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11/01/19

20 anni senza Fabrizio De André: esce il bellissimo libro fotografico di Guido Harari.


Fabrizio De Andre', dentro e oltre il suo sguardo. Lo raccontano, a vent'anni dalla morte, l'11 gennaio 1999, le oltre 300 fotografie tra colori e bianco e nero di Guido Harari raccolte nel libro 'Fabrizio De Andre'. Sguardi randagi', pubblicato da Rizzoli con la prefazione di Cristiano De Andre' e la postfazione di Dori Ghezzi.

"Che effetto fa a me rivedere le foto del passato? E' come ripercorrere le emozioni che ci hanno accompagnato lungo la nostra vita, soprattutto se a fissarle e' la sensibilita' di Guido Harari, maestro di quell'arte speciale che cattura il miracolo della natura di quel sorriso unico, quello sguardo unico e irripetibile, generato dallo stato d'animo di un momento, risultato dell'alchimia che mescola i vari sentimenti di un preciso istante: serenita', amore o sofferenza, preoccupazione, disillusione, imbarazzo o complicita', rendendo cosi' immortale un sentimento che altrimenti sarebbe soltanto (il) passato" dice Dori nella postfazione.

A Fabrizio "non piaceva farsi fotografare" ma Harari, che per quasi vent'anni e' stato uno dei fotografi personali di De Andre' al quale ha dedicato diversi libri, e' riuscito a catturare il vero sguardo del poeta, del cantautore e dell'uomo, e' stato capace di cogliere e "accettare il ticchettio della sua intelligenza, assecondando i suoi tempi, le manie, le esigenze, procedendo per piccoli spostamenti creativi, da un'idea all'altra, o proprio senza nessuna idea".

Si e' formato cosi' un libro "fuori dagli schemi", di "sguardi rubati, sull'onda dell'estro del momento, dentro e oltre l'ufficialita'" come dice Harari che ha aperto il suo archivio per la prima volta integralmente, ma dove si sente soprattutto tutta la forza delle parole di Fabrizio.

Tra gli inediti un ritratto di Fabrizio realizzato sulla scia di una foto del Nobel portoghese Jose' Saramago, che lo aveva affascinato. "Fabrizio s'era invaghito di un ritratto che avevo fatto ad uno dei nostri autori preferiti, il portoghese Jose' Saramago, di cui gli avevo regalato una stampa. Mi spiazzo' domandandomi di realizzargliene uno uguale" racconta Harari che scatto' "pochi rullini, rimasti fino ad oggi inediti: e' che, sottratto a una qualunque atmosfera, Fabrizio - dice - sembrava spegnersi nel puro gioco estetico che lui stesso aveva richiesto".



Scopriamo poi il De Andre' privato, che sorride mentre si fa tagliare i capelli da una radiosa Dori. E poi che stringe in un grande abbraccio Fernanda Pivano, nei camerini del Teatro Smeraldo di Milano nel 1997. 

La Nanda che scrivera': "Che dolore pensare che foto cosi' non se ne potranno fare piu', che riconoscenza che ci sono. Fabrizio c'e' stato e ci sara' sempre. Grazie a queste, e grazie a Dori, grazie a canzoni e poesie che appartengono con lui agli enormi spazi profumati dell'eternita'".

 Nel volume anche il De Andre' appassionato di astrologia: "godeva a fare l'oroscopo agli amici piu' stretti: dopo averne tracciato il quadro astrale, si divertiva a indovinarne il futuro", racconta Harari.

Ci sono le prove, gli arrangiamenti, i concerti e il leggendario tour con la Pfm, le sue riflessioni sull'essere padre, sull'alcolismo, sull'essere borghese e sul moralismo.

C'e' l'amore per la natura, ci sono i figli Cristiano chiamato Fabrizietto per la somiglianza con il padre, e Luvi, ritratti anche in una foto insieme. "Guido e' stato e rimane l'alchimista che ha saputo tradurre in immagini alcuni passaggi salienti della storia della mia famiglia, quasi ne fosse sempre stato un membro", scrive Cristiano De Andre'. Insieme al suo sguardo c'e' quello di chi lo ha amato in questo viaggio di immagini e parole in un'alchimia che ci fa respirare l'atmosfera in cui era avvolta la vita dell'autore de La canzone di Marinella, di Bocca di rosa e di Crêuza de mä.

 C'e' "tutto Fabrizio in una foto: la giacca abbandonata sulla sedia, una bottiglia di Glen Grant" come sottolinea Harari e c'e' tutta la sua forza profetica quando dice: "Oggi, purtroppo, non ci resta che la rassegnazione davanti a un mondo che semmai e' cambiato in peggio, a una giustizia e a un'opposizione fantasma. Il canto delle cicale, che apre e chiude Le nuvole, rappresenta l'unica voce di protesta che e' rimasta: la gente purtroppo non parla piu'".

Fonte: Mauretta Capuano per Ansa

14/11/18

Libro del Giorno: "Una volta" di Wim Wenders.



Più che un libro, un oggetto d'arte, questo pubblicato a suo tempo dalle benemerite Edizioni Socrates di Roma.

Si tratta di un magnifico libro fotografico pubblicato da Wim Wenders prima in Germania nel 1993 e poi subito tradotto in Italia, al tempo in cui il regista tedesco era fresco reduce dall'aver girato alcuni dei suoi più noti capolavori, Lo Stato delle Cose (1982), Paris, Texas (1984), Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin), (1987), Fino alla fine del mondo (Bis ans Ende der Welt) (1991) Così Lontano così vicino (In weiter Ferne, so nah!) (1993), e Lisbon Story (1994). 

Una volta è dunque tutto questo: diario di riprese e di sopralluoghi per i set dei suoi film, taccuino di viaggio ("viaggiare è la cosa al mondo che mi piace di più", dichiara lo stesso Wenders nella intervista finale), sperimentazione fotografica (molte delle foto del volume sono state prese da Wenders con polaroid), narrazione (ognuna delle foto o delle serie fotografiche, infatti viene preceduta da un testo che comincia con le parole "una volta"...).

Naturalmente sono protagonisti i paesaggi estremi e desolati così tanto amati da Wenders, che sono al centro dei suoi film (il deserto Australiano e Ayers Rock, messi poi al centro di "Così lontano, così vicino"; la costa portoghese, utilizzata come set per "Lo stato delle cose"; le strade di Lisbona, protagoniste di "Lisbon story", le case in bianco e nero e i quartieri di Berlino, che fanno da sfondo a "Il cielo sopra Berlino"; le lande dell'America più profonda, utilizzate come ambientazione della perdizione di Travis, il protagonista di "Paris, Texas").

Insomma, un lungo viaggio affascinante tra volti di gente perduta, incontrata fugacemente in viaggio e paesaggi fortemente evocativi. 

Impreziosiscono il volume una bellissima introduzione dello scrittore  Daniele Del Giudice (di quanto si sente la sua mancanza oggi) e una lunga intervista finale a Wenders realizzata da Leonetta Bentivoglio, firma de La Repubblica, in cui il grande regista tedesco espone la sua visione del cinema, del lavoro, dell'amore, della vita. 


07/05/18

Dreamers 68 - Una bellissima mostra di foto e non solo al Museo di Roma in Trastevere.


In occasione del 50° anniversario del 1968, AGI Agenzia Italia ricostruisce l`archivio storico di quell`anno, recuperando il patrimonio di tutte le storiche agenzie italiane e internazionali, organizzando Dreamers - 68 questa affascinante mostra fotografica e multimediale che è allestita al Museo di Roma in Trastevere dal 5 maggio al 2 settembre 2018 (con apertura al pubblico dalle 9 alle 19)

La mostra a cura di AGI Agenzia Italia, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e con il patrocinio del MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell`Universita' e della Ricerca e' resa possibile dalle numerose fotografie provenienti dall`archivio storico di AGI e completata con gli altrettanto numerosi prestiti messi a disposizione da AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, AFP Agence France-Presse, AGF Agenzia Giornalistica Fotografica, ANSA, AP Associated Press, Marcello Geppetti Media Company, Archivio Riccardi, Getty Images, Contrasto, Archivio Storico della Biennale di Venezia, LUZ, Associazione Archivio Storico Olivetti, RAI-RAI TECHE, Corriere della Sera, Il Messaggero, La Stampa, l`Espresso. 

I servizi museali sono di Ze'tema Progetto Cultura. L`iniziativa nasce da un`idea di Riccardo Luna, direttore AGI e curata a quattro mani con Marco Pratellesi, condirettore dell`agenzia, e intende delineare un vero e proprio percorso nell`Italia del periodo: un racconto per immagini e video del Paese di quegli anni per rivivere, ricordare e ristudiare quella storia.


Da qui, AGI ha ricreato un archivio storico quanto piu' completo del `68 attraverso le immagini simbolo dell`epoca

Non solo occupazioni e studenti, ma anche e soprattutto la dolce vita, la vittoria dei campionati europei di calcio e le altre imprese sportive, il cinema, la vita quotidiana, la musica, la tecnologia e la moda. 

Tutti questi temi verranno raccontati attraverso la cronaca, gli usi, i costumi e le tradizioni in diverse sezioni tematiche, dando vita e facendo immergere il pubblico in questo lungo e intenso racconto nell`Italia del `68. 

Un viaggio nel tempo fra 178 immagini, tra le quali piu' di 60 inedite; 19 archivi setacciati in Italia e all'estero; 15 filmati originali che ricostruiscono piu' di 210 minuti della nostra storia di cui 12 minuti inediti; 40 prime pagine di quotidiani e riviste riprese dalle piu' importanti testate nazionali; e inoltre una ricercata selezione di memorabilia: un juke boxe, un ciclostile, una macchina da scrivere Valentine, la Coppa originale vinta dalla Nazionale italiana ai Campionati Europei, la maglia della nazionale italiana indossata da Tarcisio Burgnich durante la finale con la Jugoslavia, la fiaccola delle Olimpiadi di Citta' del Messico. Anche i personaggi che hanno contraddistinto quegli anni accompagneranno i visitatori all`interno di questo percorso: Martin Luther King, Robert Kennedy, Jim Morrison, Pierpaolo Pasolini, Adriano Celentano, Patty Pravo, Federico Fellini, Alberto Sordi, Giacinto Facchetti, Gianni Rivera, Domenico Modugno, Nino Benvenuti.

Cosa resta oggi del Sessantotto? La mostra e' stata promossa e ideata perche' a rispondere a questa domanda siano soprattutto i giovani di oggi, infatti come scrive Riccardo Luna nel catalogo "Questa non e' una mostra sul passato ma sul futuro 1/8… 3/8 Una strada per ricominciare a sognare". 

Oltre all`esposizione l`iniziativa prevede l`organizzazione di un ciclo di eventi e incontri estivi, che si svolgeranno nel Chiostro del Museo, dedicati ai principali momenti musicali, sportivi, politici, culturali e cinematografici che hanno caratterizzato l`Italia nel 1968 con l`obiettivo di coinvolgere un vasto pubblico e il maggior numero di scuole

Obiettivo primario dell`iniziativa e' far si' che ciascuno studente, grazie soprattutto alla partecipazione diretta alle proiezioni cinematografiche, ai dibattiti sulla politica, ai concerti musicali nonche' ad altre iniziative tematiche, possa conoscere e vivere piu' da vicino un anno e, soprattutto, un Paese sino ad oggi studiato solamente sui libri di storia. 

Attraverso il MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell`Universita'e della Ricerca verranno coinvolte direttamente le scuole medie e superiori con l`organizzazione di visite guidate mirate agli studenti. 

L`evento, realizzato con il contributo di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con SIAE- Societa' Italiana degli Autori ed Editori e in partnership con la RAI, Sky, la FIGC, la Fondazione Museo del Calcio, il CONI, l`AAMOD-Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio Democratico, Open Polis e il CENSIS, si avvale della collaborazione scientifica ed editoriale dell`Istituto dell`Enciclopedia italiana "Treccani" con il quale verra' realizzato il catalogo dell`esposizione. 

I media partner coinvolti sono Formiche, il Tascabile, magazine digitale di Treccani, Rai Teche, Scomodo, Radioimmaginaria e VoiceBookRadio.

03/05/18

Sir Paul Mc Cartney regala al Victoria and Albert Museum di Londra 63 fotografie rare scattate dalla moglie Linda.



In questa foto del 25 novembre 1993, Paul e Linda McCartney posano per i fotografi in una conferenza stampa prima di un'esibizione a Città del Messico presso l'autodromo di Hermanos Rodriguez. Luis Magana, FILE AP Foto


Oltre 60 foto scattate dalla defunta moglie Linda sono state donate da Paul McCartney al Victoria &Albert Museum di Londra

Sono immagini che ritraggono stelle della musica ma anche momenti di vita familiare e saranno esposte da ottobre nella nuova sezione fotografica del museo. 

Tra le foto ci sono ritratti storici dei Beatles negli anni di gloria, dei Rolling Stones e di Jimi Hendrix, ma anche di fiori e animali, e istantanee della famiglia McCartney in vacanza.

Linda Eastman, prima di conoscere Paul, e diventare cantante e tastierista, era stata una fotografa professionista. 
Linda (Eastman) McCartney e Jimi Hendrix al Miami Pop Festival, 1968

Martin Barnes, curatore della sezione dedicata alla fotografia del V&A Museum, ha spiegato che Sir Paul con il suo "grande dono" ha voluto rendere "piu' accessibile al pubblico il lavoro di sua moglie". 

Inseriti in un museo, i lavori di Linda McCartney entrano in effetti nella storia della fotografia. 

La Eastman, in particolare a meta' degli anni '60, sperimento' stili diversi, con vari tipi di fotocamere e di stampa. 

Inoltre cerco' di fotografare star del rock e del pop nei momenti piu' privati, dietro le quinte, nella vita di tutti i giorni, cercando di catturarne un'immagine "piu' onesta e piu' reale".

15/03/18

La celebre foto di Benigni e Berlinguer: un ricordo personale.


Avevo 24 anni e quel giorno era un magnifico pomeriggio di giugno, quando Roma ancora non si era trasformata in una città dal clima sub-tropicale, con temperature a 40 gradi e siccità terribile. 

Sulla terrazza del Pincio soffiava il ponentino, e noi ragazzi - che frequentavamo Villa Borghese come il nostro magnifico jardin d'été - fummo attratti dai suoni amplificati di una band che provava un concerto sul palco allestito proprio dirimpetto alla balaustra del Valadier. 

Era per l'esattezza venerdì 17 giugno del 1983 e il Partito Comunista aveva organizzato diverse manifestazioni in giro per Roma, di cui questa al Pincio. 

Di lì a qualche giorno, il 26 giugno si sarebbe votato per le elezioni politiche, quelle che avrebbero visto un deciso calo della Democrazia Cristiana e il PCI quasi al 30 per cento (dopo quelle elezioni il presidente del Consiglio sarebbe diventato, per la prima volta, il socialista Bettino Craxi). 

Al contrario di come si è immaginato dopo quella celebre foto, c'era pochissima gente di fronte al palco in quel pomeriggio - non più di un centinaio di persone, perlopiù curiosi come noi che erano venuti ad assistere alle prove del concerto, in programma qualche ora più tardi. 

Sul palco c'era già però Roberto Benigni, che era già molto amato e che qualche anno prima, nel 1977, aveva interpretato il film diretto da Giuseppe Bertolucci, Berlinguer ti voglio bene

Benigni, come era suo stile, accorgendosi che già un po' di pubblico s'era radunato, mise in scena un ironico comizio di una decina di minuti, facendo sbellicare i presenti. Ma la vera sorpresa accade qualche minuto dopo. 

Successe infatti che sul palco si materializzò all'improvviso nientemeno che il segretario del PCI  Enrico Berlinguer, il quale in quei giorni di campagna elettorale girava per Roma visitando i diversi palchi allestiti in città.

Forse aveva promesso a Benigni - e al giovanissimo Walter Veltroni che aveva organizzato la manifestazione del Pincio e che si intravvede infatti chiaramente in piedi sullo sfondo nella fotografia - di fare una apparizione. 

Non appena Benigni lo scorse, di lato al palco, lo chiamò, lo fece venire al microfono di fianco a sé e disse, dopo avergli stretto la mano: “io vorrei prenderlo in collo ma lui non si farà prendere, sarebbe il mio sogno prendere in collo Enrico Berlinguer”. 


Così avvenne: sotto i nostri occhi stupefatti, subito dopo lo prese effettivamente in braccio per pochi secondi. Berlinguer non si sottrasse al gesto e sorrise di gusto allo scherzo del toscanaccio. 


La scena fu la fortuna di un paio di paparazzi, che si trovavano lì per l'occasione e che realizzarono una foto divenuta poi incredibilmente famosa, anche all'estero.

Enrico Berlinguer, protagonista della svolta "eurocomunista"" – aveva da poco portato il PCI, il maggior partito comunista nell’Europa occidentale, al miglior risultato mai raggiunto, il 34,4 per cento alle elezioni politiche del 1976. 

Era poi seguito, appena due anni più tardi il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il suo assassinio, che inaugurarono una stagione difficilissima per l'Italia e anche e soprattutto per la sinistra italiana. 

Berlinguer morì appena un anno dopo questa foto: l’11 giugno 1984, a Padova, dopo l'ictus che lo aveva colpito quattro giorni prima, mentre stava tenendo un comizio in piazza della Frutta. 

Si concludeva così, drammaticamente, una intera stagione politica. 

A noi, giovani di allora, aver assistito al bagliore - questo sì, assai romantico - di questo fecondo tramonto. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata.


24/06/17

"HOLLYWOOD ICONS" - Una straordinaria mostra per immagini, al Palaexpo' di Roma.



La mostra presenta 161 ritratti: dai più grandi nomi nella storia cinematografica, iniziando con le leggende del muto come Charlie Chaplin e Mary Pickford, continuando con gli eccezionali interpreti dei primi film sonori come Marlene Dietrich, Joan Crawford, Clark Gable e Cary Grant infine per concludere con i giganti del dopoguerra come Marlon Brando, Paul Newman, Marilyn Monroe, Sophia Loren e Marcello Mastroianni. 

Organizzata per decadi, dagli anni Venti fino ai Sessanta, che presentano i divi principali di ciascun periodo, Hollywood Icons include anche gallerie dedicate ai fotografi degli studi di Hollywood, mostra il processo di fabbricazione di una stella cinematografica e introduce vita e carriera del collezionista e storico del cinema John Kobal, il quale ha estratto da archivi polverosi tutto ciò mettendolo a disposizione dell’arena pubblica e del plauso della critica. 

La storia del film solitamente è scritta dal punto di vista di attori o registi, prestando poca attenzione a quell’impresa enorme che rende possibile fare i film. Hollywood Icons, presenta quel ritratto in gran parte inatteso e quei fotografi di scena che lavorarono silenziosamente dietro le quinte, ma le cui fotografie ricche di stile furono essenziali alla creazione di divi, dive e alla promozione dei film. 

Milioni e milioni d’immagini, distribuite dagli studi di Hollywood durante l'età d'oro, erano tutte quante il lavoro di artisti della macchina fotografica che lavoravano in velocità, con efficienza e il più delle volte in maniera splendida al fine di promuovere lo stile hollywoodiano in tutto il mondo. I ritratti di Joan Crawford fatti da George Hurrell hanno contribuito a plasmare la sua emozionante presenza sullo schermo. 

L'indelebile immagine della Garbo è stata creata nello studio per ritratti di Ruth Harriet Louise. In questa mostra sarà presentato il lavoro di più cinquanta fotografi inconfondibili, tra cui: Clarence Sinclair Bull, Eugene Robert Richee, Robert Coburn, William Walling Jr, John Engstead, Elmer Fryer, Laszlo Willinger, A.L. "Whitey" Schafer e Ted Allan. Nessuno, meglio di John Kobal, ha compreso l’importanza di questa ricchezza fondamentale del materiale hollywoodiano. 

Iniziando come un appassionato di film, divenne un giornalista, più tardi uno scrittore e infine, prima della sua morte precoce nel 1991 all'età di 51 anni, fu riconosciuto come uno tra gli storici preminenti del cinema. 

Essenzialmente la sua reputazione si basa sul lavoro pionieristico di riesumare le carriere di alcuni tra questi maestri della fotografia d’epoca classica hollywoodiana. Iniziando dai tardi anni sessanta, Kobal cercò di ricongiungere questi artisti dimenticati con i loro negativi originali e li incoraggiò a produrre nuove stampe per mostre che allestì in tutto il mondo, in luoghi come il Victoria & Albert Museum e la National Portrait Gallery a Londra, il MoMA a New York, la National Portrait Gallery a Washington DC, il Los Angeles County Museum of Art a Los Angeles

Una selezione di queste stampe, assieme a quelle d’epoca originali risalenti al periodo degli studi, crea il cuore della mostra.


HOLLYWOOD ICONS. FOTOGRAFIE DALLA FONDAZIONE JOHN KOBAL 
dal 24 giugno  al 17 settembre 2017 

La mostra è organizzata dall'Azienda Speciale Palaexpo, presentata dalla John Kobal Foundation in associazione con Terra Esplêndida

14/06/17

"Il primo di tutti i selfie" - Va all'Asta da Sotheby's a Londra il primo autoritratto di Andy Warhol.


Un autoritratto di Andy Warhol, una sorta di proto selfie ante-litteram dipinto nel 1963 andra' all'asta presso Sotheby`s a Londra e dovrebbe realizzare sette milioni di sterline.

Il quadro venne realizzato a partire da una fotografia dell'artista scattata in un negozietto di New York e l'autoritratto e' considerato il primo modello dell'icona di se' stesso che l'artista ha reso con il tempo distintiva.

Facendo riferimento all'attuale mania dei selfie, e all'utilizzo di questi sui social media, uno specialista di arte contemporanea della casa d'aste, James Sevier, dice: "il primo auto-ritratto dell'artista, creato usando una serie di scatti realizzati in una botteguccia fotografica di New York mai come adesso e' rilevante per la cultura contemporanea". 

Il quadro - Self-Portrait, (1963-64) - andra' all'asta il 28 giugno.

fonte ASKANEWS


29/04/16

Storia di una foto n.4 - Kurt Schraudenbach a Roma.



Stavolta, nella nostra caccia alla foto - qui le puntate precedenti - siamo partiti da una foto realizzata da un reporter tedesco, della Suddeutsche Zeitung, Kurt Schraudenbach che risultava e risulta essere stata scattata a Trastevere nell'estate del 1964, per un reportage su quella rivista. 

Stavolta la caccia è stata di più facile risoluzione a causa della chiara identificazione dei palazzi sullo sfondo, quello merlato, e quello con il tondo votivo sopra il portone in marmo. 

La foto è dunque stata scattata in Piazza di Santa Cecilia, in Trastevere, che oggi si presenta così: 


Il luogo è dunque esattamente all'angolo della Piazza con Via dei Vascellari.  E questa foto è più o meno ripresa dalla stessa angolazione: 




La piazza è dunque rimasta più o meno identica a come è ritratta nel 1964 (per fortuna oggi è protetta da un'area pedonale). 
E anche il tondo votivo è ancora al suo posto anche se semisommerso da una pianta rampicante. 



Resta comunque la considerazione di quanto sia stato drastico il cambiamento in quelle zone, considerando che ancora nel 1964 transitavano nella caratteristica zona fluviale di Roma, carretti a cavallo con le mercanzie, mentre donne trasteverine, per sfuggire probabilmente all'afa, spostavano le loro macchine per cucire Singer direttamente sulla piazza. 

Fabrizio Falconi - (C) riproduzione riservata 2016.



18/04/16

Cartier-Bresson e Roma - Storia di una foto 2.

Henri Cartier-Bresson, Roma 1953

Dopo la prima puntata (e la prima foto) siamo tornati sulle tracce di Cartier-Bresson e di quel suo leggendario viaggio nella Roma nel 1953, ci siamo messi a caccia di una nuova foto, quella che si vede qui sopra.  Stavolta abbiamo potuto appurare anche che la didascalia Trastevere, Roma è errata. La foto infatti non fu scattata a Trastevere, ma sul lato opposto del fiume, nel mezzo del Ghetto ebraico. 

Per arrivare alla soluzione del mistero, ci siamo avvalsi di un'altra foto realizzata nella stessa serie (e nello stesso giorno?) da Cartier-Bresson, con l'inquadratura più ampia, che permette di riconoscere un locale con l'insegna Fantino sulla sinistra. Eccola: 


Il particolare ci ha permesso di ricostruire con esattezza il luogo dove la fotografia è stata scattata: si tratta di Via Sant'Angelo in Pescheria (proprio alle spalle del Portico d'Ottavia), dove la piccola strada compie una curva verso sinistra. Ecco come si presenta oggi:


C'è ancora un ristorante al civico n.30 (ora si chiama Giggetto 2). La finestra di luce al centro del selciato, in cui gioca la bambina illuminata dalla luce, era creata dalla finestra nell'arco del Portico d'Ottavia, alle spalle di chi scatta la fotografia, oggi tappata dai ponteggi infiniti che ormai da 50 anni ingabbiano il meraviglioso Portico d'Ottavia: 



Ai lati dell'entrata del ristorante sono ancora visibili i due ganci per la tenda, utilizzati dal ristorante precedente Fantino



Seconda traccia svelata, dunque. Proseguiremo ancora il viaggio sulle orme del grande Cartier-Bresson. 


Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.




13/04/16

Cartier-Bresson e Roma - Storia di una foto.

Henri Cartier-Bresson, Rome, 1953

Era partito come un gioco.  Stupiti dalla bellezza di questa foto di Cartier-Bresson, siamo partiti alla ricerca del luogo in cui fu scattata. 

La didascalia della Agenzia Magnum, proprietaria dei diritti della foto non aiutava, recitando laconicamente Henri Cartier-Bresson, Rome, 1953.

Quel che si sa per certo è che tra il 1951 e il 1971, durante un ventennio, il grande genio viaggiò spesso in Italia e tornò spesso a Roma. 

Questa foto fa parte di una serie scattata nello stesso luogo.  Con una certa fatica, grazie all'aiuto di preziosi amici, siamo riusciti a trovarlo.  Le tracce portavano a Trastevere.  E infatti l'angolo ritratto è proprio quello della piccola Piazza dei Ponzani (sulla foto originale, la dicitura della targa non si legge chiaramente), nel cuore di Trastevere. 

Ci sono tornato stamattina per un sopralluogo.  E sono riuscito a ritrarre più o meno la stessa angolazione (anche se purtroppo oggi il luogo è sopraffatto da sporcizia, macchine parcheggiate una sull'altra,  ecc...) 


Anche il bar è rimasto al suo posto, anche se oggi in parte ricoperto di edera: 


I proprietari del bar sono a conoscenza della illustre foto che immortala il locale nel 1956. E hanno anche provveduto ad affiggerne una riproduzione all'interno


Ho anche parlato con alcuni abitanti della zona.  In effetti sembra che Cartier-Bresson in quella estate del 1953 soggiornò proprio in Piazza dei Ponziani, probabilmente ospite di un amico architetto (oggi scomparso). 

Realizzò diverse foto in questo luogo, una anche dall'interno dello stesso bar. 



Certo il contesto oggi è ben diverso.  Ma esiste ancora stoicamente la vecchia fontanella (vicino ad un albero che doveva già esserci all'epoca), dall'alto lato della piazzetta e che è quella alla quale sicuramente la ragazzina immortalata dalla foto ha portato la grande bottiglia di vetro per riempirla, che porta sulle spalle. 


Insomma, un angolo della vecchia Roma di CB, che resiste nonostante tutto... 

Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.




24/11/15

La ragazza di Gaza che è rimasta chiusa in casa per 20 mesi e ha trasformato la sua vita in opera d'arte (Nidaa Badwan).



Attraverso la sua macchina fotografica, Nidaa Badwan ci trasporta nella sua piccola camera da letto, dove è rimasta per un anno e dieci mesi. 

Le sue opere denunciano le tragedie della sua terra e allo stesso tempo rappresentano una realtà vivace e poetica, colorando e creando un percorso luminoso per Gaza

Il 19 novembre del 2013 Nidaa Badwan ha chiuso la porta della sua camera da letto e l’ha tenuta chiusa per ventidue mesi. 

Una reclusione volontaria, decisa e motivata. Il giorno prima i miliziani di Hamas l’avevano fermata mentre aiutava un gruppo di giovani a preparare una mostra. “Perché porti quei pantaloni larghi? Devi indossare il velo non quel cappello di lana colorato. Sei strana, chi sei?”. “Sono un’artista” aveva risposto lei. “Che vuol dire? Che cos’è un’artista e soprattutto che cos’è un’artista donna?”. 

 Da quel giorno Nidaa si è isolata nella sua stanza, piccola, solo nove metri quadrati e con una sola finestra. Al soffitto una lampadina appesa ai soli fili elettrici. Ha colorato le pareti di blu, di verde, una l’ha riempita di cartoni delle uova ognuno di colore diverso, come un arcobaleno e durante i quattordici mesi, ha cambiato e ricambiato, secondo l’ispirazione e soprattutto in base alla poca luce naturale che filtrava dalla finestra

Nella stanza strumenti musicali (un oud, una chitarra rotta), una vecchia macchina per scrivere, una cucitrice, gomitoli di lana, una scala di legno da imbianchino, fanno da scenografia

Nidaa Badwan prepara la sua macchina fotografica, aspetta la giusta luce naturale e scatta, scatta e poi scatta ancora. 



Sono autoscatti in cui il volto si riconosce appena, ma sembrano quadri e non fotografie. I colori, il calore, suscitano emozioni, sensazioni forti, ricordano le nature morte di Chardin, i chiaroscuri di Caravaggio, le scene teatralizzate di David. 

Nidaa Badwan con i suoi ritratti rappresenta i sogni dei giovani della sua terra e l'isolamento del mondo femminile sotto il governo autoritario di Hamas.

Dopo aver esposto a Gerusalemme, Betlemme, Nablus, Herbron in Palestina, a Montecatini Terme e Montegrimano in Italia, e prima di esporre in molti altri paese in giro per il mondo, le meravigliose opere di Nidaa verranno esposte nello splendido scenario del Palazzo Graziani della Repubblica di San Marino, con ben 24 tavole, che rimarranno a disposizione del pubblico dal 23 novembre 2015 al 6 gennaio 2016

 Queste le parole del Segretario alla Cultura Giuseppe Morganti: “In una terra come San Marino, che basa i suoi valori e la sua storia sulla libertà, tu rappresenti un simbolo particolare, perché ti batti per i diritti con strumenti di pace e non di guerra”.

“100 giorni di solitudine” di Nidaa Badwan dal 23.11.2015 al 6.01.2016 Palazzo Graziani Via dello Stradone, 12 San Marino 



15/06/15

Un meraviglioso libro di foto su Pompei - da Electaphoto.


La collana Electaphoto dedica il quarto volume all’indagine del profondo legame fra Pompei, la sua immagine ben presto divenuta icona dell’Antico, la sua fortuna culturale e le numerose valenze emotive ed estetiche che l’arte, tesa nello sforzo di far vivere la storia spezzata della città romana, ha, nel tempo, messo in scena.

Il volume comprende: le precoci dagherrotipie degli scavi pompeiani, quasi una trascrizione figurativa delle stampe degli incisori; le prime vedute calotipiche legate alla pressoché immediata necessità editoriale di diffondere la conoscenza del sito e dei "tesori" che venivano dissepolti; le immagini fotografiche ritoccate ad acquarello ancora debitrici del gusto pittoresco del Grand Tour; la funzione ancillare della fotografia ottocentesca di edifici, decorazioni, sculture e suppellettili rispetto alla ricostruzione del mondo antico nella pittura accademica e pompier europea, come nell'architettura in stile fino alle soglie del Fascismo; le foto-cartoline sciolte vendute presso gli Scavi e al contempo le campagne di ripresa istituzionali come quella affidata, ancora in periodo borbonico, a Giorgio Sommer; la presenza a Pompei di tutte le principali ditte italiane (Alinari, Brogi, Vasari, Chauffourier) dotate delle più moderne strumentazioni e con peculiarità diverse nell'allestimento dei set; le rovine pompeiane come scenario creativo per autori come Plüschow che hanno inteso popolarle e farle rivivere nella suggestione di immagini mentali cariche di significati; la rivalutazione critica della loro opera a partire dagli anni sessanta del XX secolo quando la citazione, il rendering, la copia e la contaminazione di stili e generi sono divenuti al centro delle poetiche postmoderne e dell'arte cosiddetta neopompeiana; la più recente dicotomia fra una fotografia documentaria che muove da criteri scientifici di ripresa, una crescente fotografia "turistica", e gli sguardi decisamente autoriali dei più grandi maestri della fotografia contemporanea.


La rassegna, visitabile fino al prossimo 2 novembre, è organizzata da Electa e promossa dalla Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e dalla Direzione Generale del Grande Progetto Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

L’esposizione nel Salone della Meridiana del museo di Napoli è curata da Massimo Osanna, Maria Teresa Caracciolo e Luigi Gallo. 

A Pompei la sezione “Rapiti alla morte”. I calchi è a cura di Massimo Osanna e Adele Lagi, mentre “La fotografia” è curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. La mostra ha ottenuto il patrocinio Expo Milano 2015.

18/02/15

"La sua vita era una scuola di disobbedienza." - Un libro-biografia su Henri Cartier-Bresson.




Racconta la storia di uno sguardo la biografia che Pierre Assouline ha dedicato a Henri Cartier-Bresson. Proprio a lui, il grande fotografo, il disegnatore, il viaggiatore, l'artista, "l'occhio del secolo" come veniva chiamato, che "inorridiva solo a sentire parlare di biografie".

La scintilla che ha convinto Assouline e' stata il "prendere coscienza che la vita di Henri Cartier-Bresson era una scuola di disobbedienza". A spiegarlo e' lo stesso Assouline, scrittore e giornalista, autore dell'apprezzata biografia di Georges Simenon, nell'introduzione a 'Henri Cartier-Bresson. Storia di uno sguardo' che esce il 19 febbraio nella collana 'In Parole'di Contrasto, con 25 foto in bianco e nero, nella nuovatraduzione di Laura Tasso.

Il libro e' il risultato di una lunga conversazione privata tra Assouline e Cartier-Bresson durata cinque anni a casa dell'uno o dell'altro, al telefono, per cartoline o via fax. Un lavoro accurato ma nato da un incontro speciale ("aveva finalmente accettato l'idea di un'intervista, benche' a una condizione: che tale non fosse") che ha permesso ad Assouline di disobbedire al grande fotografo che non voleva si scrivesse della sua vita, alquale e' stata recentemente dedicata una mostra all'Ara Pacis diRoma che ha visto un record di 120 mila presenze.

"E' il libro che lo racconta meglio. Assouline ha conosciuto Cartier-Bresson, era una persona che andava al di la' della sua opera fotografica, che si contraddiceva. Mi e' piaciuto molto il modo in cui e' riuscito a raccontarlo" dice all'ANSA Roberto Koch, fondatore e direttore di Contrasto.

La grande curiosita' e l'antico fascino che Cartier-Bresson esercitava hanno fatto superare ad Assouline ogni paradosso e contraddizione fino a perdersi nel "suo universo interiore senza preoccuparsi della cronologia" per raccontare la storia di un uomo "che si e' posto - dice il biografo - tutta la vita la stessa domanda: 'di che si tratta? e che non ha mai trovato la risposta perché non esiste".

Pioniere del foto-giornalismo, il fotografo che ha raccontato Gandhi a poche ore dal suo assassinio e la vittoria dei comunisti cinesi, da adolescente si dedicava solo all'arte, si sentiva piu' disegnatore che pittore e il tratto distintivo del suo carattere era la rabbia, che non e' mai riuscito a domare. 
Viaggiatore, innamorato dell'Africa che restera' sempre nel suo cuore, Cartier-Bresson gia' a ventitre' anni aveva capito che "l'importante e' avere un'idea e seguirla fino in fondo. Una sola basta a impegnare un'esistenza" ricorda Assouline. E quando decide di fare il fotografo lo annuncia al padre, che non lo considera un mestiere ma un hobby, facendosi accompagnare da Max Ernst, che ha 17 anni piu' di lui. Ma diventa veramente fotografo un giorno del 1932 quando trova il suo strumento: la Leica che sara' sempre la sua compagna di strada.

Figlio di Marthe, intellettuale, meditativa, alla quale Henri assomigliava, e di Andre', un uomo con un forte senso del dovere, Henri, detto Cartier, detto HCB, viene raccontato in nove capitoli, dalla nascita il 22 agosto del 1908 alla morte il 3 agosto 2004, a pochi giorni dai suoi 96 anni, annunciata a esequie avvenute. L'uomo che veniva definito "l'occhio del secolo", tra i fondatori della Magnum Photos, non "era malandato, ma stufo, e si e' spento dolcemente. Pare che si sia lasciato morire" dice Assouline nel libro e ci ricorda che alla sua scomparsa "capimmo che solo in quel momento il secolo nuovo era cominciato".

24/03/14

Dürer, Schiele, Mapplethorpe, l'arte di mettersi a nudo.


Non è un caso che è a cavallo tra '800 e '900 che si giunge, nei diversi campi dell'arte umana alla dissoluzione di quella immagine apollinea della realtà - e dunque anche dell'uomo - che in Occidente, dalla lezione dei grandi padri greci, fino all'esplosione dell'Umanesimo e del Rinascimento, e oltre ancora, avevano ribadito la fede dell'uomo nella conoscenza.  Nella sua capacità di com-prendere il mondo e dunque anche se stesso. Categorizzando, analizzando, dividendo, studiando, classificando.
Il pensiero filosofico, in quel periodo di passaggio cruciale, tra '800 e '900, prima della esplosione terminale del primo conflitto mondiale, rovescia in Occidente questo convincimento.
Nietzsche a ventotto anni, nella Nascita della Tragedia, 1872, teorizza il ritorno allo spirito originario del pre-socratismo, nel quale Dioniso e Apollo, la notte e il giorno, la realtà metafisica e la realtà dell'apparenza, il dolore del conflitto e la pace dello spazio-tempo, il molteplice del principium individuationis e il molteplice della lotta, tornano a convivere, non più separati.

Cambia anche lo sguardo dell'uomo, su se stesso. 
Nell'arte, l'uomo e l'artista, sono finalmente nudi. Senza idealizzazioni, senza fingimenti, senza proporzioni, senza costruzioni. Pura evidenza. 
Una operazione già tentata, genialmente, da Albrecht Dürer, quasi quattro secoli prima, in un celebre autoritratto-verità, di modernità sconvolgente. 


Albrecht Dürer, Autoritratto nudo, c.1503, Penna e pennello, inchiostro nero con biacca su verde preparate carta, 290 x 150 millimetri, Schlossmuseum, Weimar.


L'esempio antesignano di Dürer, viene ripetuto, in quegli anni cruciali, con ulteriore crudezza e senso dell'essenziale da artisti attratti dalla dissonanza, risucchiati dalla possibilità/necessità di spezzare la forma - anche quella del proprio involucro umano - per esporre quello che c'è dentro: la solitudine, la nudità, la pura essenza, l'ombra del dionisiaco e il sogno dell'apolinneo, ciò che convive nello spirito di ciascun essere umano. Così si ritrae dunque Egon Schiele, in uno dei suoi forsennati autoritratti-verità.

Egon Schiele, Autoritratto nudo, 1917, Albertina, Vienna.

Un cammino di ricerca e di scandaglio personale che prosegue per tutto il Novecento fino ai giorni nostri, in forme sempre più esplicite ed estreme.
In fotografia, Robert Mapplethorpe, compie su di sé delle vere e proprie autopsie-viventi. X-portfolio è la sua opera-shock in cui ritrae anche se stesso in ogni tipo di posizione e atteggiamento della estesa casistica sado-maso. Di qualche mese prima è questa foto del 1975. 
Mapplethorpe si mostra nascondendo quello che non serve.  Mostra il suo braccio teso, in un atteggiamento che ricorda da vicino una moderna crocefissione. La purezza dell'immagine è caravaggesca.  Robert sorride, è forse l'unica foto nella quale lo si vede sorridere. Eppure è un sorriso pieno di ombre.  La purezza e bellezza apollinea della forma già si confonde con il cuore dionisiaco che non vuol saperne di restare nell'ombra, e troverà le sue strade. 
Il braccio proteso sembra quello dipinto da Caravaggio, ne La vocazione di San Matteo.  Una chiamata rivolta all'ombra.  Dalla luce provvisoria, già calante.  Come il genio di Merisi, Mapplethorpe condivideva dentro di sè il discorso di Apollo e l'ebrezza di Dioniso. Entrambi vivevano in loro. Entrambi in loro si mostravano


Robert Mapplethorpe (1946-1989), Autoritratto nudo, 1975. Polaroid print (40.6 x 50.8 cm).


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata 

02/11/12

Le ultime foto di Pier Paolo Pasolini.



Questa foto qui sopra è l'ultima in assoluto che ritrae Pier Paolo Pasolini in vita. E fu scattata da Dino Pedriali  all'alba del 29 ottobre 1975, tre giorni prima della morte. Le foto di Pedriali sono esposte per la prima volta in una mostra, alla Triennale di Milano. Qui sotto un articolo su Pedriali e sulla realizzazione di queste foto. 

Pier Paolo Pasolini nel suo studio, a Sabaudia.

In giro per Roma, alla guida della sua mitica Alfa 2000. Pasolini nel «rifugio» a Torre di Chia, vicino a Viterbo, in una casa immersa nella vegetazione mediterranea dove l'intellettuale scrive, disegna e si mette - letteralmente - a nudo. Sono scatti straordinari, e li ha firmati Dino Pedriali, allora venticinquenne. 


Attenzione alle date: le foto sono state fatte durante la seconda e la terza settimana di ottobre del 1975. Nella notte tra l'1 e il 2 novembre il poeta fu trovato morto sul litorale di Ostia. In quelle due settimane Pasolini commissionò al suo giovane amante un reportage intenso che, stando alle intenzioni dello scrittore, avrebbe dovuto illustrare «Petrolio», il romanzo cui stava lavorando (poi pubblicato postumo). 


La mostra «Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali» (fino al 28 agosto) raccoglie settantotto scatti in bianco e nero sulla quotidianità di Pasolini, ripreso mentre scrive con la sua Olivetti 22 (forse proprio qualche pagina di «Petrolio»), mentre guarda l'obbiettivo con i capelli scompigliati dal vento, mentre legge, mentre dipinge. 


E, soprattutto, mentre è nudo. In questa «consegna del corpo alla fotografia» emerge tutta la grandezza di Pedriali che, giovanissimo e sentimentalmente coinvolto, seppe catturare una sequenza dall'alto valore simbolico: è quella con Pasolini che si muove senza veli per casa, che poi si affaccia alla finestra, cercando quasi con stupore, in un gioco di sguardi con l'obbiettivo nascosto del fotografo, Dino Pedriali. 


I due si erano accordati per scegliere gli scatti migliori del servizio il 2 novembre del '75: sappiamo che Pasolini non ebbe più la possibilità di vederli. 

Che ne fu di tutti quegli scatti, segno di un fortissimo legame tra il giovane fotografo e l'intellettuale scomparso? L'allora sindaco di Roma Giulio Carlo Argan le usò per organizzare una mostra, altri scatti furono pubblicati («i giornali se ne appropriarono invocando il diritto di cronaca», racconta Pedriali). 

Si deve alla costanza di Giovanna Forlanelli, editore di Johan&Levi, la pubblicazione, per la prima volta in un volume, di questo reportage che nelle intenzioni di Pasolini doveva servire a illustrare il suo romanzo più discusso e che invece, beffardamente, vale ora come suo testamento artistico. 

Di questo ha parlato, ieri in Triennale, Dino Pedriali: «Sono l'unico custode del corpo del poeta», ha detto in un momento di estrema commozione, inveendo contro la politica («che non ha mai amato Pasolini») e contro un articolo di Walter Veltroni uscito sull' «Espresso» lo scorso febbraio («Tutti gli anni si parla di Pasolini e immancabilmente spunta fuori la tesi del complotto politico»). Poi si è tolto le vesti, rimanendo nudo davanti agli scatti, nudi, di Pier Paolo Pasolini, sotto lo sguardo di giornalisti e addetti al museo. 


In mano un coltello in una provocazione disperata, come la domanda contenuta nella sua introduzione al volume che accompagna la mostra: «Ero l'unico che aveva il corpo del poeta intatto. La cultura si è nutrita almeno del suo pensiero?».