10/04/12

Gli obelischi di Roma - 2. Obelisco Capitolino.


Ecco la seconda puntata della nostra serie dedicata agli obelischi romani (qui la prima puntata). 

Procedendo nell'ordine temporale di ri-erezione dei 13 obelischi egizi autentici presenti a Roma, dopo la devastazione seguìta alla caduta dell'impero romano, tocca ora al secondo.

2. Obelisco capitolino, oggi situato nella villa Mattei – Celimontana.

fu rieretto nel 1407, che è anche l'anno al quale risalgono le prime notizie certe relative a questo obelisco. 

La stele è costituita di due pezzi, l'uno sormontante l'altro: quello inferiore, liscio e senza geroglifici, quello superiore, più breve (altezza: 2,68 m. ) e con geroglifici riconducibili a Ramesses II (1290- 1233 a.C.).

La provenienza è incerta: secondo alcuni autori era forse pendant di quello macuteo nell’Iseo Campense

Ri-eretto a seguito dei moti popolari romani del 1404 come simbolo libertario sul Campidoglio - esattamente sul lato destro del convento aracoelitano, dalla parte della piazza, in posizione sopraelevata -  fu rimosso e disteso a terra alla fine del 1537 sotto Paolo III Farnese nell’ambito dei lavori di risistemazione del Campidoglio. 

Nel 1582 fu donato dalle autorità capitoline al nobile Ciriaco Mattei che ne aveva fatto richiesta per abbellire il circo nella sua villa (attuale Celimontana dove si trova tuttora e dove è finalmente ammirabile nella sua elegante struttura, dopo anni di incuria). 


08/04/12

Raoul Precht a Roma con "I viaggi dell'Ofiuco".





Segnalo l'unica rappresentazione romana de  I Viaggi dell'Ofiuco, uno spettacolo teatrale costruito sull'ultima raccolta del poeta romano -  ma residente a Lussemburgo - Raoul Precht,  con Teo Bellia e voce recitante di Angiola Baggi.

Lo spettacolo andrà in scena domani, Lunedì 9 aprile 2012 alle 21:00 al



Via Romolo Gessi, 8 - Roma

(Prenotazione raccomandata al  347 2319450 (posti limitati)

E' un appuntamento da non mancare. 

La poesia della Domenica di Pasqua. 'Emmaus' di Cristina Campo.




Emmaus

...
Ti cercherò per questa terra che trema
lungo i ponti che appena ci sorreggono ormai
sotto i meli profusi, le viti in fiamme.
Volevo andarmene sola al Monte Athos
dicevo: restano pagine come torri
negli alti covi difesi da un rintocco.

...
Ma ora non sei più là, sei tra le grandi ali incerte
trapassate dal vento, negli aeroporti di luce.

...
Nei denti disperati degli amanti che non disserra
più il dolce fiotto, la via d'oro del figlio...

Cristina Campo (1923-1977)  Da La Tigre Assenza, Milano, 1991, p.36

07/04/12

Pasqua: l'evento della resurrezione.



Su cosa è basata la fede di coloro che si dicono cristiani ?

Viviamo in tempi non semplici per le religioni in generale e per il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare che al di là delle interpretazioni dei numeri e delle nuove conversioni  nei paesi dell'Asia o dell'Africa - sono costrette dalla rapida evoluzione dei tempi e dei costumi, a ri-pensare seriamente le proprie origini: su cosa è realmente radicata la propria fede. Su quale principio si appoggia, su 'cosa' si crede esattamente, come mette in luce anche la pregevole inchiesta sull'ultimo numero di Sette, il supplemento del Corriere della Sera.  

Il fondamento del Cristianesimo - che è una religione personificata, cioè una religione che crede sostanzialmente in una persona e cioè Gesù Cristo, che è figlio di Dio- e non solo e semplicemente in un insieme di precetti morali -  è la resurrezione dell'uomo Gesù.

Resurrezione che per i credenti cristiani non è affatto un evento simbolico o astratto, ma del tutto concreto, cioè storicamente avvenuto.  Questo fondamento paradossale è però il cardine sul quale si edifica l'intera costruzione della fede cristiana e senza del quale la fede cristiana non ha senso alcuno. 

Su questo insisteva, fino a rischiare di essere noioso, Paolo di Tarso.

Il quale nella Prima lettera ai Corinzi, fornisce un dettaglio di cronaca, sul quale spesso anche i cristiani tendono a sorvolare. 

Ma che invece è bene non dimenticare, anche perchè la Prima Lettera ai Corinzi è stata scritta intorno al periodo di Pasqua del 57 d.C. 

Si tratta quindi di uno dei più antichi (o del più antico in assoluto )scritti neo-testamentari - precedente alla stessa redazione dei Vangeli - e redatto a breve distanza dai fatti raccontati, cioè ad appena venticinque anni dalla morte di Gesù Cristo.  

Quando dunque molte delle persone che 'avevano visto' , dovevano essere ancora in vita. 

Ecco infatti quel che scrive Paolo:

Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Cor 15,3-8). 

 Molto si è discusso e si continuerà a discutere sul senso di queste misteriosissime parole (specie le ultime). Ma su di esse, non bisognerebbe smettere di ragionare, quando si parla di Cristianesimo.

06/04/12

Gli obelischi di Roma - 1 Obelisco Macuteo




Chi ama Roma e le sue meraviglie dimentica forse troppo spesso che i più antichi manufatti umani esistenti nella città Eterna, non appartengono all'epoca Romana, bensì precedono questa epoca di parecchi secoli, e in qualche caso anche di più di un millennio. 

Roma è infatti la città al mondo a possedere il maggior numero di Obelischi Egizi autentici, e cioè ben 13. 

La grandissima parte di questi obelischi furono trasportati dall'altra sponda del Mediterraneo - dove avevano già alle spalle una storia plurisecolare - dalle navi romane, al termine di incredibili viaggi che comportavano difficoltà tecniche impensabili, per noi moderni.

E' importante ricordare infatti che per i Romani gli Obelischi mantenevano intatto il loro valore simbolico soltanto se perfettamente integri (al punto che al primo accenno di crepatura, durante il trasporto, essi venivano immediatamente abbandonati).  

Dunque queste operazioni di trasporto si avvalevano di tecniche ingegneristiche assolutamente straordinarie. Per averne un'idea basta leggere le cronache del trasporto di un obelisco moderno - quello detto di Mussolini al Foro Italico, fatto discendere via fiume (Tevere) dalle cave di Carrara, durante il Ventennio - per rendersi conto di quali e quante difficoltà bisognava affrontare, anche in tempi tecnologicamente  molto più avanzati.

In questa rassegna per il nostro blog, elencheremo i 13 obelischi romani nell'ordine esatto in cui furono ri-eretti, dopo le devastazioni che seguirono alla caduta dell'Impero Romano in seguito alle quali tutti - con l'unica eccezione dell'Obelisco Vaticano - furono abbattuti.

Cominciamo col cosiddetto Obelisco Macuteo, quello che oggi si trova di fronte al Pantheon. 

1. Obelisco macuteo ( oggi in piazza della Rotonda al Pantheon ) 
rieretto nell'anno1404.
Dimensioni:  – altezza dal piedistallo m.6,34.

Fu originariamente eretto dal faraone Ramesses II (1290-1223 a.c. ) a Heliopolis, oggi periferia de Il Cairo.

Presenta estesi Geroglifici. 

Proveniente dalla zona del Collegio Romano, dove sorgeva il tempio Iseum et serapeum, dedicato alle divinità dell'Antico Egitto, e abbattuto in seguito all'invasione di Roma da parte dei Goti, fu ri-eretto a seguito dei moti del 1404 nell’odierna Piazza san Macuto come simbolo libertario ( Schola Bruti ). 

Spostato sotto Clemente XI in Piazza del Pantheon ad ornamento della fontana del Della Porta del 1575, nell'anno 1711. 


04/04/12

40.000 visualizzazioni per il Blog .

Questo post semplicemente per ringraziare davvero i lettori che hanno permesso di raggiungere molto velocemente la 'bella cifra' di 40.000 visualizzazioni per questo Blog. 

Grazie ! 

03/04/12

Piccole bugie tra amici (Recensione)


 

Sta per uscire anche in Italia Les Petits Mouchoirs (tradotto impropriamente come al solito: "Piccole bugie tra amici"), il film di Guillaume Canet, che in Francia è diventato un piccolo 'caso' con 6 milioni di spettatori e molti articoli sui giornali.

Interpretato da ottimi attori come Marion Cotillard, François Cluzet e Jean Dujardin ('The Artist'), il film - una commedia agrodolce sulle vicende di un gruppo di amici quarantenni alle prese con la scomparsa di uno di loro (tema che sembra molto molto vicino a quello de 'Il Grande Freddo')  -  nella sua semplicità dice alcune cose interessanti sui vizi della contemporaneità occidentale e in particolare sulla condizione della 'generazione di mezzo'. 

Si scopre così che in  queste vite liberate e dissipate, e completamente incentrate sul sesso e sulla sessualità (vissute in modo nevrotico o paranoico), l'ultimo tabù rimasto è quello della omosessualità - ma solo di quella maschile. 

E' l'omosessualità, vera o presunta o immaginata di uno degli amici, a scatenare imbarazzi, reticenze, ironie, e insieme le risate più convinte offerte dal canovaccio della sceneggiatura.

Insieme a questo, l'altro enunciato del film - non molto originale, per la verità - è che questa generazione è fondamentalmente una generazione di immaturi, di persone non formate, di eterni adolescenti, incapaci di prendere una direzione, nella vita, perché eternamente in fuga dalle proprie responsabilità e dal sacrificio, eternamente inebriati dal piccolo o grande sballo continuo, dal divertimento - se possibile - che diventa tetro rituale di solitudine, dal cerebralismo inutile, dalla coltivazione ossessiva del proprio ego, esattamente come fanno gli adolescenti.  

La morte è l'unico antidoto, sembrerebbe decretare il film, l'unico mezzo che serve per crescere.   Per abbandonare i piccoli e grandi isterismi, le nevrosi, ed essere capaci di scoprire la parte autentica di sé, che normalmente si fa di tutto per non ascoltare, nel chiasso insensato di queste vite.

Un film interessante, decisamente troppo lungo - con almeno 40 minuti di troppo - che dimostra la vitalità del cinema d'Oltralpe.

01/04/12

La poesia della domenica - Il Giardino degli Ulivi di Rainer Maria Rilke.



IL GIARDINO DEGLI ULIVI

Egli s’inerpicò sotto il fogliame
Tutto grigio e come dissolto nella terra degli ulivi
Nella polvere affondò le mani ardenti
E infine vi adagiò la fronte.

Dopo tutto, era questa la fine.
E ora devo andarmene, mentre lo sguardo si spegne,
e mi domando perché vuoi che dica che tu esisti,
se più non riesco a trovarti.

Io non ti trovo più. Non in me, no.
E nemmeno negli altri. Non in questa pietra.
Non ti trovo più. E sono solo.

Solo con tutta l’umana miseria
Che tentai di alleviare in nome Tuo,
di Te che non esisti. O vergogna infinita...

Più tardi si raccontava: venne un Angelo-
Perché un Angelo? No, venne la notte
A sfiorare gli alberi, insensibile.
E nei loro sogni, s’agitavano gli apostoli.
Perché un Angelo? No, venne la notte.

E non fu insolita ma come tante;
come ne vengono a centinaia.
Là dormono cani e giacciono pietre.
Ah, una notte triste, una qualsiasi,
che aspetta si faccia nuovamente giorno.

Perché chi così prega non lo visitano gli angeli,
né notti di prodigio per lui scendono.

Tutti lasciano solo chi si perde,
e sono abbandonati anche dai padri
ed esclusi dal grembo delle madri.

Rainer Maria Rilke, in Poesie I, Torino, 1994, pp.471-3

30/03/12

Trio di fine Millennio - The E-book




E' una pagina del nuovo lavoro - pubblicato in forma di libro elettronico, ebook acquistabile da Amazon.com QUI -  realizzato su un testo poetico, Trio di fine millennio, di Fabrizio Falconi e dipinti - la serie Il Giardino - di Justin Bradshaw.  

Dalla premessa: 

Trio di fine millennio è stato originariamente scritto nell’estate del 1989 nel sud della Francia, durante i festeggiamenti per la ricorrenza del secondo centenario della Rivoluzione del 1789.
L’ispirazione originale derivò dalle suggestioni di quel viaggio, dal contrasto tra l’attraversamento della rigogliosa natura e dei colori di quelle regioni in quella stagione e gli intenti umani privati e collettivi.  
Tre canti di questo poemetto furono pubblicati indipendentemente dal contesto: esattamente I, V, VIII nella raccolta L’ombra del ritorno (Campanotto, Udine 1996) e di seguito in Poesie 1996-2007 (Campanotto, Udine 2007).
Il motivo per il quale è passato un così rilevante lasso di tempo tra il tempo della scrittura e quello della pubblicazione integrale del poemetto (in questa edizione) è nella rivisitazione del testo in periodi diversi, fino alla definitiva stesura del gennaio-febbraio 2012.
Il poemetto viene qui pubblicato insieme al ciclo di dipinti Il Giardino di Justin Bradshaw, che è coautore di questa opera.
La giustapposizione di opere pittoriche e di canti ci è sembrato l’inizio di un nuovo percorso per una creazione del tutto nuova, che si integra in modo imprevisto e imprevedibile e sollecita una lettura diversa, dei versi e dei dipinti.
Un bilancio o un attraversamento di un limite, una rivoluzione che attiene ai movimenti minimi del cuore (e a quelli sincronici della Storia) e a quelli delle cose viventi che in ogni tempo sanno rinnovarsi e fare nuovo il mondo. 

Bambino nel fiume



 Bambino nel fiume


Chi ti separerà dal silenzio immenso
e dal lugubre abbraccio dell'acqua ristagnante
da quello festoso dei gabbiani storditi dal vento
di marzo, dalle onde fuori che ti aspettavano
per celebrare l'unico degno funerale ?

Innaturale fine, Claudio dei tuoi pochi giorni
rifiutati, gettati nel cupo folle disinteresse
di quegli umani che avrebbero dovuto
curarti
vegliarti, proteggerti crescer-ti non abbandonar-ti

non distruggerti, non dimenticarti,
non sradicarti dal conto dei giorni,
dalla pena dei giorni, dal dono dei giorni,
tener-ti non buttar-ti
come se fossi una cosa e non un nome,

una cosa e non due occhi, non un sorriso
e un pianto, non un progetto non tuo, non di
quello che impropriamente si chiamava padre
tuo padre, né forse di Dio.
Tu eri, Claudio

tu sei lo scialo degli uomini
la disperazione
il loro non essere all'altezza di nulla,
il loro dimenticare tutto
il loro disprezzare tutto,

le onde ti accolgono Claudio,
tu che sei più forte di questo
tu che sei solo e solo rinasci
ogni volta dalle bocche di chi non ti nomina
e mai troverai requie nel cuore degli ingiusti.

Risvegliati insieme a Ofelia,
lasciati galleggiare,
prendi il volo muovi le ali
salta dal ponte e vai lontano,
nel chiarore e non voltarti nemmeno a guardare.

Fabrizio Falconi  © - marzo 2012

29/03/12

Carducci ammiratore di Whitman - una lettera inedita.


Giosue' Carducci ammirava lo "straordinario" poeta americano Walt Whitman (1819-1892), al punto da cercare di tradurre per ben tre volte la sua famosa raccolta di poesie "Foglie d'erba", che lo scrittore toscano ribattezzo' nelle sue versioni personali con il titolo "Fogliame".

E' quanto rivela una lettera del futuro primo Premio Nobel italiano indirizzata allo scrittore fiorentino Enrico Nencioni, riportata dallo studioso Silvio Balloni nel saggio "Walt Whitman e la letteratura americana nella Firenze dei Macchiaioli", che fa parte del volume "Americani aFirenze. Sargent e gli impressionisti del nuovo mondo", catalogodella mostra aperta fino al 15 luglio 2012 a Firenze in PalazzoStrozzi. 

Nella lettera che porta la data del 26 agosto 1881, Carducci manifestava apertamente la sua ammirazione per Whitman elogiando l'opera divulgativa in favore dell'autore statunitense svolta da Nencioni vero e proprio precursore, che per primo in Italia ne studio' in modo approfondito la poesia. 

"Sai che il 'Fogliame' americano io l'ho tradotto a lettera tre volte con il mio maestro di inglese? Mi venne subito voglia di tradurlo in esametri omerici. Tutti quei nomi a catalogo! Quelle enumerazioni, successioni, quelle serie di sentimenti, di figure straordinarie e vere! Io ne rimasi e ne sono rapito!", scriveva Carducci. 

In una lettera dello stesso periodo, Nencioni riportava il giudizio lusinghiero di Carducci verso la sua opera di divulgazione dei "grandi poeti" contemporanei. 

E Carducci aggiungeva: "Sai che cosa e' Whitman? E' il Courbet della poesia". 

fonte Adnkronos 

28/03/12

Ti ricordi quando sono nato ?




'Ti ricordi quando sono nato?'
'Sì' 
'Com'ero ?'
'Eri due occhi che mi guardavano. Nessuno mi aveva mai guardato così prima.'
'E così hai saputo chi eri ?'
'Sì, ho conosciuto il mio nome, prima di conoscere il tuo.'





26/03/12

La morte secondo Carl Gustav Jung (Liber Novus / Libro Rosso)



La lettura del Libro Rosso di Carl Gustav Jung è come addentrarsi in una miniera ricolma di gemme.   In questa pagina, che riporto a beneficio dei lettori di questo blog, una delle più potenti meditazioni - a mio avviso - sul significato e sul mistero della morte e del morire,  e della relazione della morte e del morire con la nostra vita. 

Per vederci chiaro ci è necessario il rigore della morte. La vita vuole vivere e morire, iniziare e morire. Non sei obbligato a vivere in eterno, ma puoi anche morire, perché c'è in te la volontà per tutte e due. Vita e morte devono bilanciarsi nella tua esistenza (*).

Gli uomini odierni hanno bisogno di un'ampia porzione di morte, perché in loro vivono troppe cose ingiuste, e troppe cose giuste muoiono in loro.  Giusto è chi mantiene l'equilibrio, sbagliato ciò che lo turba.  Ma una volta che l'equilibrio sia raggiunto allora è sbagliato ciò che mantiene l'equilibrio, e giusto ciò che lo turba.  Equilibrio è vita e morte allo stesso tempo.    Per la completezza della vita ci vuole un equilibrio con la morte.  Se accetto la morte, il mio albero rinverdisce, perché il morire esalta la vita.   Quando mi sprofondo nella morte che abbraccia il mondo intero, allora sbocciano i miei germogli.   Quanto la nostra vita ha bisogno della morte ! 

Proverai la gioia delle piccole cose solo se avrai accettato la morte.  Se invece ti guardi intorno avidamente in cerca di tutto ciò che potresti ancora vivere, allora nulla sarà mai grande abbastanza per il tuo piacere, le piccole cose che costantemente ti circondano non ti daranno più gioia.  Contemplo perciò la morte, perché essa mi insegna a vivere.

Se accogli in te la morte, essa è come una notte di brina e un presagio di sgomento, ma è una notte di brina che scende su un vigneto ricolmo di dolci grappoli. Presto sarai felice della tua ricchezza.  La morte fa maturare.  C'è bisogno della morte per poter raccogliere i frutti.  Senza la morte la vita non avrebbe senso, perché ciò che dura a lungo torna a eliminarsi da solo e nega il proprio significato.  Per esistere e godere della tua esistenza ti è necessaria la morte, e questa limitazione ti consente di portare a compimento la tua esistenza. 

(*)  nel manoscritto posteriore Jung prosegue questa frase così: "L'arte del vivere ciò che è giusto e lasciar morire ciò che è ingiusto."  Nel 1933 scrive: "La vita è un fluire di energia. Ma ogni processo energetico è irreversibile per principio e quindi diretto in modo univoco verso una meta: e tale meta è uno stato di riposo (...)  Nella seconda metà dell'esistenza rimane vive soltanto chi, con la vita, vuole morire.  Perché ciò che accade nell'ora segreta del mezzogiorno della vita è l'inversione della parabola, è la nascita della morte (...) "Non voler vivere" e "non voler morire" sono la stessa cosa.  Divenire e passare appartengono alla stessa curva"  (Anima e Morte, 1934, pp. 436-37)


Liber Novus/Libro Rosso, Bollati Boringhieri, 2009, pag. 274.

25/03/12

La poesia della Domenica - 'Se ti dovessi assentare' di Desmond O'Grady


E, sottratti all'agonia della luce,
lasciandoci dietro tutta la distruzione passata,
stendiamoci ancora sul vecchio letto
solido sotto il tetto d'alghe e bambù,
aprendo l'un l'altro bianche braccia felici.

Poi lascia che ti racconti tutta quella storia,
l'arte di sopravvivere nella lotta quotidiana:
i colpi dati, le percosse ricevute,
di anni vagabondi di vincite e di perdite
cercando di non diventare un distruttore.

Mentre veglio su di te, lascia cadere i lunghi capelli
che siano d'ombra alle tue spalle prima del sonno,
perché tutto questo luogo si romperà
e andrà in pezzi se ti dovessi assentare.

Desmond O'Grady - da 'Pillow Talk'. 

And, out of the light's agony
leaving behind all past destruction,
let us lie down again on that old bed
steadfast under the bamboo and seaweed ceiling, 
opening glad white arms to one another.

Then let me tell you all that story
That's the skill of survival in the daily struggle:
the blow's given, the beatings taken, 
of wandering for years and of wins and losses
in the search not to end a destroyer.

While I watch over you, let down your long hair
to shadow your shoulders before sleep
for all this place shall break
and fall apart should you go absent. 

24/03/12

L'orrore di Tolosa e Dostoevskij.






L'orrore dei fatti di Tolosa  e del killer Mohamed Mera che ha ucciso a freddo 7 persone, tra cui 3 bambini, ripropone ancora una volta le eterne domande sul male umano.  Di dove venga questa brutalità, questo orrore, questa mancanza di qualsiasi senso di pietà. 

Nessuno, meglio di Fedor Dostoevskij (1821 -1881), ha messo a nudo il cuore umano. Dostoevskij è un filosofo, prima che uno scrittore. In Russia lo sanno, e lo studiano come un filosofo.

Fedor Dostoevskij scrive ‘Ricordi dal sottosuolo nel 1864. Freud ha otto anni. Eppure, quel “sottosuolo” non è altro che l’inconscio. Dostoevskij lo scopre molto prima di Freud, lo descrive così bene, che se oggi si rimette mano a quel libretto, si resta senza parole. 

Dostoevskij scrive I Demoni nel 1871 e I Fratelli Karamazov nel 1879. Nietzsche completerà Così parlò Zarathustra e Al di là del Bene e del Male alcuni anni più tardi nel 1885 e nel 1886. Eppure in quei due romanzi di Dostoevskij c’è già tutta la filosofia del nichilismo ( si pensi al personaggio di Ivan, nei Karamazov). 

Cosa è il ‘sottosuolo’ ? E’, secondo D. , la sede di quel ‘male’ che avvelena la nostra vita, e ci tarpa le ali. Un male che non è sempre ‘male’, ma che noi percepiamo come ‘male’. 

Ma che cosa è il male ? 


- Il male, secondo Dostoevskij non è in principio una realtà sostanziale (in senso manicheo). Ma non è neppure solo una «privazione del bene», ossia la scelta di un bene inferiore in luogo di un bene superiore (come voleva Agostino). Il male nasce nell’animo dell’uomo: è una volizione negativa, che, proprio respingendo il bene superiore, si impone come una forza distruttiva che produce il male nella sua reale dimensione.

- Secondo Dostoevskij la libertà consiste nel riconoscimento e nella volizione del Principio supremo dell’Essere e del Bene, oppure nel rifiuto di esso, con tutto ciò che ne consegue. E quindi è una forza che si distingue dal bene e dal male, i quali si realizzano, in quanto tali, proprio in conseguenza della libertà. Dostoevskij è giunto alla fede passando attraverso il nichilismo, e indagando la autodistruzione di esso.

- La fede presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. In risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 esprimeva la forza veramente dirompente della sua fede: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità». 

In questi tre passi – evidenziati con rara chiarezza in un recente bellissimoarticolo di Giovanni Reale, sul Corriere – c’è tutta l’essenza dell’esperienza di Dostoevskij. Che ci riguarda tutti da vicino. 
Perché l’Uomo, ogni uomo, è sempre e ancora a questo punto. E con questi punti che deve fare – ancora e sempre – i conti, nella propria vita. 

Se ha interesse, almeno, a cercare un senso. E si rifiuta di vivere, alla stregua di un animale, seguendo semplicemente il corso dei propri istinti, del proprio"sottosuolo". 


23/03/12

Neruda: all'asta "Los versos del Capitan", scritto a Capri, che ispirò "Il Postino" (uno dei libri più rari al mondo).


Va all'asta il libro del poeta cileno Pablo Neruda, "Los versos del Capitan", che ispiro' "IlPostino", il romanzo di Antonio Skarmeta pubblicato nel 1986 e divenuto celebre per la trasposizione cinematografica realizzata da Massimo Troisi nel 1994. 

E' un libro di mitica rarita' di cui non si registrano copie vendute in asta nei decenni scorsi. Sara' messo in vendita dalla casa Bloomsbury a Roma (Palazzo Odelscalchi) martedi' 27 marzo con una stima che oscilla tra 15.000 e 20.000 euro. 

Neruda lo scrisse a Capri nel 1951, esule e ospite nella villa che era stata di Curzio Malaparte, e lo pubblico' l'anno successivo a Napoli, presso Arte Tipografica (8 luglio 1952), finanziato dai compagni italiani comunisti e socialisti. 

La tiratura fu di sole 44 copie, 3 per lo stesso Neruda e le altre 41 per i suoi famosi sottoscrittori, tra cui Renato Guttuso, Salvatore Quasimodo, Giulio Einaudi, Elsa Morante, ma anche Giorgio Napolitano, allora giovane dirigente comunista napoletano. Notevole la rarita' di questo volume originale di Neruda sul mercato antiquario: nessuna copia e' stata battuta prima all'asta da quando e' uscito alle stampe e solo di recente, nel marzo 2011, un libraio antiquario pugliese offriva la copia n.19 (quella per Salvatore Quasimodo) a 40.000 euro, per poi venderla presumibilmente a 30.000 euro. 

La copia proposta da Bloomsbury e' in brossura editoriale verdina con testa di Gorgone al centro, al frontespizio una figura mitologica che ritorna a pagina 13 in posa diversa, e a pagina 177 una veduta di Capri con barche in primo piano. 

La copia riporta l'elenco dei sottoscrittori, con il colophon con l'indicazione della tiratura di soli 44 esemplari destinati ai sottoscrittori (in questo caso il n.35), delicati restauri al dorso e alla cuffia superiore della copertina, con un piccolo strappetto al primo foglio di guardia. 

Nel 1951 Neruda fu ospite in esilio a Capri nella villa dello storico italiano Edwin Cerio (la medesima di Malaparte), dove compose gli struggenti versi d'amore per Matilde Urrutia, la sua musa ispiratrice dopo la separazione con Delia del Carril. "I versi del Capitano" e' un libro che occupa un posto particolare nella vasta produzione di Neruda. 

Fu pubblicato inizialmente anonimo, precauzione presa dal poeta per non offendere la prima moglie, Delia del Carril, a cui si sentiva ancora sentimentalmente legato. Questi versi costituiscono infatti un unico canto d'amore per la donna che da poco era entrata nella sua vita e che non si sarebbe mai distolta dal suo fianco, nei momenti buoni e in quelli cattivi: Matilde Urrutia. 

Alla prima edizione di soli 44 esemplari per amici e sottoscrittori, segui' un'edizione argentina ad ampia diffusione e l'autore dei versi fu facilmente smascherato, non senza qualche dispiacere da parte di chi vedeva in questi versi "intimi" un abbandono dell'impegno e della lotta. Timore fuori luogo, perche' in Neruda amore e lotta non sono mai in constrasto: l'amore e' anche lotta per un futuro migliore

Neruda lascera' l'Italia prima ancora di veder stampato il volume, che gli verra' inviato solo l'anno successivo in Cile. La vicenda di questo breve soggiorno, durato pochi mesi, ha ispirato il romanzo "Il Postino" di Skarmeta

22/03/12

Prima vera




"quante primavere hai?"


"perchè non mi chiedi quanti autunni, o quanti inverni?" 


"non mi interessa quante volte sei morto. Mi interessa quante volte sei rinato."






Tonino Guerra, Andrej Tarkovskij e la Russia.



Nel giorno della scomparsa di Tonino Guerra, ricordiamo con questo articolo il suo forte legame con la cultura e con il popolo russo, che sfociò nella collaborazione con il grande Andrej Tarkovskij (insieme nella foto qui sopra).

''Per me venire a Mosca e' un po' come tornare a casa'': lo diceva spesso Tonino Guerra, che a volte si sentiva piu' amato e apprezzato nel Paese di Tolstoj che in patria, come conferma l'eccezionale risalto dato dai media locali alla notizia della sua scomparsa.

Meta' della sua anima era russa, grazie alla moglie Eleonora Iablockina, chiamata affettuosamente Nora, conosciuta nel 1975 in casa di amici durante il festival del cinema di Mosca. E' stata lei a fargli conoscere e ad amare il Paese, diventando anche traduttrice di molte sue opere in russo.

Ma Tonino Guerra ha lasciato qui un segno profondo diventando una delle icone piu' popolari della cultura italiana. A partire dal cinema, dove ha lavorato con l'''esule'' ed amico AndreiTarkovskji (che nel '77 gli fece da testimone di nozze insieme a Michelangelo Antonioni): prima per il documentario Rai 'Tempo di viaggio', poi per il film 'Nostalgia' (1983), entrambi girati in Italia. Ma lo sceneggiatore ha collaborato anche con altri registi russi, come Vladimir Naumov ('La festa bianca', 'Orologio senza frecce'), Andrei Khrzhanovski ('Il cane e il suo generale', 'Il Leone con la barba bianca', 'Lungo viaggio' e 'Ninna nanna per un grillo', questi ultimi con disegni di Fellini) e con il Leone d'oro Alexandr Sokurov per il suo documentario 'Elegia di Mosca' dedicato a Tarkovskji.

La frequentazione dell'Urss da parte di Tonino Guerra e' comunque antica: fu lui a farla scoprire a Vittorio De Sica nel film 'I Girasoli' (1970), in parte ambientato a Mosca. Antica e' anche l'amicizia con Iuri Liubimov, 94 anni, patriarca del teatro sovietico e russo, fondatore del teatro d'avanguardia Taganka, dove i due si conobbero negli anni Settanta e dove sino allo scorso dicembre Liubimov ha continuato a mettere in scena il poema di Tonino Guerra 'Miod' (Miele).


(Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra) 



''Un artista arrivato dall'epoca del Rinascimento, un uomo di talento poliedrico'', ha detto all'ANSA il regista, che ha proposto un minuto di silenzio durante una prova al teatro Vakhtankov dei 'Demoni' di Dostoievskij. ''Era un mago, trasformava qualsiasi cosa in una poesia, un racconto, una parabola'', ricorda parlando con l'ANSA il direttore del Museo del Cinema di Mosca Naum Kleiman, che lo conosceva dagli anni Sessanta.

''Portava la gioia dentro di se' e la regalava agli altri, quando stavi con lui ti sentivi felice, era un piccolo sole che emanava luce''. Luce propria, non solo quella riflessa che gli derivava dall'aver lavorato con alcuni tra i piu' grandi registi della storia, a partire da Fellini. La Russia ha reso omaggio al suo genio in tanti modi: con mostre, recital, traduzioni delle sue opere, premi, lauree honoris causa (anche al mitico Vgik, l'istituto superiore di cinematografia russa).

Nel 2000 l'allora presidente Putin, in occasione dei suoi 80 anni, gli conferi' l'Ordine dell'Amicizia, una delle piu' alte onorificenze russe, ''per il suo alto contributo al rafforzamento dell'amicizia e allo sviluppo dei rapporti culturali tra Italia e Russia''.

Tre anni dopo la citta' di San Pietroburgo, dove esiste una galleria dedicata a Tonino Guerra, lo nomino' suo ambasciatore culturale e per i suoi 90 anni organizzo' dieci giorni di festeggiamenti solenni. ''Tanto affetto e tanta attenzione mi commuovono. Non so se me lo merito e non so nemmeno fino a che punto la Russia e' degna dell'amore che ho per lei'', aveva umilmente osservato.


(Tarkovskij e Guerra sul set di Nostalghia)