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15/02/14

Michelangelo e il Monte dell'Altissimo .




Il 18 febbraio 1564, all’età di 88 anni, Michelangelo Buonarroti muore nella sua casa romana. 

A 450 anni dalla sua morte si ricorda uno degli episodi più importanti e tormentati della sua vita: il sogno mai realizzato di cavare e rifornirsi gratuitamente dello statuario del Monte dell’Altissimo, nel territorio lucchese, in Alta Toscana. 

Dopo aver ottenuto l’incarico per la realizzazione della facciata della Chiesa Fiorentina di San Lorenzo, obbedendo alla volontà di Leone X (Giovanni dei Medici), Michelangelo, nel 1518 inizia a costruire la strada che sarebbe servita per raggiungere i bacini marmiferi dell’Altissimo. 


Seguendo un’intuizione pari alla sua capacità di svelare le figure celate nei blocchi di marmo, il Buonarroti percepisce le potenzialità e la qualità del marmo racchiuso nelle cave dell’Altissimo, uno statuario ancora più bello e prezioso di quello carrarino: di grana unita, omogenea, cristallina, e ricorda lo zucchero. Michelangelo qui desidera cavare e far cavare ogni et qualunque quantità di marmi o di qualunque altra miniera in decte montagne dello Altissimo, et loro vicine circustanze

Il Monte, un bacino marmifero di enorme ampiezza era ripieno di marmi in tutte le parti che ve n’è da cavare fino al giorno del Giudizio.

Nel dare il via alla sua impresa più ambiziosa, e consapevole del grande tesoro custodito dalla montagna, Michelangelo aveva chiesto e ottenuto, non senza penare, dall’Opera di Santa Maria del Fiore e dai Consoli dell’Arte del Lana di potersi rifornire gratuitamente e per tutto il resto della sua vita di marmi dell’Altissimo, una volta che fosse riuscito a mettere in esercizio quelle cave. 


Malauguratamente un “breve” di papa Leone X del 20 di febbraio 1520 sollevava Michelangelo dall’incarico della costruzione della strada

Per l’artista, giunto alla soglia dei quarantacinque anni e attento imprenditore di se stesso, ciò fu motivo di grande delusione. Ricordava il Vasari nella “Vita” che a Michelangelo …convenne fare una strada di parecchi miglia fra le montagne

Ma il sogno di Michelangelo, da lui mai realizzato, prese forma. 

Nei quasi cinquecento anni che separano l’inizio della costruzione della strada dell’Altissimo il bacino marmifero di Seravezza ha donato un capitolo sostanzioso alla storia, all’arte e all’architettura mondiali. 

 Le cave dell’Altissimo vengono raggiunte dalla strada che si completò per volere di Cosimo I dei Medici nel 1567, che riusciva, laddove aveva fallito il divino Michelangelo, a dare il via all’estrazione di quei marmi bianchi che “…producono colonne alte più di 50 cubiti”. 

Di quel marmo, che il Buonarroti sognava già per la facciata di San Lorenzo in Firenze, venne calato alla marina nel 1569 il primo blocco fra l’esultanza del popolo seravezzino che vedeva, nel discendere del carro a valle, l’inizio di un’attività economica rilevante per la comunità. 

Fu il Giambologna a realizzare la prima figoura di marmi bianco ocire fuora di quel monto del Haltissimo la “Fiorenza”, o Vittoria, oggi al Bargello. 

Al disegno di Michelangelo e di Cosimo I seguì quello di Francesco I dei Medici. Le cave di Seravezza rappresentavano un vero patrimonio. 

Nel sunto storico della cava si intersecano anche periodi di abbandono, ma una nuova vita ha inizio con l'arrivo nelle Apuane del Signor Jean Baptiste Alexandre Henraux nel 1820. Il Signor Henraux è Soprintendente Regio alla scelta e acquisto dei marmi bianchi e statuari di Carrara per i monumenti pubblici nella Francia di Napoleone

E il Signor Henraux che visita le cave di Michelangelo stringe la storia degli ultimi duecento anni del Monte dell’Altissimo al suo stesso nome, e da attento imprenditore quale è dona nuova vita al bacino marmifero seravezzino. 

Sono numerose e importanti le opere portate a compimento con i marmi dell’Altissimo, dall’epoca di Cosimo e di Francesco dei Medici le pagine di storia dell’arte e dell’architettura si arricchiscono considerevolmente con i materiali estratti dalle cave. 

Ma dal 1821 Monsieur Henraux traccia la via a commesse di notevole prestigio, come quella del 1845 per lo Zar di Russia che ordinava grandi quantità di marmo per la costruzione della Cattedrale di Sant’Isacco a Pietroburgo. Anche Auguste Rodin fu ospite di Henraux a Querceta. 

L’Altissimo è un importante comprimario di quel genio dell’uomo che costruisce bellezza. Da qui iniziano storie di opere e capolavori dell’arte concepiti da artisti, per citarne alcuni in epoca moderna o contemporanea, quali Henry Moore, Hans Jean Arp, Joan Mirò, Antoine Poncet, Jacques Lipchitz, Rosalda Giraldi, lsamu Noguchi. 

E ancora le cave dell'Altissimo, come profetizzato da Michelangelo, continuano a fornire materiale per la realizzazione di grandi opere in tutto il mondo: da qui sono stati realizzati numerosi progetti quali il pavimento policromo della Basilica di San Pietro, o la ricostruzione della chiesa Abbaziale di Montecassino come, più recentemente la Grand Mosque per lo Sceicco Zayed Bin Sultan al Nayhan II ad Abu Dhabi, il Campus Exxon Mobile a Houston (detto anche Delta project), e negli Stati Uniti il Devon Energy World Center, One Market Plaza a San Francisco e molti altri.

Ancora oggi le cave sono proprietà della Henraux Spa e della Fondazione Henraux ad esso collegata.

21/05/13

40 anni fa il restauro 'miracoloso' della Pietà di Michelangelo.






Un restauro esemplare, ancora oggi in ottime condizioni, quello che 40 anni fa restitui' all'originario splendore il gruppo marmoreo della Pieta' di Michelangelo dopo le 12 martellate inferte il 21 maggio 1972 dal geologo australiano di origini ungheresi Laszlo Toth sul volto e sul busto della Vergine.

A consentire (in soli sei mesi) il recupero almeno formale del capolavoro giovanile del Buonarroti contribui' senza dubbio l'esistenza di un calco in gesso, fatto auspicabile per tutte le opere d'arte a rischio di gesti vandalici e che al giorno d'oggi puo' essere sostituito dalla messa a punto di piu' economici modelli virtuali in 3D. 

A discuterne, un convegno dal titolo 'La Pieta' di San Pietro, in memoria del 21 maggio 1972. Storia di un restauro', che nell'anniversario della vicenda che sconvolse il mondo intero ha riunito ai Musei Vaticani gli esperti che a suo tempo si occuparono del caso e le nuove generazioni di studiosi per proporre ulteriori strategie per mirati interventi di recupero. 

Prima di tutto, pero', l'incontro presieduto dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci ha voluto indagare ancora una volta la magia sprigionata da quel marmo che sotto lo scalpello di Michelangelo si e' fatto carne. 

"Miracolo di suprema bravura", tanto da volerla firmare, la Pieta' del Buonarroti, ha detto Paolucci, vede nella sua straordinaria "finitezza formale il carattere distintivo dell'opera, la ragione del suo fascino". 

Proprio questa caratteristica ha imposto, dopo la devastazione inflitta dalle martellate di Toth (spezzato il braccio di Maria, la mano, le dita, parte del velo, l'occhio sinistro, il naso), di contravvenire a principi consacrati del restauro e optare per un intervento integrale invece che critico.

"Lo stesso Cesare Brandi la pensava cosi' - ha proseguito Paolucci - in qualsiasi altra scultura la visibilità della lesione, ancorché dolorosa, sarebbe stata tollerabile", ma il capolavoro firmato nel 1499 da un Michelangelo appena ventiquattrenne era da secoli una "figura base della devozione popolare". 

Grazie a una copia in gesso dell'opera realizzata nel 1930 e conservata nella Sagrestia della basilica, i restauratori dei Musei Vaticani e della Fabbrica di San Pietro poterono puntare "alla restituzione perfettamente mimetica dell'immagine violata". 

Sei mesi di lavori, raccontati nel documentario del regista Brando Giordani (co-produzione dei servizi culturali Rai e della Ds Cinematografica, oggi in versione Hd) riproposto in apertura del convegno, in cui vennero recuperati i circa 50 frammenti, realizzato un mastice trasparente, ripulito il marmo, colmate tutte le lacune con precisione millimetrica. 

"Attualmente il restauro sta bene, e' duraturo - dice Nazareno Gabrielli dei Musei Vaticani - nella forma ora tutto cio' che vediamo e' Michelangelo. Quel calco fu provvidenziale". "Oggi non avremmo potuto fare di meglio", conclude Ulderico Santamaria, nuova generazione di restauratori che ipotizza una 'Gipsoteca virtuale', dove la tecnologia tridimensionale sostituisca il calco in gesso.

fonte ANSA - Nicoletta Castagni.

09/04/13

Intervista a Peter Greenway: "Sto pensando a un film sul "Figlio di Maria" "




"Oggi abbiamo una nuova Trinita': cellulare, cinepresa e computer portatile. Stiamo solo aspettando che le grandi case le diano una nuova forma, ma e' dietro l'angolo. E poi 'Star Wars', 'Avatar', 'Titanic' sembreranno qualcosa di vecchio, del secolo scorso". 

A parlare, sotto la volta affrescata del Trionfo della divinita' di Pietro da Cortona, e' Peter Greenaway, il regista che più al mondo ha saputo mettere in movimento le opere d'arte, da Leonardo da Vinci a Rembrandt (con La Ronda di notte che ha ispirato il suo 'Nightwatching'), ospite della rassegna Il gioco serio dell'Arte promossa da Lottomatica a Palazzo Barberini. 

Un incontro, condotto da Massimiliano Finazzer Flory, che diventa insieme uno spettacolo e una coltissima lezione del regista che molti definiscono "un pittore su celluloide" e che, rivelera' all'ANSA, sta pensando a un film sul "figlio di Maria". 

"Io sono fortunato a poter ancora dipingere, ma c'è un'inevitabile continuita' tra pittura e cinema - esordisce il regista - Da Pompei ad 'Avatar', e' la stessa attività, solo con differenti tecnologie". 

A dimostrarlo, nove grandi capolavori, da L'ultima cena di Leonardo alle Nozze di Cana di Paolo Veronese, che Greenaway ha moltiplicato, scomposto, illuminato, animato, fino a trasformale in un piccolo film, davanti a una platea che forse poco capisce del digitale, ma ne rimane estasiata come davanti a un Giudizio Universale di Michelangelo. 

"Oggi il montatore e' il vero re del cinema", prosegue Greenaway, che per vent'anni si e' occupato di montaggio prima che di regia. "Con le nuove tecnologie - spiega - e' lui che puo' creare, trasformare le immagini. Il 3D? Non sono un gran devoto, non credo abbia molto da aggiungere al cinema. E' un fenomeno piuttosto effimero". 

Piuttosto, il futuro del cinema dovrebbe affrancarsi dal legame troppo stretto con la parola ("una delle grandi bestemmie e' il suo rapporto con la letteratura: andiamo a vedere storie che in realtà sono romanzi del XIX secolo, da Jane Austin a Flaubert e Zola") e puntare a inglobare l'esperienza dello spettatore. "'Anche 'Avatar' di James Cameron - dice - e' limitato perché proiettato su schermo piatto e non su uno schermo che circonda architettonicamente lo spettatore, come già avevano intuito artisti italiani come Botticelli e Michelangelo". Ironicamente critico sulle sue origini ("Io vengo da un'isola ventosa e protestante. I Britannici sono antibarocchi, nel senso che sono sospettosi nei confronti degli eccessi e dell'immaginazione. Truffaut diceva che non si puo' essere sia cineasta che inglese") come su un'icona apparentemente intoccabile come Margareth Thatcher che a poche ore dalla morte non esista a definire una donna "stupida, malvagia, diabolica, che ha fatto danni enormi all'Inghilterra", Greenaway usa le nuove tecnologie come il suo più tradizionale pennello, pur restando saldamente ancorato nei suoi racconti agli archetipi di eros e thanatos, al centro anche del suo ultimo film, Goltzius and the Pelican Company.

"Sono provocatorio - risponde - ma il sesso e la morte sono le due attività primarie che coinvolgono ogni essere su questo pianeta. Il resto cambia, ma queste no e non puoi controllarle. Questo mi affascina". 

E i prossimi progetti? "Sto lavorando al remake di 'Morte a Venezia' - rivela a margine dell'incontro all'ANSA - In autunno girero' invece il film dedicato al regista piu' grande di tutti i tempi, Sergej Eisenstein, e molto presto un altro sul pittore austriaco Oskar Kokoschka. E poi ci sara' Joseph. Ha presente 'Rosemary's baby' di Polansky? Beh, io penso a un Mary's baby".

di Daniela Giammusso per ANSA

26/10/12

31 ottobre: La Cappella Sistina compie 500 anni




Capolavoro assoluto di tutti i tempi, "lucerna dell'arte nostra", come la defini' Giorgio Vasari, ancora oggi meta (ogni anno) di 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo (e che ne mettono a rischio l'integrita'), la Cappella Sistina  (QUI IL SITO CON LA VISITA VIRTUALE), celebra il 31 ottobre i 500 anni dallo svelamento degli affreschi della volta. Il pontefice Giulio II della Rovere, che l'aveva commissionata a Michelangelo Buonarroti nel 1508, dovette aspettare ben 4 anni prima di ammirare quell'immane, insuperata opera popolata di centinaia di figure e scene delle Scritture, capaci di rivoluzionare la storia dell'arte influenzandola per secoli.

Solo nell'agosto del 1511, il 'papa guerriero' era riuscito a compiere una parziale visione degli affreschi, che andavano a sostituire nella volta della Sistina il magnifico cielo stellato dipinto da Pier Matteo d'Amelia, di certo ispirato dalla padovana Cappella degli Scrovegni. Una meraviglia che perfettamente si armonizzava con le decorazioni volute Sisto IV, anche lui un della Rovere, che aveva fatto edificare tra il 1477 e il 1483 la Cappella. A tal scopo erano stati chiamati i maestri indiscussi del '400 italiano da Botticelli al Ghirlandaio, da Signorelli a Perugino, il quale coordino' il lavoro dei ponteggi e realizzo' per la parete dell'altare 'La Nativita' di Cristo' e 'Mose' salvato dalle acque', nonche' la pala dell'Assunta.

La nuova commessa di Giulio II si rese necessaria per la grande crepa che si era prodotta sulla volta per un inclinamento della parete meridionale. Vasari racconta che fu proprio il Bramante, uno dei maggiori sostenitori di Raffaello Sanzio, a suggerire al pontefice il nome di Michelangelo, conosciuto soprattutto come scultore. Tra il Buonarroti e il genio urbinate si stava consumando un'aperta rivalita', e il primo architetto del papa, sicuro che Michelangelo non sarebbe stato in grado di eguagliare i capolavori di Raffaello, secondo l'autore delle Vite trovo' questo espediente per "levarselo dinanzi".

Anche per la soluzione di mettere a punto dei ponteggi idonei a quell'impresa (la volta e' a 20 metri da terra), Bramante elargi' consigli dubbi, tali da danneggiare lo stesso edificio. Capita l'antifona, prosegue il Vasari, l'artista fiorentino decise di costruirsi da solo l'impalcatura e affronto' quell'immane lavoro con pochi collaboratori fidatissimi. I problemi arrivarono subito con lo strato di intonaco steso sulla volta, che comincio' ad ammuffire perche' troppo bagnato. Michelangelo dovette rimuoverlo e ricominciare da capo, ma provo' una nuova miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jacopo l'Indaco. Questa non solo resistette alla muffa, ma entro' anche nella tradizione costruttiva italiana.

Inizialmente il Buonarroti era stato incaricato di dipingere solo dodici figure, gli Apostoli, ma presto l'impegno cambio'. Su sua richiesta, ritenendo il progetto iniziale "cosa povera", ricevette da Giulio II un secondo incarico che lasciava all'artista la piena ideazione del programma. In solitudine Michelangelo si mise all'opera e concepi' una possente architettura in cui inseri' nove Storie centrali, raffiguranti episodi della Genesi, con ai lati figure di Ignudi, a sostenere medaglioni con scene tratte dal Libro dei Re. Alla base della struttura architettonica, ecco i dodici Veggenti, Profeti e Sibille, assisi su troni monumentali contrapposti piu' in basso agli Antenati di Cristo, raffigurati nelle Vele e nelle Lunette. Nei quattro Pennacchi angolari, l'artista rappresento' infine alcuni episodi della salvazione miracolosa del popolo d'Israele.

Durante l'impresa, Michelangelo pretese che nessuno vedesse il suo capolavoro, rifiutando regolarmente le richieste di Giulio II di ammirare, insieme alla sua corte, lo stato dei lavori. Il rivale Raffaello, che in realta' ne comprendeva il genio, riusci' nel 1510 a contemplare parzialmente la prima parte degli affreschi e ne rimase cosi' colpito da inserire un ritratto di Michelangelo (l'Eraclito) nella Scuola d'Atene. E quando fu necessario smontare parte dei ponteggi, anche il papa e il suo seguito videro quello che il Buonarroti stava realizzando. 

L'artista stesso si rese conto che doveva portare delle modifiche al suo modo di dipingere.

Nelle scene del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso Terrestre e nella Creazione di Eva la raffigurazione divenne quindi piu' spoglia, con corpi piu' grandi e massicci, accentuando la grandiosita' delle immagini. Ma non cedette mai alle pressioni del pontefice per aggiungere piu' oro e decorazioni. Nel tardo pomeriggio del 31 ottobre 1512, Giulio II inauguro' la conclusione della volta della Cappella Sistina celebrando la liturgia dei Vespri alla vigilia di Ognissanti. Lo stesso gesto che per omaggio al capolavoro assoluto di Michelangelo ripetera' a 500 anni di distanza esatti papa Benedetto XVI.