07/12/20

L'epica impresa degli "Scariolanti romagnoli" che nel 1884 bonificarono la palude di Ostia infestata dalla Malaria.


Sono trascorsi 136 anni da quando, il 25 novembre 1884, arrivarono in 500 da Ravenna per bonificare Ostia e Fiumicino. Fuggivano dalla fame, dalla disoccupazione e dalla repressione poliziesca ma andavano incontro alla malaria.

Arrivarono in treno direttamente a Fiumicino, e a Roma quei romagnoli "anticlericali, sovversivi e accoltellatori" non li fecero neanche fermare.

Il loro primo contatto con la palude lo ebbero attraversando il Tevere sul traghetto "La Scafa" guidato da un vecchio, ribattezzato Caronte, che li mise in guardia:"Sull’altra riva c’è l’inferno".

E poi il custode del borgo di Ostia Antica, unico abitante del luogo, che giallo e febbricitante, spiegò loro:"Qui non vive nemmeno il diavolo".

Molti si spaventarono, ma vennero fermati da Baldini e Armuzzi che li esortarono:"Pensavate di andare all’osteria? Siete partiti da eroi e volete tornare da vigliacchi?".

Tanto bastò per farli rimanere e il lavoro cominciò con la costruzione del "Grande Canale dello Stagno" che oggi conosciamo come Canale dei Pescatori e con lo scavo di chilometri di canali.

Gli scariolanti romagnoli, oltre al duro lavoro di bonifica del territorio, portarono una civiltà: costruirono alloggi, l’infermeria e i locali comuni; tutti i soci prendevano una paga uguale e se uno di loro si fosse ammalato veniva pagato lo stesso.

Morirono in cento solo nel primo anno e al completamento del lavoro, dopo sette lunghi anni, il numero delle vittime della malaria salì fino a seicento.
Sono trascorsi 136 anni da quando la foce del Tevere si apriva in un delta palustre e deserto, 135 anni dall’epica impresa della bonifica di Ostia.




05/12/20

Byung-Chul Han: "Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto"


Byung-Chul Han è uno dei più interessanti filosofi contemporanei. Questo è un brano dell'intervista rilasciata al Suddeutsche Zeitung nel dicembre del 2012 e che oggi appare quanto mai attuale. 

E' nato in Corea del Sud nel 1959 e ora è professore di filosofia e studi culturali all'Università delle Arti di Berlino. È diventato noto grazie al suo bestseller »Die Müdigkeitsgesellschaft« (2010) sulla crescente cultura dell'autosfruttamento. Nel suo libro “The Transparency Society” (2012) descrive come ci stiamo sviluppando in una società di controllo totalitario con il pretesto della democrazia e della libertà di informazione.

Credi che il networking digitale avrà effetti negativi sulla psiche delle persone a lungo termine? 

Non puoi dirlo oggi. Ma quello che colpisce è che comunichiamo così tanto che non ci sono più pause, non ci sono più silenzioUna lacuna in mezzo a questa marea di informazioni ci sembra insopportabile perché le interruzioni non hanno più un ruolo nella nostra società dell'informazioneLa rottura è la morte. Ed è per questo che spettegoliamo e disimpariamo a distinguere ciò che è importante da ciò che non è importante. Omettere e dimenticare può essere molto produttivo, per non parlare dell'intuizione, che perdiamo nella quantità di informazioni. Per poter pensare ci vogliono silenzio e vuoto.

E non ce ne sono quasi più

Sì, stiamo attualmente vivendo un'enorme accelerazione nel ciclo di segni, informazioni e capitaliPer questa accelerazione, tutti i segreti, le ritirate, le unicità, gli angoli e gli spigoli devono essere eliminatiSolo nella società della trasparenza il flusso permanente di informazioni e beni non incontra più resistenza. Nella società della trasparenza tutto è rivolto all'esterno, rivelato, spogliato ed esposto. Ci esponiamo all'attenzione.

Qual è la conseguenza?


Sosteniamo il turbo-capitalismo e la società della performance neoliberale rendendoci tutti una merceL'unico valore che ancora esiste è il valore espositivo. Questa è una drastica riduzione della vita e dell'esistenza.

Ma continuiamo a inviare messaggi per mostrare quanto siamo unici. 

Un errore. Facebook è un luogo in cui tutti sono uguali perché vogliono essere diversi. Ognuno ha la forma di una merce in modo che possa adattarsi al sistema. Nessuno può essere diverso su FacebookE il centro dell'uguaglianza è il pulsante "Mi piace". Perché non c'è il pulsante "Non mi piace"? Una guida per gli appuntamenti su Internet dice: Milioni di donne ti stanno aspettando. E cosa fanno gli uomini? Confronta. Separare la parola:
Confronta, che significa: fai tutto allo stesso modo. Viviamo nell'inferno dello stesso,
in cui le esperienze erotiche non sono più possibili.

È perché siamo troppo narcisisti? 

Sì, il mio nuovo libro parla di questo. Si chiama Agony of Eros e descrive che diventiamo depressi perché ci incontriamo solo ovunque. Siamo esausti di noi stessi, l'Eros, invece, è un'esperienza che l'uno viene strappato da sé dall'altroÈ un segno distintivo di una società sempre più narcisistica che l'altro scompaiaE con esso l'eros, cioè la possibilità dell'amore.

Dove vedi il limite per questo sviluppo? 

Penso che stiamo andando verso il disastro.

Ma l'anticapitalismo è di nuovo chic e la consapevolezza ecologica ancora di più. Non è possibile rompere la logica della trasparenza e della crescita e riformare il sistema prima che imploda?


Non importa quanto lontano si pensi, gli umani imparano solo attraverso i disastri, mai attraverso l'intuizioneNon ci sarebbe pace in Europa oggi senza la seconda guerra mondiale. Arthur Schnitzler una volta disse: “Le persone si comportano come i bacilli. Crescono e distruggono lo spazio in cui vivono, per cui alla fine periscono loro stessi. ”Questo confronto ha senso per me. Moriamo perché non siamo consapevoli dell'ordine superiorePoiché siamo in costante crescita, moriremo da quella crescita.

Quale potrebbe essere questo ordine superiore?


Solo un essere saprebbe che sarebbe più intelligente di noi.

Lo Spiegel una volta ti ha definito il "filosofo del cattivo umore". Adesso sappiamo perché.


Preferirei essere un filosofo di cattivo umore piuttosto che un filosofo di buon umore. Ad essere onesti, non sono affatto dell'umore. A volte sono triste, ma è diverso. Il pensiero è sempre una forma di resistenza. E sì, penso di sfuggire alla morte e servire la vita.


04/12/20

Libro del Giorno: "Le civette impossibili" di Brian Phillips

 


In tempi così come quelli che stiamo vivendo, questo libro è ossigeno puro. L'ha pubblicato da poche settimane l'editore Adelphi, nella Collana dei casi, e lo ha scritto un grande giornalista sportivo americano, erede di quella tradizione anglosassone che prende molto sul serio lo sport e l'avventura, nobilitandola come genere letterario. E' perciò un libro colto e divertente, da cui si impara molto. Ed è anche un libro di viaggi o un "libro in viaggio", una sorta di Bruce Chatwin più leggero e ironico, ma con la medesima curiosità dettata dal gusto per la scoperta, dell'altrove come luogo dell'affascinante. 

Brian Phillips - come scrive Davide Coppo che lo ha intervistato per Rivista Studio -  è americano, ama il calcio (e tante altre cose, ma principalmente il calcio) e ne scrive per lavoro. Ha un sito, si chiama The Run of Play, e scrive anche per Grantland, una delle migliori riviste (e sito online) e siti di sport e pop del panorama web.   Brian può essere definito una delle migliori penne sportive del pianeta senza eccedere in adulazione. Quello che fa è difficilmente descrivibile, è una sorta di mix tra cultura pop, cultura sportiva, e cultura letteraria. Qualcosa - scrive Coppo -  che ti fa vedere le cose da punti di vista completamente inediti.

Le Civette impossibili è un libro composito, fatto di storie apparentemente del tutto scollegate ambientate in angoli diversissimi del pianeta.  Alcune di queste parti ricalcano il format del reportage giornalistico, arricchendolo però con una vena narrativa pura e brillante dentro la quale l'autore entra e esce nel ruolo di voce narrante e/o testimone.

Anche quando si comincia a conoscere Brian Phillips, come è scritto nella bandella – dopo aver partecipato con lui a una corsa di cani da slitta attraverso l’Alaska, o essersi fatti spiegare in dettaglio il complicatissimo rituale dell'antica arte del Sumo giapponese –, è dif­ficile capire dove porterà la prossima tap­pa: senza preavviso, ci si può ritrovare fra le tigri (e i cacciatori di tigri) della giungla indiana, nella dacia di Jurij Norštejn a par­lare del suo Cappotto (e del perché non si decida a finirlo), o nelle vene dell’America profonda in cui Phillips è cresciuto. Quel che però è certo è che passando il tempo insieme a Phillips è impossibile annoiarsi, e non essergli grati per le infinite sorprese che ogni viaggio, non importa se in un al­tro continente o nel cinema vicino a casa, finisce per riservare.

Un libro da consigliare e da leggere con vero piacere.

03/12/20

L'incredibile storia dei due fratellini salvati sull'ultima scialuppa del Titanic

 


Molto più commovente della storia d’amore raccontata nel film Titanic, questa è la straordinaria esperienza di due fratellini sopravvissuti al naufragio del transatlantico, conosciuti come gli “orfani del Titanic”, gli unici bambini che si siano salvati senza avere al fianco un genitore o un tutore.

Michel Navratil, un sarto di origine slovacca che viveva in Francia, si era imbarcato con i due figli Michel Marcel (12 giugno 1908-30 gennaio 2001) ed Edmond (1910-1953). 

I bambini erano stati sottratti alla custodia della madre, così l’uomo assunse il falso nome di Louis M. Hoffman, mentre i figli furono registrati come Lolo e Momon

Durante il viaggio, come passeggeri di 2° classe, papà Navratil fece credere di essere vedovo, dimostrandosi un genitore attento e amorevole. Dopo la collisione con l'iceberg, avvenuta alle ore 23.40 del 14 aprile 1912, l’ultima scialuppa di salvataggio ad essere calata fu la “D”, alle ore 2.05 delle notte. 

Mentre rimanevano ancora 1500 persone a bordo, solo 47 passeggeri, potevano sperare di salvarsi salendo sulla “D”. I marinai del Titanic fecero imbarcare solo donne e bambini, e Navratil, compiendo l’ultimo gesto d’amore per i suoi figli, riuscì a calarli nella scialuppa.

Michel, che all’epoca non aveva ancora quattro anni, in seguito raccontò che al momento del distacco il padre gli disse: “Figlio mio, quando vostra madre verrà a prendervi, come sicuramente farà, dille che l’ho amata veramente, e ancora la amo. Dille che mi aspettavo che lei ci raggiungesse, affinché noi tutti potessimo vivere felicemente insieme nella pace e nella libertà del Nuovo Mondo.”


02/12/20

Uno degli angoli più suggestivi di Roma: San Giovanni in Oleo, duemila anni di storia

 


San Giovanni in Oleo, la memoria dell’apostolo amato da Gesù

 

A Roma, si sa, si parla sempre di Pietro e di Paolo. Ma si ignora spesso l’importante passaggio di quelli che furono gli altri apostoli di Gesù, a cominciare di quelli più importanti: gli Evangelisti. Pochi romani saprebbero oggi rispondere alla domanda se risulta un passaggio a Roma di San Giovanni, l’Evangelista, quello che i Vangeli definiscono il prediletto da Gesù.

Eppure questa presenza non solo è documentata. Ma è anche testimoniata da un culto bi-millenario, mai decaduto.

Di Giovanni si ricorda l’attività di predicatore instancabile, dopo la morte di Gesù, e soprattutto della sua presenza a Patmos, nell’Egeo, dove scriverà le terribili ed enigmatiche visioni contenute nell’Apocalisse. Ma tra queste due fasi, Giovanni transitò anche a Roma.

E’ Tertulliano a raccontarci che nell’anno 89 d.C., mentre Giovanni si trovava ad Efeso, si scatenò una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell'imperatore Domiziano. Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte.

Di lì a poco questa pena però verrà commutata in quella dell'esilio nell'isola di Patmos.

Sul luogo dove venne sottoposto alla tortura dell’olio bollente venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo. Non si tratta anzi, di una vera e propria chiesa, ma di un piccolissimo oratorio,  un tempietto  a pianta ottagonale, che sorge nei pressi della Porta Latina.  Nelle forme attuali fu costruito all’inizio del ‘500 su commissione del vescovo francese Benoit Adam, su un precedente martiryum costruito in epoca paleocristiana. Il piccolo edificio fu poi restaurato dal grande Borromini nel 1657 per incarico del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo in una cappella per la sua potente famiglia.

E’ opportuno riflettere sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda. 


Anche in questo senso , egli occupa dunque un posto a sé nella storia del Cristianesimo. Giovanni, come abbiamo detto, è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore. Dopo la resurrezione di Gesù è il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, ed è il primo a giungervi, entrandovi poi dopo Pietro.


Dopo l’ascesa al cielo di Gesù,
  gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi con Pietro incarcerato.

Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria. Nell’anno 53 d.C. Giovanni si trova ancora a Gerusalemme: Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle colonne della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a Gerusalemme solo Giacomo il Minore: dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso, come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare, per tutte, Ireneo (Contro le eresie, III, 3, 4): La Chiesa di Efeso, che Paolo fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera della tradizione degli apostoli.  La permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente verso l’anno 95. Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti autori antichi, del suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta colma di olio bollente, dalla quale l’ormai vecchio apostolo uscì illeso, salvo dalle bruciature, suscitando lo sconcerto dei suoi aguzzini. 

E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200 d.C.: Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola (La prescrizione contro gli eretici, 36).


Un’altra testimonianza è quella di
 Girolamo, che alla fine del IV secolo scrive: Giovanni terminò la sua propria vita con una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il persecutore non fece effondere il suo sangue (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20, 22). Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può poi aggiungere con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale (inizi del II secolo), che, nella IV Satira, critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per decidere che fare di un enorme pesce, venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto in una profonda padella.

Come nello stile delle Satire, il pesce sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano.  E' una ipotesi affascinante frutto dello studio pubblicato recentemente da una ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli.

Se la ipotesi fosse giusta, ci troveremmo di fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana. Il che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013, 2018

01/12/20

Ecco perché Mario Luzi non vinse mai il Nobel - Il libraio di Stoccolma


Giacomo Oreglia, titolare dell'Italica di Stoccolma, che pubblicava autori italiani, pattuiva con essi che, in caso di vincita del Nobel, avrebbero dovuto riconoscergli un contributo

Quasimodo tenne fede alla parola e gli diede 20 milioni; Montale, invece, che ne aveva promesso 50, si limito' a chiedergli se in Svezia il Premio venisse tassato dallo Stato

Lo scrive oggi sul quotidiano "Libertà'" di Piacenza, Sebastiano Grasso in un articolo dedicato all'anniversario della morte di Mario Luzi, piu' volte nella rosa dei Nobel

Secondo Grasso a Luzi rimase il rimpianto del mancato Nobel e la colpa, a suo avviso, per molti, era stata proprio di Oreglia. 

"Piemontese di Mondovi', nel 1949 Oreglia si trasferisce a Stoccolma, dove fonda l'Italica, casa editrice che traduce autori italiani

Fra essi, Quasimodo e Montale (entrambi vincitori del Nobel di letteratura: una delle condizioni per potere avere il Premio e' quella di essere tradotti in svedese). 

Oreglia, che pubblica diversi libri di Luzi e insegna all'Istituto italiano di Cultura, quando la Farnesina decide di sistemare giuridicamente il personale precario estero e a Stoccolma arriva come ambasciatore Sergio Romano, deve scegliere se fare il docente o l'editore. 

Qualcuno suggerisce una soluzione "tecnica": intestare l'«Italica» alla figlia

Oreglia non solo rifiuta, ma attacca l'ambasciatore Romano su giornali svedesi - racconta ancora Grasso - e italiani, facendo la vittima (ruolo che non gli si addice proprio), urlando che, senza l'Italica, Quasimodo e Montale non avrebbero avuto il Nobel.

Nell'operazione coinvolge la natura generosa di Luzi, che sposa le sue ragioni e interviene a suo favore. Le polemiche, pero', non piacciono agli Accademici, che accantonano definitivamente il nome del poeta toscano"

30/11/20

Scompare, come era apparso, il Monolite nello Utah. Chi c'è dietro?




Un mistero che inevitabilmente scatena la fantasia di tutti gli amanti delle teorie extraterrestri e delle storie di fantascienza: il monolite metallico inspiegabilmente comparso in una zona remota e selvaggia del deserto dello Utah e poi altrettanto inspiegabilmente scomparso lasciando il posto a una piramide di fatta di pietre. 

Le autorita' giurano di non essere responsabili della rimozione dell'obelisco conficcato nel terreno roccioso, e ora indagano sul giallo che sta facendo impazzire i social. 

Ma sembrano gelare l'entusiasmo degli appassionati di letteratura marziana, attribuendo lo strano episodio a non meglio precisati "sconosciuti". Burloni, magari artisti in cerca di pubblicità

Oppure fan appassionati del film '2001: Odissea nello spazio', capolavoro di Stanley Kubrick girato del 1968, e la cui vicenda ruota attorno a un monolite nero molto somigliante a quello rinvenuto nel Canyonlands National Park lungo il fiume Colorado che appare sulla Terra, ai primordi della nascita dell'Uomo, sulla Luna e infine su Giove. 

Alcuni osservatori, poi, hanno sottolineato la somiglianza dell'oggetto anche con il lavoro d'avanguardia di John McCracken, un artista statunitense che ha vissuto per un certo periodo nel vicino New Mexico ed e' morto nel 2011. 

La struttura di metallo lucido color argento e alta circa tre metri era stata notata per la prima volta il 18 novembre. 

Avvistata da un elicottero che sorvolava il deserto per seguire un gregge di bighorn sheep, le pecore dalle grandi corna tipiche della regione. 

Le autorita' avevano deciso di non divulgare le esatte coordinate del ritrovamento per evitare un afflusso di curiosi, anche se in molti lungo i sentieri e i canyon del parco sono riusciti a trovare il misterioso e futuristico obelisco. 

Una volta svanito nel nulla, al suo posto ora compare una piramide di pietre, opera che alimenta suggestioni e congetture fantasiose. 

E almeno fino a che non si scoprira' chi sono gli autori di questa vicenda, spiegano i responsabili del parco, è lecito sognare e fare qualsiasi tipo di congettura. 

29/11/20

Poesia della Domenica: "Incontro al fiume" di Askol Neves

 


Incontro al fiume


Scese al ponte vestita di fiori
e ad ogni passo la sua ombra
disegnava animali immaginari

 

Incontrò un vagabondo sul fiume
che non voleva essere aiutato,
incontrò un pesce contro corrente
che non si fermò a rincorrere la luna.

 

Incontrò l'uomo che aspettava
seduto e fumava, perché voleva vederla
scendere dal ponte, voleva toccare i suoi
fiori, voleva baciarla.

 

 

Askol Neves 

 

(foto in testa: Vivian Maier) 

28/11/20

Il Libraio: Esce oggi "La Storia di Roma - in 501 domande e risposte" di Fabrizio Falconi

 


Illibraio.it annuncia oggi l'uscita de "La storia di Roma - in 501 domande e risposte" di Fabrizio Falconi, nelle librerie e in vendita nei siti online (qui tutte le info)

Sinossi

La grande storia di Roma è universalmente nota. Ma tra le pieghe delle sue vicende si annidano curiosità spesso poco conosciute, che invece meritano di essere scoperte. In questo libro vengono proposte 501 domande che hanno per argomento la storia, gli aneddoti, l’architettura, l’arte, i costumi, le leggende di Roma, dalle origini fino ai giorni nostri. A ogni quesito segue una risposta, che prova a far luce sul complesso mosaico della storia della Città Eterna. I capitoli sono divisi in un ordine cronologico che abbraccia quasi tre interi millenni, dalle origini e dalla fondazione della città, passando per la Roma repubblicana, quella  imperiale, il Medioevo, il Rinascimento, la Roma papalina, il Risorgimento e il Novecento e arrivare fino ai giorni nostri. Una carrellata di notizie, approfondimenti, spigolature, sulla grande storia della città più famosa del mondo.

Tanti interrogativi per soddisfare tutte le curiosità sulla grande storia della Città Eterna

La storia immortale della Città Eterna

Le origini – la Fondazione – I re di Roma
L’età antica – La Roma repubblicana
L’età antica – La Roma Imperiale
Dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’anno Mille
La Roma Medievale
Il Rinascimento a Roma
La Roma Papalina
Il Risorgimento a Roma e l’Ottocento
Dai primi del Novecento alla fine della Seconda Guerra Mondiale
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri

  • ISBN: 8822746317
  • Casa Editrice: Newton Compton
  • Pagine: 352

24/11/20

Domani 50 anni dalla morte eclatante di Yukio Mishima

Yukio Mishima si fa fotografare nei panni di San Sebastiano dipinto da Guido Reni


Come tutti coloro che, in una sorta di astratta fusione tra sentimento e vita, anelano idealisticamente all'assoluto anche Yukio Mishima (pseudonimo di Kimitake Hiraoka), scrittore giapponese morto giusto 50 anni fa, il 25 novembre 1970 a 45 anni, con un suicidio eclatante e drammatico, era in quel periodo di contestazione globale e di vogliamo tutto, che e' una forma di assoluto, una figura riconosciuta a livello internazionale, un modello, anche se lontano. 

Solo per capire, potremmo dire che fu un po' come per noi Pasolini, artista con la sua nostalgia di una societa' precapitalista e la denuncia del potere presente. 

Oggi, ricordato in particolare dalla destra, visto che la sua parabola esistenziale e ideologica potremmo facilmente etichettarla secondo i nostri riferimenti come di tipo fascista, Mishima si cerca di rileggerlo reinserendolo nella realta' nipponica cui profondamente apparteneva e in un'idea culturale quasi metafisica. 

Per intendere la sua estraneita' a una realta' concreta e contingente basti ricordare l'interesse che dimostro' per gli studenti sessantottini di sinistra e la loro lotta idealista di contestazione al sistema capitalista, che per Mishima riduceva l'uomo a una dimensione calpestando dignita' e valori tradizionali, che pero' per lui erano incarnati nella figura trascendentale, assoluta dell'imperatore

E' quindi nel nome dell'imperatore e in difesa della bellezza e autenticità del mondo ucciso dalla fine della guerra (Hiroshima) , che lo scrittore da inizio anni '60 avvia il proprio processo di radicalizzazione nazionalista e militarista secondo il principio che "sapere senza agire equivale a non sapere", arrivando nel 1968 a costituire una sua associazione paramilitare, Tate no kai (Societa dello scudo). 

Una decina di anni dopo, appena consegnato all'editore l'ultimo romanzo, "Il mare della fertilita'", finira' cosi' la propria vita con un Suppoku, l'harakiri dei samurai con una spada nel ventre, dopo aver cercato di far scattare la scintilla di una sorta di colpo di stato, irrompendo con i suoi seguaci nel ministero della difesa e arringando i militari affinche' si ribellino per restaurare i valori spirituali del Giappone imperiale

E il suo inneggiare all'Imperatore era, appunto, simbolico, qualcosa di metafisico e idealistico e col suo suicidio si lega alla dichiarata fede nell' "Hagakure", libro del XVII secolo sull'etica dei samurai. 

Mishima, che nonostante la sua omosessualità si era sposato e aveva avuto due figli, era un personaggio pubblico gia' prima, scrittore di successo, fautore di arti marziali come il Kendo, protagonista del film "Patriottismo", su di un ufficiale che decide di uccidersi col suppoku con la moglie: sua sceneggiatura profetica poi anche diretta e interpretata, e con sue foto che appaiono sui giornali popolari. 

Il fatto e' che l'azione, e la produzione letteraria da "La spada" del 1963 sino ai testi ultimi lancinanti come il dramma "Madame De Sade" del 1963 e la narrazione e personale rilettura storica "Il mio amico Hitler" del 1968, hanno finto per mettere in ombra le qualita' dello scrittore e in particolare dei suoi primi libri di analisi psicologica a sfondo piu' o meno autobiografico, come il sofferto "Confessioni di una maschera" del 1949 sui problemi con la propria omosessualita', e poi "Colori proibiti", "La voce delle onde" (scritto dopo un lungo viaggio in Grecia e ispirato al mito di Dafni e Cloe), "Il padiglione d'oro" del 1962, nato da un fatto di cronaca, l'incendio di un tempio tradizionale da parte di un giovane handicappato, e considerato il suo romanzo migliore, sino a "Dopo il banchetto" e "La stella meravigliosa" del 1961, con spunti fantascientifici. 

Sono romanzi strutturati, ricchi di riferimenti culturali e notazioni filosofiche, che riflettono letture occidentali ma restano ben inseriti in quella tradizione letteraria giapponese confermata dall'amicizia che Mishima ebbe con uno scrittore quale il premio Nobel per la letteratura Kawabata. In occasione di questo cinquantenario escono in Italia due saggi: "Mishima martire della bellezza" di Alez Pietrogiacomi (Alcatraz, pp. 160 - 12,00 euro) che raccoglie "le frasi tratte dalle sue opere e dai suoi discorsi, per creare una sorta di manuale per moderni guerrieri, per uomini e donne dallo spirito indomito e poetico, capaci di riflettere e agire al tempo stesso"; e "Yukio Mishima. Enigma in cinque atti" di Danilo Breschi (Luni, pp. 258 - 20,00 euro), saggio che ne vuol restituirne l'originale figura artistica, comparandola con autori che vanno da Kierkegaard a Pirandello, da Camus a Cioran, e affrontandone, tra vita e pensiero, "quel corto circuito tra il medioevo piu' feudale, gerarchico e guerriero, ed una modernita' tanto avanzata da anticipare il postmoderno". 

Segnalo anche un bellissimo saggio su Mishima, il Giappone e l'arte del Sumo, contenuto nel libro "Civette impossibili" di Brian Philipps uscito da poco per Adelphi. 

23/11/20

Pompei: Cosa sappiamo dei due corpi ritrovati miracolosamente intatti



I corpi di due fuggiaschi, travolti dalla furia dell'eruzione del 79 d.C. Quello di un uomo abbiente, il padrone, e, molto probabilmente, quello del suo schiavo. 

Quelli che sono riemersi dalle ceneri, a Pompei, restituiti grazie alla tecnica dei calchi in gesso, ideata nell'Ottocento da Giuseppe Fiorelli. 

La colata di gesso liquido nelle cavita' lasciate dai corpi degli abitanti dell'antica citta' romana fa emergere dettagli impressionanti. 

La prima vittima e', quasi certamente, un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili; indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui e' ben visibile l'impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. 

Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro e' leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull'addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude. 

La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane eta' del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perche' si pensa che fosse uno schiavo. 

Durante la realizzazione di questo primo calco e' avvenuta la scoperta delle ossa di un piede, che ha rivelato la presenza di una seconda vittima

È in una posizione completamente diversa rispetto alla prima, ma attestata in altri calchi a Pompei. Il volto e' riverso a terra, a un livello piu' basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio.

Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate.

 L'abbigliamento e' piu' articolato rispetto all'altro uomo. Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra.

In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi e' anche l'impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. 

La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, piu' anziano pero' rispetto al primo, con un'eta' compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri. 

La scoperta e' avvenuta durante l'attivita' di scavo in localita' Civita Giuliana, a 700 metri a nord ovest di Pompei, nell'area della grande villa suburbana dove gia' nel 2017 furono rinveneuti i resti di tre cavalli bardati. 

"Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei e' importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti - dichiara il ministro per i beni e le attivita' culturali e per il turismo Dario Franceschini - ma perche' e' un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora piu' di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro". 

"Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana - gli fa eco il Direttore del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna - perche' condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi e' una fonte di conoscenza incredibile".

20/11/20

Spunta fuori un Lucio Battisti inedito: "Non faccio interviste, le manipolano"



"Non faccio interviste nei giornali dove esiste quella manipolazione smaccata, sfacciata e insopportabile, non esiste che faccio un discorso bello aperto e poi mi trovo completamente diverso da quello che sono": sono le parole di Lucio Battisti in un'intervista inedita del 1976 fatta ascoltare durante la Milano Music Week, in occasione della presentazione della rinascita dell'etichetta Numero Uno, che pubblico' proprio gli album di Battisti

"Sono cinque anni che non faccio interviste di quelle con registratore e matita e continuano a scrivere le stesse cose" dice ancora Battisti, spiegando che con la scelta di non dare piu' interviste ai giornalisti della carta stampata "non ho risolto sul piano generale ma su quello personale, non sono piu' a disposizione, se non altro non sono responsabile di cio' che scrivono"

"Almeno non mi sento connivente del fare foto con l'albero di Natale o il panettone" continua l'artista, spiegando che comunque "si puo' fare se esiste un discorso di reciproca realta'". 

In radio, invece, e' diverso e per questo "non l'ho mai completamente abbandonata"

Nella carta stampata, invece, "la manipolazione arriva al punto di inventare notizie, frasi", c'e' "il gusto di schiacciarti", ma "e' una lotta persa perche' si sa che i giornali non hanno mai influito sull'opinione pubblica" ne' hanno mai creato o distrutto un artista. 

E quindi "o reciti per convenienza" o "dici io non ci sto, non so - conclude Battisti - se mi sono spiegato".