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06/12/13

Guardare come se fosse la prima volta. Krishnamurti.




Quindi, ci addentriamo ora nell’indagare che cosa significa osservare senza osservatore.

Perché l’osservatore è il passato, è il terreno del conosciuto, perché è il risultato della conoscenza e quindi dell’esperienza e così via. 

Esiste un’osservazione senza osservatore, che è il passato? 

Posso guardarvi, guardare mia moglie, i miei amici, i miei vicini, senza le immagini che ho costruito nella relazione? 
Posso guardarti senza che tutto ciò si metta tra noi? E possibile? Mi hai ferito, hai detto delle cose molto spiacevoli sul mio conto, hai diffuso voci scandalose su di me. Posso guardarti senza trattenere tutto ciò nella memoria? 
Il che significa, posso guardarti senza che il pensiero intervenga a ricordarmi gli insulti, le ferite, oppure i complimenti? 
Posso guardare quell’albero senza la conoscenza dell’albero? 
Posso ascoltare il suono del fiume che scorre senza dargli un nome o riconoscerlo, ma semplicemente, ascoltare la bellezza del suono? 
Potete farlo? 
Forse potete ascoltare il fiume, riuscite a osservare le montagne senza alcuna premeditazione, ma riuscite a guardare voi stessi, con tutto il bagaglio conscio e inconscio, guardarvi con occhi che non sono mai stati toccati dal passato? 
Avete mai provato? 

Scusate, non avrei dovuto dire “provato”: provare è sbagliato. L’avete mai fatto? Avete mai guardato vostra moglie, la vostra fidanzata, il vostro fidanzato, o chiunque sia, senza un singolo ricordo del passato? Se lo farete, scoprirete che il pensiero è ripetitivo, meccanico, e le relazioni non lo sono, quindi scoprirete che l’amore non è il prodotto del pensiero. Per questo non esiste un amore divino o un amore umano, esiste solo l’amore.


Tratto da Sulla mente e il pensiero, di Jiddu Krishnamurti, Titolo originale dell’opera On mind and thought (Harper, San Francisco) Traduzione di Andrea Anastasio, Krishnamurti Foundation Trust Ltd. and Krishnamurti Foundation of America 2004, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma

25/06/13

Di cosa è fatta la nostra paura.




Di cosa è fatta la nostra paura ?

In cosa consiste esattamente ?  La nostra paura è un insieme di paure.  Alcune ci servono per vivere.  Se non provassimo alcune paure, saremmo destinati all'autodistruzione. 

Sono dunque, fisiologiche. 

Altre sono invece, le avvertiamo invece, come zavorre. 

Sentiamo che queste paure rappresentano il modo che il nostro io interiore ha per bloccare ogni cambiamento, ogni crescita ogni possibile evoluzione.  Il rischio del cambiamento è ciò che più ci atterrisce anche se siamo coscienti che - come ha scritto Krishnamurti - l'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento.

Proprio per questo, nel flusso permanente che ha ed è la vita - dove ogni cosa mai si riposa - noi sentiamo il bisogno di creare permanenza, di costruire qualcosa che ci illudiamo non cambi, qualcosa che resti sempre, che non sia mutevole e cedevole come ogni cosa della vita dei viventi. 

Per bloccare dunque il flusso che ci spaventa, le nostre paure ci impongono di aver paura e di fermarci in tempo.   Bloccati dalla paura e dalle paure, ci sentiamo in fondo più sicuri. 

Eppure, come insegnano le diverse psico-analisi - e come insegnano anche le religioni tradizionali - ogni cambiamento è possibile solo se e in quanto siamo disposti ad attraversare le nostre paure.  Le nostre zone d'ombra, come vengono chiamano nella terminologia junghiana. 

Per affrontare le nostre paure occorre il coraggio: la virtù umana che Michel Serres ha definito quella oggi più importante. 

Il coraggio non può essere dato.  

Il coraggio è una qualità umana che sperimentiamo soltanto nella concretezza della nostra vita.  Nessuno, in assoluto, può dirsi un vile o un coraggioso.  Il fatto di esserlo - e di esserlo con se stessi - deriva fondamentalmente da ciò che decidiamo di essere di momento in momento, nel flusso delle nostre vite.

Il giudizio - e l'autogiudizio - ci paralizzano. Soprattutto perché siamo abituati a non dare un volto alle nostre paure, a non parlarne, e a far finta che non esistano. 

Le paure, invece, se vogliamo affrontarle, debbono per prima cosa essere riconosciute.  Accettate.  Non negate, non rimosse. Siamo esseri animali dotati di istinto: la paura fa parte di noi.  Siamo esseri dotati di spirito - ciascuno ne è provvisto, ciascuno nasce diverso da un altro, la nostra individualità unica e irripetibile E' spirito - e di coscienza: la coscienza  e lo spirito ci aiutano a riconoscere e ad accettare le nostre paure. 

A tenerle vicino, a non averne paura.

Solo così, la coscienza e la paura, non negandosi a vicenda, realizzeranno insieme il fine della vita, che è il cambiamento consapevole. L'essere consapevoli del cambiamento.  L'essere capaci di cambiare restando sempre consapevoli di sé.

Fabrizio Falconi


14/05/13

Cambiare rimanendo fedeli a se stessi.





Nella vita siamo sempre mossi da un doppio istinto: quello di muoverci, di cambiare, di sperimentare, di attraversare la vita; e quello di conservare, di allontanarci, di perderci . 

Non facciamo altro, in definitiva, nelle nostre esistenze, che oscillare tra questi due sentimenti opposti.

Il cambiamento ci attira ma è anche ciò che più ci spaventa. 

Qualcosa dentro di noi ci dice che senza cambiamento la vita non è nemmeno degna di essere vissuta, ma qualcos'altro dentro di noi resiste e ci invita a non farci trascinare passivamente dalla forza del cambiamento.

Se appena ci pensiamo, ci rendiamo conto che il cambiamento è inevitabile: come scrive Krishnamurti, anzi l'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento. 

Sappiamo però anche che c'è qualcosa - un pre-dato - che siamo noi e che non vuole perdere mai del tutto la propria natura. E' ciò che è stato chiamato in diversi modi nella storia umana, e che per migliore approssimazione è stato definito anima. Il nucleo, il centro originario di noi stessi. 

In psicologia, anzi, lo ha teorizzato C.G.Jung, ci si realizza pienamente soltanto non allontanandosi mai del tutto dal centro di se stessi.  Rimanendovi in qualche modo fedele. La pienezza vera esiste soltanto nel , dice Jung.  L'esperienza ci insegna, vivendo, che nessuna pienezza ci può derivare dai beni materiali, e nemmeno dalle relazioni in quanto tali, se il nostro non è pienamente coinvolto. 

Come vivere dunque, tra queste due opposte spinte ?

E' un difficile equilibrio.  Ma è il senso stesso dell'esistenza. 

Il cambiamento non può essere rifiutato.  Chi rifiuta il cambiamento, in definitiva non vive. 

E non ottiene nemmeno risultati, perché come scrive Neale Donald Walsh, quello che tu resisti in realtà persiste quello che invece tu accetti scompare.

Se tu opponi cioè una resistenza al cambiamento, quella realtà resisterà e anche la tua opposizione persisterà, paralizzandoti.  Ciò invece che mette paura e spaventa, se accettato - ovvero vissuto pienamente - scompare, non è più un pericolo. 

Ma ogni cambiamento - per essere vero cambiamento - deve essere fedele alla tua natura interiore.  Per avere coscienza di questa fedeltà, bisogna prima di tutto conoscersi. Sapere chi si è veramente. E' l'operazione che si deve fare costantemente nella vita. Ascoltarsi, conoscersi, attraversare le proprie zone d'ombra e le paure, conoscere cosa hanno da dirci, e solo così accettare il cambiamento che la vita ogni giorno ci chiede, per essere degni di vivere.

Fabrizio Falconi

02/01/13

L'uomo senza sentieri - Jiddu Krishnamurti (per iniziare il 2013).




Per rigenerarci dopo i bagordi del Capodanno, vi propongo una piccola condivisione su uno dei più grandi mistici del Novecento.

La vita di Jiddu Krishnamurti è una vita piena di misteri.  

Oggi si assiste a un grande fiorire di interesse per la figura di questo pensatore, nato in estrema povertà nell'India Meridionale il 12 maggio 1895 (dunque nel segno del Toro), alle 12,30 del mattino, e morto nel sonno il 17 febbraio del 1986.

Chi era Krishnamurti ?

A questa semplice domanda è difficile rispondere. 

Un bambino indiano che a 10 anni viene intercettato da una associazione di ricconi inglesi illuminati, guidati dalla mistica russa Madame Helena Petrovna Blavatsky e da Henry Steel Olcott, suo amico del cuore.

Questa congrega ha preso il nome di  Società Teosofica  e in quel periodo (1909) è guidata da Annie Besant e Charles Webster Leadbeater, entrambi sensitivi. E' quest'ultimo che si accorge della speciale aura che risplende intorno al piccolo K., e si convince che il piccolo non è altro che la reincarnazione del Buddha Maitreya (una delle manifestazioni del Buddha), di cui è stato annunciato l'evento.

Il piccolo viene trapiantato in Europa, prima in Normandia, poi a Londra. Al ragazzo - venerato come un Dio - vengono assicurati i migliori studi, le migliori frequentazioni.   Del resto egli manifesta, anche nella persona, una eleganza e uno stile senza eguali.

Lo accompagna, nella sua nuova esperienza europea, il fratello Nitya, più piccolo, al quale egli è legato fortissimamente e che muore in circostanze tragiche.

Nel 1929 in occasione di un raduno della Stella d'Oriente, chiesa della quale il ragazzo è stato messo a capo, tenutosi in Olanda, al quale presenziano più di 3000 fedeli, Krishnamurti, a sorpresa, con un discorso memorabile e imprevedibile, scioglie l'Ordine dopo aver declamato che La verità è una terra senza sentieri e che non la si potrà mai ottenere attraverso nessuna organizzazione, chiesa, maestro o guru. 

In seguito chiude ogni suo rapporto con la Società Teosofica e, restituisce tutte le donazioni ricevute dagli adepti (ingenti somme di denaro,ville e terreni).

Ciò nonostante, non gli è difficile trovare il denaro (finanziamenti di benefattori e vendite dei suoi libri) per iniziare la sua nuova attività divulgatrice: ha infatti ormai maturato la Verità ed è pronto per diffonderla: il mio unico scopo è rendere l'uomo assolutamente, incondizionatamente libero.

Per i successivi cinquantasette anni della sua lunga vita Krishnamurti viaggia in lungo e in largo per il mondo al fine di trasmettere il suo insegnamento liberatorio, rifiutando sempre la venerazione personale. 

Oggi esistono scuole e fondazioni sparse in tutto il pianeta che analizzano e studiano i suoi libri, il suo pensiero, anche in Italia.

Un pensiero che solo apparentemente è difficile, arduo. Ma che invece, se approfondito, spalanca incredibili vie di autoconoscenza e sviluppo personale.

Tutta la vasta opera di Krishnamurti è tradotta e stampata in Italia da Ubaldini Editore, che consiglio rispetto alle molte edizioni commerciali, disponibili e spesso molto mal tradotte.

Sulla vita di Krishamurti, incredibilmente affascinante, e piena di enigmi, il testo fondamentale è:

Così scriveva Krishnamurti nel 1959: 

Noi ci riempiamo il cuore con le cose della mente e di conseguenza teniamo il cuore sempre vuoto e in attesa...        E' la mente che si attacca, che è invidiosa, che s'impossessa e che distrugge...  Noi non ci limitiamo ad amare, ma smaniamo per essere amati;   diamo per ricevere, che è la generosità della mente, non del cuore.      La mente è sempre alla ricerca  di certezze e sicurezza;   e può l'amore essere certificato  dalla mente ?   Può la mente, la cui intima essenza è il tempo, catturare l'amore, che di per sè è  eternità ?

Fabrizio Falconi.    

07/03/12

L'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento.



Mi ha molto colpito leggere oggi una frase del grande drammaturgo (è un po' riduttivo definirlo così)  Bob Wilson, intervistato dal Corriere, a proposito della nuova messa in scena del capolavoro Einstein On The Beach, su musiche di Philip Glass, presentato per la prima volta - con accoglienza stupefatta per la grande carica innovativa di quello spettacolo - ad Avignone esattamente 30 anni fa. 

'L'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento'. 

E' una frase breve ed essenziale nella sua nuda verità - che ciascuno di noi può sperimentare come vera - se soltanto si ferma a riflettere sulla vita, un istante.  E paradossalmente, proprio ciò che dà continuità alla vita, che è sempre costante nella vita, è il suo divenire continuo, il suo non essere mai la stessa cosa

Mi sono tornate in mente le parole di J.Krishnamurti che ha fatto di questo tema una costante del suo pensiero (e della sua vita). 

Credo infatti che proprio da questa 'impermeabilità' al cambiamento (ma anche all'idea stessa di cambiamento) personale, a questo pensare e pensarsi granitico derivino molti dei nostri mali e dei nostri disagi come individui e come collettività.

Allora sia cio che è,  dice Krishnamurti, rispondendo ad una domanda di un visitatore, Quando ne comprende la falsità, l'ideale scompare. Lei è "ciò che é".    Il "ciò che è" è lei stesso: non in un periodo particolare o in un dato stato d'animo, ma come lei è di momento in momento.  Non si condanni o si rassegni a quel che vede, ma sia attento, senza interpretare il movimento di "ciò che è".  Sarà difficile, ma in ciò c'é gioia. La felicità c'è solo per chi è libero, e la libertà giunge con la verità di "ciò che è". 





18/03/11

Tempo di Quaresima: distacco e unione, Jean Guitton.


C’è nel Vangelo una parola molto profonda, quando Gesù dice: “Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà donato in sovrappiù.”

E’ quel che realizzano migliaia di religiosi e religiose in giro per il mondo appresso agli umili, agli ultimi, dei quali mai nessuno parla.

Ma è una cosa che riguarda anche noi, specie in questo tempo propizio di Quaresima. Un distacco dai bisogni e dall’egocentrismo, dalla pervicace, maniacale ossessione che rivolgiamo a noi stessi, che difficilmente può portarci lontano, difficilmente può portarci a percepire un Senso dentro il mistero nel quale siamo calati.

Ma come realizzare questo distacco, come arrivarci concretamente ?
Questa era la formula – ammesso che ne esista una, perché si tratta di un lavoro iniziatico, continuo, che dura tutta la vita – suggerita da Jean Guitton, il grande filosofo e scrittore francese, morto nel 1999 a quasi cento anni d’età:

Il primo gesto è purificare il proprio essere – scriveva Guitton – renderlo più distaccato, più leggero, e rompere gli ormeggi. Essere già in abbandono e in desiderio, quello che si sarà domani, quello che si è sempre stati !

“In modo tale che in noi stessi finalmente l’eternità ci cambi”, dice Mallarmé. Una cosa è sicura: si possiede solo ciò a cui si è rinunciato.

Siccome mi lamentavo di non poter dormire, un asceta mi diede questo consiglio: “Rinuncia a dormire !” E in realtà, avendo rinunciato a dormire, subito mi addormentai. A chi vuole andare più lontano, io direi: per essere veramente libero, dobbiamo sempre, nel corso delle nostre vite quotidiane, interessarci alle cose e distaccarcene. Fare del proprio meglio ma non essere ansiosi dei risultati.

Dobbiamo distaccarci da tutto e contemporaneamente unirci a tutto. Non è un paradosso. Il mistero indicibile dell’esistenza sta nell’intreccio di questi due movimenti dello spirito, di questi due fili che compongono il nostro tessuto quotidiano: familiare e sublime. Prima di tutto il distacco è semplicità.

E’ quella semplicità della quale la storia della spiritualità cristiana offre molti esempi, da San Francesco d’Assisi a San Bernardo a Charles de Foucald.

Senza arrivare a questi vertici di perfezione, ciascuno di noi, può provare a spogliare, giorno dopo giorno la propria vita e ad unirla ogni giorno a qualcosa di nuovo, che ci parla, e che è più grande di noi, e ognuno di noi contiene.

Scrisse Jiddu Krishamurti nel suo Taccuino, contemplando e descrivendo un fiore: una cosa chiara, luminosa, aperta al cielo: il sole, la pioggia, il buio della notte, i venti, il tuono, la terra hanno preso parte alla creazione di quel fiore. Ma il fiore non è nessuna di queste cose. E’ l’essenza di tutti i fiori.

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