14/01/20
Cinema: "Un sacco bello" compie 40 anni. Verdone ricorda Sergio Leone
"'Un sacco bello' compie 40 anni: usciva 40 anni fa di questi tempi. Leggendo della ricorrenza, nelle belle parole scritte dal critico Filippo Mazzarella, sono tornati a galla tante emozioni, tanti ricordi, su quel mio primo debutto, per il quale devo tutto a Sergio Leone, che punto' su un giovane e disse 'vediamo che sa fa". E anche grazie alla sua protezione ci sono riuscito".
Con queste parole inizia l'emozionato ed emozionante ricordo che Carlo Verdone affida alla sua pagina Facebook in occasione dei 40 anni del film che segno' il suo debutto cinematografico, e l'inizio della carriera di uno degli attori piu' importanti del panorama cinematografico italiano.
Tutto comincio' con i tre personaggi di Enzo, Leo e Ruggero (ma nella pellicola Verdone ne interpretava anche altri) e le loro peripezie tragicomiche in una Roma semideserta, in piena estate. Una Roma "poetica", come la definisce lo stesso Verdone.
"Credo che in quel film - sottolinea - ci sia una mia forte componente caratteriale, un po' malinconica, quella che conoscete, la grande solitudine di questa bella citta' che allora, all'epoca, aveva una grande anima. Nella gente, nel popolo, nelle atmosfere, nei rumori, nei suoni. E aveva tanta poesia, c'era una grande poesia. Poi l'aver ambientato il film a Roma d'estate, deserta, e' stata una bella intuizione. Una citta' dove non ci sono tanti rumori come oggi. Si sentiva il rumore dell'acqua di qualche fontana, qualche campana, qualche macchina che passava, qualche motorino smarmittato. Quella era Roma d'estate, una Roma vuota, quasi tombale, pero' con un gran fascino. E questi tre personaggi, queste tre anime, sole, pero' comiche nel loro modo di parlare, nella loro gestualita', sono stati tre intuizioni veramente notevoli".
L'attore pone l'accento sul fatto che quelle atmosfere, di una capitale piena di sogni e speranze all'inizio degli anni '80, non torneranno piu': "Vi ho consegnato un bel film, e vi ho consegnato un periodo, che purtroppo non tornera' piu'. Pero' non deve essere triste questo, perche' fortunatamente il cinema ha questa magia: quella di rendere immortali certi attori, certe immagini, certi scorci, certe atmosfere. Ce li ripropone. Magari piano piano col tempo diventano sempre piu' in bianco e nero, sempre meno a colori, pero' stanno li', e diventano come una carezza per l'anima. Tutto qua".
"Un pensiero - conclude Verdone - su un gran bel film, poetico, molto poetico. E un grazie, a tutti quelli che mi hanno aiutato a farlo. Mario Brega, Sergio Leone, Ennio Morricone per le musiche, Ennio Guarnieri il mio direttore della fotografia. E i tanti attori, i generici, le comparse, Isabella De Bernardi, la figlia dello sceneggiatore, che fa Fiorenza. Che bei ricordi. Pero', il film sta la', lo potete vedere quando volete. Magari d'estate e vi viene una botta di nostalgia oppure di immaginazione, su una citta' che non conoscevate".
Fonte: Claudio Maddaloni per Lapresse
13/01/20
100 film da salvare alla fine del mondo: 52. "C'era una volta in America (Once Upon a Time in America)" di Sergio Leone (1984)
Questo
blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo
personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non
saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario
degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti,
se non di tutti.
Il film testamento di Sergio Leone, il lavoro a cui il regista romano dedicò - tra progettazione e realizzazione - più di dieci anni di lavoro, gli ultimi della sua vita.
Il film è, come noto, un adattamento del romanzo The Hoods di Harry Gray pubblicato nel 1952.
Gli attori principali sono Robert De Niro, James Woods ed Elizabeth McGovern, oltre ad una giovanissima Jennifer Connelly.
Il film racconta, dal proibizionismo agli anni sessanta, quarantacinque anni delle drammatiche vicissitudini del mafioso David Aaronson chiamato "Noodles" e dei suoi amici, dal ghetto ebraico della loro infanzia alle sfere più alte del crimine organizzato a New York .
C'era una volta in America fu concepito dal suo autore come la terza parte di una saga che copre diversi periodi chiave della storia americana . La prima opera, C'era una volta in Occidente , si svolge al momento della conquista dell'Occidente. Il secondo, C'era una volta, durante la rivoluzione messicana , e infine C'era una volta in America , ripercorre il periodo di proibizione e l'avvento del gangsterismo.
Il film è un grande, maestoso, magnifico affresco sui temi dell'amicizia infantile, dell'amore, della lussuria, dell'avidità, del tradimento e delle relazioni interrotte.
Sergio Leone morì cinque anni dopo l'uscita di questo film, quando stava lavorando a un progetto sull'assedio di Leningrado .
La trama del film non segue un ordine cronologico lineare, ma si alterna a livello di diegesi tra tre fasi della vita del protagonista principale: la sua adolescenza nel 1922 dove si mischiava con l'ambiente dei piccoli delinquenti del Lower East Side , quartiere ebraico di New York, dove ha vissuto con la sua famiglia, l'età adulta nel 1933 e la vecchiaia nel 1968.
Il film vinse molti premi in tutto il mondo, ma fu snobbato agli Oscar dove racimolò soltanto 3 nominations.
Con il passare degli anni però il film di Leone si è sempre più stabilizzato nelle primissime posizioni delle classifiche dei film migliori di sempre, compilate dalle associazione dei critici internazionali e dai sondaggi online.
10/01/20
A Livorno trovate le pagelle di Modigliani, con la mostra dedicata al pittore per il centenario della morte.
Modigliani nel suo studio fotografato da Paul Guillaume
Livorno ritrova ed espone le
pagelle di un ginnasiale Amedeo Modigliani (1884-1920), mentre
prosegue con grande successo la super-mostra dedicata
all'artista.
Frutto di una ricerca all'Archivio storico del
Liceo Ginnasio Niccolini Guerrazzi di Livorno, dove Modigliani
fu studente, e' allestita nei locali della biblioteca di via
Ernesto Rossi dell'attuale Liceo Niccolini Palli, la mostra 'A
scuola di Dedo', quadro d'insieme della vita del liceo negli
anni in cui Modigliani lo frequento'.
La rassegna e' stata possibile dopo il ritrovamento di
documenti e materiali inediti, tra i quali il registro dei voti,
i libri dei verbali e il tabellone della sessione autunnale del
1898 consentono di ricostruire la carriera scolastica
dell'artista, che fu iscritto al Liceo Classico Niccolini
Guerrazzi negli anni 1893-98 in I, II, III, IV, V Ginnasio.
L'esposizione sara' visitabile al pubblico (ingresso gratuito)
dal 16 gennaio al 17 febbraio.
Nel frattempo resta aperta la mostra 'Modigliani e
l'avventura di Montparnasse', al Museo della Citta' fino al 16
febbraio che finora ha registrato oltre 45mila presenze.
Ci sono
esposte 133 opere rappresentative della Ecole de Paris:
Modigliani di cui si celebra quest'anno il centenario della
morte (24 gennaio) e' rappresentato dai suoi inconfondibili
ritratti e da una collezione di disegni raramente esposti, opere
accompagnate da capolavori di Soutine, Utrillo, Derain, Kisling.
09/01/20
Libro del Giorno: "Anni con mio padre" di Tatiana Tolstoj
E' un libro che interessa e interesserà gli appassionati di cultura russa e in particolare dell'opera di Tolstoj, fornendo una prospettiva inedita e assi interessante della sua vita familiare e dei rapporti con la famiglia e con la moglie Sof'ja Tolstaja, sulla quale sono stati scritti fiumi di libri.
Stavolta però, le memorie famigliari vengono raccontate dall'interno, e per questo motivo il racconto è tanto più prezioso, perché provengono dalla figlia secondogenita del grande scrittore, Tat'jana L'vovna Tolstàja, coniugata Suchotina, che nacque a Jasnaja Poljana il 4 ottobre 1864 e morì in Italia, a Roma il 21 settembre 1950).
Tatiana è stata un'attivista e memorialista.
Da ragazza frequentò l'Accademia di belle arti a Mosca, dove fu allieva di celebri pittori russi tra cui Il'ja Repin.
Come la madre e le due sorelle, aiutò il padre nel suo lavoro in qualità di copista. In proposito, Pietro Citati scrive:
«il grande fantasma amoroso, che occupava la mente di Tat'jana, era il padre. Davanti a lui, era come una timida vergine, pronta a venire immolata. Lo riconosceva lei stessa: "Sì, papà è il più grande rivale di tutti i miei innamorati, e nessuno di loro ha potuto vincerlo".»
Nel 1899, contro il volere di Tolstoj, sposò l'amico di famiglia Michail Suchotin (che morirà nel 1914), un vedovo di quindici anni più anziano, padre di sei bambini, da cui ebbe, dopo quattro aborti spontanei, la figlia Tania.
Dal 1878 al 1919 tenne un diario; verso il 1913 iniziò le proprie memorie (Infanzia e Adolescenza, pubblicate postume); alla fine degli anni venti scrisse e pubblicò Su mio padre, a cui seguirono Lampi di memoria.
Appassionata ai problemi di pedagogia, conobbe Maria Montessori, s'interessò al suo metodo e ne portò in Russia tutte le pubblicazioni.
Dopo la Rivoluzione, fra il disordine generale, fondò insieme alla madre, alla sorella Aleksandra e al fratello Sergej, il Museo Tolstoj, dirigendolo dal 1923 al 1925, poi lasciò la Russia: fu ospite a Praga del presidente Tomáš Masaryk (vecchio amico di Tolstoj) e a Vienna dall'attore Alessandro Moissi (che aveva recitato come protagonista del Cadavere vivente di Tolstoj); quindi emigrò in Francia (a Neuilly aprì una piccola pensione dove accolse altri profughi russi) e infine in Italia.
Con modeste risorse (Tolstoj aveva rinunciato ai diritti d'autore e quindi la famiglia non poté trarre nessun vantaggio economico dalla sua sterminata eredità letteraria), trascorse gli ultimi vent'anni con la figlia a Roma, dove allestì una «camera tolstoiana», ovvero un piccolo museo dedicato al padre.
Nel dicembre del 1931, il Mahatma Gandhi sostò in Italia per tre giorni: durante quel soggiorno, la visita di Tat'jana Tolstaja fu l'episodio che gli fece più piacere.
Il 3 novembre 1949 scrisse a Jawaharlal Nehru per invocare la grazia verso gli uccisori del Mahatma:
«in virtù di ciò che senza dubbio sarebbe stata la volontà della stessa loro vittima Gandhi. Gandhi, che teneva a proclamarsi discepolo di Leone Tolstoj, e mio padre, eleverebbero la loro voce, se potessero, per evitare che un atto di violenza succeda al delitto commesso dai due assassini...»
Fu sempre una convinta vegetariana, contraria al tabacco e profondamente antimilitarista. Quando si ammalò, poiché desiderava morire in piena coscienza, rifiutò decisamente l'uso di narcotici.
Questo diario di Tatiana si legge dunque come una commovente confessione, che nelle intenzioni della figlia tende a ristabilire la verità sui difficili rapporti tra Tolstoj e sua moglie, Sof'ja, che pur amandosi molto avevano differenze di vedute fondamentali, riguardo al modo di vivere, alla religione, al patrimonio. Fino alla romantica e tragica fuga da casa di Tolstoj, che nel 1910 ne accelerò la morte, che avvenne come è noto all'interno della minuscola stazione di Astapovo, senza che alla moglie fosse stato concesso di assisterlo.
Il libro è anche corredato di splendide fotografie dell'epoca.
08/01/20
La versione integrale dello Speciale "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda ieri sera
Al link sottostante la versione integrata dello speciale sui "Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi andato in onda su Italia Uno ieri sera alle 18.50.
Si tratta di una cavalcata notturna sui luoghi di Roma che raccontano le millenarie storie dei fantasmi della città.
Ispirate al libro omonimo, scritto per Newton Compton e più volte ristampato.
Per vedere la puntata CLICCA QUI:
https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/studioaperto/i-misteri-di-roma_F310140601014C10
06/01/20
100 film da salvare alla fine del mondo: 51. Il posto delle fragole (Smultronstället), di Ingmar Bergman (1957)
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personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non
saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario
degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti,
se non di tutti.
Ingmar Bergman aveva 39 anni quando realizzò Il posto delle fragole, da molti ritenuto uno dei suoi più grandi capolavori, oltre a essere il lavoro che lo portò al definitivo successo internazionale.
E sembra incredibile ancora oggi che un'opera di così tale complessità, di così profonda meditazione riguardo alla vita e alla sua relazione con la morte, con il senso della vita, alla luce dei passi falsi della memoria, dei consuntivi, della malinconia che ogni uomo deve scontare con il passato degli anni (e anche con la relativa gioia e/o consapevolezza) sia stata concepita e realizzata da un uomo che non aveva ancora compiuto i quaranta anni.
Il film è e fu innovativo sotto ogni punto di vista, presentandosi anche come una sorta di on the road ante-litteram e assolutamente sui generis.
La trama è piuttosto nota: il giorno prima della cerimonia che deve onorare e celebrare la sua lunga carriera come medico, il professor Isak Borg ha uno strano sogno in cui si trova ad affrontare la sua stessa morte. Il giorno successivo, decide di guidare alla volta della Lund University in compagnia di Marianne, sua nuora.
Durante il viaggio, il vecchio professore fa il punto sulla sua vita viziata dall'egoismo. Rivede la sua giovinezza con "il posto delle fragoline di bosco" dove suo cugino una volta lo ha portato.
Quindi rivede i suoi ricordi della sua vita di medico di campagna.
Mentre Marianne guida, Isak si addormenta e fa un sogno in cui si manifestano angosciosi sensi di colpa. Dopo essere stato dichiarato "colpevole di colpa", è accusato della sua freddezza. Poi vede l'infedeltà di sua moglie quarant'anni prima
Dopo un ultimo rimprovero che Marianne rivolge al patrigno un figlio che le sarebbe piaciuto mantenere nonostante l'opposizione di suo marito, Isak è solennemente incoronato dall'Università di Lund .
Prima di addormentarsi, cerca di conciliare suo figlio e sua nuora.
Quindi sogna le scene felici della sua infanzia.
Il cast del film vede quasi tutti gli attori cari a Bergman. Il protagonista, Victor Sjöström, è un nome illustre del cinema svedese, nonché maestro professionale di Bergman, che lo aveva già voluto per un piccolo ruolo in Verso la gioia (1950).
Il film, girato fra gli studi della Svensk Filmindustri e la città di Lund, nello Skåne län (la parte più meridionale della Svezia), esce in patria il 26 dicembre 1957.
In Italia sono uscite due versioni in DVD del film, una nel 2002 e un'altra, rimasterizzata, nel 2005.
Un film che rappresenta la summa del lavoro di Bergman e una meditazione potente e necessaria per ogni spettatore, ieri come oggi.
05/01/20
Poesia della Domenica: "Il giorno più freddo dell'anno" di Fabrizio Falconi
il giorno più freddo dell'anno
se almeno non ci fosse
questo freddo rigido come un
ombrello aperto, a non far respirare
a troncare le notti
e l'infinito; per chi parlo ?
questa influenza depositata
nel fondo di caffè delle circostanze
non prevede nulla di buono,
lo sbaglio acclarato è umido
come una foglia d'acero
caduta al mattino
allo specchio non ti riconosci
e nemmeno nei passi
mancanti, qualcosa o qualcuno
ha detto che ti ha perduto;
il bambino: forse, o forse
quel bambino è la tua salvezza
nei fiori di gennaio
e quando Giove tornerà a risplendere.
c'era un segnale di sconfitta
all'orizzonte, il comandante
nordista non voleva
vederlo,
gli indiani erano pronti per lo scalpo
tutto si sarebbe svolto
secondo piani
e tecniche
di abbandono non avrebbero
funzionato, il danno
sarebbe rimasto come una sveglia
scarica
o un'insegna
per altre battaglie,
combattute da altri.
04/01/20
Sabato d'arte: Michelangelo vide la giugulare 100 anni prima della medicina
C'e' un dettaglio nel David di
Michelangelo sfuggito a 500 anni di osservazioni e che conferma
il genio del grande scultore, pittore, architetto e poeta
italiano, in grado col suo 'occhio clinico' di anticipare la
scienza.
Se in molte sculture, e nella fisiologia quotidiana
delle persone, la vena giugulare dalla parte superiore del busto
attraverso il collo non e' visibile, infatti, nel capolavoro del
Rinascimento esposto a Firenze e' chiaramente "distesa" e in
rilievo sopra la clavicola di David.
Come accadrebbe in ogni
giovane in salute che si trova ad un livello di eccitazione
perche' deve affrontare un avversario potenzialmente letale - in
questo caso, Golia.
Un particolare che indica come lo spirito di
osservazione abbia portato Michelangelo a scolpire qualcosa che
poi sarebbe stato descritto nel dettaglio 100 anni dopo, cioe' la
meccanica del sistema circolatorio.
A rilevarlo e' un articolo
di Daniel Gelfman, del Marian University College of Osteopathic
Medicine di Indianapolis, su Jama Cardiology.
Il medico
americano che ha visto la statua quest'anno durante una visita
in Italia e' stato il primo a notare il dettaglio.
La
distensione della vena giugulare secondo quanto spiega l'esperto
puo' verificarsi anche con problematiche come "elevate pressioni
intracardiache e possibili disfunzioni cardiache", ma il David e'
giovane e in ottime condizioni fisiche.
Solo in un altro
contesto - uno stato di eccitazione temporanea - si distingue
bene.
"Michelangelo, come alcuni dei suoi contemporanei - scrive
Gelfman - aveva una formazione anatomica. Mi sono reso conto che
deve aver notato una distensione venosa giugulare temporanea in
soggetti sani che sono eccitati".
"All'epoca della creazione del
David - osserva - nel 1504, l'anatomista e medico William Harvey
non aveva ancora descritto la vera meccanica del sistema
circolatorio. Cio' non avvenne fino al 1628".
Anche nel Mose' vi e'
lo stesso particolare anatomico, mentre la vena giugulare di
Gesu' nella Pieta' non e' distesa o visibile (anche in questo caso
anatomicamente corretta nel contesto).
Per i cardiologi uno dei
messaggi importanti che arrivano da questo articolo e' che anche
i medici devono avere spirito di osservazione quando visitano i
loro pazienti.
Nell'era odierna delle scansioni e degli esami
del sangue ad alta tecnologia, spiega Marcin Kowalski, dello
Staten Island University Hospital, "mi stupisce sempre quando
gli studenti di medicina sono in grado di diagnosticare le
malattie con la semplice osservazione. Spero che l'arte
dell'esame fisico non scompaia dal repertorio dei nostri giovani
medici".
Fonte: Elida Sergi per ANSA
03/01/20
Torna alla luce dopo 60 anni il carteggio tra T.S. Eliot e la sua musa, Emily Hale
T.S. Eliot con Emily Hale nel 1936
Lui le aveva ordinato di bruciare
le lettere.
Lei, l'amica di sempre, aveva disobbedito. E cosi'
oggi, dopo esser rimasta per 60 anni chiusa in dodici scatoloni
negli archivi della Princeton University Library, la
corrispondenza tra il poeta premio Nobel T.S. Eliot e la sua
confidente e musa Emily Hale vedra' finalmente la luce.
Per Anthony Cuda, studioso dell'autore di "La Terra
Desolata", "e' forse l'evento letterario del decennio".
Dagli
scatoloni sono emerse oltre mille lettere datate tra 1930 e 1956
che promettono di gettare luce inedita sulla vita e il lavoro di
Eliot: su opere ad esempio come "Il libro dei gatti tuttofare"
portato a Broadway da Andrew Lloyd Webber con il musical "Cats".
Il focus è ovviamente sulla relazione con Emily, rimasta al
centro di congetture per decenni e che ha ispirato romanzi come
"The Archivist" di Martha Cooley, ma non solo: come ha notato
Princeton, sorprese potrebbero arrivare "sulla conversione
religiosa del poeta, il suo atteggiamento verso le donne, le sue
decisioni alla casa editrice Faber and Faber e il loro impatto
sulla cultura del Regno Unito".
Era stata la Hale a donare l'archivio a Princeton con la
condizione che le lettere restassero segrete fino a 50 anni
dalla morte dell'ultimo dei loro autori: lei nel caso specifico,
scomparsa nel 1969, mentre Eliot l'aveva preceduta di quattro
anni.
Si erano conosciuti ragazzi a Cambridge, Massachusetts, nel
1912 quando Eliot studiava a Harvard e lui, secondo un saggio
pubblicano nel 2002 sul New Yorker, si sarebbe segretamente
innamorato dell'intellettuale bostoniana.
L'amicizia era rinata
nel 1927, dopo la crisi del primo matrimonio del poeta con la
britannica Vivienne Haigh-Wood, mentre la Hale, che non si era
mai sposata, aveva continuato a insegnare teatro in universita'
americane tra cui lo Scripps College in California.
Secondo Cuda, la relazione con Emily doveva essere
"incredibilmente importante" e la corrispondenza contenere
"dettagli profondamente intimi", altrimenti non si capisce
perche' Eliot fosse cosi preoccupato per la pubblicazione.
Le lettere cominciano infatti dopo la fine del primo
matrimonio con Vivienne, una donna instabile morta nel 1947 in
manicomio. Studiosi hanno notato come "Burnt Norton", il primo
poema della serie "Quartetti" che prende il nome da una casa in
Inghilterra visitata con la Hale, e' significativo per alcuni
versi che suggeriscono opportunita' mancate e quel che avrebbe
potuto essere e non e' stato.
02/01/20
Libro del Giorno: "Wittgenstein - Il dovere del genio" di Ray Monk
Quando si arriva al termine di questa monumentale, magnifica biografia di Ray Monk, scritta nel 1988, e diventata il testo di riferimento della materia, si sperimenta lo strano fenomeno - che accade soltanto per le opere notevoli - per cui la persona di Ludwig Wittgenstein sembra divenuta così familiare, che ne sentiamo perfino la perdita umana, come di qualcuno che conosciamo bene e che fa parte della nostra cerchia.
Minuziosissimamente documentata, questa biografia, esprime già nel sottotitolo la linea che ha guidato Monk: quella di riconoscere nella vicenda storico-biografica di Wittgenstein la messa in scena degli imperativi descritti da Otto Weininger in Sesso e Carattere, il libro che più di ogni altro influenzò il filosofo viennese durante la sua formazione: quelli cioè di permettere al genio - al genio artistico, filosofico, speculativo, creativo - di emergere a qualunque costo, nel corso di una esistenza: esiste cioè un dovere che riguarda chi è depositario di un dono così grande, di un talento così grande, non solo di non disperderlo, ma di preservarlo da ogni sorta di interferenza e di contaminazione di qualunque implicazione mondana.
Wittgenstein prese così sul serio questo precetto nella sua vita, che al genio, al suo genio, sacrificò tutto: l'enorme patrimonio di famiglia (proveniva da una delle famiglie più ricche d'Europa), rinunciando a tutta la sua parte d'eredità; la comodità e la facilità di ogni sistemazione di vita e di professione; la vita sociale (costringendosi a esili solitari nelle sperdute lande di Norvegia o Irlanda); la vita accademica; gli affetti personali compresa la sessualità.
Lungo le seicento, fitte pagine del testo di Monk si seguono così le vicende del grande filosofo, in quattro diversi tempi: la prima, gioventù, le radici familiari, l'arrivo in Inghilterra, prima a Manchester e poi a Cambridge, l'amicizia con Bertrand Russell (un sodalizio difficile che durante gli anni collasserà), la prima fuga nel fiordo norvegese e la partenza al fronte militare, per la prima guerra mondiale, durante la quale Wittgenstein rimase arruolato ininterrottamente per cinque anni; la seconda parte con la faticosa pubblicazione del Tractatus, la sua opera capitale, l'unica che pubblicò durante la vita, e che sconvolse il mondo filosofico e accademico; la terza parte con il periodo tra le due guerre, la relazione con Francis Skinner, il crollo dell'Austria sotto l'incombere della minaccia nazista, la dissoluzione del patrimonio famigliare, il rischio concreto per i suoi congiunti di finire stritolati - in quanto ebrei - nella macchina della Shoah; infine la quarta parte con il secondo conflitto mondiale vissuto in Inghilterra, da esule, come volontario negli ospedali di Londra e poi il faticoso e doloroso dopoguerra, fino alla scoperta della malattia fatale (cancro alla prostata) e la morte a soli 62 anni.
Wittgenstein attraversò la prima metà del secolo con la profondità implacabile del suo pensiero, e soprattutto con la necessità di essere all'altezza del compito morale che lo attendeva, di diventare ed essere cioè prima di tutto una persona decente, la preoccupazione che ricorre praticamente ovunque nei diari e nelle riflessioni intime del filosofo.
Un grande libro che si legge appassionatamente come un grande racconto a metà tra la pura narrazione e il rigore scientifico di studio dell'opera di quello che oggi è considerato - con Heidegger - il maggior filosofo del Novecento.
27/12/19
Arriva a Roma la più grande mostra mai allestita su Raffaello, alle Scuderie del Quirinale
Raffallo in mostra dal 5 marzo
alle Scuderie del Quirinale a Roma. Oltre cento opere
dell'artista riunite insieme, come mai in passato.
Una grande mostra monografica, con oltre duecento capolavori tra
dipinti, disegni ed opere di confronto, dedicata a Raffaello
Sanzio, nel cinquecentenario della sua morte, avvenuta a Roma il
6 aprile 1520 all'eta' di appena 37 anni.
L'esposizione, intitolata semplicemente RAFFAELLO, costituisce
l'apice delle celebrazioni mondiali a 500 anni dalla scomparsa e
rappresenta l'evento di punta del programma approvato dal
Comitato Nazionale appositamente istituito dal Ministro Dario
Franceschini e presieduto da Antonio Paolucci.
Realizzata dalle Scuderie del Quirinale (appartenenti alla
Presidenza della Repubblica e gestite dal Mibact attraverso la
societa' in-house ALES), in collaborazione con le Gallerie degli
Uffizi, la mostra e' curata da Marzia Faietti e Matteo Lafranconi
con il contributo di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di
Teodoro.
Un autorevole comitato scientifico presieduto da Sylvia Ferino ha
affiancato e approfondito il lavoro del team curatoriale,
stimolando un dialogo fruttuoso tra gli specialisti del settore
piu' accreditati al mondo, come Nicholas Penny (gia' direttore
National Gallery di Londra), Barbara Jatta (direttore Musei
Vaticani), Dominique Cordellier (Muse'e du Louvre), Achim Gnann
(Albertina, Vienna), Alessandro Nova (Kunsthistorisches Institut,
Firenze).
Anche in termini di capolavori in prestito (oltre che di lavoro
scientifico svolto), e' stato determinante il contributo delle
Gallerie degli Uffizi, con circa 50 opere delle quali oltre 40
dello stesso Raffaello.
Ma anche tanti altri musei di importanza
internazionale hanno contribuito ad arricchire la rassegna con
capolavori dalle loro collezioni: tra questi, in Italia, le
Gallerie Nazionali d'Arte Antica, la Pinacoteca Nazionale di
Bologna, il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, la Fondazione Brescia Musei, e
all'estero, oltre ai Musei Vaticani, il Louvre, la National
Gallery di Londra, il Museo del Prado, la National Gallery of Art
di Washington, , l'Albertina di Vienna, il British Museum, la
Royal Collection, l'Ashmolean Museum di Oxford, il Muse'e des
Beaux-Arts di Lille.
Complessivamente saranno piu' di 200 le opere
in mostra.
La mostra verra' inaugurata il 3 marzo 2020 alla presenza delle
piu' alte cariche dello Stato e dei rappresentanti ufficiali dei
principali paesi prestatori.
Dal 5 marzo la mostra aprira' al
pubblico e sara' visitabile fino al 2 giugno.
"La mostra su Raffaello e' una grande
mostra europea che raccoglie capolavori mai riuniti finora. Il
giusto modo per celebrare la grandezza e la fama di un artista
universale a 500 anni dalla sua morte. La prestigiosa esposizione
alle Scuderie del Quirinale, che come quella dedicata a Leonardo
al Louvre vede la collaborazione dei piu' grandi musei italiani e
internazionali, permettera' al pubblico di ammirare un corpus
considerevole di opere di Raffaello". Cosi' ha affermato il
ministro Mibact, Dario Franceschini.
Il presidente e ad Ales-Scuderie del Quirinale, Mario Di Simoni
ha aggiunto: "La mostra di Raffaello, realizzata in
collaborazione scientifica e di prestiti con gli Uffizi, e' la
dimostrazione di quanto sia corretta la collocazione delle
Scuderie del Quirinale in stretto collegamento con il grande
sistema dei musei statali. È il coronamento ideale dei vent'anni
di apertura al pubblico delle Scuderie del Quirinale".
Il direttore Gallerie degli Uffizi, Schmidt: "Le Gallerie degli
Uffizi, dove si concentra il piu' grande numero di dipinti e
disegni di Raffaello al mondo, partecipano con entusiasmo
all'organizzazione di questa ricorrenza epocale, per offrire una
nuova, approfondita visione di Raffaello, specialmente per il
periodo in cui l'artista visse a Roma. La mostra, frutto di una
collaborazione senza precedenti tra le Gallerie degli Uffizi e le
Scuderie del Quirinale, si svolge non a caso nella capitale: Roma
non e' solo una tappa biografica dell'artista, ma il simbolo della
dimensione nazionale della sua arte e del suo pensiero".
26/12/19
La Chiesa dedicata al protomartire cristiano: Santo Stefano Rotondo a Roma
La chiesa di Santo Stefano Rotondo, dedicata al
protomartire romano, sul Celio, è una delle più antiche ed originali di Roma,
nota soprattutto per la sua forma circolare che ha fatto supporre si trattasse
di un edificio pagano, trasformato in chiesa nel V secolo d.C quando fu
consacrata da papa Simplicio I (468-483), dedicandola a Santo Stefano il primo
martire della Chiesa, martirizzato per lapidazione nel 35 d.C. In effetti scavi
recenti hanno dimostrato che l’edificio di culto fu edificato sopra i resti di
una caserma romana – i Castra peregrina
– e di un antico mitreo.
La sua forma, in origine, era davvero misteriosa
nella sua perfezione geometrica: tre anelli concentrici intersecati da quattro
navate che formavano una croce greca.
Al giorno d’oggi gli anelli concentrici sono soltanto
due e uno solo è il braccio della croce greca.
Anche così però l’interno dell’edificio resta molto impressionante, per
la vastità dell’ambiente e la selva di colonne antiche (di diversi ordini) che
sorreggono la grandiosa cupola.
L’interno è poi essenzialmente scarno, privo di
altari o arredi sacri, con la sola sedia episcopale che troneggia vicino
all’entrata e che sembra sia quella sulla quale sedeva San Gregorio Magno.
Ma quello che sicuramente impressiona di più nel
severo vuoto dell’edificio è la serie di affreschi che ricopre l’interno sulle
pareti tra le colonne. Sono ben trentaquattro. L’imponente complesso pittorico
è opera di quattro mani, quelle del Pomarancio (Nicolò Circignani, 1519-1591) e
di Antonio Tempesti (1555-1630). La serie – in parte danneggiata – comincia con
La strage degli innocenti e prosegue
di riquadro in riquadro illustrando con crescente realismo i più atroci
supplizi che si possano immaginare. In modo talmente minuzioso e didascalico (
con cartigli al di sotto che forniscono ogni spiegazione ) da risultare per
molti visitatori insopportabile alla vista.
Queste scene furono rappresentate proprio con intento
didattico: in piena controriforma, la chiesa di Santo Stefano era infatti
frequentata dai giovani gesuiti del Collegio Germanico Ungarico, custodi della
Basilica, i quali sotto falso nome venivano inviati in Europa alla fine del
Cinquecento con la missione di riacquistare clandestinamente fedeli per la
Chiesa di Roma, pressata da una duplice minaccia: a nord il movimento
riformatore di Martin Lutero, a est i turchi ottomani.
Gli affreschi di Santo Stefano fornivano dunque un
compendio di quello che aspettava questi missionari, se fossero stati scoperti:
come per i martiri romani, avrebbero subito terribili torture, che avrebbero
fatto desiderare loro ardentemente la morte, in una sorta di Imitatio Christi.
E ancora oggi, a guardarle, queste scene
atterriscono: un martire a cui sono state mozzate le mani, le quali poi legate
ad una cordicella, gli sono state messe appese al collo; un uomo che viene
scorticato a sangue, vivo, con un raschietto uncinato; un altro a cui viene
estratta la lingua con una tenaglia e tagliata con un coltello da cucina; una
doppia flagellazione con fascine di legno; due che vengono lasciati squartare
da cani; un uomo appeso a due carrucole, con una palla di piombo appesa ai
piedi, che viene bruciato pezzo a pezzo con le torce; un altro che viene
disossato su una sorta di tavolo anatomico come una moderna scena tratta da un
film horror; un uomo a cui viene infilato piombo fuso attraverso la bocca; altri sui quali viene versato olio bollente;
una donna cui viene infilato un tridente nel petto mentre uno dei torturatori
muove l’argano che le tira le braccia fino a squartarla; un altro martire cui
viene tagliata una mano con una scimitarra e il cui sangue molto
realisticamente scorre a fiumi al di sotto del piedistallo.
Sotto ciascun riquadro gli artisti provvidero a sistemare
una iscrizione in duplice lingua, latino
per i novizi e italiano per i frequentatori della chiesa, con la dettagliata
spiegazione dei diversi episodi.
Insomma decapitati, mutilati, sbranati, sepolti vivi,
bruciati che rimandano alle attuali persecuzioni che ancora oggi colpiscono gli
infedeli in diverse parti del mondo:
un vero campionario degli orrori che ancora oggi sortisce il suo effetto assai
macabro.
Tratto da: Fabrizio Falconi - Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015
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