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18/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (2./)




Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (2./)

Il pensiero è un dono di Dio: davvero l’intera vita di Florenskij sembra santificare questo assunto.  Le scelte degli  anni a partire dal 1910 non furono facili. Alla serenità della vita privata – il ventottenne Pavel sposò nel 1910 Anna Michaijlovna Giacintova, che gli diede cinque figli, Vasilij, Kirill, Olga, Mikail e Marija-Tinatin  – corrispose un crescendo di difficoltà, dovute appunto al suo impegnarsi sempre più concretamente nella vita religiosa.  

Dal 1912, dopo esser divenuto Magister  in Teologia,  cominciò a svolgere infatti attività pastorale presso la Chiesa di Maria Maddalena e quella di direttore della rivista Bogoslovskij Vestnik (Messaggero Teologico).   Di pari passo procedeva la sua carriera accademica, con la pubblicazione di saggi – il monumentale La colonna e il fondamento della Verità, nel quale riassunse il senso e il significato storico della spiritualità russa – e la successione di corsi e conferenze, fino alla nomina nel 1921 a professore all’Accademia libera di cultura spirituale fondata da Berdjaev, dove teneva corsi di Analisi della spazialità nell’opera d’arte.

Questo incredibile  eclettismo – dal 1921 lavorò anche nei laboratori di ricerca della più grande compagnia elettrica del paese, pubblicò studi, brevettò nuove invenzioni, fece ricerche botaniche e di mineralogia – gli fece meritare, già dai suoi contemporanei,  l’appellativo di Pascal russo oppure di Leonardo da Vinci della Russia (4).

Ma questi anni di febbrile attività per Florenskij, sono anche gli anni in cui la Russia si incendiò al fuoco della rivoluzione d’Ottobre. Alle dieci di sera del 7 novembre del 1917 i bolscevichi attaccarono il Palazzo d’Inverno di Pietrogrado. Nei giorni che seguono venne formato il Soviet dei commissari del popolo, il primo provvisorio governo. Dopo la caduta di Mosca, la rivoluzione  rapidamente si estese a tutta la Russia. Il cambiamento di clima, per Florenskij e per quelli come lui, fu immediato.

Due anni dopo, nel Testamento, il 26 giugno 1919, scrive: 
      Cari figli miei, questo periodo della rivoluzione è stato talmente difficile che non si può nemmeno immaginare; è stato difficile, e lo è, e Dio sa quanto ancora durerà. Le epidemie, la fame, il costo della vita incredibilmente elevato, la mancanza di diritti, la possibilità di ogni genere di violenza, insomma tutto quanto ci si può immaginare di difficile non è mai mancato attorno a noi. (5)

In realtà questo è soltanto l’inizio. L’inizio di un lungo calvario personale per il “mistico scienziato”.

Le sue colpe, agli occhi di un sistema che iniziò ben presto a farsi intollerante nei confronti di qualsiasi tipo di dissidenza, furono la pubblicazione di vibranti libelli contro la dissacrazione generalizzata e violenta dei luoghi e degli oggetti sacri, perfino contro il cambiamento dei nomi e delle città e delle strade, in omaggio alla rivoluzione, contro quella che appariva a Padre Pavel come una totale distruzione dell’intero patrimonio della cultura russa.  

Nonostante alcuni avvertimenti, Florenskij venne risparmiato dalle prime ondate di arresti di presunti o veri controrivoluzionari, solo per la sua attività e i ruoli ricoperti in campo scientifico (era redattore della Enciclopedia Tecnica e membro di Direzione della Compagnia Elettrica), ma la situazione, in breve, precipitò anche per lui.  Il continuare ad essere un sacerdote, infatti,  nonostante la responsabilità di incarichi scientifici di così alta portata stava diventando intollerabile.  

Arrestato  una prima volta nel 1928 – e liberato grazie all’interessamento della moglie di Maksim Gorkij, tornò ad esserlo nel 1933 con l’accusa falsa di essere membro di una organizzazione clandestina controrivoluzionaria.  Stavolta però la condanna è durissima: dieci anni di lavori forzati e l’imposizione di continuare comunque l’attività scientifica.  Il passaggio per la Lubjanka fu, per Florenskij come per gli altri dissidenti, devastante: torture fisiche e psicologiche, un processo farsa, l’induzione ad auto incolparsi di reati inesistenti per salvare almeno qualche compagno di prigionia.   Dalla Lubjanka ai Lager il passo è breve: per Florenskij si aprirono dapprima le porte di quello di Skovorodino, in Siberia, poi – dopo un viaggio allucinante, quelle delle isole Solovki, di cui abbiamo già parlato, da cui si muoverà soltanto per andare incontro alla fucilazione.

(2./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

4.     Queste notizie sono tratte dal saggio  L’arte della gratuità, di Natalino Valentini, introduzione a Non dimenticatemi, op. cit. pag. 13
5.     Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit. pag. 415.     

17/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



  Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



Quando Pavel Florenskij scriveva, nel 1914: Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo …  divora i propri figli. L'essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica (1) probabilmente non poteva certo immaginare che proprio la sua opera – unitamente alla parabola della sua vita – avrebbe così evidentemente contraddetto questa legge.   La nascita e la morte, aggiungeva,  sono i poli di un'unica realtà: chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale. (2)

Il destino di Pavel Florenskij era stato quello di morire fucilato vicino Leningrado -  insieme ad altri 500 deportati dal Gulag delle isole Solovki, brandelli di terra nel nulla del Mar Bianco, dove Florenskij era stato internato dopo essere stato arrestato  il 26 febbraio del 1933 -  con questa accusa: “svolge attività controrivoluzionaria, inneggiando al nemico del popolo Trockij”.

Davvero uno strano destino, per lui, ordinato sacerdote della Chiesa Ortodossa nel 1911 finire i suoi giorni in un campo di prigionia - nell’estremo nord della Russia, esattamente sulla linea del Circolo Polare Artico -  che era in origine un antico complesso monastico, uno dei maggiori centri di spiritualità dell’ortodossia russa, trasformato dal regime bolscevico nel 1923 in SLON, ovvero Lager a destinazione speciale delle Solovki.        

Pavel ci era finito proprio perché ad ingrossare le fila dei detenuti di questo gulag erano soprattutto credenti, in particolare vescovi, preti, monaci e religiosi. 

Eppure, Florenskij non si era mai sognato di essere un controrivoluzionario militante, e pagava l’unica colpa di testimoniare la libertà di pensiero e di aver scelto l’esperienza ecclesiale al termine di un lungo percorso di consapevolezza, in un tempo in cui tutta l’intelligencija russa virava verso un forte sentimento anticlericale e antireligioso.   

Non v’è dubbio alcuno che quella che fu spenta in quel giorno d’ottobre, nel massacro di Sandormoch, fu una delle menti più brillanti dell’intero Novecento.  E la personalità, il pensiero scientifico, la filosofia di Florenskij sono sfuggite all’oblio. Non solo: oggi fioriscono ovunque saggi e studi a lui dedicati, e il suo lascito spirituale  - specialmente dopo l’apertura degli archivi del KGB -  oltre che puramente letterario continua ad apparire un luminoso esempio per le generazioni future.

Nato il 9 gennaio del 1882 nella città di Evlach, nell’Azerbaigian, Florenskij era il primogenito di sette figli nato dall’unione tra un ingegnere e la colta erede di una famiglia armena.   Su di lui, studente precoce e portato per la scienza, ebbero  una grande influenza le  opere dell’ultimo  Tolstoj:  il grande romanzo di Resurrezione,   e soprattutto La confessione. 

All’inizio del 1900, dopo molti anni passati in Georgia con la famiglia, intraprese gli studi all’Università di Mosca, dove si laureò in Matematica e Fisica quattro anni più tardi, discutendo una tesi di laurea sul principio di discontinuità che suscitò immediato interesse nel mondo accademico.   Ma lo studio della fisica e della matematica non bastavano ad una sete di conoscenza famelica: Florenskij negli stessi anni, cominciò a nutrire interesse per la filosofia antica, per la storia, per la poesia.   Infine nel 1904 la decisione di iscriversi alla Facoltà teologica di Mosca, dove come se non bastasse, cominciò ad approfondire le materie bibliche, liturgiche, insieme allo studio delle lingue antiche.  Forse più e meglio di altri Florenskij finì per incarnare un modello di aspirazione per un nuovo sapere multidisciplinare, sintesi di un modo di ri-pensare il mondo che – a cavallo del Novecento – si andava disfacendo, disgregando in una nuova (per molti aspetti spaventosa) complessità.

Nella religione Florenskij cercava il necessario complemento a quella metafisica completa capace di affrontare la lettura del mondo come un insieme.  Il cammino verso l’unità e quindi verso la verità era, per lui, fatto di passaggi attraverso i contrari, fino a congiungerli insieme, ma senza mai  fare confusione  e mantenendo le distinzioni; nella sintesi del Simbolo perfetto (Uno e Trino),  separato e inseparabile - era il pensiero di Florenskij -  c’è la formula che si può estendere a qualsiasi simbolo relativo, e a qualsiasi opera d’arte.


Cari figli miei, scriveva nel Testamento – iniziato l’11 aprile del 1917 , pochi giorni dopo lo smantellamento dell’Accademia Teologica moscovita nella quale Florenskij insegnava, e la cui redazione si protrasse per diversi anni fino al 1922 nel presagio dei drammi futuri che lo aspettavano - non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. (3)

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Pavel A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, p. 54.   Questa è la prima traduzione mondiale di un’opera di Florenskij, e certamente contribuì in modo rilevante alla sua riscoperta in tutto l’occidente.
2.     Pavel A. Florenskij , Lo spazio e il tempo nell'arte, a cura di N. Misler, Adelphi, Milano 1995, p. 261
3.     Il Testamento di Pavel Florenskij è contenuto nella edizione italiana di Non dimenticatemi, a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak,  edizioni Mondadori, Milano, 2000.  Cit. pag. 418. 

19/10/13

Dieci grandi anime - 2. Andrej Tarkovskij (3./)




Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (3)

Tarkovskij si sente a un bivio, e sa che sta per arrivare l’ora di una difficile scelta, che appare però inevitabile.  Sono divenute sempre più frequenti le visite, in Russia, di Tonino Guerra, uno dei maggiori sceneggiatori italiani. Guerra parla il russo, è un poeta, come il padre di Andrej.  Nasce una grande amicizia, un rapporto profondo e creativo, il progetto di lavorare insieme ad un nuovo film (7) .  Ogni nuova visita di Tonino Guerra a Mosca, rappresenta una tentazione per Tarkovskij, il quale capisce che si tratta forse dell’occasione che il destino gli ha messo davanti per abbandonare definitivamente il suo paese, e lavorare finalmente senza più pressioni, senza più censure, liberamente all’estero, dove il suo lavoro è apprezzato e pienamente riconosciuto.

Il 5 gennaio del 1979, scrive nei Diari:

Larisa (8) e io stiamo pensando molto seriamente a Tonino.  Non si può continuare così. Come farò a restituire i debiti che abbiamo ? Non so come riuscirò a consegnare Stalker. Che non accetteranno senza che io apporti cambiamenti radicali al film, cambiamenti che io, in ogni caso, mi rifiuto di introdurre. Solo un vero miracolo mi può aiutare.
       E se me ne andassi sull’onda di un grosso scandalo ? Questo significherebbe almeno due anni di tormenti: per Andrjuska a scuola, per Marina, la mamma, mio padre. Sarebbero sottoposti a continue vessazioni.   Cosa posso fare ?! Non mi resta che pregare! E avere fede.     E la cosa più importante è che questo (quello della croce) è un simbolo che non bisogna capire, ma soltanto sentire, capire…  Nonostante tutto, credere…     Siamo crocefissi in una sola dimensione, mentre il mondo è pluridimensionale. E noi questo lo sentiamo e soffriamo per l’impossibilità di conoscere la verità…. Ma non serve conoscere ! Bisogna amare. E credere. Perché la fede è conoscere tramite l’amore. (9).
      
E’ un passaggio molto importante questo, per Tarkovskij.

La fuga dalla Russia si concretizzerà prima con il permesso ottenuto nel 1979 per raggiungere Roma e contattare i dirigenti RAI per la realizzazione del progettato film italo-russo scritto con Tonino Guerra, e poi, dopo un breve intermezzo moscovita, con il definitivo distacco dell’aprile 1980, quando Tarkovskij sfrutta l’invito del premio David di Donatello -  Lo Specchio ha ottenuto il massimo riconoscimento dalla giuria - per raggiungere nuovamente l’Italia.  

Gli anni dell’esilio significano per Tarkovskij una ulteriore chiusura in se stesso. L’isolamento a cui lo costringe la lingua – non parla inglese, soltanto russo e poco francese – le difficoltà continue con le autorità del suo Paese, che negano l’espatrio con ogni pretesto a Larisa e al figlio,  la frequentazione di ambienti estranei e completamente diversi (molto più disinvolti, superficiali, mondani) da quelli che è stato abituato a frequentare nel suo paese, lo portano a intensificare le note dei suoi Diari, e a spingere la sua ricerca spirituale a una radicalità estrema.

Sono anni di viaggi continui, di esplorazioni – insieme a Tonino Guerra girano in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di locations per Nostalghia – di partecipazioni a festival e cerimonie in suo onore, a salotti borghesi nei quali egli rappresenta l’ospite esotico, l’intellettuale russo in esilio, che lo fanno sentire sempre più un pesce fuor d’acqua.

Si fa più profondo, in quest’uomo troppo intelligente e introverso, un rifiuto delle inutili apparenze. Una continua ricerca della vera sostanza.


Nel mondo si possono riscontrare in assoluto un numero assai maggiore di squarci verso l’Assoluto di quanto possa sembrare a prima vista. Solo che non li sappiamo vedere e riconoscere, scrive nel luglio del 1981, la nostra conoscenza non è che sudore, secrezione organica, prodotto delle funzioni naturali dell’organismo inseparabili dall’esistenza, che non ha nessun rapporto con la Verità.  L’unica funzione della nostra coscienza è quelle di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall’anima. (10) 

(segue -3./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.   Sarà Nostalghia, che uscirà quattro anni dopo, nel 1983, verrà scritto a quattro mani da Guerra e Tarkovskij e sarà girato interamente in Italia, prodotto dalla RAI.
2.   Larisa Pavlova Egorkina è la moglie di Tarkovskij, sposata in seconde nozze nel 1969 e da cui l’anno seguente il regista ha il suo secondo figlio, Andrej Andreevic. Larisa resterà fedelmente  – nonostante i sette anni di forzata separazione – al fianco di Tarkovskij fino all’ultimo giorno della sua vita.
3.   Op.cit. pag.237
4.   Op.cit. pag. 400

22/03/12

Tonino Guerra, Andrej Tarkovskij e la Russia.



Nel giorno della scomparsa di Tonino Guerra, ricordiamo con questo articolo il suo forte legame con la cultura e con il popolo russo, che sfociò nella collaborazione con il grande Andrej Tarkovskij (insieme nella foto qui sopra).

''Per me venire a Mosca e' un po' come tornare a casa'': lo diceva spesso Tonino Guerra, che a volte si sentiva piu' amato e apprezzato nel Paese di Tolstoj che in patria, come conferma l'eccezionale risalto dato dai media locali alla notizia della sua scomparsa.

Meta' della sua anima era russa, grazie alla moglie Eleonora Iablockina, chiamata affettuosamente Nora, conosciuta nel 1975 in casa di amici durante il festival del cinema di Mosca. E' stata lei a fargli conoscere e ad amare il Paese, diventando anche traduttrice di molte sue opere in russo.

Ma Tonino Guerra ha lasciato qui un segno profondo diventando una delle icone piu' popolari della cultura italiana. A partire dal cinema, dove ha lavorato con l'''esule'' ed amico AndreiTarkovskji (che nel '77 gli fece da testimone di nozze insieme a Michelangelo Antonioni): prima per il documentario Rai 'Tempo di viaggio', poi per il film 'Nostalgia' (1983), entrambi girati in Italia. Ma lo sceneggiatore ha collaborato anche con altri registi russi, come Vladimir Naumov ('La festa bianca', 'Orologio senza frecce'), Andrei Khrzhanovski ('Il cane e il suo generale', 'Il Leone con la barba bianca', 'Lungo viaggio' e 'Ninna nanna per un grillo', questi ultimi con disegni di Fellini) e con il Leone d'oro Alexandr Sokurov per il suo documentario 'Elegia di Mosca' dedicato a Tarkovskji.

La frequentazione dell'Urss da parte di Tonino Guerra e' comunque antica: fu lui a farla scoprire a Vittorio De Sica nel film 'I Girasoli' (1970), in parte ambientato a Mosca. Antica e' anche l'amicizia con Iuri Liubimov, 94 anni, patriarca del teatro sovietico e russo, fondatore del teatro d'avanguardia Taganka, dove i due si conobbero negli anni Settanta e dove sino allo scorso dicembre Liubimov ha continuato a mettere in scena il poema di Tonino Guerra 'Miod' (Miele).


(Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra) 



''Un artista arrivato dall'epoca del Rinascimento, un uomo di talento poliedrico'', ha detto all'ANSA il regista, che ha proposto un minuto di silenzio durante una prova al teatro Vakhtankov dei 'Demoni' di Dostoievskij. ''Era un mago, trasformava qualsiasi cosa in una poesia, un racconto, una parabola'', ricorda parlando con l'ANSA il direttore del Museo del Cinema di Mosca Naum Kleiman, che lo conosceva dagli anni Sessanta.

''Portava la gioia dentro di se' e la regalava agli altri, quando stavi con lui ti sentivi felice, era un piccolo sole che emanava luce''. Luce propria, non solo quella riflessa che gli derivava dall'aver lavorato con alcuni tra i piu' grandi registi della storia, a partire da Fellini. La Russia ha reso omaggio al suo genio in tanti modi: con mostre, recital, traduzioni delle sue opere, premi, lauree honoris causa (anche al mitico Vgik, l'istituto superiore di cinematografia russa).

Nel 2000 l'allora presidente Putin, in occasione dei suoi 80 anni, gli conferi' l'Ordine dell'Amicizia, una delle piu' alte onorificenze russe, ''per il suo alto contributo al rafforzamento dell'amicizia e allo sviluppo dei rapporti culturali tra Italia e Russia''.

Tre anni dopo la citta' di San Pietroburgo, dove esiste una galleria dedicata a Tonino Guerra, lo nomino' suo ambasciatore culturale e per i suoi 90 anni organizzo' dieci giorni di festeggiamenti solenni. ''Tanto affetto e tanta attenzione mi commuovono. Non so se me lo merito e non so nemmeno fino a che punto la Russia e' degna dell'amore che ho per lei'', aveva umilmente osservato.


(Tarkovskij e Guerra sul set di Nostalghia) 

29/12/11

'Cercare Dio' - 25 anni dalla morte di Tarkovskij.



In occasione del 25mo anniversario della morte di Andrej Tarkovskij, pubblico l'incipit del capitolo a lui dedicato di un libro di prossima pubblicazione, intitolato Cercare Dio. E' la rivisitazione della vicenda umana e artistica del grande regista attraverso le memorie contenute nei suoi Diari. 

Per una di quelle circostanze che decidono i destini degli uomini – in questo caso l’essere nato in un periodo storico di feroci opposizioni e blocchi contrapposti – il corpo del grande Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi autori della storia del cinema, riposa lontano dal suo paese, il paese dove è nato, e dove hanno vissuto i suoi predecessori.

La tomba di Tarkovskij non è infatti a Zavraz’e, il piccolo villaggio sulle rive del Volga dove il regista nacque il 4 aprile del 1932, e nemmeno in nessun altro cimitero della sconfinata Russia, ma al cimitero ortodosso di Saint-Géneviève-des-Bois, nei pressi di Parigi. Se Tarkovskij fu seppellito in Francia, e non nel suo paese, fu dovuto alla decisione della moglie Larisa, che rifiutò l’offerta da parte delle autorità sovietiche di far rimpatriare il corpo del grande regista perché fosse sepolto a Mosca. 


La decisione era del tutto conseguente a una estenuante guerra, cominciata molti anni prima, con le autorità sovietiche che – da sempre, dall’inizio, da L’infanzia di Ivan, girato nel 1962 – avevano mal sopportato i contenuti dei film di Tarkovskij, l’ermetismo e il forte simbolismo delle immagini, e soprattutto i riconoscimenti tributati all’estero ad un autore considerato genialmente innovativo. 

Il conflitto con le autorità di controllo dello spettacolo sale, pellicola dopo pellicola, fino alla decisione di Tarkovskij, inevitabile, di usufruire nel luglio del 1979 di un permesso di espatrio, per raggiungere l’Italia e lavorare finalmente liberamente ad un nuovo progetto. Decisione alla quale il regime sovietico darà una risposta durissima, impedendo alla moglie del regista Larisa, e al figlio Andrej – che all’epoca aveva solo nove anni – di raggiungere Tarkovskij. I tre – marito da una parte, moglie e figlio dall’altra – resteranno separati per sette lunghi anni, fino a pochi mesi prima della morte del regista, avvenuta appunto nel dicembre del 1986 a Parigi.

(segue) 

28/12/11

25 anni dalla morte di Andrej Tarkovskij - "Avvenire" pubblica intervista inedita.



Ricorrono domani i 25 anni dalla scomparsa, che avvenne a Parigi, di Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi registi della storia del cinema, e grande anima.   In questa occasione il quotidiano Avvenire pubblica oggi una intervista inedita che ripercorre il pensiero e l'opera di questo grande artista. 

(mi permetto di segnalare soltanto una imprecisione - o quella che si percepisce come tale - nella introduzione all'intervista laddove si afferma che in quella conferenza stampa del 1984 Tarkovskij avrebbe preso la decisione di "tagliare il cordone ombelicale con l'adorata madre Russia", ecc...
Per la precisione, Tarkovskij quel cordone l'aveva tagliato già molto tempo prima, già dal 1979 quando aveva raggiunto Roma per contattare i dirigenti RAI per la realizzazione del progettato film italo-russo scritto con Tonino Guerra, e poi, dopo un breve intermezzo moscovita, con il definitivo distacco dell’aprile 1980, quando Tarkovskij sfruttò l’invito del premio David di Donatello - Lo Specchio aveva ottenuto il massimo riconoscimento dalla giuria - per raggiungere nuovamente l’Italia.  Da allora, non fece mai più ritorno in Russia, ma soprattutto fu impedito dalle autorità sovietiche a lungo alla moglie Larisa prima, e al figlio piccolo Andrej poi, di raggiungerlo liberamente. Una separazione lunga e dolorosa che minò il cuore (e il corpo) del grande regista.")
Fabrizio Falconi

Andrej Tarkovskij: "Il mio stalker é Don Chisciotte." 

Faceva molto caldo, quel giorno del luglio 1984, a Milano. Ancor più nel salone del Circolo della Stampa, stipato di giornalisti, fotogra­fi, cameramen, intellettuali disorgani­ci. L’afa era insopportabile, ma un bri­vido corse nella schiena di tutti quan­do apparve quell’omino nervoso, dal­la fisionomia vagamente tartara; occhi vivacissimi, baffi ispidi, una foresta di rughe sul volto. Andrej Tarkovskij quel giorno era teso come una corda di vio­lino. Pensavo al suo primo cortome­traggio, noto solo ai cinefili più acca­niti: Il rullo compressore e il violino . Se ora il violino era lui, il rullo compres­sore era il regime sovietico che voleva spezzarne le sue corde, impedirgli di suonare. Tanto che quel giorno di lu­glio il geniale regista di Andrej Rubliov e di Solaris, de Lo specchio e di Nostal­ghia, aveva deciso di annunciare che avrebbe tagliato il cordone ombelica­le con l’adorata Madre Russia, avreb­be scelto l’Occidente. «Ragioni ve ne sono tante», spiegò alla stampa di tut­to il mondo che gli chiedeva le ragioni del suo 'basta' urlato in faccia al Crem­lino. «Ma me ne vado soprattutto per­ché le autorità del mio paese ormai mi considerano una non-persona: per il Cremlino non esisto». E a chi insiste­va per sapere a quale paese avrebbe chiesto asilo politico, ribatteva con sar­casmo: «Domanda strana: è come se vedendomi distrutto per la morte di u­na persona cara mi chiedessero dove voglio seppellirla. Che importanza ha?» Il dolore dell’esilio era davvero troppo. Chissà se fu quello a fare ammalare Tarkovskij: due anni dopo, il regista si spegneva a Parigi, a soli 54 anni. Era il 29 dicembre 1986, esattamente 25 an­ni fa. In Svezia, aveva ancora fatto in tempo a girare il profetico Il sacrificio .
Un film che, quel caldo giorno di lu­glio, era già ben chiaro nella sua testa. Come ci aveva spiegato, appena poche ore dopo la storica conferenza stampa, in un lungo colloquio a metà fra la con­fessione e il testamento. Parole, le sue, che un quarto di secolo dopo stupi­scono per la loro attualità. Le propo­niamo qui per la prima volta al lettore italiano. Roberto Copello 


02/06/10

Pavel Florenskij il pensiero contro l' ideologia.


Pavel Florenskij il pensiero contro l' ideologia

un articolo di Vito Mancuso per Repubblica.


L' incontro con Pavel Florenskij ha segnato profondamente la mia vita e quindi questo articolo lo si deve intendere come una dichiarazione d' amore. L' occasioneè la nuova edizione del capolavoro del 1914 La colonna e il fondamento della verità grazie al contributo encomiabile di Natalino Valentini, al quale si deve la cura di molti altri scritti, tra cui Bellezza e liturgia, l' epistolario dal gulag Non dimenticatemi e le memorie Ai miei figli.

Come ogni dichiarazione d' amore, anche questa si rivolge alla più intima umanità dell' interessato, a quel mistero personale non riassumibile nelle sue conoscenze. Dico questo per liberare Florenskij dall' incanto della sua genialità («il Leonardo da Vinci della Russia») per l' essere stato matematico, fisico, ingegnere, e, sull' altro versante, teologo, filosofo, storico dell' arte. Marito e padre di cinque figli, fu anche sacerdote ortodosso, status che gli costò la vita nel 1937.

Essere sacerdote e insieme scienziato era una smentita vivente dell' ideologia comunista, per la quale la fede era solo ignoranza: la dittatura non poteva tollerarlo e non lo tollerò. Da una lettera del 1917 emerge la sua inconfondibile personalità: «Nello spazio ampio della mia anima non vi sono leggi, non voglio la legalità, non riesco ad apprezzarla... Non mi turba nessun ostacolo costruito da mani d' uomo: lo brucio, lo spacco, diventando di nuovo libero, lasciandomi portare dal soffio del vento».

Eccoci al cospetto di un nesso incandescente: dedizione assoluta per «la colonna e il fondamento della verità» e insieme vibrante ribellione a ogni legaccio della libertà. Si comprende così come non solo per il regime ma anche per la Chiesa gerarchica il suo pensiero era ed è destabilizzante, tant' è che ancora oggi, nonostante il martirio, Florenskij non è stato beatificato. Durante la prigionia scriveva al figlio Kirill: «Ho cercato di comprendere la struttura del mondo con una continua dialettica del pensiero».

Dialettica vuol dire movimento, pensiero vivo, perché «il pensiero vivo è per forza dialettico», mentre il pensiero che non si muove è quello morto dell' ideologia, che, nella versione religiosa, si chiama dogmatismo. Il pensiero si muove se è sostenuto da intelligenza, libertà interiore e soprattutto amore per la verità, qualità avverse a ogni assolutismo e abbastanza rare anche nella religiosità tradizionale. Al riguardo Florenskij racconta che da bambino «il nome di Dio, quando me lo ponevano quale limite esterno, quale sminuimento del mio essere uomo, era in grado di farmi arrabbiare tantissimo». La sua lezione spirituale è piuttosto un' altra: la fede non è un assoluto, è relativa, relativa alla ricerca della verità. Quando la fede non si comprende più come via verso qualcosa di più grande ma si assolutizza, si fossilizza in dogmatismo e tradisce la verità.

La dialettica elevata a chiave del reale si chiama antinomia, concetto decisivo per Florenskij che significa «scontro tra due leggi» entrambe legittime. L' antinomia si ottiene guardando la vita, che ha motivi per dire che ha un senso e altri opposti. Di solito gli uomini scelgono una prospettiva perché tenerle entrambe è lacerante, ma così mutilano l' esperienza integrale della realtà. Ne viene che ciò che i più ritengono la verità, è solo un polo della verità integrale, per attingere la quale occorre il coraggio di muoversi andando dalla propria prospettiva verso il suo contrario. Conservando la propria verità, e insieme comprendendone il contrario, si entra nell' antinomia. «La verità è antinomica e non può non essere tale», scrive Florenskij nello straordinario capitolo della Colonna dedicato alla contraddizione dove convengono Eraclito, Platone, Cusano, Fichte, Schelling, Hegel. Ma è per Kant l' elogio più alto: «Kant ebbe l' ardire di pronunciare la grande parola "antinomia", che distrusse il decoro della pretesa unità. Anche solo per questo egli meriterebbe gloria eterna».

In realtà questa celebrazione della vita aldilà del concetto è il trionfo dell' anima russa, quella di Puskin, Gogol' , Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Pasternak, e che pure traspare da molte pagine di Florenskij cariche di poesia. Per lui anche la Bibbia e la dottrina sono colme di antinomie, in particolare la Lettera ai Romani è «una bomba carica di antinomie». Ma di ciò si deve preoccupare solo chi ha una concezione dottrinale del cristianesimo, non chi, come Florenskij, lo ritiene funzionale alla vita. Tra i due nomoi dell' antinomia non c' è però per Florenskij perfetta simmetria: operativamente egli privilegia il polo positivo. Pur sapendo bene che «la vita non è affatto una festa, ma ci sono molte cose mostruose, malvagie, tristi e sporche», non cede mai alla rassegnazione o al cinismo; al contrario insegna ai figli che «rendendosi conto di tutto questo, bisogna avere dinnanzi allo sguardo interiore l' armonia e cercare di realizzarla». Tale armonia non può venire dal mondo, dove regna l' antinomia, ma da una dimensione più profonda.

La voglio illustrare con alcune righe del testamento spirituale, iniziato nel 1917, l' anno della rivoluzione, avendo subito intuito la minaccia che incombeva su di lui: «Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso sull' animo, guardate le stelle o l' azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all' aria aperta e intrattenetevi, da soli, col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete».

VITO MANCUSO

26/05/09

La Teologia di Dostoevskij - Un articolo di Giovanni Reale.


Cari amici, se avete letto e amato nella vostra vita capolavori assoluti come "L'idiota" o "I fratelli Karamazov", pietre miliari della letteratura - ma anche della filosofia e della spiritualità - credo di farvi un regalo postandovi questo articolo qui sotto pubblicato qualche giorno fa nelle pagine culturali del Corriere della Sera, e firmato da Giovanni Reale. Credo che sia un articolo bellissimo e che dà ragione di tutta la grandezza dell'anima di Fedor Dostoevskij, e della immane eredità che egli ci ha lasciato.

La Bompiani pubblica nella collana «Il pensiero occidentale» tutto Dostoevskij. Sono già usciti il Diario di uno scrittore, I fratelli Karamazov e in questi giorni escono I demoni e L’idiota. Viene ripresa la grande edizione curata da Ettore Lo Gatto, ma rinnovata. I romanzi hanno il testo russo a fronte (una prima a livello mondiale), e le nuove introduzioni sono curate da Armando Torno, un grande conoscitore del mondo russo.

Ma come mai si ripubblica Dostoevskij in una collana di filosofia e non di narrativa? La risposta è semplice: in Italia, Dostoevskij viene considerato dai più un grande romanziere, mentre in Russia lo si considera un grande filosofo. Berdiaev, per esempio, dice: «Dostoevskij fu vero filosofo , fu il più grande filosofo russo». In effetti, i suoi romanzi sono storie di Idee, personificate nei vari personaggi.

Idee vive sia nella loro profondità, sia nel loro complesso movimento dinamico-relazionale e nella loro forza. Dostoevskij stesso precisa che le Idee sono quella forza che muove il mondo e scrive: «Nella storia ciò che trionfa non sono le masse di milioni di uomini né le forze materiali, che sembrano così forti e irresistibili, né il denaro né la spada né la potenza, ma il pensiero, quasi impercettibile all’inizio, di un uomo che spesso sembra privo di importanza».

Dostoevskij fa con i suoi romanzi ciò che Platone ha fatto con i suoi dialoghi. Il filosofo ateniese ha trasposto sul piano dialettico le due grandi forme dell’arte dei suoi tempi, la tragedia e la commedia (per esempio, il Protagora è una grande e straordinaria commedia, il Gorgia e il Fedone sono due grandi tragedie).

Già Nietzsche sosteneva la tesi che «Platone ha dato ai posteri il paradigma di una forma artistica, il modello del romanzo», che sarebbe in sostanza «una favola esopica infinitamente sviluppata». E Dostoevskij ha scelto una forma tipica dell’arte dei suoi tempi, quella del romanzo, per comunicare grandi messaggi filosofici. I suoi personaggi sono incarnazioni di Idee in forma di vere e proprie «icone».

In Italia Luigi Pareyson ha ben sviluppato l’interpretazione di Dostoevskij come vero grande filosofo che si colloca al di sopra della mera analisi dell’animo umano a livello psicologico, e lo considera «uno dei culmini della filosofia contemporanea e un immancabile punto di riferimento nel dibattito speculativo del mondo d’oggi».

Fra le molte idee che Dostoevskij porta in primo piano nei suoi romanzi, ne ricordiamo quattro: il nichilismo, il male, la libertà e la fede.

1. Per quanto riguarda il nichilismo Pareyson afferma addirittura che il personaggio Ivan dei Fratelli Karamazov esprime l’anima nichilistica in maniera perfetta, perfino meglio di Nietzsche.

2. Il male non è in principio una realtà sostanziale (in senso manicheo). Ma non è neppure solo una «privazione del bene», ossia la scelta di un bene inferiore in luogo di un bene superiore (come voleva Agostino). Il male nasce nell’animo dell’uomo: è una volizione negativa, che, proprio respingendo il bene superiore, si impone come una forza distruttiva che produce il male nella sua reale dimensione.

3. Secondo Dostoevskij la libertà consiste nel riconoscimento e nella volizione del Principio supremo dell’Essere e del Bene, oppure nel rifiuto di esso, con tutto ciò che ne consegue. E quindi è una forza che si distingue dal bene e dal male, i quali si realizzano, in quanto tali, proprio in conseguenza della libertà. Dostoevskij è giunto alla fede passando attraverso il nichilismo, e indagando la autodistruzione di esso.

4. La fede presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. In risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 esprimeva la forza veramente dirompente della sua fede: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità».

Giovanni Reale








tratto da Corriere della Sera del 14 Maggio 2009 - http://www.corriere.it/




13/06/08

Pavel A. Florenskij


Questo scriveva Pavel A. Florenskij (1882-1937), una delle più grandi anime che abbiano calcato la Terra negli ultimi cento anni:

Verità, bene e bellezza: questa triade metafisica è un unico principio, è un'unica vita spirituale esaminata sotto vari punti di vista.

La verità manifestata è amore. L'amore realizzato è bellezza. Il mio stesso amore è azione di Dio in me, e mia in Dio.

Se i rapporti stretti ben dispongono alle emozioni concordi, il loro terreno più propizio è l'amicizia. La potenza e la difficoltà dell'amicizia non si esprimono in un pirotecnico attimo d'eroismo, ma nella placida fiammella della pazienza di tutta una vita.

La legge dell'identità è un monarca assoluto, ma i suoi sudditi non protestano contro la sua autocrazia solo perché sono spettri senza sangue, privi di esistenza reale, non sono persone ma solo ombre razionalistiche di persone. Questo è lo sheol, il regno della morte.

Non è possibile il minimo dubbio riguardo a quanto è detto giustamente della vita eterna nell'Apocalisse di Giovanni: "Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di loro" (22,5).

Questo non si può intendere se non della luce vera sensibile con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati.

Considera il vetro, un corpo tanto compatto che nemmeno i profumi che da per tutto dilagano possono attraversarlo e, anzi, ne restano prigionieri; con quanta facilità la luce l'attraversa! Quindi tanto più la luce divina deve penetrare tutti corpi.

Soltanto il Signore Gesù Cristo è l'ideale di ciascun Uomo modello, idea di ogni persona con tutto il suo contenuto vivo.

Esistono due mondi e questo nostro mondo si cruccia nelle contraddizioni se non vive delle energie dell'altro mondo.

L'essenza stessa della percezione geniale del mondo sta nella capacità di penetrare nel profondo delle cose, mentre l'essenza della percezione illusoria sta nel nascondere a se stessi la realtà.

Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale.

La mia più intima persuasione è questa: nulla si perde completamente, nulla svanisce, ma si si custodisce in qualche tempo e in qualche luogo. Ciò che è immagine del bene e ha valore rimane, anche se noi cessiamo di percepirlo.

Vita di Pavel Florenskij:
http://it.wikipedia.org/wiki/Pavel_Aleksandrovi%C4%8D_Florenskij

Foto in testa: Mikahil Nestorov: "Filofofi: Pavel Florenskij e Sergei Bulgakov a passeggio", 1917 - Olio su tela, Tretyakov Gallery, Mosca, Russia.