19/10/20

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia - 4


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia  (4)


Juliette si innamorò disperatamente di August e scrisse una lettera al marito chiedendo il divorzio.

Da Parigi Récamier le mandò una addolorata risposta esprimendo la propria acquiescenza se avesse assolutamente insistito, ma anche il proprio rammarico - e questo dopo quindici anni di matrimonio non consumato! - per aver rispettato troppo le sue "virginali suscettibilità e ripugnanze".

Tali ripugnanze però non svanirono nemmeno in presenza del principe Augusto: "Benché i nostri rapporti fossero molto intimi", confidò ad una amica, "ci fu una cosa che non riuscì a ottenere."

E durante una delle lunghe assenze di lui in Germania, l'interesse di Juliette svanì.

Ormai la donna aveva acquisito la fama di frigida civetta, di una donna incapace di darsi.

Sainte-Beuve sostenne che Juliette fosse una "manipolatrice" e che la sua fosse una "manipolazione angelica": sembrava voler ferire gli uomini per curarli devotamente.

La maggior parte dei suoi amici di sesso maschile si innamorarono perdutamente di lei e tuttavia - questa fu la cosa stupefacente - Juliette "mantenne" quelle amicizie.

"Era una maga", scrisse Sainte-Beuve, "per quel modo di indurre l'amore a diventare amicizia lasciando intatto il suo rigoglio primaverile. Era come se desiderasse fermare la vita al suo aprile."

La nipote Amélie la ricorda ansiosa, non placata dal lusso che la circondava, ardentemente desiderosa di quegli affetti che formano "l'autentica felicità e la vera dignità della donna."

Né moglie, né madre in senso biologico, Juliette era avida di tenerezza e trovava nelle fuggevoli attenzioni degli uomini di mondo, solo un pallido surrogato.

Non era una avventuriera e non era neppure una donna avventurosa. Però era misteriosa e non accettava che nessuno chiarisse qualcosa che la riguardava e che lei non voleva fosse svelato.

Una persona che cercò di spiegarla, e di rompere il suo lungo digiuno carnale, fu Benjamin Constant.

(4- continua) 

nella foto: Francois Gérard, Bocca di Juliette Récamier, 1805

18/10/20

Poesia della Domenica - "Desiderio d'amore" di Alda Merini



Desiderio d'amore



Lei desiderava un sorriso 
una musica muta
una riva di mare
per bagnarsi
il suo amore impossibile.
I suoi piedi nudi e piagati,
i suoi meschini capelli.
Lei ignorava che il ricordo
è un ferro piantato alla porta,
non sapeva nulla
della perfezione del passato,
del massacro delle notti solitarie
non sapeva che il più grande
desiderio
è un niente
che s’inventa stranissime cose,
e vola come un’idea
verso l’enciclopedia
del Paradiso.
Sogna
su un altare di piombo
e frusta strampalati pupazzi
che non portano mai allegria.


Alda Merini, da Io dormo sola, Acquaviva, 2005

Juliette Récamier, la donna più bella di Francia (3)


 Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 3

Il primo ammiratore degno di nota di Juliette fu Jean-Francois de La Harpe, un ometto deforme, combattivo, non più giovane, che era stato uno dei protetti di Voltaire.
Juliette benché attratta dalla sua fama e intelligenza, non sapeva nulla del suo passato movimentato. In sua presenza La Harpe faceva lo stupido in modo spettacolare e Juliette rideva di lui allegramente e non certo beffardamente. Questo era uno dei suoi doni: prendere in giro le persone senza ferirle, farle sentire onorate di farla sorridere.
Il successivo uomo che si infatuò di lei fu il giovane Lucien Bonaparte, l'imbarazzante fratello minore di Napoleone che per un anno le scrisse lettere d'amore in stile affettato, copiato dallo stile dei romanzi di Madame de La Fayette.
Al suo corteggiamento Juliette rispose in un modo classico che non ammetteva repliche - mostrò le lettere al marito.
Poi Juliette incontrò Adrien de Montmorency che era alto, biondo affabile - il fiore di una antica e nobile famiglia dell'Ile de France.
Adrien sembrava abile, assolutamente equilibrato: era reticente, ma con grazia.; eloquente e tuttavia in modo salottiero e beneducato.
Presto si sentì attratto da Juliette e la sua conversazione cominciò a presupporre un'intimità.
La coppia era sospesa in quella che la donna percepiva come "una gradevole mezza-luce" e Juliette si aspettava di innamorarsi di lui. Il che non accadde.
"Mi sarebbe piaciuta più passione", ammise più tardi, "Qualche scaramuccia sarebbe stata utile."
Il corteggiamento scemò, ma i due sarebbero rimasti sempre buoni amici.
Solo una volta Juliette arrivò quasi a concedersi a un uomo: accadde a Coppet, nel 1807 (Juliette aveva 30 anni), quando fu presentata al Principe Augusto di Prussia, un focoso nipote di Federico il Grande che la portava in barca a remi per il lago di Ginevra e la corteggiava con tutta la turbolenza di cui Juliette aveva letto nei romanzi.
3. - segue

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

17/10/20

Nanni Moretti: Il ritorno di "Caro Diario" 27 anni dopo è già un grandissimo successo



Nanni Moretti concede il bis: A grande richiesta ci saranno repliche straordinarie dei diari di Caro Diario, il film miglior regia a Cannes nel '94, restaurato dalla Cineteca di Bologna recentemente e ridistribuito in sala. 

Dopo il tour in alcune citta' italiane e il tutto esaurito previsto a Roma il 18 e 19 ottobre, Nanni Moretti leggera' i diari di Caro Diario nel suo cinema Nuovo Sacher anche martedi' 20 e mercoledi' 21 ottobre alle ore 20.30.

Seguira' la proiezione del film restaurato. 

Caro Diario e' ormai un classico: diviso in tre capitoli autonomi e complementari (In vespa, Isole e Medici)

Per Moretti e' un punto di svolta: dopo la crisi ideologica di Palombella rossa, il "leone di Monteverde" abbandona il suo alter ego Michele Apicella e porta sullo schermo se stesso, senza filtri, dalle gite in vespa nella Roma agostana deserta fino alla sua, reale, malattia

Un'autobiografia profondamente collettiva, dove le ossessioni personali del regista - il passato, le case, il ballo, i (cattivi) critici - si fondono con quelle di un paese intero, incapace di ricordare, di comunicare, di ascoltare, di capire. 

Divertentissimo, colmo di indimenticabili tormentoni morettiani, ma capace anche di momenti di autentica commozione (la lunga scena del pellegrinaggio verso il luogo dove mori' Pasolini). 

Juliette Récamier, La Donna più bella di Francia (2)


Juliette Récamier, La donna più bella di Francia (2)

Circa cinque anni dopo il matrimonio, nel 1798, Récamier acquistò la casa di città che il padre di M. de Stael aveva costruito nella Rue du Montblanc, con gli interni completamente ristrutturati e realizzati dall'ebanista Jacob.
Ai primi ricevimenti di Juliette, gli ospiti rimanevano a bocca aperta davanti alle vaste specchiere, ai soffitti affrescati e ai candelabri scintillanti e la donna si dimostrò una padrona di casa di talento nell'accogliere principi e parvenu con uguale premura, nel suonare il piano con le lacrime agli occhi, lasciando di tanto in tanto intravedere ai suoi visitatori uno scorcio del letto enorme che aveva ai quattro angoli altrettanti cigni dorati.
Ci fu sempre un'aura di luminosa vacuità intorno a Juliette Récamier.
Nata in una società che amava le parrucche incipriate e le creme bianche per il viso, la sua quintessenza era lunare.
La pelle era bianca, gli abiti erano quasi invariabilmente bianchi e il suo unico ornamento erano le perle; benché parlasse e scrivesse bene, la sua unica incursione nella letteratura fu la traduzione di alcune strofe del Petrarca - un esercizio di riflessione.
Una volta disse a Benjamin Constant, a proposito delle sue letture preferite: "Mi piacevano quelle storie in cui il dovere si oppone al sentimento e alla fine lo doma. E tuttavia questo genere di letture è in realtà piuttosto pericoloso perché fa accettare al lettore come cosa naturale la lotta tra la passione e la virtù.... Benché non mi mancassero i piaceri dell'amore, sentivo la mancanza del dolore. Pensavo di essere fatta per amare e soffrire, ma non amavo niente e nessuno e soffrivo solo per la mia stessa indifferenza."
In realtà anche "Il racconto di Juliette", scritto da Constant nel 1815, quando lei aveva 38 anni, si occupa soprattutto dei suoi rapporti con gli uomini - o piuttosto, delle umilianti sconfitte amorose subite dagli uomini in sua presenza.

Fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte
(2. - segue)

16/10/20

Ramin Bahrami: "Bach per contrastare il Lockdown! Abbiamo bisogno di bellezza e libertà."



"Bach incarna perfezione, bellezza e modernità. E' un maestro di libertà, elemento oggi molto importante, da difendere a denti stretti perché stiamo vivendo un'emergenza globale che ci sta togliendo tutte le nostre liberta' di espressione e umanita'". 

Lo ha detto Ramin Bahrami, tra i maggiori interpreti di Bach a livello mondiale, a margine della presentazione del Festival della liuteria toscana a Firenze dove sara' presente una rassegna dedicata proprio al grande compositore tedesco.

In un fase dominata dalla pandemia da Covid, Bahrami ha sottolineato che "e' importante contrastare l'emergenza con l'arte, la musica, la bellezza, sono valori che vanno difesi piu' di prima e che sono necessari, come l'aria che respiriamo o l'acqua che beviamo". 

Il pianista iraniano ha aggiunto che "Bach e' il filosofo piu' grande di tutta la musica, di tutte le nazioni e di tutte le epoche". 

JULIETTE DE RECAMIER, LA DONNA PIU' BELLA DI FRANCIA (1)



Battezzata Jeanne-Francoise-Julie-Adélaide Bernard, ma da tutti chiamata Juliette, Madame Récamier era nata a Lione il 3 dicembre 1777 ed era la figlia di un avvocato lionese convocato a Parigi per prestare servizio come funzionario dell'Erario presso il Ministero delle Finanze.
Fu educata in un convento, dove studiò il piano, e si sposò nel 1793, all'età di sedici anni, con il banchiere Jacques-Rose Récamier, a quell'epoca quarantenne.
Récamier era alto, biondo, cordiale e indulgente - al punto che uno squadrone di nipoti alloggiava a casa sua.
Era anche molto ricco, mostrava poco discernimento nelle amicizie e nessun particolare rispetto per i voti matrimoniali.
Molto più tardi Juliette confessò a un'amica intima che il marito non la trattò mai se non come una "bambina la cui bellezza stregava il suo sguardo e adulava la sua vanità".
Tutte le prove suggeriscono quindi che il matrimonio non sia mai stato consumato e che quindi non fosse legalmente valido; sicuramente Juliette era ritenuta vergine da tutti quelli che la conoscevano.
Nessuno ha mai spiegato perché Récamier si interessasse così poco alla giovane moglie, ma una spiegazione plausibile, seppure solo a livello di congettura, è che avesse la sifilide o che sapesse di correre il forte rischio di contrarla.
Non aveva la pretesa di interferire negli affetti di Juliette che, da parte sua, cercò lealmente di rispettare le convenienze della vita coniugale. La loro unione fu un tipico artifizio del diciottesimo secolo - un trionfo di fragile scenotecnica

Fonte: D. Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

(1. segue).

13/10/20

Amore e Desiderio - Umberto Galimberti

 


AMORE E DESIDERIO

Privo di desiderio, l'amore garantisce tenerezza, intimità, sicurezza, ma non prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione.
Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, eccitante, vibrante, ma non ha l'intensità e il senso di un'elevata posta in gioco che rendono profonda la relazione.
Non ci è dato, se non per brevi attimi, di fare esperienza nello stesso tempo dell'amore e del desiderio verso la stessa persona. E questo perché l'amore, che nasce sotto il segno della stabilità e dell'eternità, vuole ciò che il desiderio rifiuta.
Il desiderio infatti, non sa cosa vuole. E' un atto infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione volto a confermare se stesso.
Insinuandosi come un incidente nella propria vita, la fa traboccare, esponendola a un altro senso, quasi sempre fuorviante rispetto all'esigenza unitaria di una biografia.
E questo perché il desiderio, a differenza dell'amore che vuole costruzione e stabilità, è un movimento verso un punto di perdita.
Salvo rare eccezioni, nessuno è disposto a giocare tutto se stesso nel fascino ignoto dell'avventura. Perché, anche per avventurarsi, bisogna partire da un luogo che mi dia il senso del "da dove vengo", "a cosa appartengo" e magari un giorno "dove desidero tornare."
Non riusciamo infatti a immaginare una persona o una cultura che non si orientino a partire da un qualche senso di "casa" che Robert Lee Frost definisce come "il posto in cui, quando ci devi andare, ti devono accogliere."

12/10/20

Eruzione di Pompei: Scoperti neuroni in un cervello vetrificato


Un nuovo studio pubblicato dal PLOS ONE, autorevole rivista scientifica americana, rivela l`eccezionale scoperta di neuroni umani da una vittima dell'eruzione che nel 79 d.C. seppelli' Ercolano, Pompei e l'intera area vesuviana fino a 20 km di distanza dal vulcano. 

La scoperta e' tutta italiana, frutto del prestigioso lavoro dell`antropologo forense Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense presso la sezione dipartimentale di Medicina Legale dell`Universita' di Napoli Federico II, in collaborazione con geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici di Atenei e centri di ricerca nazionali, che hanno raggiunto risultati eccezionali nonostante le limitazioni imposte dal Covid-19. 

"Il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi e' un evento insolito - spiega Petrone, coordinatore del team - ma cio' che e' estremamente raro e' la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa, nel nostro caso a una risoluzione senza precedenti". 

L`eruzione, che causo' la devastazione dell`area vesuviana e la morte di migliaia di abitanti, seppellendo in poche ore la citta' di Ercolano ha permesso la conservazione di resti biologici, anche umani. 

"La straordinaria scoperta ha potuto contare sulle tecniche piu' avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell`Universita' di Roma Tre, un`eccellenza italiana - spiega Guido Giordano, ordinario di Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze dell`Ateneo romano - dove le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che da' chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell`eruzione". 

"I risultati del nostro studio mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall'eruzione, unico nel suo genere, ha 'congelato' le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi", aggiunge Petrone. 

Le indagini sulle vittime dell`eruzione proseguono in sintonia tra i vari ambiti della ricerca. 

"La fusione delle conoscenze dell`antropologo forense e del medico-legale stanno dando informazioni uniche, altrimenti non ottenibili", afferma Massimo Niola, ordinario e direttore della U.O.C. di Medicina Legale presso la Federico II.  

Lo studio ha anche analizzato i dati di alcune proteine gia' identificate dai ricercatori in un lavoro pubblicato a gennaio scorso dal New England Journal of Medicine. 

"Un aspetto di rilievo potrebbe riguardare l'espressione di geni che codificano le proteine isolate dal tessuto cerebrale umano vetrificato" spiega Giuseppe Castaldo, Principal Investigator del CEINGE e ordinario di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio della Federico II. 

"Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l`ipotalamo", aggiunge Maria Pia Miano, neurogenetista presso l'Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli. Le indagini sui resti delle vittime dell`eruzione non si fermano qui. Il Parco Archeologico ha inserito tra i temi di ricerca prioritari le indagini bioantropologiche e vulcanologiche per l`eccezionale interesse che possono avere non solo nello stretto ambito scientifico ma anche nel campo degli studi storici e del rafforzamento della capacita' di gestire catastrofi come l`eruzione del Vesuvio del 79 d.C. 

"Gli straordinari risultati ottenuti - conclude Francesco Sirano, Direttore del Parco Archeologico di Ercolano - dimostrano l'importanza degli studi multidisciplinari condotti dai ricercatori della Federico II e l'unicita' di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte archeologiche". 

Le ricerche in corso vanno nella direzione di una ricostruzione a ritroso delle varie fasi dell`eruzione, valutando i tempi di esposizione alle alte temperature e del raffreddamento dei flussi, che hanno importanza non solo per l'archeologia e la bioantropologia, ma anche per il rischio vulcanico. 

Queste ed altre informazioni che verranno dagli studi in corso potranno offrire importanti parametri per la gestione delle emergenze nell'area vesuviana. 

09/10/20

Gli 80 ANNI di John Lennon e la sua battaglia contro l'ipocrisia

 


Avrebbe compiuto ieri 80 anni John Lennon, e sicuramente, come tutti gli esseri umani che hanno vissuto su questa terra, anch'egli sarà stato costretto, nella vita, a fare compromessi (la coesistenza con Mc Cartney per esempio), fare - come si dice - a volte, "buon viso a cattivo gioco".
Lennon, però, in questa veste ci stava male, ci stava a disagio.
Spirito libero, controcorrente, Lennon, aveva di mira soprattutto gli ipocriti.
Il 29 novembre 1969, mentre era ancora sposato con Cynthia, Lennon pubblica l'album di musica sperimentale "Unfinished Music n.1: Two Virgins", sulla cui copertina lui e Yoko Ono compaiono completamente nudi.
Le case discografiche rifiutano di distribuirlo, nei negozi l'album viene venduto chiuso in una busta di carta. Non entra in classifica in Inghilterra e in America arriva al numero 124.
Lennon reagisce così: "I problemi principali di oggi nel mondo sono l'ipocrisia e l'insicurezza. Se la gente non è in grado di affrontare il fatto che altra gente se ne stia nuda o fumi erba o qualsiasi altra cosa, non arriveremo mai da nessuna parte."

Fabrizio Falconi - 2020

fonti: Michele Primi, Il sogno non è finito, La Lettura, Corriere della Sera, domenica 4 ottobre 2020

In Sicilia l'albero più vecchio d'Italia e forse d'Europa (3.000 anni)



E' un meraviglioso Castagno, che ha anche un nome: "Castagno dei Cento Cavalli" e si trova a Sant'Alfio, in provincia di Catania, alle pendici dell'Etna.

Secondo il botanico Bruno Peyronel potrebbe essere l'albero più antico d'Italia e d'Europa.

La sua età è stimata intorno ai 3.000 anni.

Era già centenario quando in Sicilia imperversavano le guerre puniche tra romani e cartaginesi.

Deve il suo nome al fotto che Giovanna d'Aragona fece riparare sotto le ampie chiome i suoi cento cavalli durante un temporale.

Con questo meraviglioso esemplare, rivaleggia in antichità, "S'Ozzastru", un ulivo di Luras, in Sardegna, per il quale si stima egualmente una età vicina ai tremila anni.
 

Fabrizio Falconi - 2020

fonti: Carlo Mercuri, Alberi storici si fa la conta, Il Messaggero 4 agosto 2015 

07/10/20

Storia di Una Foto - "Migrant Mother" di Dorothea Lange

 


Storia di Una Foto - "Migrant Mother" di Dorothea Lange
Dorothea Lange era un'artista piena di talento ma disoccupata, che negli anni '30 in America ricevette l'incarico da una agenzia federale di andare in giro per la California a fotografare i migranti che fuggivano dal Dust Bowl, la terribile tragedia raccontata anche da John Steinbeck in "Furore": una siccità spaventosa aveva ridotto interi stati americani in deserti di polvere. I contadini fuggivano in massa, attratti dalla California, come un nuovo paradiso, che li avrebbe accolti invece con cinismo e salari miserevoli.
Al termine di una giornata di lavoro, in quel 1936, Dorothea stava tornando a casa sua, quando passò davanti a un accampamento di raccoglitori di legumi, tirando dritto.
Poi ci ripensò, come in preda a un presentimento.
Tornò indietro e trovò quella donna sotto una tenda sporca e fatiscente con i suoi due figli.
"Mi disse che sopravvivevano mangiando rimasugli di legumi semicongelati nei campi, in quel mese gelido di febbraio, e a volte qualche uccellino ucciso da uno dei bimbi. Sembrava intuire che le mie foto potevano aiutarla, e così lei aiutò me." raccontò più tardi Dorothea
La foto, pubblicata sul San Francisco News, scatenò una gara di solidarietà con donazioni da tutte le città americane.
Ma prima che gli aiuti effettivamente arrivassero a destinazione, la donna fotografata era già scomparsa.
Si era spostata insieme agli altri migranti, in cerca di un posto migliore dove sopravvivere.
E il suo nome era rimasto sconosciuto.
Il ritratto fattole da Dorothea Lange però, nel frattempo, era diventato famosissimo.
E soltanto 40 anni più tardi, nel 1978, qualcuno scoprì il suo nome: si chiamava Florence Thompson e all'epoca del ritratto aveva 32 anni. Le sue origini erano Cherokee.
Morì a Modesto nel 1983.
Nel 2002 la foto della "Madre Migrante" venne venduta a Christie's New York per 141.500 dollari. Nell'ottobre del 2005 un anonimo comprò dei negativi riguardanti la Madre Migrante per 296.000 dollari, quasi sei volte il loro valore stimato alla prima offerta.

Fabrizio Falconi - 2020

Fonti: Federico Rampini, D-Repubblica 3 ottobre 2020 p. 94


06/10/20

L'amore di Kierkagaard (sfortunato)

 


L'AMORE DI KIERKEGAARD

Una delle vicende d'amore che hanno caratterizzato maggiormente la storia della filosofia è sicuramente quella tra Soren Kierkegaard e Regine Olsen.
Quando aveva 27 anni, nel 1840 Kierkegaard si fidanzò con la diciottenne Regine Olsen (nata nel 1822, quindi diciottenne, anche lei ultima di sette figli), ma, dopo circa un anno, pur essendo innamorato, ruppe il fidanzamento.
Un mistero rimasto insoluto. Forse Kierkegaard non voleva ingannare la ragazza, avendo il timore ossessivo che la maledizione divina potesse gravare anche sulla famiglia che avrebbe formato insieme a lei, o forse pensava che la serietà della fede cristiana gli impedisse di "sistemarsi" nei panni di un tranquillo uomo sposato.
Come è noto, il padre di Kierkegaard era fermamente convinto di essere stato maledetto da Dio quando, giovane pastore nella valle dello Jutland, aveva bestemmiato Dio durante una terribile tempesta. L’uomo dopo aver patito la fame, riuscì a diventare un abile mercante benestante. Il Signore, credeva l’uomo, non aveva deciso di punire lui direttamente, ma di condannarlo a vedere morire i propri figli, uno dopo l’altro, tutti in giovane età, dopo che li aveva amati.

Søren le conosceva la convinzioni paterne, e certamente ne fu condizionato. Sentiva che mai sarebbe stato felice nella vita, credeva di doversi aspettare in qualsiasi momento qualche funesta sciagura che si sarebbe abbattuta su di lui, su chi gli era vicino, su chi amava: anche sulla dolce Regine.
Regine si disse pronta a tutto pur di sposarlo, ma Kierkegaard fece il possibile per apparirle disgustoso, in modo che cadesse su di lui la colpa della rottura del fidanzamento, che peraltro gli procurò rimpianto per tutta la vita.
Lei voleva sposarlo ad ogni costo, nonostante tutto e gli chiese il permesso di rimanere con lui “anche se avesse dovuto starsene chiusa in un piccolo armadio”. Lui quasi impazzì dal dolore. Una straziante angoscia. Lei tentò il suicidio ma poi, dopo alcuni anni si rassegnò e si rifece una vita.

Sposò il suo vecchio precettore Johan Frederik Schlegel, Søren ne rimase addolorato. L’incubo che temeva da giovane si era concretizzato.
Pare che i due si siano incontrati per l'ultima volta il 17 marzo del 1855, pochi mesi prima della morte del filosofo.
Regine doveva seguire il marito alla volta delle Indie occidentali, per fare ritorno chissà quando. A ridosso della partenza si appostò nel centro cittadino, nella speranza di scorgere il suo vecchio fidanzato.
Non appena lo vide, gli sussurrò con un filo di voce: "Dio ti benedica - Possa andarti tutto bene!". Kierkegaard rimase quasi impietrito e riuscì a sollevare un po' il cappello in segno di saluto. Non si sarebbero rivisti mai più.
Regine tornò nel 1860 dai Caraibi. Søren però non c’era. Il suo cuore aveva ceduto per il dolore: un giorno si accasciò improvvisamente a terra, mentre stava passeggiando in quella che era stata la città teatro del loro amore.
Regine, quando scoprì che il suo antico fidanzato era morto, si sentì mancare. Dopo poco scoprì che Søren le aveva lasciato in eredità tutti i suoi averi: i suoi risparmi, i libri, la casa. Come se fosse stata realmente sua moglie.
Perché per Søren Regine era l’amore, l’unico barlume di felicità.

Così si legge in una delle lettere che le scrisse: “Regine… non ti chiamo ‘mia’ perché non lo sei mai stata (e io ho pagato duramente la felicità che l’idea di possederti mi dava un tempo)… e tuttavia, come posso non dire ‘mia’, dato che tu fosti per me ‘mia’ seduttrice, ‘mia’ assassina, origine della ‘mia’ sventura, ‘mia’ tomba… già. Ti chiamo ‘mia’, e parlando di me, mi chiamo ‘tuo’; tuo tormento vorrei essere, ricordarti con la mia oscura presenza, quello che fummo assieme come in un eterno incubo di morte… ma perché perseguitarti, quando – se mai in vita fui felice, fu quando tu m’ingannavi?[…]”
Quando Regine rimase vedova accettò di rilasciare alcune interviste sul suo rapporto col filosofo e si rese conto del dono più prezioso che lui le aveva fatto .

Era vero che non l’aveva sposata ma aveva consegnato il loro amore puro all’immortalità, poiché nessuno oggi può capire il pensiero filosofico di Søren Kierkegaard ,se non conosce l’amore che ha provato per lei.

Fabrizio Falconi - 2020

05/10/20

Il destino tragico di Federico De Laurentiis, figlio di Dino e di Silvana Mangano, morto a soli 26 anni

 

Federico De Laurentiis (a sinistra nella foto), con un amico

Federico De Laurentiis era il figlio del grande produttore Dino De Laurentiis e di sua moglie, Silvana Mangano. Per l'esattezza il terzo figlio della coppia (ne ebbero quattro) e l'unico maschio, compresi anche i due figli avuti dalla seconda moglie di DDL (entrambe femmine).
Federico nacque il 28 febbraio del 1955.
Divenne un ragazzo meraviglioso, di cui veniva apprezzato il carattere buono e semplice.
Nel 1973, dopo le vicende tumultuose di Dinocittà, nel 1973 Silvana Mangano aveva seguito il marito (alle prese con problemi fiscali in Italia), trasferendosi insieme a lui e ai figli in California, (pronta a tornare indietro ogni tanto per fare i suoi film con Visconti), senza mai trovarcisi a casa.
Il matrimonio con Dino era già in crisi quando avvenne la tragedia.
Federico, che già era comparso spesso negli studi hollywoodiani a fianco del padre, voleva emanciparsi dalla figura di Dino. Cercava una strada sua, come autore. Era molto interessato ai temi ambientali.


Così decise di girare un documentario sulla vita dei salmoni in
Alaska. Nel 1981, mentre girava riprese aeree, il piccolo piper su cui era a bordo si schiantò per una sfortunata circostanza dovuta al pilota che, alla guida del velivolo sul crinale di una collina rocciosa, non si avvide della provenienza di un altro piccolo aereo e per schivarlo, si abbatté sulla roccia.
Federico, che morì sul colpo, aveva 26 anni.
Per la Mangano fu un colpo durissimo, dal quale non si riprese più. Nel 1983 fu ufficializzata la separazione da De Laurentiis, e poco dopo le fu diagnosticato un tumore allo stomaco; forse intuendo l'avvicinarsi della fine, la grande attrice accettò un ultimo ruolo accanto a Marcello Mastroianni nel capolavoro di Nikita Mikhalkov "Oci ciornie" (1987).


Il 4 dicembre 1989, coll'aggravarsi del cancro, si rese necessario un intervento al mediastino, eseguito alla Clínica La Luz di Madrid, dove viveva con la figlia Francesca;
al termine dell'operazione un arresto cardiaco e il coma. Morì il 16 dicembre, a 59 anni. Il suo corpo è sepolto nel piccolo cimitero di Pawling, nello stato di New York, accanto a quello dell'amatissimo figlio.

Fabrizio Falconi - 2020

Carlo Rambaldi (a sinistra), Federico De Laurentiis e John Guillermin (a destra) alla festa a Hollywood per il King Kong prodotto da Dino de Laurentiis, 1976

04/10/20

La Capanna di Heidegger nella Foresta Nera

 

Martin Heidegger nella baita a Todtnauberg, 1968 FotoDigne Meller MarcoviczCourtesy Bildportal der Kultur-einrichtungen, Berlin © bpk / Digne Meller Marcovicz

LA CAPANNA DI HEIDEGGER NELLA FORESTA NERA

Nel corso del 1922 la moglie di Heidegger, Elfride, fece costruire a Todtnauberg (nella Foresta Nera) una baita (Hütte) dallo stile semplice. Il grande filosofo cominciò così a trascorrervi i periodi liberi dagli impegni accademici.
Qui, fra le altre cose, Heidegger compose la gran parte della sua opera capitale, "Essere e Tempo" (1927) al suono del vento che soffiava tra gli abeti della foresta intorno e sulle travi del tetto.
Heidegger amava visceralmente la Foresta, che utilizzò anche come metafora nella celebre descrizione dell'Essere:
L'Essere scrive è simile a una foresta buia e intricata, dentro la quale si è costretti a vagare lungo i suoi sentieri senza poterla cogliere in maniera oggettiva e distaccata. Saltuariamente, tuttavia, si approda a un diradamento, una «radura» che consente di averne una visuale più ampia pur dal suo interno.
A questa casa-capanna, il filosofo tornò durante tutta la vita, e ancor di più negli anni - difficili - del dopoguerra.
La baita nella foresta nera dove il filosofo scriveva le sue opere esiste ancora: è una modesta costruzione di circa 50 metri quadrati, realizzata tutta in legno poggiante su un basamento di pietre, senza acqua corrente.
Il filosofo e la moglie attingevano l’acqua da un piccolo fontanile poco distante.
Sulla fontana era incisa una stella scolpita nel legno posta come simbolo del sacro collegato ad ogni fonte.
La baita appartiene oggi agli eredi e non è possibile visitarla nell'interno.
E' comunque di semplicità spartana (poco più di una capanna), composta all’interno di quattro stanzette, con una stufa a legna centrale per riscaldarla e per cucinare.
Una piccola scrivania posta davanti ad una finestra che da sulla vallata è il luogo in cui il filosofo scriveva.
La baita è centrale, nel pensiero di Heidegger: simbolo per riflettere sul concetto di sradicamento; l’uomo moderno ha perso il suo rapporto con la terra, e non riesce nel mondo di oggi a ritrovare origine, appartenenza, casa.
Un razionalismo astratto e privo di radici è alla base del consumismo e della commercializzazione di ogni cosa e minaccia nelle fondamenta questo sentimento di appartenenza e con l'ambiente naturale.
Ad Heidegger comunque non riuscì, come avrebbe desiderato, morire in questo luogo. Morì invece a Friburgo a 87 anni nel 1976, poco dopo la morte di Hannah Arendt (1975).

Fabrizio Falconi - 2020
La capanna di Heidegger a Todtnauberg