal contesto: esattamente I, V, VIII nella raccolta L’ombra del ritorno (Campanotto, Udine 1996) e di seguito in Poesie 1996-2007 (Campanotto, Udine 2007).
Il motivo per il quale è passato un così rilevante lasso di tempo tra il tempo della scrittura e quello della pubblicazione integrale del poemetto (in questa edizione) è nella rivisitazione del testo in periodi diversi, fino alla definitiva stesura del gennaio-febbraio 2012.
Il poemetto viene qui pubblicato insieme al ciclo di dipinti Il Giardino di Justin Bradshaw, che è coautore di questa opera.
La giustapposizione di opere pittoriche e di canti ci è sembrato l’inizio di un nuovo percorso per una creazione del tutto nuova, che si integra in modo imprevisto e imprevedibile e sollecita una lettura diversa, dei versi e dei dipinti.
Un bilancio o un attraversamento di un limite, una rivoluzione che attiene ai movimenti minimi del cuore (e a quelli sincronici della Storia) e a quelli delle cose viventi che in ogni tempo sanno rinnovarsi e fare nuovo il mondo. 

Bambino nel fiume



 Bambino nel fiume


Chi ti separerà dal silenzio immenso
e dal lugubre abbraccio dell'acqua ristagnante
da quello festoso dei gabbiani storditi dal vento
di marzo, dalle onde fuori che ti aspettavano
per celebrare l'unico degno funerale ?

Innaturale fine, Claudio dei tuoi pochi giorni
rifiutati, gettati nel cupo folle disinteresse
di quegli umani che avrebbero dovuto
curarti
vegliarti, proteggerti crescer-ti non abbandonar-ti

non distruggerti, non dimenticarti,
non sradicarti dal conto dei giorni,
dalla pena dei giorni, dal dono dei giorni,
tener-ti non buttar-ti
come se fossi una cosa e non un nome,

una cosa e non due occhi, non un sorriso
e un pianto, non un progetto non tuo, non di
quello che impropriamente si chiamava padre
tuo padre, né forse di Dio.
Tu eri, Claudio

tu sei lo scialo degli uomini
la disperazione
il loro non essere all'altezza di nulla,
il loro dimenticare tutto
il loro disprezzare tutto,

le onde ti accolgono Claudio,
tu che sei più forte di questo
tu che sei solo e solo rinasci
ogni volta dalle bocche di chi non ti nomina
e mai troverai requie nel cuore degli ingiusti.

Risvegliati insieme a Ofelia,
lasciati galleggiare,
prendi il volo muovi le ali
salta dal ponte e vai lontano,
nel chiarore e non voltarti nemmeno a guardare.

Fabrizio Falconi  © - marzo 2012

29/03/12

Carducci ammiratore di Whitman - una lettera inedita.


Giosue' Carducci ammirava lo "straordinario" poeta americano Walt Whitman (1819-1892), al punto da cercare di tradurre per ben tre volte la sua famosa raccolta di poesie "Foglie d'erba", che lo scrittore toscano ribattezzo' nelle sue versioni personali con il titolo "Fogliame".

E' quanto rivela una lettera del futuro primo Premio Nobel italiano indirizzata allo scrittore fiorentino Enrico Nencioni, riportata dallo studioso Silvio Balloni nel saggio "Walt Whitman e la letteratura americana nella Firenze dei Macchiaioli", che fa parte del volume "Americani aFirenze. Sargent e gli impressionisti del nuovo mondo", catalogodella mostra aperta fino al 15 luglio 2012 a Firenze in PalazzoStrozzi. 

Nella lettera che porta la data del 26 agosto 1881, Carducci manifestava apertamente la sua ammirazione per Whitman elogiando l'opera divulgativa in favore dell'autore statunitense svolta da Nencioni vero e proprio precursore, che per primo in Italia ne studio' in modo approfondito la poesia. 

"Sai che il 'Fogliame' americano io l'ho tradotto a lettera tre volte con il mio maestro di inglese? Mi venne subito voglia di tradurlo in esametri omerici. Tutti quei nomi a catalogo! Quelle enumerazioni, successioni, quelle serie di sentimenti, di figure straordinarie e vere! Io ne rimasi e ne sono rapito!", scriveva Carducci. 

In una lettera dello stesso periodo, Nencioni riportava il giudizio lusinghiero di Carducci verso la sua opera di divulgazione dei "grandi poeti" contemporanei. 

E Carducci aggiungeva: "Sai che cosa e' Whitman? E' il Courbet della poesia". 

fonte Adnkronos 

28/03/12

Ti ricordi quando sono nato ?




'Ti ricordi quando sono nato?'
'Sì' 
'Com'ero ?'
'Eri due occhi che mi guardavano. Nessuno mi aveva mai guardato così prima.'
'E così hai saputo chi eri ?'
'Sì, ho conosciuto il mio nome, prima di conoscere il tuo.'





26/03/12

La morte secondo Carl Gustav Jung (Liber Novus / Libro Rosso)



La lettura del Libro Rosso di Carl Gustav Jung è come addentrarsi in una miniera ricolma di gemme.   In questa pagina, che riporto a beneficio dei lettori di questo blog, una delle più potenti meditazioni - a mio avviso - sul significato e sul mistero della morte e del morire,  e della relazione della morte e del morire con la nostra vita. 

Per vederci chiaro ci è necessario il rigore della morte. La vita vuole vivere e morire, iniziare e morire. Non sei obbligato a vivere in eterno, ma puoi anche morire, perché c'è in te la volontà per tutte e due. Vita e morte devono bilanciarsi nella tua esistenza (*).

Gli uomini odierni hanno bisogno di un'ampia porzione di morte, perché in loro vivono troppe cose ingiuste, e troppe cose giuste muoiono in loro.  Giusto è chi mantiene l'equilibrio, sbagliato ciò che lo turba.  Ma una volta che l'equilibrio sia raggiunto allora è sbagliato ciò che mantiene l'equilibrio, e giusto ciò che lo turba.  Equilibrio è vita e morte allo stesso tempo.    Per la completezza della vita ci vuole un equilibrio con la morte.  Se accetto la morte, il mio albero rinverdisce, perché il morire esalta la vita.   Quando mi sprofondo nella morte che abbraccia il mondo intero, allora sbocciano i miei germogli.   Quanto la nostra vita ha bisogno della morte ! 

Proverai la gioia delle piccole cose solo se avrai accettato la morte.  Se invece ti guardi intorno avidamente in cerca di tutto ciò che potresti ancora vivere, allora nulla sarà mai grande abbastanza per il tuo piacere, le piccole cose che costantemente ti circondano non ti daranno più gioia.  Contemplo perciò la morte, perché essa mi insegna a vivere.

Se accogli in te la morte, essa è come una notte di brina e un presagio di sgomento, ma è una notte di brina che scende su un vigneto ricolmo di dolci grappoli. Presto sarai felice della tua ricchezza.  La morte fa maturare.  C'è bisogno della morte per poter raccogliere i frutti.  Senza la morte la vita non avrebbe senso, perché ciò che dura a lungo torna a eliminarsi da solo e nega il proprio significato.  Per esistere e godere della tua esistenza ti è necessaria la morte, e questa limitazione ti consente di portare a compimento la tua esistenza. 

(*)  nel manoscritto posteriore Jung prosegue questa frase così: "L'arte del vivere ciò che è giusto e lasciar morire ciò che è ingiusto."  Nel 1933 scrive: "La vita è un fluire di energia. Ma ogni processo energetico è irreversibile per principio e quindi diretto in modo univoco verso una meta: e tale meta è uno stato di riposo (...)  Nella seconda metà dell'esistenza rimane vive soltanto chi, con la vita, vuole morire.  Perché ciò che accade nell'ora segreta del mezzogiorno della vita è l'inversione della parabola, è la nascita della morte (...) "Non voler vivere" e "non voler morire" sono la stessa cosa.  Divenire e passare appartengono alla stessa curva"  (Anima e Morte, 1934, pp. 436-37)


Liber Novus/Libro Rosso, Bollati Boringhieri, 2009, pag. 274.

25/03/12

La poesia della Domenica - 'Se ti dovessi assentare' di Desmond O'Grady


E, sottratti all'agonia della luce,
lasciandoci dietro tutta la distruzione passata,
stendiamoci ancora sul vecchio letto
solido sotto il tetto d'alghe e bambù,
aprendo l'un l'altro bianche braccia felici.

Poi lascia che ti racconti tutta quella storia,
l'arte di sopravvivere nella lotta quotidiana:
i colpi dati, le percosse ricevute,
di anni vagabondi di vincite e di perdite
cercando di non diventare un distruttore.

Mentre veglio su di te, lascia cadere i lunghi capelli
che siano d'ombra alle tue spalle prima del sonno,
perché tutto questo luogo si romperà
e andrà in pezzi se ti dovessi assentare.

Desmond O'Grady - da 'Pillow Talk'. 

And, out of the light's agony
leaving behind all past destruction,
let us lie down again on that old bed
steadfast under the bamboo and seaweed ceiling, 
opening glad white arms to one another.

Then let me tell you all that story
That's the skill of survival in the daily struggle:
the blow's given, the beatings taken, 
of wandering for years and of wins and losses
in the search not to end a destroyer.

While I watch over you, let down your long hair
to shadow your shoulders before sleep
for all this place shall break
and fall apart should you go absent. 

24/03/12

L'orrore di Tolosa e Dostoevskij.






L'orrore dei fatti di Tolosa  e del killer Mohamed Mera che ha ucciso a freddo 7 persone, tra cui 3 bambini, ripropone ancora una volta le eterne domande sul male umano.  Di dove venga questa brutalità, questo orrore, questa mancanza di qualsiasi senso di pietà. 

Nessuno, meglio di Fedor Dostoevskij (1821 -1881), ha messo a nudo il cuore umano. Dostoevskij è un filosofo, prima che uno scrittore. In Russia lo sanno, e lo studiano come un filosofo.

Fedor Dostoevskij scrive ‘Ricordi dal sottosuolo nel 1864. Freud ha otto anni. Eppure, quel “sottosuolo” non è altro che l’inconscio. Dostoevskij lo scopre molto prima di Freud, lo descrive così bene, che se oggi si rimette mano a quel libretto, si resta senza parole. 

Dostoevskij scrive I Demoni nel 1871 e I Fratelli Karamazov nel 1879. Nietzsche completerà Così parlò Zarathustra e Al di là del Bene e del Male alcuni anni più tardi nel 1885 e nel 1886. Eppure in quei due romanzi di Dostoevskij c’è già tutta la filosofia del nichilismo ( si pensi al personaggio di Ivan, nei Karamazov). 

Cosa è il ‘sottosuolo’ ? E’, secondo D. , la sede di quel ‘male’ che avvelena la nostra vita, e ci tarpa le ali. Un male che non è sempre ‘male’, ma che noi percepiamo come ‘male’. 

Ma che cosa è il male ? 


- Il male, secondo Dostoevskij non è in principio una realtà sostanziale (in senso manicheo). Ma non è neppure solo una «privazione del bene», ossia la scelta di un bene inferiore in luogo di un bene superiore (come voleva Agostino). Il male nasce nell’animo dell’uomo: è una volizione negativa, che, proprio respingendo il bene superiore, si impone come una forza distruttiva che produce il male nella sua reale dimensione.

- Secondo Dostoevskij la libertà consiste nel riconoscimento e nella volizione del Principio supremo dell’Essere e del Bene, oppure nel rifiuto di esso, con tutto ciò che ne consegue. E quindi è una forza che si distingue dal bene e dal male, i quali si realizzano, in quanto tali, proprio in conseguenza della libertà. Dostoevskij è giunto alla fede passando attraverso il nichilismo, e indagando la autodistruzione di esso.

- La fede presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. In risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 esprimeva la forza veramente dirompente della sua fede: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità». 

In questi tre passi – evidenziati con rara chiarezza in un recente bellissimoarticolo di Giovanni Reale, sul Corriere – c’è tutta l’essenza dell’esperienza di Dostoevskij. Che ci riguarda tutti da vicino. 
Perché l’Uomo, ogni uomo, è sempre e ancora a questo punto. E con questi punti che deve fare – ancora e sempre – i conti, nella propria vita. 

Se ha interesse, almeno, a cercare un senso. E si rifiuta di vivere, alla stregua di un animale, seguendo semplicemente il corso dei propri istinti, del proprio"sottosuolo".