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16/08/22

L'amore di Sammy Davis Jr. con la svedese May Britt: un matrimonio che mandò in crisi l'America razzista

 



May Britt è un'attrice svedese che raggiunse la massima popolarità sul finire degli anni '50 interpretando al cinema "I giovani leoni" (The Young Lions) di Edward Dmytryk (1958) dove recitava da protagonista al fianco di mostri sacri come Marlon Brando, Montgomery Clift e Maximilian Schell.

Britt era stata scoperta da adolescente dal produttore Carlo Ponti (futuro marito di Sofia Loren) e dallo scrittore e regista Mario Soldati, nel 1951. 

I due si trovavano in Svezia per scegliere una giovane bionda per il ruolo di protagonista in Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, che Mario Soldati avrebbe diretto l'anno seguente. 

Si recarono nello studio dove lei lavorava come assistente di un fotografo di Stoccolma, per visionare album e di modelle. Dopo averla incontrata, le proposero la parte. 

May Britt, come fu ribattezzata professionalmente (il nome completo era May Britt Wilkens), si trasferì a Roma. Come previsto, fece il suo debutto al cinema come attrice protagonista nel film di Soldati, e in seguito lavorò in una decina di produzioni a Cinecittà, partecipando anche al film epico Guerra e pace del 1956. 

Alla fine degli anni Cinquanta, la Britt si trasferì a Hollywood dopo aver firmato con la 20th Century Fox. 

Recitò in alcuni film, tra cui I giovani leoni (1958), I cacciatori (1958) con Robert Mitchum e Robert Wagner e Murder, Inc. (1960) con Peter Falk, oltre a un remake molto criticato de L'angelo azzurro (1959) nel leggendario ruolo creato da Marlene Dietrich nel 1930.

Britt aveva nel frattempo sposato Edwin Gregson, uno studente universitario, nel 1958. 

L'anno seguente, chiese il divorzio.

Nel 1959 incontrò Sammy Davis Jr., allora popolarissimo. I due iniziano a frequentarsi e, dopo un breve fidanzamento, si sposarono il 13 novembre 1960. 

Il loro matrimonio suscitò una vasta eco e molte polemiche nell'America puritana e razzista di allora.  Basti pensare che all'epoca il matrimonio interrazziale era vietato per legge in 31 Stati americani e solo nel 1967 queste leggi (ormai ridotte a 17 Stati) furono dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Circola perfino la leggenda che John F. Kennedy e Robert F. Kennedy chiesero a a Frank Sinatra di intercedere con Davis per rimandare il matrimonio con May fino a dopo le elezioni presidenziali del 1960.

Prima delle nozze, Britt si convertì all'ebraismo. La coppia fu infatti sposata dal rabbino riformista William M. Kramer.

Harry Belafonte, che all'epoca era sposato con una donna bianca, fu invitato a esibirsi durante la festa di matrimonio. 

Una volta sposata, Britt lasciò il cinema. Lei e Davis ebbero una figlia, Tracey (nata il 5 luglio 1961 - morta il 2 novembre 2020), e adottarono due figli: Mark Sidney Davis (nato nel 1960, adottato il 4 giugno 1963) e Jeff (nato nel 1963). 

Fu un grande amore anche se i due divorziarono nel 1968 dopo che Davis ebbe una relazione con la ballerina Lola Falana. 

Dopo il divorzio, Britt riprese a lavorare con sporadiche apparizioni televisive, l'ultima nel 1988. 

Da allora si è ritirata e si dedica principalmente alla pittura. Attualmente risiede in California. Il suo terzo marito, Lennart Ringquist, è morto nel 2017.

Fabrizio Falconi - 2022 




14/06/22

*L'infelice destino di Daniel Auster, il figlio del grande Paul Auster*


Qui sopra una foto dell'unica apparizione al cinema di Daniel Auster, figlio nato dal primo matrimonio del grande scrittore americano Paul Auster, nei panni del ladruncolo che scappa inseguito da Harvey Keitel nel film "Smoke", scritto e co-diretto dal padre nel 1995.

Daniel è morto per overdose il 29 aprile scorso, a 44 anni, ritrovato dalla polizia nel suo appartamento di New York.
Daniel era stato arrestato nei giorni di Pasqua per la morte di sua figlia Ruby, neonata, causata da overdose di fentanyl ed eroina.
Daniel Auster era stato liberato su cauzione. Rischiava l’incriminazione per omicidio colposo e negligenza criminale. La piccola Ruby, appena dieci mesi di vita, era morta mentre il padre le dormiva accanto, sotto gli effetti degli stupefacenti. L’avevano trovata nell’appartamento a Brooklyn cianotica, priva di sensi, stroncata dalla droga. La madre Zuzan Smith non si trovava in casa, era a lavoro.
Il padre aveva parlato di un incidente, dicendosi convinto che la piccola avesse ingerito la droga mentre lui dormiva. Il pubblico ministero aveva parlato di così tanta droga nel corpo della piccola che “avrebbe fatto perdere i sensi anche a un adulto”.
Daniel era il figlio dello scrittore, avuto con la prima moglie, la scrittrice e traduttrice Lydia Davis.
Sempre definito un “ragazzo difficile”, molto emotivo, “fragile”, cresciuto nell’East Village. Avrebbe sofferto la mancanza del padre, divorziatosi dalla madre appena un anno dopo la sua nascita.
Architetto paesaggista, aveva avuto problemi di droga fin da adolescente. A 18 anni si trovava nell’appartamento dove venne ucciso uno spacciatore di droga: Andre Angel Melendez, colombiano, era stato ucciso a martellate, fatto a pezzi, parzialmente sciolto nell’acido e buttato nel fiume Hudson. Il “principe delle notti newyorkesi” Michael Alig, “il party monster”, venne condannato a 20 anni. Auster invece riuscì a strappare il patteggiamento: ammise di essere in quell’appartamento, fu accusato solo del furto di tremila dollari che Melendez aveva con sé. Fu condannato alla libertà vigilata. Venne arrestato nuovamente negli anni successivi per possesso di droga e piccoli furti.

Paul Auster e il figlio Daniel, morto il 29 aprile scorso


31/05/22

Rivedere "A Midnight Cowboy" ("Un uomo da Marciapede"): perché è una pietra miliare


Ieri sera ho voluto rivedere, dopo tanto tempo A Midnight Cowboy ("Un uomo da marciapiede" era il non troppo felice titolo italiano).

Che dire, sono rimasto colmo di ammirazione. Un film realizzato nel 1969 che è ancora così incredibilmente moderno, nel modo di essere girato, raccontato, montato, recitato.
John Schlesinger era davvero un genio. Non ricordavo la pellicola così sgranata dei primi meravigliosi 20 minuti (il viaggio in pullman di Joe verso New York), che richiama il calore del Super 8.
Non ricordavo il montaggio psichedelico dei ricordi/sogni/allucinazioni di Joe che anticipa di una ventina d'anni i videoclip musicali.
Non ricordavo l'insistenza nell'uso della canzone di Harry Nilsson (in realtà scritta tre anni prima da Fred Neil e cantata da Nillson) - Everybody's Talking - scelta personalmente da Schlesinger e da lui usata come "marchio" sonoro per quasi tutto il film.
Non ricordavo la crudezza e la durezza nel rappresentare la povertà assoluta e l'ingiustizia sociale dei diseredati in anni nei quali si parlava solo di miracolo e di boom economico.
Non ricordavo la tristezza esistenziale, modello per tutto il nuovo cinema americano degli anni '70, dei Cassavetes, dei Penn, degli Aldrich e di tanti altri.
Non ricordavo il duello di bravura tra due scuole di recitazione così diverse: quella di Voight, più classica, legata alla tradizione hollywoodiana, e quella di Hoffman, stile Actor's studio, già totalmente innovativa, che insieme a una manciata di attori prodigio avrebbe rivoluzionato ancora una volta la storia del cinema americano.
Una pietra miliare.

Fabrizio Falconi

28/05/22

Quella volta che Gigi Proietti recitò insieme a Gassman in un film di Robert Altman

 


Ho sempre pensato che un attore come Gigi Proietti, sia stato largamente sottovalutato, soprattutto dal cinema. Le sue apparizioni sono state poche e sempre in prodotti di qualità media o bassa.

Hanno contato diversi fattori: il primo, quello generazionale. Se Proietti fosse nato vent'anni prima, sicuramente sarebbe diventato anche lui un "mattatore" della cosiddetta commedia all'italiana o del cinema neorealistico, come furono Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi. 

Il secondo fattore è stato quello della lingua: Proietti non parlava una parola di inglese, e questo sicuramente lo penalizzò, anche quando qualcuno, come vedremo, oltreoceano, si accorse del suo talento. 

Il terzo fattore era certamente la sua indole piuttosto pigra (da vero romano) e la ritrosia - autarchica - di staccarsi dal suo teatro e dagli spettacoli one-man-show nei quali poteva dare il meglio di se stesso. 

Una bellissima eccezione fu comunque il film "Un matrimonio", "A Wedding", diretto da Robert Altman nel 1978, in cui un giovane Proietti si ritrovò insieme all'amico complice, Vittorio Gassman, in un duetto tutto italiano. 

Fu lo stesso Proietti a raccontare parecchi anni più tardi quella strana esperienza.

«Il mio mio inglese era anche peggio di quello di adesso. E al cinema non avevo mai fatto granché. Quella mia partecipazione, una particina, rimane il mio più importante exploit su grande schermo». 

Autoironico come sempre, Gigi Proietti si prendeva in giro, diminuendo i suoi meriti, nell'evocare, durante quella intervista che gli fece Gianni Amelio, l'incontro con Robert Altman.

«È un film del 1978: puro medioevo», rincarava l'attore «È cominciato tutto per caso, quando Altman è venuto a Roma dove dirigevo il doppiaggio del suo film "Tre Donne". Con mia grande apprensione vi ha voluto assistere, ma poi mi ha invitato in trattoria dove mi ha chiesto che cosa ne pensassi. Mi dà l'impressione di un film sognato, era stata la mia risposta, di cui lui è stato molto contento, perché, mi ha poi spiegato, molti dei suoi film sono nati così: da un suo sogno». 

Ed ecco l' attore qualche mese dopo interpretare il fratello minore di Gassman a Milwaukee, sulle rive del Michigan («un mare più che un lago»), ultimo arrivato alla festa di nozze, sempre più lugubre, in cui il cineasta esercita con ferocia la critica impietosa della middle class Usa. 

«La mia fortuna è stata che Altman lasciava molta libertà d' improvvisazione, per me abituale in teatro. Tanto più che non ho mai visto la sceneggiatura, ma solo l' elenco dei vari "characters", tra cui il mio. Le battute ci venivano date giorno per giorno. Perciò il mio primo dialogo con Gassman è stato un guazzabuglio in italiano, poi rimasto tale e quale nel film: "E Angelina come sta? - L'ho messa incinta - Stai sempre a scopà...". E così di seguito». 

Girare con Altman ricorda a Proietti i primi film di Tinto Brass, tipo "Drop Out": «Tanta tanta improvvisazione». 

Ma il regista Usa curava al millimetro la tessitura musicale: «Sul set si circondava di musicisti. Anche in "A Wedding" la musica ha un' importanza fondamentale. Per questo il suono, che nel nostro cinema spesso lascia a desiderare, in lui comportava un' attenzione maniacale, al punto che nei totali faceva ripetere con i soli gesti la stessa scena dai personaggi, che potevano essere una cinquantina».




11/05/22

La vera travolgente storia d'amore de "La mia Africa" - Karen Blixen e Denys Finch Hatton


E' un film memorabile, La mia Africa, girato da Sidney Pollack, nel 1985 e rimasto nel cuore di molti, insieme al romanzo da cui è tratto, della grande Karen Blixen. 
Non tutti sanno comunque la reale storia che è alla base del romanzo, e del film. 


Karen Christenze Dinesen  era nata in Danimarca 17 aprile 1885 e subito dopo essersi trasferita in Kenya, che all'epoca faceva parte dell'Africa orientale britannica , si era sposata con il barone svedese  Bror Blixen-Finecke a Mombasa il 14 gennaio 1914.  
Dopo il suo matrimonio, divenne nota come Baronessa Blixen e usò il titolo fino a quando l'allora ex marito si risposò nel 1929.

Bror aveva frequentato l'università di agraria ad Alnarp e gestiva la fattoria di Stjetneholm, all'interno della tenuta di Nasbyholm. 

Durante i suoi primi anni, Karen trascorse parte del suo tempo nella casa di famiglia di sua madre, la fattoria di Mattrup vicino a Horsens. 

Karen e Bror progettavano di allevare bestiame nella loro fattoria, ma alla fine si convinsero che il caffè sarebbe stato più redditizio. 

La coppia fondò presto la loro prima fattoria, M'Bagathi, nell'area dei Grandi Laghi. Durante i combattimenti della prima guerra mondiale tra tedeschi e britannici nell'Africa orientale , Bror prestò servizio nelle pattuglie di Lord Delamere lungo il confine del Kenya con il tedesco-tanganika e Karen aiutò a trasportare rifornimenti, ma la guerra portò una carenza di lavoratori e forniture. Tuttavia, nel 1916, la Karen Coffee Company acquistò una fattoria più grande, M'Bogani, vicino alle Ngong Hills a sud-ovest di Nairobi . La proprietà copriva 6.000 acri di terreno. 

Inizialmente, Bror lavorava nella fattoria, ma presto divenne evidente che aveva poco interesse per essa e preferiva lasciare la gestione della fattoria a Blixen per dedicarsi  ai safari.  

A proposito dei primi anni di vita della coppia nei Grandi Laghi africaniregione, Karen Blixen scrisse in seguito, Ecco finalmente che si poteva fregarsene di tutte le convenzioni, ecco un nuovo tipo di libertà che fino ad allora si trovava solo nei sogni! 

Il marito di Karen la tradiva sistematicamente e in breve contrasse la sifilide.

Il 5 aprile 1918, Bror e Karen furono presentati al Muthaiga Club al cacciatore di selvaggina grande, inglese Denys Finch Hatton (1887–1931), che fu assegnato al servizio militare in Egitto. 

Al suo ritorno in Kenya dopo l'armistizio, Hatton sviluppò una stretta amicizia con Karen e Bror. Lasciò nuovamente l'Africa nel 1920. Mentre Bror e Karen si separarono nel 1921. 

Hatton viaggiava spesso avanti e indietro tra l'Africa e l'Inghilterra e visitava occasionalmente Karen, rimasta sola. 

Ritornò nel 1922, investendo in una società di sviluppo del territorio. Dopo la separazione dal marito, lei e Finch Hatton avevano sviluppato una stretta amicizia, che alla fine divenne una relazione amorosa a lungo termine. 

In una lettera a suo fratello Thomas nel 1924, scrisse: "Credo che per tutto il tempo e l'eternità sono vincolata a Denys, ad amare la terra su cui cammina, ad essere felice oltre ogni parola quando è qui e a soffrire peggio della morte molte volte quando se ne va..." 

Ma altre lettere nelle sue raccolte mostrano che la relazione era instabile, e che la crescente dipendenza di Karen da Finch Hatton, il quale era invece intensamente indipendente, era un problema. 

Finch Hatton si trasferì a casa sua, fece della fattoria di Blixen la sua base di partenza tra il 1926 e il 1931 e iniziò a condurre safari per ricchi sportivi. 

Tra i suoi clienti c'era perfino Edward, principe di Galles. Durante un safari con i suoi clienti, Denys morì schiantandosi con il suo biplano de Havilland Gipsy Moth nel marzo 1931.

Blixen registrò la loro partenza. "Quando era partito con la sua macchina per l'aeroporto di Nairobi, e aveva abbandonato il vialetto, è tornato a cercare un volume di poesie, che mi aveva dato e che ora desiderava nel suo viaggio. Si fermò con un piede sul predellino dell'auto, e un dito nel libro, leggendomi una poesia di cui avevamo discusso. «Ecco le tue oche grigie», disse. 

Ho visto oche grigie volare sulle pianure 
Oche selvatiche vibranti nell'aria alta - 
Incrollabile da orizzonte a orizzonte 
Con l'anima irrigidita in gola - 
E il loro grigio candore che snoda i cieli enormi 
E i raggi del sole sulle colline accartocciate. 


Poi si allontanò definitivamente, agitando il suo braccio verso di me». 

Poco dopo, il fallimento della piantagione di caffè, a causa della cattiva gestione, dell'altezza della fattoria, della siccità e del calo dei prezzi del caffè causato dalla depressione economica mondiale , costrinse la Blixen ad abbandonare la sua tenuta. La società di famiglia vendette la terra a uno sviluppatore residenziale e Blixen tornò in Danimarca nell'agosto 1931 per vivere con sua madre. Nella seconda guerra mondiale, aiutò gli ebrei a fuggire dalla Danimarca occupata dai tedeschi. E rimase a Rungstedlund per il resto della sua vita.

28/03/22

Il film definitivo sulla guerra: "Apocalypse Now" e i versi profetici di T. S. Eliot che Coppola utilizzò nel film

 


Se c'è un film che bisognerebbe riguardare oggi, mentre la guerra insensata e feroce infuria in Ucraina, dopo l'invasione russa, quello è Apocalypse Now, il capolavoro di Francis Ford Coppola (1979), che soprattutto nell'ultima mezz'ora, in cui giganteggia la figura di Marlon Brando nei panni del misterioso e terrorizzante colonnello Kurtz, ci si interroga sul senso profondo della guerra, di questa terribile contro-figurazione umana, che sembra inscritta nel nostro Dna e comunque inestirpabile. 

Coppola lo fa utilizzando, nelle sequenze precedenti la morte del colonnello Kurtz, i versi della poesia di T. S. Eliot " The Hollow Men" (Gli uomini vuoti, 1925). 

La poesia, quando fu pubblicata, era preceduta nelle edizioni a stampa dall'epigrafe che Eliot aveva tratto da Heart of Darkness (Cuore di Tenebra, 1899), il celebre racconto di Joseph Conrad e che recita "Mistah Kurtz - he dead", ovvero la frase pronunciata da un servitore nero che annuncia la morte di Kurtz (sarebbe "Il Signore Kurtz .. è morto"). 

Nella famosa sequenza finale del film, quella con Marlon Brando, avvolto nella penombra, si intravedono chiaramente anche le copertine di due libri aperti sulla scrivania di Kurtz, che sono esattamente From Ritual to Romance di Jessie Weston e The Golden Bough di Sir James Frazer, proprio i due libri che T. S. Eliot citò come le principali fonti e ispirazione per il suo celebre poema "The Waste Land" (La Terra Desolata, 1922). 

Anche in questo caso l'epigrafe originale di Eliot per "The Waste Land" è un passaggio da Heart of Darkness, che termina con le ultime parole di Kurtz descritte dal suo servitore:  " (Kurtz) ha vissuto di nuovo la sua vita in ogni dettaglio di desiderio, tentazione e resa durante quel momento supremo di completa conoscenza? Di sicuro a un certo punto iniziò a piangere in un sussurro in seguito a qualche immagine, a una visione,gridò due volte, un grido che non era altro che un respiro – "L'orrore! L'orrore!" 

Sono le parole pronunciate appunto da Marlon Brando nel celebre finale monologo: è l'orrore che Kurtz ha seminato, di cui è stato l'artefice implacabile e il fiero servitore, che si riduce in polvere nella consapevolezza di un fallimento estremo che conduce a una solitudine dannata e finale. 

Quando, nel film, Willard (Martin Sheen) viene presentato per la prima volta al personaggio di Dennis Hopper, il fotoreporter descrive il proprio valore in relazione a quello di Kurtz con una frase anch'essa tratta da un'altra famosissima poesia di Eliot,  "The Love Song of J. Alfred Prufrock" (Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, 1910/11): "I should have been a pair of ragged claws/Scuttling across the floors of silent seas", ovvero Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli Che corrono sul fondo di mari silenziosi" 

Inoltre, il personaggio di Dennis Hopper parafrasa i versi finali di "The Hollow Men", in uno dei dialoghi con Martin Sheen con queste parole: "This is the way the /expletive/ world ends! [...] Not with a bang, but with a whimper.", ovvero: E’ questo il modo in cui finisce il mondo/ Non già con uno schianto ma con un lamento."

La profezia di Eliot si adatta bene ad ogni guerra e anche alla guerra a cui stiamo assistendo.

Una volta, spiegando il significato di Apocalypse Now, Coppola, ha detto che il film può essere considerato contro la guerra, ma è ancora più contrario alla menzogna: "... il fatto che una cultura può mentire su ciò che sta realmente accadendo nella guerra, che le persone vengono brutalizzate, torturate , mutilato e ucciso, e in qualche modo presentare questo come morale è ciò che mi fa orrore e perpetua la possibilità di una guerra".

E anche queste, sono parole che oggi fanno riflettere.

Fabrizio Falconi - 2022 

26/03/22

Storia di un Matrimonio - un meraviglioso film da non perdere


Storia di un Matrimonio (Marriage Story) di Noah Baumbach è un meraviglioso film uscito soltanto per qualche settimana nelle sale nel 2019 e attualmente visibile su Netflix.

Baumbach ha realizzato una sorta di requiem per il matrimonio tra due creativi, il regista tetrale off Charlie, e l'attrice Nicole, sua musa e moglie. I due sono in crisi. La terapia non aiuta. La decisione di Nicole - che si sente schiacciata dalla personalità e dalla creatività del marito - di lasciare New York e trasferirsi insieme al figlio piccolo a Los Angeles, nella casa dove abitano la madre e la sorella, scatena il conflitto.
Ne nasce una quasi involontaria battaglia legale, perché Charlie non è in nessun modo disposto a trasferirsi sulla West Coast e nello stesso tempo pretende che il figlio divida il suo tempo tra New York e Los Angeles.
Scaturisce così un film a quadri assai doloroso, dove l'intelligenza e la sensibilità di due persone evolute si scontra con le tentazioni di distruggere con la guerra ciò che si è costruito.
Qualcuno ha accostato questo film a Kramer contro Kramer, ma è una vera eresia.
K. contro K. era un film totalmente hollywoodiano. Storia di un matrimonio ricorda invece, per lo stile con cui è girato, Cassavetes.
Un film e una scommessa simile può essere vinta solo se si dispone di due attori dalla capacità espressiva mostruosa come Scarlet Johansson e Adam Driver.
Con la camera sempre stretta intorno ai visi, a spalla, per lunghi monologhi e atroci litigi, la Johansson e Driver si superano in bravura.
Un film di rara intelligenza che apre il cuore e lo fa dolorare.
Alle due grandissime prove d'attore - la Johansson si cimenta in un monologo in piano sequenza che dura quasi 10 minuti, Driver, nella scena del furibondo litigio tira fuori ogni nervo espressivo dalla sua faccia estremamente mobile - si uniscono i "comprimari" Laura Dern (che per questo film ha vinto l'Oscar) e addirittura il grande Alan Alda, nei panni dei due avvocati.
Un vero spettacolo di film, non perdetelo.

Fabrizio Falconi

22/03/22

The White Lotus, la bellissima e feroce nuova serie HBO che racconta cosa è diventato l'occidente

 


The White Lotus è una ferocissima, splendida serie (2021), una delle migliori dell'anno, che non smentisce la qualità del marchio HBO, ormai una garanzia assoluta. 

L'ha scritta il geniaccio Mike White immaginando e descrivendo una settimana in un prestigioso resort hawaiano chiamato appunto "The White Lotus". Protagonista è il concierge Armond (uno stupefacente Murray Bartlett) che deve vedersela con clienti ricchi sfondati e pazzoidi (una coppia in luna di miele, una famiglia disfunzionale, una attempata signora depressa venuta a disperdere le ceneri della madre). 

Siamo dalle parti dei Coen (e di Fargo, in particolare), in quanto a toni e atmosfere: domina il grottesco, la satira tagliente, ma si vira decisamente sul dolente e sul drammatico mano a mano che ci si avvicina alla fine. 

Scene sessualmente esplicite, ma non insistite o volgari, e la capacità talentuosa di far evolvere un'ambientazione o "scenario" già visto (il resort di lusso, i ricchi che si comportano male, l'isola esotica) in qualcosa di veramente e del tutto originale. 

E' una descrizione feroce di quello che è diventato l'Occidente e in tempi come questi viene da pensare quanto sia facile per la propaganda di Putin (ma del resto anche per quella araba/musulmana) puntare il dito su un Occidente alla deriva, in preda alla depravazione dei costumi, al consumo abissale di droghe e alcol, alla dipendenza da farmaci e tecnologia, alla mancanza assoluta di un qualsiasi punto di riferimento alto (non diciamo "morale") superstite, in grado di riempire quel vuoto di senso miserevole in cui è precipitata la vita. 

Eppure, grazie proprio ad opere come questa di Mike White, l'Occidente dimostra una capacità reattiva, autoconsapevole e autocritica durissima (come già accadeva in Don't Look up): il fatto che in Occidente si possano immaginare storie come queste, descriverle, farle vedere a un pubblico, è esattamente la differenza che ancora esiste - e non è poco - tra l'Occidente (o quel che resta di esso) e i regimi di Putin o panislamici fondamentalisti, che si illudono di fermare il tempo solo con la censura e la dura repressione dei comportamenti e delle libertà.

Fabrizio Falconi - 2022 

10/02/22

Quando si incontrarono due geni: Pasolini e Orson Welles

 


Che incontro è stato, quello tra Pasolini e Orson Welles. 

Il grande regista americano nei primi anni '60 era alle prese con problemi familiari e soprattutto problemi economici.  Decise di tornare a lavorare in Italia visto l'ostracismo delle grandi majors americane, che gli avevano chiuso le porte per motivi politici e per motivi legati alla resa al botteghino dei suoi film, che costavano sempre tantissimo.

In Europa Welles accettò un po' di tutto, parti come attore in film popolari, e spesso anche di basso livello. 

L'incontro con Pasolini, però fu diverso:

Nel 1962, Pier Paolo Pasolini, i cui primi film erano improntati al neorealismo, fece un balzo nella frenetica modernità con questo breve e apocalittico film - uno degli episodi del film collettivo Ro.Go.Pa.G. - che ha come tema la freddezza non cristiana della contemporaneità. 

Orson Welles interpreta un regista che sta girando la Passione su una collina vicino a Roma. Stracci (Mario Cipriani), la comparsa che interpreta il ladro pentito, brama la ricotta per il suo misero sostentamento ma non può permettersela e, per averla, diventa, nella vita reale, un ladro

Le sequenze sul set sono selvaggiamente satiriche, quando una diva nutre con il caviale il suo cane mentre Stracci lo guarda, gli attori nella scena della Crocifissione si mordono il naso o ridono nei momenti inappropriati mentre  i membri della troupe invocano la corona di spine. 

In una concisa intervista a un giornalista in visita, Welles esprime il credo del marxismo cattolico di Pasolini; e Stracci, il vero Cristo tra gli uomini, subisce un'intima flagellazione di proporzioni bibliche mentre attende la sua scena legato alla Croce. 

Con dispositivi dirompenti come l'intersezione di filmati a colori e in bianco e nero, la parodia delle buffonate dei film muti e l'inserimento di scene di giovani che ballano il twist, Pasolini afferma la grandezza classica del modernismo cinematografico e trasmette il suo senso di un tempo ormai disconnesso. 

Welles era arrivato in Italia accompagnato dalla terza moglie, l'italiana Paola Mori (nata Contessina Paola Di Gerfalco) che il regista sposò nel 1955 e dal quale ebbe una figlia, Beatrice (lo stesso nome della madre di Welles), nata il 13 novembre dello stesso anno. 

Si erano conosciuti l'anno precedente a un party sul set del film Il maestro di Don Giovanni (1954) e per Welles, che aveva divorziato nel 1948 da Rita Hayworth, fu amore a prima vista. 

La coppia rimase sposata dal 1955 fino alla morte di lui, avvenuta nel 1985. La Mori morì l'anno seguente a 57 anni di età, in seguito a un incidente stradale occorsole in Nevada. 

I due non divorziarono mai, pur vivendo di fatto da tempo separati, poiché proprio in quell'anno, nel 1962 Welles aveva intrapreso una relazione con l'artista croata Oja Kodar, conosciuta durante la lavorazione del film Il processo (1962).

Orson Welles e Paola Mori a Venezia

Fabrizio Falconi - 2022

07/02/22

Sam Shepard e Wim Wenders, i dialoghi dettati al telefono: come nacque il capolavoro di "Paris, Texas"



Come sanno tutti quelli che hanno amato e amano Paris, Texas, capolavoro di Wim Wenders, che uscì nel 1984 e vinse in quell'anno la Palma d'Oro al Festival di Cannes, quest'opera si caratterizza, fra le altre cose, per essere quasi del tutto priva di dialoghi. 

Come nacque la magia del film?

Sicuramente tutto risale alla straordinaria amicizia tra Wenders e Sam Shepard, che ci ha lasciato purtroppo il 27 luglio del 2017.

Wim Wenders aveva viaggiato all'epoca a lungo negli Stati Uniti e aveva dichiarato di voler "raccontare una storia sull'America". Il film prese il nome dalla città texana di Paris, ma in realtà non vi fu  ambientata lì nessuna scena. 

Già all'inizio della sua carriera Wenders aveva scattato molte fotografie durante la ricerca di luoghi negli Stati Uniti occidentali, ritraendo luoghi come Las Vegas e Corpus Christi, in Texas . 

Sam Shepard aveva già ha incontrato Wenders per discutere della scrittura e/o della recitazione per il progetto Hammett (diventato poi il film L'amico americano) di Wenders, ma si disse non interessato a scrivere di Hammett.  

I due presero però in considerazione l'idea di adattare vagamente una novella scritta da Shepard, Motel Chronicles e iniziarono a sviluppare insieme una storia di fratelli, uno dei quali ha perso la memoria. 

La loro sceneggiatura crebbe fino a 160 pagine, poiché il rapporto fratello-fratello diminuì di importanza e furono presi in considerazione numerosi finali. 

Il film fu girato in sole quattro o cinque settimane, con solo un piccolo gruppo al lavoro nelle ultime settimane, e la realizzazione fu molto breve e veloce. Ci fu però un'interruzione alla fine delle riprese, durante la quale la sceneggiatura fu poi completata. 

Il film segnava la prima volta che Wenders evitava completamente lo storyboard,  andando direttamente alle prove, sul posto, prima delle riprese. 

Le riprese iniziarono nel 1983 quando la sceneggiatura era ancora incompleta, con l'obiettivo di girare secondo l'ordine della storia. Shepard pianificò di basare il resto della storia sulle osservazioni degli attori e sulla loro comprensione dei personaggi

A causa di continui rinvii per la difficoltà nel reperire i fondi necessari per la produzione Sam Shepard si ritrovò impegnato a lavorare a un altro film quando Paris, Texas raggiunse il punto in cui la sceneggiatura finiva. Wim Wenders fu aiutato da Kit Carson, che era sempre presente sul set essendo il padre di Hunter Carson, il bambino del film, per alcune scene. 

In seguito Wenders spedì ciò che aveva scritto a Sam Shepard, che a sua volta dettò per telefono al regista i dialoghi tra Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski delle due scene madri del film, che si svolgono all'interno della cabina del peep-show, e che rappresentano il vero acme del film. 

Wenders e i suoi collaboratori, decisero di non ritrarre un peep show realistico, poiché avevano bisogno di un formato che consentisse una maggiore comunicazione tra i personaggi. 

Kinski non poteva vedere nessuno, solo uno specchio, nelle scene del peep show, e dopo la fine delle riprese ha confessato che questo creava una vera sensazione di solitudine.

Le sfide sono emerse quando il film ha esaurito le finanze, ma Wenders si è sentito sollevato quando  ha completato la scena con la Kinski, osservando: "mi sono reso conto che avremmo toccato le persone in grande stile. Ero un po' spaventato dall'idea".

Era la percezione di essere riuscito - grazie all'aiuto fondamentale di Sam Shepard - a portare a compimento il suo film, poeticamente e creativamente, con quell'ultima lunga scena entrata, con ogni merito, nella storia del cinema. 

Fabrizio Falconi - 2022

21/01/22

Quando Gregory Peck interpretò (con sue grandi perplessità) il ruolo del criminale nazista Josef Mengele, "l'angelo della morte"

 

Nel 1976 uscì un romanzo, "I ragazzi venuti dal Brasile", dello scrittore americano (ebreo) Ira Levin che ebbe un successo strepitoso, raccontando l'immaginaria seconda vita del criminale nazista Josef Mengele, autore di atroci pratiche nei lager nazisti e sfuggito alla cattura dopo la fine della seconda guerra mondiale. Levin, appunto, lo immagina fuggito in Brasile sotto falsa identità e dedito, nella sua fazenda immersa nella foresta, alla realizzazione di un folle esperimento per creare dei cloni attraverso il sangue e i tessuti di Hitler, prelevati dallo stesso Mengele. 

Nell'agosto 1976, visto il grande successo del romanzo, fu annunciato che il gruppo di produttori formato da Robert Fryer, Martin Richards, Mary Lee Johnson e James Cresson, aveva opzionato i diritti cinematografici. Il film, inizialmente offerto al regista Robert Mulligan fu poi assegnato a Franklin Schaffner, incaricato di dirigerlo. Nel maggio 1977 fu annunciata la notizia che il grande Laurence Olivier avrebbe recitato nel film.

A Olivier però, già malato (stava accettando tutti i lavori cinematografici ben retribuiti che poteva, ottenere per provvedere a sua moglie e ai suoi figli dopo la sua morte) che aveva appena interpretato la parte di un sadico medico nazista nel bellissimo The Marathon Man (Il maratoneta) di John Schlesinger (1976), non andava a genio l'idea di calarsi nuovamente nella parte di un criminale nazista come Mengele.

A questo punto, i produttori chiesero a Gregory Peck, che si era unito al film a luglio, di interpretarlo. Peck, che al cinema aveva quasi sempre interpretato ruoli virtuosi, era assai riluttante per questioni personali, ma alla fine accettò di interpretare Mengele solo perché in questo modo avrebbe avuto l'opportunità di lavorare con Sir Laurence Olivier, che stimava da sempre. 

Anche Lilli Palmer, nel cast, accettò un piccolo ruolo solo per lavorare con Olivier.

Olivier ebbe così il ruolo dell'altro protagonista del film, l'immaginario Ezra Lieberman, che si ispirava direttamente al "cacciatore di nazisti" SimonWiesenthal  

Il film fu girato quasi interamente in Portogallo.

Ne scaturì un film di grande qualità, soprattutto per la stellare levatura dei suoi interpreti, con diverse scene che vedono il confronto tra Peck e Olivier, tra cui quella del violento litigio tra Lieberman e Mengele che, raccontano le cronache, richiese circa tre o quattro giorni di riprese a causa della salute cagionevole di Olivier in quel momento. 

Peck, più tardi, ricordò che lui e Olivier "erano sdraiati sul pavimento" ridendo dell'assurdità di dover filmare una scena di combattimento del genere alla loro età avanzata. Non solo due grandi attori, ma due vere pietre miliari nella storia del cinema. 

Il grande Laurence Olivier nei panni di Ezra Lieberman


10/01/22

Qual é il più famoso dei film non realizzati? C'erano di mezzo Kubrick e Jack Nicholson

 


Non v'è dubbio che, per il prestigio unico del regista - Stanley Kubrick - e l'imponenza del soggetto e della produzione, questo sia per molti, il più famoso film tra quelli mai realizzati. 

Dopo 2001: Odissea nello spazio, Kubrick progettò infatti di girare un film sulla vita di Napoleone . Affascinato dalla vita dell'imperatore e dal fascino della sua "autodistruzione", Kubrick trascorse molto tempo a pianificare lo sviluppo del film e conducendo per circa due anni meticolose ricerche sulla vita di Napoleone, leggendo diverse centinaia di libri e ottenendo l'accesso alle sue memorie personali e commenti. 

Cercò anche di vedere tutti i film su Napoleone e non ne trovò nessuno attraente, incluso il film di Abel Gance del 1927 che è generalmente considerato un capolavoro, ma per Kubrick un film "davvero terribile". 

I critici erano unanimi nel considerare Napoleone un soggetto ideale per Kubrick, abbracciando la "passione per il controllo, il potere, l'ossessione, la strategia e l'esercito" di Kubrick, mentre l'intensità e la profondità psicologiche di Napoleone, il genio logistico e la guerra, il sesso e la natura malvagia dell'uomo erano tutti ingredienti che non potevano non attrarre profondamente Kubrick

Kubrick preparò una sceneggiatura nel 1961 e prevedeva di realizzare un'epopea "grandiosa", con scene di massa che includevano l'utilizzo di 40.000 fanti e 10.000 cavalieri. 

Aveva intenzione di assumere le forze armate di un intero paese per realizzare il film, poiché considerava le battaglie napoleoniche "così belle, come vasti balletti letali", con una "brillantezza estetica che non richiede una mente militare per essere apprezzata". 

Voleva che fossero replicati il ​​più fedelmente possibile sullo schermo. 

Kubrick inviò gruppi di ricerca alla ricerca di location in tutta Europa e spedì lo sceneggiatore e regista Andrew Birkin , uno dei suoi giovani assistenti nel 2001, all'Isola d'Elba , Austerlitz e Waterloo, per scattare migliaia di foto perché Kubrick potesse studiarle.  

Kubrick si avvicinò a numerose star per interpretare ruoli da protagonista, tra cui Audrey Hepburn per l' imperatrice Josephine , una parte che non poteva accettare perché aveva da poco avuto un figlio. 

Gli attori britannici David Hemmings e Ian Holm vennero considerati per il ruolo principale di Napoleone, prima che la scelta cadesse definitivamente su Jack Nicholson. 

Il film era in fase di pre-produzione ed era pronto per iniziare le riprese nel 1969, quando la MGM annullò il progetto

Sono state addotte numerose ragioni per l'abbandono del progetto, compreso il costo previsto, un cambio di proprietà presso MGM, e la scarsa accoglienza che il film sovietico del 1970 su Napoleone, Waterloo , aveva ricevuto. 

Nel 2011, Taschen ha pubblicato il libro Stanley Kubrick's Napoleon: The Greatest Movie Never Made, una raccolta di documenti originali di Kubrick, come idee per foto di scene e copie di lettere che Kubrick ha scritto e ricevuto in quei due anni. 

Nel marzo 2013, Steven Spielberg, che in precedenza aveva collaborato con Kubrick all'intelligenza artificiale AI ed è un appassionato ammiratore del suo lavoro, ha annunciato che avrebbe sviluppato Napoleon come miniserie TV basata sulla sceneggiatura originale di Kubrick, ma anche questo progetto, per ora, non ha mai visto la luce. 




04/01/22

Cosa successe a Oliver Stone quando si arruolò e partì per il Vietnam?

 



Non è certamente un caso che il più prolifico regista americano sul tema della disastrosa guerra in Vietnam sia stato Oliver Stone che a quel confitto ha dedicato ben 3 film: Platoon, considerato unanimemente un capolavoro e vincitore di 4 premi Oscar, tra cui quelli per miglior film e miglior regista, cui hanno fatto seguito Nato il ​​4 luglio (Born on the Fourth of July) e Cielo e terra  (Heaven & Earth), che trattano i diversi aspetti della guerra. 

Stone infatti ebbe esperienza diretta di quella guerra.  

Era nato a New York City, figlio di una donna francese di nome Jacqueline e di un agente di cambio. È cresciuto a Manhattan e Stamford, nel Connecticut e la guerra era già nel suo destino visto che i suoi genitori si incontrarono durante la seconda guerra mondiale , quando suo padre combatteva come parte delle forze alleate in Francia. 

Da ragazzo Oliver Stone fu ammesso alla Yale University ma lasciò gli studi nel giugno 1965 all'età di 18 anni per insegnare inglese agli studenti delle scuole superiori per sei mesi a Saigon presso il Free Pacific Institute nel Vietnam del Sud

Fu forse questa esperienza insieme al breve periodo che trascorse su una nave della Marina mercantile degli Stati Uniti nel 1966, viaggiando dall'Asia all'Oregon attraverso l'Oceano Pacifico a spingerlo ad arruolarsi, nell'aprile del 1967, nell'esercito degli Stati Uniti richiedendo espressamente il servizio di combattimento in Vietnam . 

Ma cosa gli accadde esattamente sul fronte vietnamita? Rimase nelle retrovie come capitò ad alcuni o a occuparsi di mansioni "burocratiche" o di comunicazione, come successe ad altri, o fu coinvolto direttamente nei combattimenti?  

La sua esperienza per la verità, fu veramente molto dura. Rischiò la vita molte volte e vide in faccia tutto l'orrore della guerra. 

Dal 16 settembre 1967 all'aprile 1968, prestò servizio in Vietnam con il 2° plotone, la compagnia B, il 3° battaglione, il 21° reggimento di fanteria, la 25° divisione di fanteria e partecipò ai violentissimi combattimenti, rimanendo ferito due volte in azione.  

Fu quindi trasferito alla 1a divisione di cavalleria partecipando a pattuglie di ricognizione a lungo raggio prima di essere trasferito nuovamente per guidare per un'unità di fanteria motorizzata della divisione fino al novembre 1968. 

Per il suo servizio, ricevette riconoscimenti militari, inclusa la Stella di Bronzo al valore. 

Quel periodo è testimoniato da crude immagini, come quella che apre questo post, che ritrae Stone in divisa. 

Una esperienza che deve essere stata veramente stata, per un ragazzo di 19 anni, terribile e segnante. 

02/01/22

Intervista al regista del momento, Adam Mc Kay: "Perché ho voluto fare "Don't Look Up!"

 



Don't Look Up  è sicuramente uno dei film dell'anno (scorso, ma anche il presente), visto l'enorme successo che ha riscosso al cinema (nei paesi dove è stato proiettato in sala) e sullo streaming globale di Netflix, merito anche di un cast veramente stellare.

Un film che ha diviso il pubblico tra commenti molto estremizzati - tanti lo hanno adorato e trovato bello e importante, quanto altri l'hanno stroncato nelle loro bacheche socials. 

Anche la critica "ufficiale" ha fornito recensioni di toni molto diverse.

In molti si sono chiesti quale sia, in fondo, il vero obiettivo del film e quali le intenzioni del regista e autore, Adam Mc Kay (premio Oscar per La grande scommessa, nel 2015).

E' particolarmente interessante perciò quel che Mc Kay spiega in una recente intervista: 

“Sapevo di voler fare qualcosa per la crisi climatica e stavo cercando di trovare un modo per affrontarla”, parte di ciò che fai quando fai film è provare a fare film che ti piacerebbe vedere personalmente, quindi mi sono semplicemente chiesto: ‘Puoi fare qualcosa per la crisi climatica e ridere ancora un poco?’ Fortunatamente, mi è venuta questa idea che sembrava la perfetta miscela delle due. Non c’è dubbio, dopo Vice, avevo voglia di ridere”.

Ma Don’t Look Up appare molto lontano dallo stereotipo del film comico e sembra invece piuttosto una pellicola che ha a cuore una forte denuncia sociale: la descrizione di una società regredita a meccanismi adolescenziali o infantili, che rinnega la realtà, o meglio, è del tutto incapace di interpretarla e perfino di vederla. 

Adam McKay spiega come il copione si sia evoluto durante la lavorazione: “Nel bel mezzo della realizzazione di questo film, abbiamo dovuto chiudere causa COVID, e non ho preso in mano la sceneggiatura per tipo quattro o cinque mesi, e quando l’ho finalmente presa in mano e l’ho letta, mi sembrava quasi un copione diverso. Riguardava interamente il modo in cui le nostre linee di comunicazione sono state sfruttate, rotte, distorte e manipolate. Mi ha entusiasmato in un modo che non mi aspettavo, che non si trattasse solo del clima, non solo del COVID, non solo dell’inquinamento, della disparità di reddito, della violenza, qualunque cosa tu voglia pensare – riguarda il fatto che noi non siamo più davvero in grado di parlarci in modo pulito e chiaro”.

Il regista spiega anche che il punto di vista è americano, nasce cioè dell'osservazione di quello che è successo negli Stati Uniti negli ultimi anni, ma può benissimo essere allargato alla realtà del mondo occidentale: “Lo vediamo da un po’ di tempo qui negli Stati Uniti e anche in una certa misura in tutto il mondo, che c’è questa sensazione di persone che non vogliono sentire cattive notizie”, continua il regista. “Le notizie devono essere piacevoli o stimolanti. Gran parte della nostra cultura è diventata un argomento di vendita, quindi l’idea, “Non guardare in alto, evita la verità che sta arrivando”, ho pensato che fosse in qualche modo appropriata. E allude alle comete, e mi è piaciuto che appaia nel film verso la fine”.


22/12/21

Quali sono le cose per cui vale la pena vivere? Risponde Woody Allen

E' una scena cult, di un film cult. 

Considerato uno dei capolavori di Woody Allen, Manhattan uscì nel 1979 e presentato fuori concorso al 32º Festival di Cannes, ottenne un enorme successo in tutto il mondo. 

Oggi è considerato un classico, al punto che nel 2001 il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Come si ricorderà, il film racconta le vicende di Isaac Davis (lo stesso Allen), autore televisivo di 42 anni che abita a Manhattan e che ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l'ha lasciato per un'altra donna, Connie, e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare. 

A sua volta, Isaac frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy, in una relazione che egli immagina breve, a causa della differenza di età e a causa dell'attrazione che prova per Mary, una giornalista divorziata e sofisticata.

Nella scena in questione, Allen è alle prese, da solo in casa sua, con le sue questioni esistenziali, nuove idee da scrivere e soprattutto un bilancio sulla sua vita. 

Ed è così che, utilizzando un registratore, ad un certo punto prende a elencare i motivi, o meglio le cose per cui vale la pena vivere. 

Un gioco che forse ciascuno di noi ha fatto almeno una volta nella vita. 

Ed è interessante riflettere sulle cose scelte da Allen.

Riportiamo per intero il brano del suo monologo sul divano:

Idea per un racconto sulla gente a Manhattan, che si crea costantemente dei problemi veramente inutili e nevrotici perché questo le impedisce di occuparsi dei più insolubili e terrificanti problemi universali. Ah, ehm… Deve essere ottimistico. Perché vale la pena di vivere? È un’ottima domanda. Be’, ci sono certe cose per cui valga la pena di vivere. Ehm… Per esempio… Ehm… Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una e… Joe DiMaggio e… secondo movimento della sinfonia Jupiter e… Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Blues e… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra… quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne… i granchi da Sam Wo… il viso di Tracy

Dunque ricapitolando. Ecco i must alleniani:

1. Groucho Marx, uno dei più grandi attori e autori comici di sempre e vero feticcio per Allen.

2. Joe Di Maggio (ma qui potrebbe essere un qualsiasi campione sportivo a cui si è legati)

3. Il secondo movimento della Sinfonia Jupiter di Mozart.  (lo puoi ascoltare qui). 

4. Louis Armstrong (e la sua Potato Head Blues, che puoi ascoltare qui). 

5. I film svedesi (si intende ovviamente soprattutto Ingmar Bergman, vero mito per Allen).

6. L'educazione sentimentale, un grandioso, bellissimo romanzo di Flaubert (che puoi acquistare qui). 

7. Marlon Brando.

8. Frank Sinatra.

9. Le mele e pere dipinte da Cézanne (che puoi vedere qui).

10. I granchi di Sam Wo (immaginiamo sia il suo piatto preferito, e qui ciascuno potrebbe scegliere il suo piatto e il suo ristorante).

11. Il viso di Tracy, che nel film ha le fattezze di Mariel Hemingway (e che puoi vedere qui).

Questa dunque la Lista di Woody

Naturalmente, ciascuno di voi può fare la sua. 

Qua sotto la sequenza del film.

Fabrizio Falconi - 2021 


23/10/21

I VENTI Capolavori di Woody Allen - Una collezione da guardare e riguardare

E' davvero incredibile la quantità di film d'alto livello prodotta dal geniale Woody Allen nel corso della sua cinquantennale attività di regista. Qui ho stilato la lista dei 20 capolavori imperdibili, all'interno di una filmografia estremamente feconda.

20 film straordinaria da vedere e rivedere. 

1. BROADWAY DANNY ROSE, 1984


1. Broadway Danny Rose, realizzato nel 1984 in totale bianco e nero, scritto, diretto e interpretato da Woody Allen, con Mia Farrow e Nick Apollo Forte come co-protagonisti.
Una sceneggiatura meravigliosa, senza pause e in crescendo, un centinaio tra battute e gags travolgenti, la storia dell'agente teatrale ed ex comico Danny Rose, talmente fallito che i suoi unici clienti rimasti sono uno xilofonista cieco, un ballerino di tip tap con una gamba sola e un'anziana coppia di strozzapalloni.
La fotografia è del meraviglioso Gordon Willis.
E una fantastica Mia Farrow è Tina Vitale, l'amante dell'italoamericano Lou Canova, ex crooner di un certo successo.
Girato a New York in piena estate.
Rutilante e divertentissimo.

2. OMBRE E NEBBIA, 1991


2. Ombre e Nebbia. Nel 1991 Woody Allen realizza, sempre in un bianco e nero meraviglioso (la fotografia è dell'immenso Carlo di Palma), che sembra venir fuori dalle pellicole di Murnau, un film strano e pieno di genio che racconta di uno strangolatore folle che è in giro di notte in una imprecisata città mitteleuropea, col mite e insignificante impiegato Kleinman (in tedesco: piccolo uomo) che partecipa alla caccia per catturarlo.
Un film che pesca dalla cultura europea a piene mani, da Kafka a Brecht, da Murnau a Kurt Weill, che diverte e inquieta.
Un cast di attori strepitoso che va dalla Farrow a John Malkovich, da Donald Pleasence a Lily Tomlin, da Jodie Foster a Cathy Bates, da Joh Cusak (nella foto) fino addirittura a Madonna Ciccone.

3. AMORE E GUERRA, 1975




3. Amore e Guerra, uno dei film più divertenti in assoluto di Woody Allen: ci si diverte col massimo dell'intelligenza parodiando Guerra e Pace di Tolstoj e il mondo della grande letteratura. Allen e Diane Keaton, all'epoca insieme, sono in stato di grazia e la comicità è quella irresistibile di radici ebraiche, simile nel non-sense e nell'ironia a quella di Mel Brooks. Il film fu tutto girato in Francia e Ungheria ed era la prima volta che Allen usciva dagli USA - lo rifarà solo 21 anni dopo.
Siamo nel 1975.
Ci sono decine e decine di battute e gags fantastiche.
Ma Allen si prepara già a virare verso il suo personalissimo stile d'autore.


4. UN'ALTRA DONNA, 1988



4. Un'altra donna. Nel 1988 Woody Allen realizza un altro grande film su un drammatico script che vede protagonista Marion Post (interpretata dalla grande Gena Rowlands), scrittrice di mezza età che si ritira nel nuovo appartamento per scrivere senza essere disturbata, ma si ritrova però ad ascoltare senza volere attraverso la parete le conversazioni dei clienti dell'adiacente studio psicoterapico; parole che scatenano in Marion ricordi drammatici e un ripensamento generale della propria vita.
Malinconico e a tratti cupo - stavolta le influenze di stile sono tra Bergman e Cassavetes - il film vive delle atmosfere di una magnifica New York invernale fotografata nientemeno che Sven Nykvist.
Il solito supercast contiene oltre a Mia Farrow (realmente incinta del figlio di Allen e di lei, chiamato Satchel, che cambierà il suo nome da grande in Rowan) i giganti Ian Holm e Gene Hackman.

5. INTERIORS, 1975



5. Interiors.  Dopo un inizio di carriera da regista totalmente votata al comico, da Che fai rubi, 1966, a Amore e Guerra, 1975, e dopo il capolavoro di Io e Annie, conclusivo di quel decennio, e già virante verso la commedia sofisticata, Woody Allen stravolge le aspettative del suo pubblico e realizza un film "bergmaniano più di Bergman", prendendo a modello il suo grande mito e trasportandolo in una località della East Coast americana in pieno inverno.
Si toglie dai protagonisti, limitando a girare un film assai rigoroso, quasi teatrale e a tratti gelido, privo di colonna sonora.
La critica lo snobba giudicandolo quasi un plagiatore.
Il pubblico diserta le sale.
Ma i membri dell'Academy lo candidano a ben 5 statuette (non ne vincerà nessuna).
Il dramma è interamente famigliare e quasi claustrofobico con una famiglia che va in pezzi dopo che il padre decide di lasciare la madre e si sposa, davanti alle tre figlie con una donna più giovane e apparentemente assai più volgare.
Rivisto oggi, il film è un Bergman rivisitato con rispetto e personalità da Allen in un bellissimo copione. Splendida la fotografia di Gordon Willis e le scene di Mel Bourne.
Un cast prestigiosissimo con Geraldine Page, Maureen Stapleton, E.G. Marshall, e naturalmente la giovane Diane Keaton.

6. STARDUST MEMORIES, 1980



6. STARDUST MEMORIES, 1980. Il film più maltrattato di Allen e allo stesso tempo il più divisivo: quello cioè che ha spaccato totalmente il pubblico (e la critica) a metà: quelli che lo ritengono il suo peggiore e quelli che lo ritengono il suo capolavoro.
Appartengo da sempre alla seconda categoria.
Utilizzando il canovaccio di Otto e Mezzo e l'ispirazione di Fellini (come ha fatto anche Bob Fosse in All That Jazz, Nanni Moretti in Sogni d'Oro e tanti altri), Allen realizza un film del tutto geniale, dove tutto è vero e finto, sogno e illusione, pretesto e sostanza.
Raccontando di un regista comico di successo - Sandy Bates - in crisi esistenziale, Woody mette in scena la lavorazione di un falso film ermetico che i suoi produttori cercano in tutti i modi di rendere più commerciale.
In Stardust però c'è più di questo: c'è l'esistenzialismo di Allen, la sua attrazione per il paranormale e l'ossessione/rifiuto/attrazione per il sacro o l'oltremondano, il romanticismo, la nobile creatività che rende una vita degna di essere vissuta, il mistero del femminile, il senso irrimediabile del tempo che, passando, schianta e redime.
La fotografia in un meraviglioso bianco e nero è del solito Gordon Willis.
Gli esterni del film sono tutti girati a Coney Island e a Newport.
Charlotte Rampling è affascinante nel ruolo dell'inquieta Dorrie.
Jessica Harper e Marie-Christine Barrault sono le altre icone femminili di Woody/Bates.
Indimenticabile la scena delle mongolfiere e dell'apparizione degli alieni.

7. MANHATTAN, 1979



7. MANHATTAN, 1979. Uno dei capolavori di Woody Allen e il prototipo della commedia sentimentale sofisticata, che nessuno meglio di lui è riuscito a eternizzare.

Con la storia dell'autore televisivo quarantaduenne Isaac Davis e le sue ossessioni e nevrosi con le donne. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l'ha lasciato per un'altra donna, Connie, e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare, pieno di riferimenti feroci nei confronti del suo ex marito. Isaac frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy (la splendida Mariel Hemingway), mentre il suo migliore amico, Yale, pur essendo sposato con Emily, si è affezionato a un'altra donna, Mary (Diane Keaton), una giornalista divorziata. Isaac la incontra a una mostra fotografica e ne ricava una prima impressione di donna troppo sofisticata, saccente e pedante. Finirà poi per innamorarsene. Ma Mary lo lascerà per tornare da Yale e Isaac tornerà a consolarsi tra le braccia di Tracy nell'ultima memorabile scena del film con uno dei piani sequenza più famosi della storia del cinema.

La romantica fotografia di Gordon Willis, le meravigliose musiche di Gershwin, le battute e lo script di Allen per un film entrato nel cuore di tutti.

8. ZELIG, 1983




8. ZELIG, 1989. Scritto, diretto e interpretato da Allen, Zelig è forse il suo film più geniale in assoluto. Allen parodizza un documentario su un personaggio degli anni venti-trenta inesistente e inventato di sana pianta, ma che dà allo spettatore l'integrale illusione di essere ispirato a fatti realmente accaduti.
La vicenda è ambientata nel 1928 e l'uomo del momento è Leonard Zelig, vittima di una ignota malattia che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in conseguenza del contesto in cui l'individuo si trova.
Ricoverato in ospedale, Zelig, che in lingua yiddish significa "benedetto", viene seguito da Eudora Fletcher-Mia Farrow, una psichiatra che cerca di scoprire le radici dello strano fenomeno nell'inconscio del paziente.
Un film di virtuosismo inimmaginabile, con la fotografia di Gordon Willis, il montaggio di Susan Morse e gli strabilianti effetti speciali della Greenberg Associates Inc., Computer Opticals, Inc.
Un film talmente geniale nella sua intuizione psicologica e psichiatrica (e religiosa, nel radicamento delle radici ebraiche) che nella accezione di personalità adattivamente camaleontica, di trasformismo identitario dipendente dal contesto ambientale, è stata coniata in psichiatria la Sindrome di Zelig (Zelig Syndrome o Zelig-like Syndrome).


9. RADIO DAYS, 1987


9. RADIO DAYS, 1987 Il più grande atto d'amore che il cinema abbia mai tributato al mezzo della radio e alla sua epopea.
Voce narrante del film, Allen racconta qui le storie della sua gioventù (e della sua famiglia ricostruita come nella foto qui sotto), sebbene non compaia personalmente nella pellicola, ma sia impersonato dal giovane Seth Green, e con esse quello dei gloriosi anni della radio, in America.
È un film tecnicamente perfetto, l'unico fra l'altro che veda recitare insieme le due compagne storiche di Allen: Mia Farrow e Diane Keaton.
Il solito supercast di attori (che per anni erano disposti a autoridursi lo stipendio pur di apparire in un film di Allen) e caratteristi. Oltre a Farrow e Keaton, Danny Aiello, Jeff Daniels, Tony Roberts, Dianne Wiest.
Miracolosa fotografia che restituisce la luce di quegli anni del nostro Carlo Di Palma.
Colonna sonora da urlo.

10.   HARRY A PEZZI, 1997



10. HARRY A PEZZI, 1997 Deconstructing Harry è il ventottesimo film di Woody Allen, girato nel 1997 a New York.
Scritto, diretto e interpretato da Allen fu sacrosantemente candidato al premio Oscar 1998 per la migliore sceneggiatura originale
Racconta le vicende dello scrittore di successo Harry Block che si trova per la prima volta nella sua carriera ad affrontare il "blocco dello scrittore" ed è in piena crisi depressiva.
Allen sceglie genialmente di rappresentare questa condizione psicologica, di depressione e incapacità di autoriconoscimento, utilizzando la tecnica del "fuori fuoco" fotografico.
Criticato da tutti i suoi cari per l'uso spregiudicato che ha fatto nelle sue opere delle loro vite private, Block ha come compagni i personaggi dei suoi racconti, con la realtà che si mescola continuamente alla finzione, in un turbinio virtuosistico (anche nell'utilizzo degli attori) di ricordi e intimità inconfessabili che affiorano durante il viaggio in macchina verso l'università presso la quale Block deve ricevere un riconoscimento alla carriera.
Un film memorabile sui temi delle nevrosi della creazione artistica.
La fotografia è di Carlo di Palma, lo stuolo di attori è mostruoso è va da Billy Crystal a Judy Davis, da Elisabeth Shue a Demi Moore, da Robin Williams a Mariel Hemingway, da Amy Irving a Stanley Tucci a Paul Giamatti.

11. MATCH POINT, 2005


11. MATCH POINT, 2005.  L'ultimo capolavoro di Woody Allen, che risale ormai a 16 anni fa.
Girato a causa delle difficoltà economiche di quel periodo di Allen non a New York, come avrebbe voluto, ma a Londra e con cast interamente inglese (a parte Scarlet Johansson).
Un film tirato e crudele, che racconta la vicenda di Chris, giovane irlandese, bello e sicuro di sé, insegnante di tennis, che ha la possibilità di dare lezioni ai membri della famiglia Hewitt, nobili e ricchi, che sin da subito lo accolgono nel loro giro di amici.
Ne nascono intrighi e delitti che sottopongono allo spettatore questioni morali importanti.
Chris infatti riuscirà a restare impunito per i suoi misfatti grazie a un banale colpo di fortuna, come quello di una pallina da tennis lanciata sulla rete che può cadere da una parte all'altra del campo.
Sceneggiatura perfetta che mette in luce ancora una volta il pessimismo fondamentalista di Allen, che non recita ma resta dietro la macchina da presa.
Il botteghino arrise al film, che fu premiato da grandi incassi in tutto il mondo, fungendo da definitivo trampolino di lancio per la Johansson.
La splendida fotografia è di Remi Adefarasin, anche lui inglese di origini nigeriane.

12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO, 1985



12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO. Uno dei più geniali film di Allen, la cui sceneggiatura originale fu candidata all'Oscar e vinse il Golden Globe di quell'anno.
Negli anni della grande depressione, Allen immagina che Cecilia, una donna giovane che vive in una cittadina di provincia del New Jersey con un marito dispotico e fannullone, per evadere dalla sua vita monotona e dal deludente matrimonio, dopo aver assistito alla proiezione del film "La rosa purpurea del Cairo", ne rimane talmente affascinata da rivederlo più volte fino al punto che il suo personaggio preferito, Tom Baxter, accortosi dell'assiduità della spettatrice, esce materialmente dallo schermo prendendo vita autonoma nel mondo reale, e propone alla donna di fuggire.
La cosa più geniale del film e che gli attori del film in bianco e nero, si trovano costretti ad aspettare il ritorno del personaggio per poter proseguire con la trama della pellicola, e per passare il tempo con gli attoniti spettatori del cinema, conversano tra loro.
Il film ha pochissimi attori, e la coppia di protagonisti, Mia Farrow e Jeff Daniels è perfetta.
Gordon Willis firma la fotografia (dei due film, quello di Allen e quello "finto" del cinema degli anni '30, che si proietta sullo schermo).

13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986


13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986. Uno dei miei film preferiti in assoluto, di Allen. Come sempre, scritto, diretto e anche da lui interpretato.
Le vicende delle tre sorelle: Hannah (Mia Farrow), Lee (Barbara Hershey) e Holly (Diane Wiest) nella New York invernale degli anni 80.
Un film che sembra uscito dalla felice immaginazione di Cechov, shakerato in salsa americana. Leggerezza e malinconia, drammi psicologici e sentimento, ipocondrie e paure, gioie insensate, tradimenti istintivi, giri a vuoto, ritorni a casa.
Il film fu (giustamente) candidato a ben 7 statuette (ne vinse tre, una per Michael Caine, una per Dianne Wiest e una per la sceneggiatura originale di Woody).
Il film ha un cast eccezionale che comprende: Michael Caine, Carrie Fisher, Maureen O'Sullivan (vera madre di Mia Farrow), Lloyd Nolan, Max von Sydow, Julie Kavner, John Turturro, Tony Roberts e Sam Waterston, oltre allo stesso Allen.
La fotografia è del nostro grande Carlo di Palma.
Nel film si vedono anche molti bambini, tra di loro i figli adottivi di Mia Farrow e anche Soon-Yi destinata a diventare la futura moglie di Allen.
Colonna sonora indimenticabile, tra Bach e evergreen.

14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982



14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982. Il genio di Allen negli anni '80 era talmente esplosivo, che Woody riuscì perfino a girare contemporaneamente due film, di genere opposto, entrambi capolavori: Zelig e A midnight's summer sex comedy.
In questo caso Allen prese a prestito da Shakespeare il titolo di una sua opera per mettere in scena una commedia di chiaro stampo teatrale interamente ambientata in una villa della campagna inglese e che vede sei soli attori impegnati a scambiarsi donne e battute acide dal principio alla fine.
Ne risulta una divertente e squisita sarabanda, con equivoci, imprevisti e colpi di scena, incorniciata dagli splendidi paesaggi immersi nel verde. Con una sceneggiatura e dialoghi brillanti con tre coppie di diversa età che passano un fine settimana estivo in una casa di campagna del New Jersey, presumibilmente negli anni '20 del XX secolo.
Accanto a Allen, nel ruolo più divertente e Mia Farrow, José Ferrer, Julie Hagerty, Tony Roberts, Mary Steenburgen e Adam Redfield.
La splendida fotografia è di Gordon Willis
Mentre la colonna sonora è interamente affidata a musiche di Mendelssohn

15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969


15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969 - Il capolavoro comico di Woody Allen, che scrisse e diresse - ancora semisconosciuto - nel 1969, nel quale Allen imbastisce un falso documentario che racconta la vita di Virgil Starkwell, un inetto rapinatore di banche. Già qui emerge il genio del trentaquattrenne Allen, con le false interviste e testimonianze e immagini di repertorio che ricostruiscono la vicenda verosimile e comicissima del povero Virgil, cui non ne va bene una.
Il film è una esplosione di gags, trovate, battute fulminanti, divertente fino alle lacrime.
Qualche anno più tardi Allen dichiarò che l'idea di fare un documentario, perfezionata quando girò Zelig molti anni dopo, l'aveva sin dal primo giorno in cui aveva cominciato a fare film.
Si può considerare il primo film diretto da Allen, escludendo l'esperimento di "Che fai, rubi?" di 3 anni, del tutto sperimentale.
E' anche il primo film in cui Allen è doppiato in italiano da Oreste Lionello che sarà per oltre 40 anni la sua voce nel nostro paese.

16. IO E ANNIE, 1977


16. IO E ANNIE, 1977 - Un film diventato un mito per una intera generazione, che ancora si rivede con gran piacere. Fu la consacrazione definitiva di Allen tra i grandi registi e lanciò definitivamente Diane Keaton che vinse l'Oscar per la migliore attrice protagonista.
Altri 3 oscar andarono al miglior film, ad Allen come migliore regista e come autore della migliore sceneggiatura originale.
E' una commedia sofisticata di costume in cui si raccontano con leggerezza e ironia le vicende sentimentali del comico Alvy Singer che si è lasciato con Annie Hall dopo un anno circa di relazione e si ritrova ora a raccontare la storia del loro rapporto, cercando di capire quali suoi problemi sviluppati durante l'infanzia (depressione, nevrosi) possano essere stati complici della fine della storia.
Psicanalisi, sessualità, emotività, paura della morte, timori e gioie dei rapporti di genere: Allen riassunse in questo mirabile film molte delle questioni di quegli anni effervescenti.
Nel film compaiono oltre ai dure protagonisti, Tony Roberts, Carol Kane, il grande Paul Simon, una giovanissima Shelley Duvall e due attori destinati a diventare divi assoluti e all'epoca sconosciuti: Sigourney Weaver e Christopher Walken.

17. SETTEMBRE, 1987



17. SETTEMBRE, 1987- Un altro gioiello di Allen nel suo decennio più produttivo, che fu quello degli anni 80. Una vicenda dai toni fra Bergman e Cechov che si svolge in due giorni esatti con un gruppo di persone che hanno vissuto a lungo in una casa in Vermont, lontana dai rumori e dalla fretta newyorkese.
Gli ultimi due giorni dell'estate che svolgono completamente le vite dei protagonisti.
Un film virtuosistico e quasi teatrale, girato su un unico set, senza alcuna ripresa in esterno con la meravigliosa fotografia di Carlo Di Palma.
Un miracolo di scrittura, e attori straordinari, tra cui il grande Jack Warden e Dianne Wiest.


18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972



18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972
Pochi sanno che uno dei più noti capolavori comici di Allen è tratto da un vero libro scientifico/divulgativo del sessuologo David Rueben. Non si tratta cioè di finzione documentaristica come avviene in diversi film di Allen.
Nei sette episodi del film, all'epoca rivoluzionario, si ride a crepapelle, con intelligenza e si parla - si parlava per la prima volta, con disinibizione - del sesso, vero pallino di Woody Allen da sempre.
Gags irresistibili, trovate magnifiche, umorismo di matrice yiddish, autoironia formidabile. Lo si rivede sempre con grande
divertimento
, e non solo.
19. CRIMINI E MISFATTI, 1989


19. CRIMINI E MISFATTI, 1989
E' uno dei film più amati dai cinéphiles (e da me) in assoluto della filmografia e di Allen e sebbene non sia stata un successo al box office, è stata candidata a tre Premi Oscar 1990 (Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Miglior attore non protagonista a Martin Landau) e al Golden Globe per il miglior film drammatico: ha vinto sette premi internazionali, tra cui il David di Donatello per la migliore sceneggiatura straniera.
Racconta, con piglio dostoevskijano, la vicenda di Judah, noto chirurgo oculista e filantropo, che tradisce da anni la moglie Miriam per l'ex hostess Dolores. Quest'ultima, innamorata del medico e sull'orlo d'una crisi di nervi, è ossessionata a tal punto da quella situazione senza sbocco, da volersi rivelare alla moglie tradita, arrivando a scriverle una lettera che Judah riesce casualmente a distruggere prima che giunga a destinazione. Dolores è però anche pronta a rivelare alcuni traffici finanziari non leciti di Judah e continua a incalzarlo. Così Judah, per non rovinare la sua ottima reputazione, e ormai stanco di tenere in piedi quella doppia vita, si vede costretto a rivolgersi a suo fratello Jack, criminale incallito e senza scrupoli, che la fa uccidere da un sicario. Judah entra così in una profonda crisi di coscienza da cui esce a fatica.
Una sceneggiatura fenomenale che spinge lo spettatore a porsi domande cruciali sul senso del male e del bene, sulla coscienza e i diritti, sulla ipocrisia del buon vivere e sull'autenticità dei sentimenti.
La fotografia è del grande Sven Nykvist.
Il cast è formidabile: Martin Landau è l'ambiguo Judah; vicino a lui Caroline Aaron, Alan Alda, lo stesso Woody Allen, Claire Bloom, Mia Farrow, Anjelica Huston, Sam Waterston


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971 - Un altro dei capolavori comici di Woody Allen, che nella versione originale si intitola semplicemente "Bananas".
Fu il suo terzo film, sempre scritto con la complicità di Mickey Rose battutista sceneggiatore e amico d'infanzia di Woody.
E' una specie di geniale rivisitazione moderna del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, con la storia di uno studente universitario che per far colpo su una ragazza finisce in un piccolo paese dell'America Latina deciso a sposare la causa dei ribelli capeggiati da Emilio Molina Vargas e rovesciare il dittatore Arroyo, dopo essere diventato l'involontario "eroe della rivoluzione".
E' il film più vicino alla comicità folle e demenziale dei fratelli Marx, da sempre ispiratori del genio alleniano. Racconta anche un'epoca, quella dei primissimi anni '70, piena di aspirazioni ideali e sociali.


Fabrizio Falconi - ottobre 2021