20/10/21

Chi è la coppia ritratta in "American Gothic", una delle opere iconiche del Novecento?

 


E' uno dei quadri più famosi in assoluto del Novecento. 

Parliamo di American Gothic, dipinto nel 1930 dall'americano Grant Wood, e conservato all'Art Institute di Chicago. 

Una immagine che abbiamo visto tutti mille volte. 

Ma chi sono i due soggetti ritratti nel quadro e qual è la sua storia?

La vicenda racconta che Grant Wood che era nato nel 1891 nello Iowa, mentre nel 1930, percorreva la città di Eldon nello stato dov'era nato, l’Iowa, osservò una piccola casa in legno, dipinta di bianco, costruita con la consueta architettura “gotica del carpentiere”. 

Wood decise così di dipingere la casa assieme a «quel tipo di persone che mi sarei potuto immaginare come abitanti di quella casa»

Chiese a sua sorella Nan di fargli da modella, facendole indossare un pesante abito coloniale rassomigliante quelli della tradizione americana del XIX secolo, e come modello per il contadino scelse il proprio dentista.  

Quest’opera divenne ben presto un simbolo della vita e degli ideali dei pionieri americani e lo consacrò fra i protagonisti del regionalismo americano. 

Il dipinto venne esposto all’Istituto d’Arte di Chicago dove vinse un premio di 300 dollari, diventando immediatamente famoso.  

Al giorno d’oggi il quadro è spesso parodiato, anche se rimane uno dei maggiori esempi di regionalismo ed arte americana: ad esempio in una delle scene iniziali di The Rocky Horror Picture Show si nota un’inquadratura che si rifà al quadro, nel cartone disneyano Mulan appare brevemente una coppia di spiriti identici ai personaggi ritratti nel quadro. Ma sono solo due dei tantissimi esempi. 


Nella rara foto qui sopra, i due veri soggetti ritratti da Grant Wood, davanti al celebre quadro. 


19/10/21

Il mistero delle incredibili sfere di pietra della Costarica


Centinaia di sfere di pietra perfettamente rotonde (o vicine alla perfezione) sono state portate alla luce nel Delta del fiume Diquis in Costa Rica sin dagli anni '30  e continuano a venirne fuori delle nuove. 

Hanno dimensioni variabili da pochi centimetri a un paio di metri (6 piedi) di diametro e pesano fino a 25 tonnellate. ⠀

Le sfere di pietra del Costa Rica adornano molti luoghi privati ​​e pubblici e il loro esatto significato rimane incerto. Ciò che lascia veramente interdetti è la convinzione che queste sfere siano state scolpite da mani umane tra il 300 e il 1500 d.C. dai predecessori della cultura Boruca. 

Durante il processo di fabbricazione, questi indigeni nativi hanno utilizzato strumenti di pietra per tagliare lo strato esterno ingombrante, e strumenti di calore e legno per realizzare la rotondità della sfera, anche se ancora questi procedimenti risultano misteriosi.  

Quasi tutti sono fatti di gabbro, una pietra particolarmente dura, equivalente del basalto.  

Tali sfere di pietra si trovano in altri luoghi in tutto il mondo, per esempio in Siberia, in Kazakistan e in Bosnia.

Non è ancora chiaro se fossero semplici oggetti decorativi o servissero qualche altra caratteristica poco chiara, forse avanzata. La tecnologia coinvolta nel plasmarli è stata messa alla prova fino ad oggi.

Rimane un mistero come questi antenati precolombiani fossero capaci di una tale precisione nel tagliare queste pietre, che presuppone l'utilizzo di tecnologie avanzate. 




18/10/21

Quando Pollock fece la prima mostra in Europa e non vendette nemmeno 1 quadro. Oggi quegli stessi valgono 40 milioni di dollari l'uno.


Incredibile parabola, quella di Jackson Pollock, e dell'arte moderna. La fortuna di questo meraviglioso, grandissimo artista, seguì infatti strade del tutto particolari e imprevedibili.

Nato nel 1912 a Cody, nel Wyoming, Jackson era il più giovane di cinque fratelli. Suo padre faceva l'agricoltore ed in seguito diventò un agrimensore alle dipendenze dello stato, con il giovane Jackson che trascorse la sua gioventù tra l'Arizona e la California, mostrando subito un carattere difficile, schivo e introverso, refrattario alla regole scolastiche della High School di Reverside e della Manual Arts High School di Los Angeles, dalle quali venne espulso per indisciplina.

La svolta per Jackson si creò quando ebbe l'occasione di entrare a contatto con i nativi americani mentre accompagnava il padre ad effettuare i rilevamenti agricoli. Anni dopo, Pollock realizzò i suoi quadri più famosi, inaugurando il metodo del "dripping" (cioè lo sgocciolamento della vernice direttamente sulla superficie delle tele poste orizzontalmente sul pavimento) tra il 1947 e il 1950.

Pollock diventò molto noto negli Stati Uniti in seguito alla pubblicazione di un servizio di quattro pagine della rivista Life dell'8 agosto 1949 che si chiedeva: «È il più grande pittore vivente degli Stati Uniti?».

Eppure, nella vecchia Europa, nessuno lo conosceva, ed è incredibile pensare oggi che dei quindici grandi quadri che Pollock espose per la prima volta nel vecchio continente, nella famosa mostra alla galleria Facchetti di Parigi, nel marzo 1952 (quattro anni prima della sua morte), nessuno, neanche uno fu venduto.

Tutti e 15 i quadri, pur in presenza di qualche manifestazione di interesse, tornarono alla fine in America, invenduti, nonostante i più piccoli costassero 2.000 franchi e i più grandi 8.000 o 9.000 franchi.

Anche Malraux, all'epoca ministro della cultura francese, che si era innamorato dei quadri e voleva comprarli per lo Stato Francese, non riuscì a trovare il credito necessario.

Per il pubblico la mostra fu uno scandalo, i vecchi dicevano che era la fine dell'arte, che quei quadri erano dipinti con la coda dell'asino.

Ebbene, nel marzo scorso Numero 32, opera di Pollock del 1949, è stato venduto a 40 milioni di dollari.

E oggi il solo catalogo di quella storica e sfortunata mostra si vende per 350 euro come si vede qui.




17/10/21

La Sindrome di Napoleone - Il ritratto di ogni megalomane di oggi e di ieri. Tolstoj descrive il "vero" Napoleone



Un uomo senza principi, senza abitudini, senza tradizioni, senza nome, che non è neppure un francese, per i più strani casi si fa avanti tra tutti i partiti che agitano la Francia, e senza aderire a nessuno di essi, è portato a un posto eminente.

L’ignoranza dei colleghi, la debolezza e la nullità degli avversari, la sincerità nel mentire, la mediocrità brillante e sicura di sé di quest’uomo lo portano alla testa di un’armata.

Una innumerevole quantità di cosiddetti casi lo accompagna dovunque. Al suo ritorno dall’Italia egli trova il governo in tale stato di disfacimento che gli uomini che vengono a far parte di questo governo vengono inevitabilmente stritolati o distrutti.
Quell’ideale di gloria e grandezza che consiste non solo nel credere che nulla sia male per la propria persona, ma anche nell’inorgoglirsi di qualsiasi misfatto, attribuendogli un incomprensibile significato sovrannaturale si foggia liberamente in lui.
Egli non ha nessun progetto: ha paura di tutto; ma i partiti si aggrappano a lui ed esigono la sua collaborazione.
Lui solo, col suo ideale di grandezza e di gloria, con la sua folle adorazione di se stesso, con la sua audacia nel misfatto, con la sua sincerità nel mentire, lui solo può adempiere a ciò che si deve compiere.
E’ necessario per il posto che lo aspetta, e perciò quasi indipendentemente dalla sua volontà e malgrado la sua indecisione, la mancanza di un piano e tutti gli errori che commette, è trascinato nella congiura che ha per fine la conquista del potere, e la congiura è coronata da successo.
Il caso, milioni di casi gli danno il potere e tutti gli uomini, come fossero d’intesa, cooperano al consolidamento di questo potere.
Non c’è un’azione, non un misfatto, non il minimo inganno che egli commetta, che subito non si trasformi sulle bocche di coloro che lo circondano in una grande gesta.
E non soltanto lui è grande, ma sono grandi i suoi avi, i suoi fratelli, i suoi figliastri, i suoi cognati. Tutto concorre a privarlo delle ultime forze della ragione e a preparare per lui una tremenda parte da rappresentare. E quando egli è pronto, sono pronte anche le forze.



Lev Tolstoj – “Guerra e Pace”, da pag. 1326 (edizione italiana) in poi

16/10/21

Libro del giorno: "La Tranquillità dell'animo" di Seneca

 




Verso la fine degli anni 50 d.C., la posizione di Seneca presso Nerone vacilla, traballa fortemente, mentre lo splendore dell'aula, seppure ancora abbaglia, sempre meno copre il disgusto delle sue sordidezze e i compromessi a cui il filosofo è costretto per mantenere un rango politico in declino. 

Nitida già si profila la scelta che già fu, prima di Seneca, di Atenodoro, il filosofo e direttore di coscienza d'Augusto, che volle a un certo punto ritirarsi dai compiti di corte

Ma troppo, afferma Seneca, si sottomise Atenodoro ai tempi, troppo velocemente prese la via di fuga; a lui non è possibile e non è consona questa condotta: «Né io negherei che talvolta occorra cedere, ma pian piano, a passo indietro, portando in salvo le insegne e l’onore militare: sono più assicurati e protetti dai loro nemici coloro che si arrendono in armi» 

Invero ben altra era stata la funzione pubblica di Seneca presso Nerone da quella tutta privata di Atenodoro presso Augusto. 

Per questo non gli era possibile lasciare bruscamente l'imperatore senza l'assenso di lui, e rischiare che l'abbandono improvviso desse troppo spazio alla rivincita degli avversari politici; ben altra prudenza occorreva al suo congedo, ben altra preparazione affinché il suo ritiro non fosse immediatamente la sua rovina

Il filosofo per intanto non aveva altra scelta che restare in bilico tra due. 

Proprio da questo stato precario sorse il suo capolavoro, del De tranquillitate animi, manuale pratico per conseguire e mantenere l'animo equilibrato, dedicato all'allievo Sereno, ed espressione chiara del suo desiderio di ritiro che campeggia – e lo segna fortemente – in questo scritto. 

«Questo stabile fondamento dell’animo i Greci lo chiamano euthymía, su cui v’è un egregio libro di Democrito; io la chiamo tranquillitas: non è infatti necessario imitare e tradurre le parole greche secondo la loro forma; la cosa propriamente, di cui è questione, va indicata con qualche nome che della voce greca deve avere la forza [espressiva] non l’aspetto» 

Democrito di Abdera, il filosofo che tradizionalmente ride della stoltezza umana, scrisse un'opera su come conseguire e mantenere l'equilibrio interiore, invece di affannarsi in cose vane che non sono altro che le manifestazioni di quelle passioni disordinate che tirano l'animo da ogni parte: perí euthymías, che divenne il riferimento d'ogni successiva trattazione di questo tema filosofico. 

Seneca stesso si sente in dovere di citare direttamente il famoso incipit democriteo: «Chi vorrà vivere tranquillamente non tratti molti affari privati né molti affari pubblici» 

In ambito romano questo tema fu ripreso dall'importante stoico di mezzo Panezio di Rodi. 

L'equilibrio interiore consisteva appunto nell'armoniosa rispondenza tra doti individuali dell'animo e vita pratica adatta al loro svilupparsi, caposaldo della sua speculazione che riformava a fondo il primo stoicismo. Fu Cicerone, che nel pensiero morale seguiva molto dappresso Panezio, a tradurre il termine greco con tranquillitas (De finibus, 5, 8, 23), che vale “bonaccia” del mare, “serenità” del cielo.  

Seneca riprende e adopera come traducente pienamente adeguato del termine greco il tranquillitas ciceroniano, ed anzi l'uso consolidato che ne fa negli scritti morali gli permette di omettere spesso il determinante animi, bastando ormai il determinato tranquillitas a convogliare da solo l'idea di “animo equilibrato”, “equilibrio interiore” e simili. Ma nello stesso tempo si avvicina a posizioni epicuree e ciniche nel limitare l'azione, in un momento in cui più viva si fa in lui la volontà di ritiro. 

Un manuale di ricerca psicologica e spirituale di una modernità straordinaria. Immortale.

Seneca Lucio Anneo(Cordova 4 a.C. – Roma 65 d.C.), filosofo, uomo di Stato e drammaturgo, fu tra i massimi esponenti dello stoicismo romano. Fu condannato a morte da Nerone, di cui era stato precettore e consigliere.



15/10/21

Davvero a Stephen King non piacque lo Shining (tratto dal suo romanzo) di Stanlely Kubrick? Leggenda di una rivalità

 


Una delle leggende più persistenti della storia del cinema è il dissidio - vero o presunto - tra Stephen King, l'autore del romanzo Shining, e Stanley Kubrick, che ne trasse il meraviglioso film del 1980, divenuto una delle pietre miliari del cinema degli ultimi 50 anni. 
Ma cosa c'è di vero? 

Parlando del tema del film, Kubrick affermò che "c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella personalità umana. C'è un lato malvagio in essa. Una delle cose che le storie dell'orrore possono fare è mostrarci gli archetipi dell'inconscio; possiamo vedere il lato oscuro senza doverlo affrontare direttamente". 

Stephen King nei mesi seguenti l'uscita del film fu citato per aver affermato che, sebbene Kubrick avesse realizzato un film con immagini memorabili, il suo fosse un adattamento scadente e addirittura come fosse l'unico adattamento dei suoi romanzi che poteva "ricordare di odiare". 

Tuttavia, nel suo libro di saggistica del 1981 Danse Macabre, King ha osservato che Kubrick era tra quei "registi le cui visioni particolari sono così chiare e feroci che... la paura del fallimento non diventa mai un fattore nell'equazione", commentando che "anche quando un regista come Stanley Kubrick fa un tale esasperante, film perverso e deludente come Shining , conserva in qualche modo una brillantezza che è indiscutibile; è semplicemente lì" e ha elencato il film di Kubrick tra quelli che secondo lui hanno "contribuito qualcosa di valore al genere horror". 

Prima del film del 1980, King diceva spesso di aver prestato poca attenzione agli adattamenti cinematografici del suo lavoro. 

Il romanzo, scritto mentre King soffriva di alcolismo, contiene un elemento autobiografico. King ha espresso disappunto per il fatto che alcuni temi, come la disintegrazione della famiglia e i pericoli dell'alcolismo, siano meno presenti nel film

King ha anche considerato il casting di Nicholson come un errore, sostenendo che avrebbe portato a una rapida realizzazione tra il pubblico che Jack sarebbe impazzito, a causa del famoso ruolo di Nicholson come Randle McMurphy in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975).

King aveva suggerito che un attore più "comune" come Jon Voight , Christopher Reeve o Michael Moriarty interpretasse il ruolo, in modo che la discesa di Jack nella follia fosse stata più snervante. 

Nel romanzo la storia assume il punto di vista del bambino, mentre nel film il protagonista è il padre; infatti, una delle differenze più notevoli risiede nel profilo psicologico di Jack Torrance. 

Secondo il romanzo, il personaggio rappresentava un uomo ordinario ed equilibrato che a poco a poco perde il controllo; Inoltre, la narrazione scritta rifletteva i tratti personali dell'autore stesso in quel momento (segnato da insonnia e alcolismo), oltre che dall'abuso. 

C'è qualche allusione a questi episodi nella versione americana del film. 

In un'intervista con la BBC, King ha criticato la performance di Duvall, affermando che il personaggio è "fondamentalmente lì solo per urlare ed essere stupido, e non è la donna di cui ho scritto"

La Wendy di King è una donna forte e indipendente a livello professionale ed emotivo; a Kubrick, d'altra parte, non sembrava coerente che una donna del genere avesse sopportato a lungo la personalità di Jack Torrance. 

King una volta ha suggerito che non gli piaceva la minimizzazione del soprannaturale da parte del film; King aveva immaginato Jack come una vittima delle forze genuinamente esterne che infestavano l'hotel, mentre King sentiva che Kubrick aveva visto l'infestazione e la sua conseguente malignità come provenienti dall'interno di Jack stesso. 

Nell'ottobre 2013, tuttavia, la giornalista Laura Miller ha scritto che la discrepanza tra i due era quasi l'esatto opposto: il Jack Torrance del romanzo è stato corrotto dalle sue stesse scelte – in particolare dall'alcolismo – mentre nell'adattamento di Kubrick le cause sono in realtà più surreale e ambiguo: King è, essenzialmente, un romanziere di moralità. Le decisioni che prendono i suoi personaggi – che si tratti di affrontare un branco di vampiri o di rompere 10 anni di sobrietà – sono ciò che conta per lui. 

Ma in Shining di Kubrick , i personaggi sono in gran parte nella morsa di forze al di fuori del loro controllo. È un film in cui si verifica anche la violenza domestica, mentre il romanzo di King parla della violenza domestica come scelta che alcuni uomini fanno quando si rifiutano di abbandonare un diritto delirante e difensivo. 

Per come la vede King, Kubrick tratta i suoi personaggi come "insetti" perché il regista non li considera davvero capaci di plasmare il proprio destino. Tutto ciò che fanno è subordinato a una forza prepotente e irresistibile, che è l'estetica altamente sviluppata di Kubrick; sono i suoi schiavi. Nel romanzo il mostro è Jack. Nel film di Kubrick, il mostro è Kubrick. 

King in seguito ha criticato il film e Kubrick come regista: Parti del film sono agghiaccianti, cariche di un inesorabile terrore claustrofobico, ma altre cadono nel vuoto. Non che la religione debba essere coinvolta nell'orrore, ma uno scettico viscerale come Kubrick non è riuscito a comprendere la pura malvagità disumana dell'Overlook Hotel. Così ha cercato, invece, il male nei personaggi e ha trasformato il film in una tragedia domestica con solo sfumature vagamente soprannaturali. Questo era il difetto di base: poiché non poteva credere, non poteva rendere il film credibile agli altri. 

Quello che sostanzialmente non va nella versione di Shining di Kubrick, secondo King, è che è un film di un uomo che pensa troppo e si sente troppo poco; ed è per questo che, nonostante tutti i suoi effetti virtuosistici, non ti prende mai alla gola e si blocca come dovrebbe fare il vero horror. 

Mark Browning, un critico del lavoro di King, ha osservato che i romanzi di King contengono spesso una chiusura narrativa che completa la storia, cosa che manca al film di Kubrick

Browning ha infatti sostenuto che King ha esattamente il problema opposto di cui ha accusato Kubrick. King, crede, "sente troppo e pensa troppo poco"

King non ha mai nascosto il suo rifiuto del risultato finale del progetto cinematografico e ha accusato Kubrick di non comprendere le regole del genere horror. 

King è stato anche deluso dalla decisione di Kubrick di non girare allo Stanley Hotel a Estes Park, in Colorado , che ha ispirato la storia (una decisione presa da Kubrick poiché l'hotel non disponeva di neve ed elettricità sufficienti). 

Tuttavia, King alla fine ha supervisionato l'adattamento televisivo del 1997 intitolato anche The Shining , girato allo Stanley Hotel. 

L'animosità di King verso l'adattamento di Kubrick si è però attenuata nel tempo. Durante un'intervista sul canale Bravo , King ha dichiarato che la prima volta che ha visto l'adattamento di Kubrick, l'ha trovato "terribilmente inquietante"

Tuttavia, scrivendo nella postfazione di Doctor Sleep , King ha professato una continua insoddisfazione per il film di Kubrick. Ha detto di ciò "... ovviamente c'era il film di Stanley Kubrick che molti sembrano ricordare - per ragioni che non ho mai capito - come uno dei film più spaventosi che abbiano mai visto."

Dopo la produzione dell'adattamento cinematografico di Doctor Sleep , in cui il regista Mike Flanagan ha riconciliato le differenze tra la versione del romanzo e quella del film di Shining , King era così soddisfatto del risultato che ha detto: "Tutto ciò che non mi è mai piaciuto della versione di Kubrick di Shining è stata riscattata qui." 

Kubrick, ovviamente, nel suo proverbiale, mitologico silenzio, non ha mai risposto direttamente alle accuse di Stephen King. Chi conosce la sua filmografia, sa che Kubrick sceglie un testo iniziale, romanzo o racconto che sia, per manipolarlo, plasmarlo completamente e fare qualcosa di completamente nuovo, e di completamente suo. 


12/10/21

La violenza nelle strade, la tracotanza dei novax: Le parole profetiche di Dietrich Boenheffer su cosa è la stupidità e su come sia inutile combatterla

 


Il nemico del bene


Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere - in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico - e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.


Stupidità e potere

Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E’ una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.

Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane - ad esempio quelle intellettuali - ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.

Liberazione esteriore

Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.

In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il "popolo", e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo - sempre però solo in queste circostanze - per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.

Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.

 Dietrich Bonhoeffer, carcere di Tegel - 1943 - Della stupidità

11/10/21

Quando Marlon Brando rifiutò l'Oscar per "Il padrino" e la giovane donna Apache salì sul palco a leggere il motivo del rifiuto

 


Come è noto, Marlon Brando nel 1973 vinse il suo secondo Oscar come miglior attore per la sua interpretazione ne Il Padrino di Francis Ford Coppola, ma lo rifiutò, diventando il secondo attore a rifiutare un premio come miglior attore (dopo George C. Scott per Patton). 

Boicottando la cerimonia, Brando inviò l'attivista per i diritti degli indigeni americani Sacheen Littlefeather , che è apparve in completo abbigliamento Apache, a dichiarare le ragioni di Brando, che si basavano sulla sua obiezione alla rappresentazione degli indigeni americani da parte di Hollywood e della televisione. A quei tempi, Marlon Brando era infatti un sostenitore dell'American Indian Movement . 

Bisogna ricordare che in quegli stessi mesi, era in corso il cosiddetto stallo a Wounded Knee, l'occupazione da parte di 200 nativi di una città americana teatro di uno dei più grandi massacri nella storia delle popolazioni indigene nordamericane. 

La Littlefeather era entrata in contatto con l'attore Marlon Brando attraverso il suo vicino, il regista Francis Ford Coppola . Scrisse a Brando una lettera, chiedendo il suo intervento a favore dei nativi americani, e l'attore chiamò la stazione radio dove lavorava un anno dopo. 

Brando aveva lavorato come attivista con l' American Indian Movement (AIM) dagli anni '60 e '70

A Washington, DC , dove Littlefeather stava presentando alla Federal Communications Commission le mozioni per le minoranze indigene, si incontrarono e trovarono in comune il loro coinvolgimento con l'AIM. 

Nel 1972, Brando interpretò Vito Corleone in Il Padrino , che molti critici considerano uno dei più grandi film di tutti i tempi. 

Per la performance, fu nominato come miglior attore per il ruolo ai 45esimi Academy Awards, la cui premiazion era in programma il ​​27 marzo 1973, al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles , California. 

Ma prima della cerimonia, Brando decise che, in quanto favorito per la vittoria, avrebbe boicottato come protesta guidata dall'AIM contro l'assedio in corso a Wounded Knee e le sue opinioni su come i nativi americani erano rappresentati nei film americani . 

L'attore chiamò la Littlefeather e le chiese di apparire a suo nome. "Ero un portavoce, per così dire, per lo stereotipo dei nativi americani nel cinema e in televisione", raccontò in seguito. 

Littlefeather si unì al pubblico pochi minuti prima che fosse annunciato il premio per il miglior attore. 

Era accompagnata dalla segretaria di Brando, Alice Marchak, e indossava un abito di pelle di daino Apache. 

Il produttore Howard W. Koch le disse che aveva 60 secondi per pronunciare il discorso, altrimenti sarebbe stata rimossa dal palco; anche se lei aveva programmato di leggere un discorso di 4 pagine scritto da Brando. 

Il premio come miglior attore fu consegnato dagli attori Liv Ullmann e Roger Moore . 

Dopo aver pronunciato brevi osservazioni e annunciato i cinque nominati, dichiararono Brando il vincitore. 

Littlefeather salì sul palco e alzò la mano per rifiutare il trofeo Oscar che Moore le stava offrendo. 

Deviando dal discorso preparato, disse quanto segue:  

Ciao. Il mio nome è Sacheen Littlefeather. Sono Apache e sono presidente del National Native American Affermative Image Committee. Questa sera rappresento Marlon Brando, e lui mi ha chiesto di raccontarvi in ​​un discorso molto lungo che non posso condividere con voi al momento, a causa del tempo, ma sarò lieto di condividere in seguito con la stampa, che con grande rammarico ha non posso accettare questo premio molto generoso. E le ragioni di ciò sono il trattamento riservato agli indiani d'America oggi da parte dell'industria cinematografica – scusatemi [ fischi e applausi] – e in televisione nelle repliche di film, e anche con i recenti avvenimenti a Wounded Knee. Prego in questo momento di non essermi intromesso in questa serata e che lo faremo in futuro, i nostri cuori e le nostre comprensioni si incontreranno con amore e generosità. Grazie a nome di Marlon Brando. 

Moore accompagnò Littlefeather fuori dal palco, passando davanti a diverse persone che la criticavano e alla stampa. 

Alla conferenza stampa poi, la ragazza lesse ai giornalisti il ​​discorso integrale che Brando aveva preparato e il New York Times pubblicò il testo completo il giorno successivo. 

Il pubblico nel Padiglione Dorothy Chandler durante l'apparizione della ragazza apache, fu diviso tra applausi e fischi. E lo stesso Brando, più tardi, manifestò dispiacere per come era andata: "Ero angosciato dal fatto che le persone avrebbero dovuto fischiare, fischiare e calpestare, anche se forse era diretto a me stesso", ha detto Brando. "Avrebbero dovuto almeno avere la cortesia di ascoltarla." 

Brando, fu successivamente escluso a priori dal ricevere nuove nominations o premi dall'Academy. 

Littlefeather affermò invece di essere stata inserita nella lista nera dalla comunità di Hollywood e di aver ricevuto minacce. 

Al discorso comunque fu unanimemente riconosciuto, negli anni seguenti, il merito di aver riportato l'attenzione sullo stallo di Wounded Knee, su cui era stato imposto un blackout dei media .

Dopo aver tenuto il discorso, Littlefeather trascorse due giorni a Los Angeles prima di tornare a San Francisco. 

Quando visitò la casa di Marlon Brando dopo gli Academy Awards, mentre stavano parlando, alcuni proiettili furono sparati sulla porta d'ingresso. 

All'età di 29 anni i suoi polmoni collassarono e, dopo essersi ripresa, ricevette una laurea in salute e una minore in medicina dei nativi americani , una pratica che aveva usato per riprendersi. Studiando nutrizione, ha vissuto per qualche tempo a Stoccolma e poi ha viaggiato in giro per l'Europa, interessata al cibo di altre culture. 

Successivamente, ha insegnato al St. Mary's Hospital di Tucson, in Arizona , e ha lavorato con l' Institute of American Indian Arts di Santa Fe .

Nel 1979 ha co-fondato il National American Indian Performing Arts Registry continuando a fare attivismo e diventando un membro rispettato della comunità dei nativi americani della California. 

Cosa che fino a oggi, nonostante molti e gravi problemi di salute, ha continuato a fare. 


08/10/21

Sting compie 70 anni e pubblica: "The Bridge", un ponte metafisico pieno di speranza. "Amo sempre più l'Italia"

 


Intervistato da Luca Valtorta per Robinson di La Repubblica, Gordon Sumner, in arte Sting, leggendario front man del gruppo dei Police e autore contemporaneo tra i più noti, racconta della sua scelta di vita in Italia, dove risiede ormai da molti anni, nella Tenuta Il Palagio, a Figline Valdarno, e di quello che ha messo dentro il suo nuovo album, The Bridge, scritto e inciso durante il lockdown. 

Adesso sono quasi vent'anni che vive anche in Italia: che cosa ha imparato del nostro paese? 

"Amo l'Italia. Ma è perfetta? Ovviamente no (ride, ndr). Ci sono un sacco di cose sbagliate in ogni paese però amo la capacità di apprezzare le cose buone della vita, la capacità di sedersi attorno a una tavola con del buon cibo, il senso della famiglia, queste cose. E la gente ha un atteggiamento veramente gentile nei miei confronti. E poi mi interessa molto la storia: sono ossessionato dalla storia Romana e leggo tutto quello che trovo a riguardo: Cicerone, la transizione tra la repubblica e la dittatura con l'avvento di Giulio Cesare. Mi affascina per i parallelismi con quello che è successo nel Senato americano con la folla e i populisti: esattamente come 2000 anni fa. Il che è spaventoso ma anche molto coinvolgente. Ho sempre saputo dei romani perché la mia città nel nord dell'Inghilterra, Wallsend, era proprio ai margini dell'impero: da lì iniziava il Vallo di Adriano che segnava il confine tra la Britannia occupata e le tribù dei Pitti. E anche in questo caso: l'Impero Romano non era sicuramente un sistema perfetto ma comunque molto, molto interessante".

Dell'Inghilterra di oggi, con la Brexit in atto, cosa pensa? 

"Non mi faccia parlare. Vorrei trovare una sola persona capace di spiegarmi oggi perché la Brexit è una buona idea ma nessuno lo può fare perché è una cosa assolutamente stupida. Gli piaceva così tanto questa idea purista: 'Noi dobbiamo essere soli!'. Non sta andando bene. E questo non mi rende felice. Amo la mia nazione e sono triste nel vederla soffrire".

Come ha passato il periodo del lockdown? 

"Sono molto fortunato perché ho una grande casa, un grande giardino e uno studio dentro la casa, per cui anche se non ho potuto andare in tour ho comunque lavorato: per un anno intero entravo in studio alle dieci e ne uscivo solo per cena. Alcuni giorni non riuscivo a tirar fuori granché ma in altri mi veniva qualche buona idea e alla fine ne è uscito fuori un album di cui sono molto orgoglioso, l'ho chiamato The Bridge. Il titolo è una sorta di metafora per quello che io, ma credo un po' tutti noi, stiamo cercando in questo momento: un ponte verso qualcosa di più sicuro, di più felice, perché siamo in un momento di difficile transizione, pieno di incognite, dalla pandemia al cambiamento climatico, alla dura situazione sociale e politica. È un ponte metafisico in un disco pieno di speranza ma anche di realismo nel cercare di essere comunque ottimista".


Leggi qui l'intervista originale - fonte: Luca Valtorta - Robinson/La Repubblica

05/10/21

Matthew McConaughey, un attore strepitoso e il suo incredibile dimagrimento in Dallas Buyers Club

 


C'è un grande e doloroso film che non ci si stanca di rivedere: Dallas Buyers Club diretto da Jean-Marc Vallée  nel 2013, con protagonisti Matthew McConaughey e Jared Leto. La pellicola ricevette sei candidature ai premi Oscar 2014, vincendo in tre categorie, tra cui miglior attore protagonista e miglior attore non protagonista, assegnati rispettivamente a Matthew McConaughey e Jared Leto.

Come si ricorda, il film racconta la storia di Ron Woodroof, un malato di AIDS diagnosticato a metà degli anni '80 quando i trattamenti per l'HIV/AIDS erano poco studiati, mentre la malattia non era compresa e altamente stigmatizzata. In quel periodo, parte del movimento sperimentale per il trattamento dell'AIDS, contrabbandava farmaci farmaceutici non approvati in Texas per curare i suoi sintomi e li distribuiva a persone con AIDS istituendo il "Dallas Buyers Club" mentre affrontava l'opposizione della Food and Drug Administration (FDA).

E' stupefacente il cambiamento fisico che McConaughey affrontò per girare questo film, e che lui stesso ha raccontato in una intervista di quell'anno: 

McConaughey, non la spaventavano le possibile conseguenze di una dieta così drastica?
"No, dovevo farlo e basta. Ho visto un nutrizionista, mi sono dato 4 mesi, sapevo cosa sarebbe successo. Mi sono chiuso in casa, perdevo una media di 2 chili a settimana, poi abbiamo girato il film in 27 giorni e subito dopo ho ricominciato a mangiare. Ho perso così tanto peso dal collo in giù che in testa mi sentivo più sveglio e lucido, avevo un'energia incredibile, avevo bisogno di tre ore e mezzo di meno di sonno al giorno. Mangiavo pesce e verdure, ma in piccole dosi".
Perdere tanto peso l'ha aiutato nell'entrare nel personaggio?
"Molto, ha anche cambiato il mio stile di vita, stando sempre chiuso in casa mi sono dedicato di più alla ricerca e alla scrittura, che è quello che aveva fatto Ron, un uomo con solo sette anni di scuola alle spalle che è stato capace di diventare un esperto, sapeva tutto sul vrus dell'hiv, passava giornate in biblioteca. Quando ha scoperto la malattia si è isolato dal mondo ed è quello che ho fatto io. La sfida più grande è stata cercare di assorbire la sua rabbia: la paura, la disperazione, poi la rabbia che lo ha tenuto in vita per sette anni, per sopravviere. Ho incontrato i membri della sua famiglia e mi hanno dato tante foto e il suo diario, e quello mi ha aiutato a entrare nel suo mondo".
Come ha reagito la sua famiglia?
"Non è mai stato uno shock per loro, mi hanno visto perdere peso gradualmente. Anzi, si divertivano perché in quel periodo cucinavo tantissimo per loro, anche se non potevo mangiare niente. Ma chi non mi vedeva da mesi, tipo mia madre, si è spaventato a morte. Ero diventato un eremita, ma passare del tempo solo con te stesso può essere salutare, basta non continuare a farlo per sempre".
E lei com'è cambiato?
"Sono diventato un maniaco della pulizia in quel periodo, come Ron, che sapeva che ogni raffreddore sarebbe potuto diventare una polmonite e ucciderlo. Era terrorizzato dai germi, stava lontano dagli animali, puliva tutto".

Fonte Silvia Bizio, Matthew McConaughey, la trasformazione: "Questa volta ho messo in gioco il mio corpo", La Repubblica, 13 settembre 2013

04/10/21

Come faceva Chet Baker a suonare senza denti? Il mito di un grande musicista

 


Nel corso della sua lunga e travagliata carriera, nel 1966 Baker sparì dalla scena a causa di gravi problemi ai denti anteriori, che dovette farsi estrarre. 

La causa di questi problemi non è mai stata completamente chiarita.

Baker raccontò spesso di essere finito in una rissa dopo un concerto e di essere stato aggredito da alcuni uomini di colore che gli avevano spaccato una bottiglia in faccia, lacerandogli le labbra e danneggiandogli i denti anteriori

La veridicità di questo racconto è sempre stata dubbia: molti amici e conoscenti parlarono di un confronto con uno spacciatore dovuto a problemi di pagamento di una fornitura di droga, di cui Chet era completamente dipendente. 

Pare anche che l'uso dell'eroina avesse già lasciato il segno sulla sua dentatura. 

È comunque certo che dovette farsi estrarre i denti perché non riusciva più a suonare a causa del dolore che gli provocavano. 

Dopo qualche tempo, comunque, Dizzy Gillespie lo riconobbe nel commesso di una pompa di benzina e lo aiutò a rimettersi in sesto, facendogli anche trovare i soldi per sistemarsi la bocca. 

Baker dovette imparare a suonare la tromba con la dentiera, cosa considerata estremamente difficile, e il suo stile dovette adeguarsi.

03/10/21

Franzen sul nuovo romanzo Crossroads: "I Vangeli sono un documento politico radicale che la sinistra americana ha completamente dimenticato"


Ci sono dei passaggi nella bella intervista a Jonathan Franzen pubblicata sul Corriere della Sera il 25 settembre scorso e realizzata da Cristina Taglietti a proposito del suo nuovo romanzo Crossroads (Einaudi) tra poco disponibile anche in Italia, nei quali ho trovato, espresso con molta chiarezza, uno dei temi (o dei fenomeni) fondamentali della società contemporanea (o post-contemporanea), che molti intellettuali, anche italiani, hanno finora ignorato. 

Franzen spiega la genesi del suo lungo romanzo a partire dallo spunto iniziale: All’origine del romanzo - dice - c’è un gruppo giovanile cristiano, mondo che conoscevo bene. Io stesso ho frequentato la chiesa per 12 anni e come Perry, il figlio di mezzo degli Hildebrandt, conoscevo ogni angolo della chiesa, ogni porta segreta, ogni passaggio, tutti i ministri. Per me è importante partire da ciò che conosco bene, da un luogo in cui mi sento a casa.

Aggiunge poi Franzen: 

Può sembrare sciocco, ma per me essere un romanziere non significa scrivere ciò che voglio, ma ciò che so scrivere. Non uso mai il materiale che potrei usare, ma quello che possiedo. Sono un grande fan di Dostoevskij, di Flannery O’Connor, amo l’arte religiosa, la scultura gotica italiana, l’architettura delle chiese romaniche. Per me tutto ciò è commovente anche se non sono credente. Anche questo è un mondo in cui mi sento a casa, non mi interessa tanto mettere al centro le grandi domande dell’esistenza. Diciamo che mi sento come un falegname che costruisce mobili e tutto ciò che ha a disposizione sono i pezzi di legno avanzati dal progetto precedente.

A Cristina Taglietti, che lo intervista, Franzen conferma che Crossroads, il nome del gruppo giovanile che dà il titolo al romanzo, ricorda molto Comunità, il gruppo che lo scrittore ha frequentato da ragazzo e di cui parla in «Zona disagio». 

Sì, ne sono stato membro attivo per sei anni. A dire il vero ci andavo più per socializzare, come credo la maggior parte dei ragazzi, ma è stata un’esperienza intensa. Molti dei dettagli del romanzo vengono da lì.

Nel passaggio successivo, Franzen spiega cosa lo ha particolarmente interessato della questione, del fenomeno religioso, di come abbia influito assai diversamente, nel passato e nel presente, nella vita politica occidentale. Negli anni '70 infatti, all'epoca in cui Crossroads si riferisce, la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. 

In seguito le cose sono radicalmente cambiate.

Che cosa si è dimenticato nel tempo? chiede l'intervistatrice.

Che allora la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. Uno dei piaceri di scrivere Crossroads è stato tornare alla Bibbia. Sono andato in chiesa per 12 anni, ho frequentato il catechismo, le funzioni religiose e, anche se non la rileggo da quarant’anni, mi sono reso conto di conoscerla bene. Io non credo ai miracoli, alla trascendenza, ma ci sono storie molto potenti dentro la Bibbia. L’intertestualità, per usare un parolone, mi interessa sempre e scrivere un libro nuovo in qualche modo legato a uno così antico mi piaceva. Negli anni Settanta, nella mia chiesa e soprattutto nei gruppi giovanili, c’era molta attenzione a ciò che Gesù aveva detto, ci si chiedeva che cosa avrebbe pensato della guerra in Vietnam, della segregazione razziale. I Vangeli sono un documento politico molto radicale che rivela il paradosso del cristianesimo: per tutta la storia umana si è creduto che bisogna cercare di essere ricchi e potenti, il Vangelo dice che essere poveri e deboli è il modo di trovare Dio. Oggi questa componente si è quasi completamente persa nella sinistra americana (anche in quella italiana o europea, nota mia). Il primo atto è stato la legalizzazione dell’aborto che ha attivato gli elementi religiosi più conservatori: i cristiani evangelici sono diventati una potente forza politica, hanno sostenuto Reagan e ogni presidente conservatore fin dalla metà degli anni Settanta. E oggi sono così aggressivi che la cristianità si identifica con le loro posizioni aberranti: l’omofobia, l’adorazione per la ricchezza, l’ingerenza in ogni decisione personale delle donne. A Santa Cruz, in California, dove vivo, se dici a un liberal che vai in chiesa si ritrae terrorizzato, meglio dire che adori Satana nel seminterrato.

Parole molto chiare e forti, che dovrebbero far molto riflettere, anche dalle nostre parti.

QUI l'intervista integrale a Jonathan Franzen del Corriere della Sera realizzata da Cristina Taglietti

02/10/21

Libro del Giorno: "Lezioni e conversazioni" di Ludwig Wittgenstein

 


Nei testi raccolti in questo volume, tutti appartenenti al periodo compreso fra la pubblicazione del Tractatus (1921) e la composizione delle Philosophische Untersuchungen (1941-1949), Wittgenstein tratta alcuni temi fondamentali della ricerca filosofica: la natura del «bello» e delle proposizioni di fede, l’interpretazione psicologica, soprattutto in riferimento a Freud, e i fondamenti dell’etica, temi cioè che, pur presenti nell’unica opera da lui pubblicata e negli scritti postumi finora editi, non vi hanno né rilievo né trattazione particolare. 

Questi scritti, quindi, sia nella forma definitiva data da Wittgenstein stesso, come nella Conferenza sull’etica, sia nella forma di appunti, presi da Friedrich Waismann durante e dopo conversazioni con Wittgenstein e Moritz Schlick, e da allievi durante lezioni tenute a Cambridge nel 1938, costituiscono un’aggiunta e un chiarimento indispensabili alla comprensione di una personalità filosofica così singolare e determinante per la nostra cultura.

In particolare gli appunti, proprio per la forma diretta della conversazione filosofica, conservata nella trascrizione non elaborata dagli allievi, suggeriscono il modo di procedere della sua intelligenza creativa e il rigore non soltanto intellettuale della ricerca, poiché, come dice Erich Heller: «Per Wittgenstein, la filosofia non era una professione; era una passione divorante; e non solamente una passione, ma la sola forma possibile della sua esistenza: pensare di poter perdere la propria capacità di filosofare era per lui esattamente come pensare al suicidio».


Ludwig Wittgenstein 




29/09/21

Mistero per gli scienziati : Nata senza bulbi olfattivi, eppure ora sente gli odori - "Il nostro cervello è qualcosa di miracoloso"

 


Vivere 24 anni senza poter sentire l'odore di un abete natalizio o il profumo di una rosa o l'aroma del pane appena sfornato e poi, d'improvviso, essere investita da alcuni di questi odori, con un impatto psicologico devastante che in alcuni casi ha portato a uno svenimento: e' il caso di una 24enne tedesca nata con anosmia per mancanza dei bulbi olfattivi, i tessuti che servono per inviare al cervello il messaggio nervoso prodotto dagli odori che arrivano nel nostro naso.

A descriverlo sulla rivista Neurocase sono stati esperti della Universita' di Dresden in Germania che hanno sottoposto la giovane a una batteria di test olfattivi e poi a elettroencefalogramma e risonanza magnetica, senza però venire a capo deli motivi del misterioso caso. 

La giovane, cui a 13 anni e' stata diagnosticata l'anosmia congenita per mancanza dei bulbi olfattivi, ha cominciato all'improvviso e senza un chiaro motivo a sentire alcuni odori

Per lei non e' stata una scoperta piacevole, gli odori che per la prima volta acquistavano un senso per il suo naso non le piacevano, anche se si trattava di profumi. 

Gli odori nuovi arrivavano a lei di settimana in settimana, in un caso la donna e' addirittura svenuta per il forte impatto emotivo di questa nuova e improvvisa percezione. 

Il team tedesco coordinato da Thomas Hummel ha sottoposto la giovane a una seri di test olfattivi: la ragazza e' riuscita a riconoscere circa meta' degli odori proposti, ad esempio quello di arancia, zenzero, fumo, menta. 

Ha continuato, invece, a non riconoscere odori come quello del pellame, la banana, il cocco, la liquirizia, il cacao.

La paziente e' stata sottoposta a un elettroencefalogramma durante i test olfattivi: dal tracciato si vede che quando la donna riconosce gli odori il suo cervello risponde normalmente ad essi. 

Ma alla risonanza risulta che la donna continua a non avere i bulbi olfattivi, cosa che ha lasciato spiazzati gli scienziati. 

Secondo gli esperti la donna per motivi sconosciuti ha acquisito la capacita' di percepire gli odori attivando aree cerebrali alternative e svincolate dalle normali vie neurali dell'olfatto. 

Il fatto che la donna sia disgustata dagli odori puo' dipendere invece dal non aver imparato sin da piccola ad associare certi odori a certi eventi o emozioni o situazioni.

La donna sta attualmente seguendo un training olfattivo che la aiuta ad abituarsi al suo nuovo mondo pieno di odori; ha gia' imparato ad apprezzare alcuni aromi associandoli ad esperienze piacevoli. 

Il suo caso suggerisce che la plasticita' del cervello e' tale che anche altri pazienti con anosmia congenita potrebbero scoprire gli odori con un training opportuno, spiega Hummel. "Il nostro cervello e' qualcosa di miracoloso - conclude - e' sempre pieno di sorprese". 

28/09/21

Libro del Giorno: "Ponte Milvio 312 d.C." di Ross Cowan

 


Edito in Italia dalla casa editrice LEG e recentemente ristampato dalle edizioni de Il Messaggero, arriva nel nostro paese questo libro scritto dal britannico Russ Cowan, che insegna all'Università di Glasgow ed è esperto di storia e archeologia romana. 

Il libro è particolarmente interessante perché racconta con grande completezza di informazioni e di illustrazioni ad hoc, uno degli eventi decisivi della storia romana antica e più in generale della storia dell'Occidente: la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 d.C. che segnò la vittoria di Costantino imperatore contro le truppe dell' "usurpatore" Massenzio, che occupava Roma da sei anni. 

Più in generale si ripercorrono le complesse vicende della cosiddetta Tetrarchia, il periodo nel quale, alla cessione del potere di Diocleziano, il potere (e l'Impero) si ritrovò frammentato in quattro parti. 

Tuttavia, il sistema della tetrarchia, ideato per rinnovare l'architettura istituzionale dell'Impero, si rivelò da subito fragile: ed è in questo contesto che si svolse l'ardua e irresistibile ascesa al potere di Costantino, figlio dell'augusto Costanzo Cloro. 

Costantino, nel corso degli anni successivi alla sua acclamazione al potere (che avvenne a Eburacum, l'odierna York, immediatamente dopo la morte del padre di Costantino, Costanzo, il 25 aprile del 306) affrontò uno ad uno i suoi avversari e pretendenti al trono di imperatore unico: Galerio, Massimino Daia, Licinio, Massimiano e Massenzio. 

Questo libro è incentrato proprio sul contrasto tra Costantino e Massenzio, il quale signoreggiava sull'Italia e l'Africa e aveva stabilito la sede del suo regno proprio a Roma, la vecchia capitale che seppure sospinta ai margini nella geografia del potere alla fine del IV secolo d.C., rappresentava pur sempre il simbolo eterno dell'Impero. 

La posta in gioco per i due rivali dunque era la più significativa per l'Occidente e per tutto l'Impero: Roma, l'antica capitale, dove Massenzio si era asserragliato dopo aver rinnovato e ampliato le fortificazioni cittadine. 

In una veloce e straordinaria campagna militare, Costantino passò dalla Gallia al Nord Italia: presi i maggiori centri urbani da Torino a Verona, ad Aquileia, discese verso l'Urbe; alle sue porte, presso il Ponte Milvio, si sarebbe svolta la battaglia determinante per le sorti imperiali. 

Non si trattava solo di politica: anche la religione giocò un ruolo determinante. Si trattasse di fede o di propaganda, Costantino si dichiarò destinatario di un messaggio di Cristo, che gli ordinò di adottare come vessillo il suo monogramma. 

Con la successiva vittoria, il suo percorso verso il trono era destinato a intrecciarsi sempre più con il cristianesimo, mentre allo sconfitto Massenzio sarebbe spettata la damnatio memoriae. 

Tutti questi aspetti sono trattati nelle pagine del libro, che rispetto ai molti altri scritti sull'argomento, affronta con specificità il tema bellico: le strategie, la composizione degli eserciti, le mansioni assegnate alle singole legioni, gli armamenti, la tempistica e i precedenti storici. 

Il tutto grazie a un ampio corredo illustrativo: immagini, ricostruzioni, mappe: la battaglia, seppur breve (sembra che si consumò nel giro di poche ore) ma imponente, è così restituita compiutamente all'attenzione dei lettori, che potranno conoscere nel dettaglio questo momento essenziale per la storia di Costantino e dell'Impero romano.

Fabrizio Falconi

27/09/21

L'incredibile, terribile, suicidio di Seneca


Il cosiddetto Pseudo Seneca, busto romano in bronzo risalente
al I sec. a.C. ritrovato a Ercolano nel Settecento e conservato al 
Museo Archeologico Nazionale di Napoli


L'occasione del fallimento della cosiddetta Congiura dei Pisoni, nell'aprile del 65 d.C. offrì a Nerone, ormai sempre più invasato e assetato di potere, di potersi liberare di Seneca, che era stato suo tutore e dal quale si era dopo cinque anni progressivamente e completamente emancipato, con gravi conseguenze per l'Impero. 

In realtà sembra che della famosa Congiura Seneca fosse solamente informato, e che non vi prese parte direttamente.

Nerone però fu inflessibile e il sessantunenne Seneca ricevette quindi l'ordine di togliersi la vita, o meglio gli venne fatto capire che se non lo avesse fatto, morendo "onorevolmente" secondo i principi del mos maiorum, cioè della tradizione romana, sarebbe stato giustiziato comunque

Non volendo sottrarsi, Seneca optò per il suicidio. 

I particolari di questa morte sono però particolarmente raccapriccianti. 

Seneca dapprima si rivolge agli allievi, poi alla moglie Pompea Paolina, che vorrebbe suicidarsi con lui: il filosofo la spinge a non farlo, ma lei insiste.

Per Seneca il suicidio era in perfetta armonia con i principi professati dallo stoicismo, di cui Seneca fu uno dei maggiori esponenti: il saggio deve giovare allo Stato, res publica minor, ma, piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio. 

E' Tacito, qualche decennio dopo, a raccontarne i particolari, elogiandone la coerenza di vita:

«Frenava, intanto, le lacrime dei presenti, ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggiore energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell'animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro le fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l'assassinio del suo educatore e maestro.»

(Annales, XV, 62)

Seneca affrontò l'ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito, come ogni vero saggio deve raggiungere infatti l’apatheia, ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte ai casi della sorte. 

Dopo il discorso ai discepoli, Seneca compie l'atto estremo:


«Dopo queste parole, tagliano le vene del braccio in un solo colpo. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal vitto frugale procurava una lenta fuoriuscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia.»

(Annales, XV, 63)

Con l'aiuto del suo medico e dei servi, si tagliò quindi le vene, prima dei polsi, poi - poiché il sangue, lento per la vecchiaia e lo scarso cibo che assumeva, non defluiva - per accelerare la morte si tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia, fece trasferire la moglie in un'altra stanza facendo ricorso anche ad una bevanda a base di cicuta, il  veleno usato anche da Socrate. Tuttavia nemmeno quello ebbe effetto: la lenta emorragia non permise al veleno di entrare rapidamente in circolo. Così, memore del suicidio di un amico, Seneca si immerse in una vasca d'acqua bollente per favorire la perdita di sangue «spruzzandone i servi più vicini e dicendo di fare con quel liquido libazioni a Giove». 

Ma alla fine raggiunse una morte lenta e straziante, che arrivò, secondo lo storico, per soffocamento causato dai vapori caldi, dopo che Seneca fu portato, quando fu entrato nella tinozza, in una stanza adibita a bagno e quindi molto calda, dove non poteva respirare (ed essendo lui sofferente da sempre di problemi respiratori). I soldati e i domestici invece impedirono a Paolina, priva ormai di sensi, di suicidarsi, proprio mentre Seneca stava assumendo il veleno:

«Nerone però, non avendo motivi di odio personale contro Paolina, e per non rendere ancora più impopolare la propria crudeltà, ordina di impedirne la morte. Così, sollecitati dai soldati, schiavi e liberti le legano le braccia e le tamponano il sangue; e, se ne avesse coscienza, è incerto. Non mancarono, infatti, perché il volgo inclina sempre alle versioni deteriori, persone convinte che Paolina abbia ricercato la gloria di morire insieme al marito, finché ebbe a temere l'implacabilità di Nerone, ma che poi, al dischiudersi di una speranza migliore, sia stata vinta dalla lusinga della vita. Dopo il marito, visse ancora pochi anni, conservandone memoria degnissima e con impressi sul volto bianco e nelle membra i segni di un pallore attestante che molto del suo spirito vitale se n'era andato con lui. Seneca intanto, protraendosi la vita in un lento avvicinarsi della morte, prega Anneo Stazio, da tempo suo amico provato e competente nell'arte medica, di somministrargli quel veleno, già pronto da molto, con cui si facevano morire ad Atene le persone condannate da sentenza popolare. Avutolo, lo bevve, ma senza effetto, per essere già fredde le membra e insensibile il corpo all'azione del veleno. Da ultimo, entrò in una vasca d'acqua calda, ne asperse gli schiavi più vicini e aggiunse che, con quel liquido, libava a Giove liberatore. Portato poi in un bagno caldissimo, spirò a causa del vapore e venne cremato senza cerimonia alcuna. Così aveva già indicato nel suo testamento, quando, nel pieno della ricchezza e del potere, volgeva il pensiero al momento della fine.»

(Annales, XV, 64)

Vista la lunga serie di metodi di suicidio messi in atto da Seneca (anziché un solo metodo diretto ed immediatamente efficace, come quelli scelti da Bruto o da Nerone stesso: ad esempio pugnalarsi alla gola o al cuore, dalla clavicola, mentre un servo o un amico reggeva la spada; questa era in effetti la consuetudine più diffusa tra i romani nobili e i militari) e la somiglianza evidente in certi particolari (il discorso, la cicuta, poi la libagione alla divinità) con la morte di Socrate, è stato anche ipotizzato che Tacito abbia costruito lui stesso il racconto ad imitazione del testo platonico della morte di Socrate, e che la morte del filosofo sia stata più rapida.


Fonte: Wikipedia