14/12/15

Il "Viaggio in India" di Guido Gozzano, ristampato in Italia.


Guido Gozzano e il suo 'Viaggio in India' è un volume, edito da Graphofeel, che prende come riferimento la raccolta di articoli scritti dal poeta, massimo esponente del 'crepuscolarismo', per vari giornali italiani, intitolata 'Verso la cuna del mondo, lettere dall'India', nell'edizione di Alida D'Aquino Creazzo del 1984. 

Esiste, però, anche una raccolta dell'editore Treves di Milano, datata, invece, 1917. 

Questa nuova versione ha rispettato le scelte di Gozzano a livello ortografico: le lettere, infatti, riportano diverse incoerenze che non sono state corrette. 

In esse, il poeta ci porta a esplorare con attenzione l'India: le sue strade, la sua gente, i monumenti, i tanti simboli. 

E lì, per i disturbi provocati dalla tisi, sono i medici e alcuni cari amici a convincerlo a partire. 

Il clima, umido e afoso, si rivela non proprio idoneo alla sua cagionevole salute, ma il fatto di cambiare aria e poter riposare sembrano le condizioni ideali per recuperare. 

Affascinato dall'India, che conosce attraverso i libri, dagli ornamenti dei palazzi e dalle parole, il poeta passa da una città all'altra con la curiosità di un bambino e scrive, documentando ciò che vede, una sorta di diario, che traccia la sua permanenza in quei luoghi pieni di fascino, Storia e contraddizioni. 

Dal Colle del Malabar, raggiunge le Torri del Silenzio, dove attende il rito funerario che ha, in sé, un qualcosa di macabro e terribile, poiché i cadaveri dei Parsi, considerati benestanti, vengono lasciati appesi a delle gabbie e divorati dagli avvoltoi. 

Gozzano rimane colpito dal fatto che le torri siano rimaste intatte nei millenni: tutto è intatto nell'India britanna. 

E' naturale il suo continuo porre domande, quel chiedere con una certa frequenza.

Costante è l'alternarsi di momenti di stupore ad altri di sconforto e malinconia. A volte rimpiange l'Italia, come nel capitolo del Natale a Ceylon, in cui pensa alla neve della sua terra mentre lì si ritrova in una piena foresta tropicale, circondato dal coro dei pappagalli e delle scimmie: "Non è gaio il mio Natale, e la flora che mi circonda non è consolatrice, mi ricorda di continuo la spaventosa distanza dalla Patria..."

L'India conosciuta attraverso le letture spesso non possiede affatto le caratteristiche che il poeta incontra, osservando la realtà. 

Nessuno dei suoi amici vuole seguirlo a Goa, ma il poeta è spinto ad andarci da un sonetto di De Heredia, poeta francese di origine cubana.

 Ecco il legame indissolubile con la poesia, che si trascina con forza nella scrittura di Gozzano: una contaminazione inevitabile, ben radicata. 

Tra le pagine, il poeta sceglie di riportare proprio i versi in lingua originale di De Heredia per la Patria lontana. E si arriva, infine, ad affrontare il tema delle caste. 

Il poeta si sofferma sugli atteggiamenti e sui comportamenti della gente, li scruta minuziosamente e coglie una suddivisione nel popolo che viene rispettata con rigore. 

Anche nel solo fatto di camminare, gli indiani fanno attenzione a rispettare la casta, devono mantenere le distanze prescritte dal diagramma: "Quattro passi tra un bramino e un soldato; due tra un soldato e un contadino; tre tra un contadino e un paria". 

E Gozzano precisa proprio questo: "Due cose sono care all'indiano: l'Inghilterra e la sua casta". Una riflessione sull'Islam del 1913 si manifesta con tutto il peso dell'attualità dei giorni nostri, catapultandoci in quella parte dell'India caratterizzata da scarsa vegetazione: 

"Si direbbe che l'Islam prediliga, in ogni parte del mondo, le terre desolate, i deserti e le steppe...". 

L'India raccontata nel libri, ancora una volta si presenta con un volto diverso, con un'ambientazione che il poeta non si aspettava. Ed è proprio viaggiando che egli tocca con mano la steppa senza fine, con i suoi avvoltoi. Allora la tristezza lo avvolge, con un rimpianto per l'Italia più forte che mai. 

Tutto appare senz'anima, fino a quando ritrova una meraviglia unica nel mondo, una bellezza che mozza il respiro e supera le descrizioni dei libri: il Tai-Mahal, mausoleo secolare eretto dall'imperatore Shah-Zehan per la morte inaspettata della sua sposa. 

Gozzano si lascia incantare da ciò che vede. E nelle sentenze del Corano che non comprende, percepisce parole dal valore universale, che le religioni di tutta la Terra possono armoniosamente condividere per l'amore che emanano. 

Gozzano vive tutto con una forte intensità, non tralascia nulla e, attraverso quello stile crepuscolare che gli appartiene in poesia, rievoca la sacralità delle cose, dagli animali ai luoghi. Vive le diversità di latitudine che influenzano anche le arti, ma non dimentica di far riferimento a ciò che già conosce attraverso i suoi libri. 

Quindi, gli appunti di viaggio non sempre sono precisi: scrive di ciò che ha letto e, talvolta, si sorprende della non corrispondenza della realtà con il testo. Costantemente in bilico tra una cauta partecipazione alle cose e un rifugiarsi in se stesso, Gozzano tende a proporre, ma nello stesso tempo vive, uno stato di smarrimento, in cui l'ambiguità si fa presenza insistente. Il sogno è parola dominante in tutta la sua produzione letteraria.

E 'Viaggio in India' è un cammino affascinante, ricco di contrasti, che conferma tutte le perplessità esistenziali che appartengono non solo al poeta



Guido Gozzano

13/12/15

Giotto, Oltre l'immagine. La cappella Peruzzi fino al 10 gennaio 2016.


GIOTTO. OLTRE L’IMMAGINE LA CAPPELLA PERUZZI 

Ha aperto ieri sabato 12 dicembre 2015  l’installazione multimediale 

L'accesso all’installazione è incluso nel biglietto della mostra Giotto, l’Italia.

La mostra Giotto, l’Italia aperta fino al 10 gennaio 2016 a Palazzo Reale, curata da Pietro Petraroia e Serena Romano, propone al pubblico e agli studiosi una nuova, emozionante esperienza visiva: a partire dal 12 dicembre il percorso espositivo include infatti la Sala delle Cariatidi, dove un’installazione multimediale offre una visita del tutto nuova della Cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, decorata da Giotto entro il primo decennio del Trecento con pittura a secco di grande qualità ma anche di particolare delicatezza materica; un capolavoro straordinario, che sfortunate vicende hanno gravemente danneggiato nei secoli successivi, rendendone difficilissima l’osservazione e la comprensione. 

Nell’ambito della mostra il Comune di Milano - Palazzo Reale, grazie a Fondazione Cariplo e al sostegno di Fondazione Bracco, ospita nella sala delle Cariatidi la suggestiva ricostruzione, progettata da Mario Bellini, a grandezza naturale della Cappella Peruzzi, con una grande installazione che consente ad un largo pubblico di sperimentare in prima persona scoperte scientifiche ed emozioni riservate finora a quei pochissimi esperti, che avevano potuto osservare metro dopo metro i dipinti giotteschi salendo sui ponteggi della Cappella muniti di lampada di Wood. 



GIOTTO. 
OLTRE L’IMMAGINELA CAPPELLA PERUZZI 
12.12.2015 / 9.01.2016
Milano, Palazzo Reale in Sala delle Cariatidi

12/12/15

Piazza dell'Oro a Roma - (da "Roma segreta e misteriosa").



tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editori, appena uscito in libreria. 

Piazza dell’Oro a Campo Marzio e l’abisso infernale.

La bellissima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini alla quale lavorò il genio dei più grandi architetti dell’epoca, da Jacopo Sansovino ad Antonio da Sangallo il giovane a Giacomo Della Porta a Carlo Maderno, e conosciuta dai Roma con il soprannome di “confetto succhiato”, a causa della sua forma allungata apre la sua facciata su una piccola piazza triangolare, risultato di moderne urbanizzazioni, proprio all’imbocco del rettifilo della Via Giulia (lungo un chilometro), chiamata Piazza dell’Oro. 

Esattamente in questo luogo, sul limitare del quartiere del Campo Marzio, esisteva anticamente un abisso spaventoso, dal quale emanavano fetidi odori di zolfo. 

Conosciuto sin dai tempi fondativi della città di Roma, l’abisso era creduto abitato da dèmoni ed esseri infernali, anzi una vera e propria porta d’ingresso o di comunicazione con l’Ade

Per questo ricevette da tempo immemorabile il nome di Tarentum che secondo gli studi più recenti, deriverebbe dal nome di una divinità dal corpo d’orso e dalla testa di cervo (o di renna) che si dice apparisse nelle notti di plenilunio

A questa divinità – diretta discendente a sua volta della divinità punica di Baal Kamon e da Molochsi offrivano riti orgiastici e sacrifici umani. Anche in questo luogo, dunque, riti dionisiaci andarono ripetutamente in scena, che finivano con la dispersione nell’abisso sotterraneo, degli animali e degli oggetti sacrificati (come avveniva parallelamente dall’altra parte del globo nei Cenotes messicani). 

Questa usanza si spezzò nei primi anni del 500 a.C. quando, forse per la crudeltà di questi riti sanguinari, un decreto ne vietò lo svolgimento. 

La tradizione fu ripresa proprio sotto Augusto, nel 17 d.C. quando l’imperatore nel quadro dei ludi saeculares (le celebrazioni che si svolgevano a Roma ogni secolo), volle far rientrare anche il Tarentum con baccanali, riti dionisiaci e sacrifici (di animali col mantello scuro) che venivano officiati da sacerdoti completamente vestiti di abito nero. 

E’ suggestivo immaginare questo rito, che si svolgeva all’aperto, aspettando il transito favorevole della luna, al canto del Carmen Saeculare composto dal divino Orazio per incarico diretto dell’Imperatore. Il canto era affidato a un coro di cinquantaquattro adolescenti, ventisette maschi e ventisette femmine, che lanciavano l’invocazione alle divinità infere per ottenere la loro protezione su Roma, sul destino, sui favori personali, nel corso di queste solenne cerimonie che ciascun cittadino romano poteva dire di aver visto una sola volta nella vita (se assistito da fortuna).




10/12/15

Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso. (Pascal - La condizione terrestre)




Così sintetizza in una pagina la condizione terrestre Blaise Pascal nel celebre n. 398 dei suoi Pensieri ( introduzione, prefazione, traduzione e note di Bruno Nacci, Garzanti, 1994).  

Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un'ignoranza spaventosa di tutto

Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sé meglio del resto

Vedo quegli spaventosi spazi dell'universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po' di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l'eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà

Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un'ombra che dura un'istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare.

Così come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia sorte eterna. 
Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza. 
Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita senza pensare a ciò che mi capiterà.  

Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura. 

Pascal, considerandola ai suoi tempi una condizione "folle", chiosava: 

Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo ? Chi lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi ? Chi ricorrerebbe a lui nei momenti difficili ? 

E invece questo "sentire", previsto con così tanto anticipo e precisione da Pascal, è diventato molto comune e forse perfino prevalente. 

08/12/15

Nasce Atlantide - Una nuova casa editrice fuori dai format e dalle convenzioni.



Dieci titoli l’anno. 999 copie per ciascun volume. Esclusivamente nelle migliori librerie indipendenti e su abbonamento. 

Sono queste le caratteristiche della neonata casa editrice indipendente romana ATLANTIDE che ha come direttore editoriale Simone Caltabellota, già direttore editoriale di FaziEditore e di Lain con alle spalle milioni di copie vendute

ATLANTIDE nasce come un progetto indipendente e libero portato avanti da tre scrittori (Simone Caltabellota, Gianni Miraglia, Flavia Piccinni) e da un direttore di produzione dalla lunga esperienza nel mondo editoriale (Francesco Pedicini)

Nasce dal rifiuto dell’attuale produzione abnorme e dettata dalle mode dell’editoria di oggi per restituire il senso più profondo dei libri, e dell’editoria più visionaria e attenta alla cura artigianale. 

“Non è in crisi il libro – spiega il direttore editoriale Simone Caltabellota -, ma il sistema editoriale che lo veicola. In questi tempi di produzione frenetica e spesso casuale il libro non è più il centro del lavoro editoriale. ATLANTIDE intende invece recuperare la centralità dei testi e delle storie, e il senso più profondo del loro essere fuori dal tempo oltre ogni meccanismo produttivo consolidato”. 

Per questo, Atlantide pubblicherà opere di assoluto valore letterario, scientifico, artistico e filosofico, capolavori dimenticati e testi destinati a diventare i classici di domani, in tirature limitate e numeratedistribuite attraverso una rete di librerie fiduciarie indipendenti e direttamente da internet. 

“Vogliamo creare un canale preferenziale con i nostri lettori – continua Caltabellota -. Per questo pubblichiamo solo 999 copie per ogni libro, e ogni copia è numerata. Non andremo né su Amazon né nelle grandi catene. Desideriamo che i lettori ci vengano a cercare, che si confrontino con noi, che partecipino agli incontri che organizziamo nelle nostre librerie fiduciarie, che ci consiglino, che diventino parte di una comunità editoriale aperta che punta solo a fare libri di qualità. A breve lanceremo anche un crowdfunding online, così chi vorrà sostenerci potrà farlo e in cambio riceverà non solo i nostri libri, ma anche tutto ciò che ci ha aiutato a costruirli, dai giri di bozze alle cianografiche”. 

I primi libri di ATLANTIDE, già ordinabili presso il sito dell’editore www.edizionidiatlantide.it, saranno in librerie indipendenti e selezionate all’inizio di dicembre. 

I primi tre libri sono il saggio storico-critico di Adriano Tilgher Filosofi Antichi, uno dei capolavori dimenticati della letteratura americana del Novecento, Ritratto di Jennie di Robert Nathan e una graphic novel ante litteram, Tomaso di Vittorio Accornero, splendido romanzo illustrato degli anni Quaranta.

I testi, numerati da 1 a 999, sono tutti caratterizzati dalla grande cura editoriale, e sono stampati su carta Aralda da 100 gr. della cartiera Favini, con copertine stampate su cartoncino Chagall bianco da 260 gr. delle cartiere di Cordenons. 

 Fanno parte di Atlantide: Simone Caltabellota (direttore editoriale), Francesco Pedicini (direttore commerciale), Gianni Miraglia (marketing manager) e Flavia Piccinni (responsabile redazione).


07/12/15

"Il giudice e il suo boia" di Friedrich Durrenmatt (RECENSIONE).



E' un piccolo grande gioiello questo breve romanzo di Friedrich Durrenmatt. 

In sole 120 pagine, il maestro de La promessa, costruisce una aspra parabola sul tessuto di un vero giallo, sul delitto perfetto, sul crimine e la punizione, sul senso morale della giustizia e del fato. 

Il personaggio al centro di questo racconto - che è stato l'esordio in prosa di Durrenmatt - è il vecchio commissario Barlach, alle soglie della pensione, cui è stato diagnosticato soltanto un anno di vita. 

Come un vero meccanismo di scatole cinesi, Durrenmatt ricostruisce l'origine della storia: un patto scellerato firmato parecchi anni prima a Istanbul tra l'allora giovane commissario Barlach  e l'avventuriero Gastmann: costui ha scommesso di poter compiere un delitto perfetto sotto gli occhi del commissario e di restare impunito. Così, ha gettato dal ponte di Galata, uno sconosciuto nel fiume davanti allo sguardo atterrito di Barlach, riuscendo poi a evitare qualsiasi coinvolgimento e qualsiasi condanna. 

I due, come pezzi sulla scacchiera, si incontrano molti anni dopo, nella piovosissima invernale Svizzera, dove un giovane ispettore, Schmied, viene trovato morto all'interno della sua auto, in una strada di montagna. 

Le indagini, condotte da Barlach e da un giovane ispettore, Tschanz, portano ben presto a Gastmann, divenuto nel frattempo un faccendiere e stabilitosi in una facoltosa villa in un paesino svizzero. 

Ma la trama - e qui non diremo altro per non sottrarre piacere ai lettori - si spezza e si frammenta in una serie di incredibili colpi di scena, tutti retti dalla penna sicura dell'autore svizzero. 

Durrenmatt racconta e analizza con la freddezza glaciale dell'entomologo, in questo molto vicino per stile a Georges Simenon, il quale quando gli capitò di leggere questo romanzo d'esordio, dichiarò: "Non so che età abbia l'autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada."

E Durrenmatt di strada ne ha fatta molta, essendo considerato oggi uno dei maestri narratori - specie per il teatro - del suo tempo. 

Per capire la preziosità di questo racconto basta leggere il capitolo del funerale dell'ispettore Schmied, con una pioggia implacabile che scende sulla bara e sugli astanti, fino all'entrata in scena di una coppia di surreali guitti che cantano una volgare filastrocca (poi si scoprirà, mandati dallo stesso Gastmann).

Insomma, una lettura di alto livello: intrattenimento e intelligenza assicurati. 

Fabrizio Falconi




04/12/15

Riapre a Roma da domani il meraviglioso Casale dei Cedrati di Villa Pamphilj.



Il Casale dei Cedrati di Villa Pamphilj riapre i battenti domani,  sabato 5 dicembre. 

Uno spazio straordinario che viene restituito alla cittadinanza grazie al bando del 2013 promosso da Roma Capitale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, vinto dall’A.T.I. CoopCulture - Linea d’Arte, oggi trasformata in Società Consortile Casale dei Cedrati. 

Poggiato sulle strutture dell’antico Acquedotto Traiano-Paolo e circondato dal Giardino dei Cedrati di Gabriele Valvassori, il Casale dopo i lavori di ristrutturazione accoglierà un’ampia e variegata gamma di attività rivolte a tutte le fasce di età e realizzate attraverso un lavoro in rete con molte associazioni del territorio

Visite guidate, laboratori, mostre, incontri, conferenze, appuntamenti per gli sportivi, grandi eventi e concerti di musica, il tutto ospitato in spazi dedicati anche allo studio e al gioco, serviti da caffetteria e bookshop

Tanti gli appuntamenti in programma nel primo weekend: dalle 10 di sabato laboratori d’arte e di educazione ambientale per bambini con Informadarte e CoopCulture, laboratori di teatro con Blustocking, attività en plein air con i camminatori di Nordic Walking, il concerto di chitarra di Miki Piperno; nel pomeriggio apertura di Project Room Artist in residence, progetto d’arte contemporanea curato da Lori Adragna. 

Domenica mattina alle ore 12.00 lezione-spettacolo di giardinaggio per giardinieri planetari con l’attrice giardiniera Lorenza Zambon che animerà gli spazi all’aperto del Casale. La sera musica jazz con The Blue Project e aperitivi curati da Viteculture. 

Le attività culturali del Casale sono patrocinate dal Municipio Roma XII. 

Il 5 dicembre, in contemporanea al Casale, riaprirà anche il Giardino dei Cedrati, settecentesco giardino delle delizie recuperato alcuni anni fa dal Servizio Giardini capitolino ma rimasto poi chiuso al pubblico. 

Nel giardino originale erano presenti cedri, bergamotti, chinotti, limoni, aranci e varietà amare come i melangoli, al tempo utilizzati sia per scopi ornamentali sia per le loro proprietà terapeutiche e cosmetiche. 

Il Servizio Giardini in collaborazione con A.T.I. CoopCulture - Linea d’Arte rimetterà in produzione le serre del giardino, portandovi delle prime piante già coltivate presso le serre storiche del Parco di S.Sisto a Porta Metronia. Torna in produzione anche l’area destinata alla coltivazione delle azalee, all’interno di Villa Doria Pamphilj, destinate a decorare nel mese di maggio la Scalinata di Trinità dei Monti. 

03/12/15

"Caput mundi per il Giubileo" - Uno speciale di "Bell'Italia" in edicola dedicato a Roma e al Giubileo.



La Basilica di San Pietro come fulcro di storia e cristianità, e poi via via tutti i tesori della città, dai Musei Vaticani ai giardini di Castel Gandolfo, tra chiese, monumenti e quadri immortali, ma anche quartieri, ponti, palazzi e vicoli: c'e' tutta l'inesauribile e stupefacente bellezza della Capitale nel numero di dicembre di Bell'Italia, il mensile di Cairo Editore dedicato a Roma "Caput mundi per il Giubileo" e presentato per l'occasione in Vaticano, con una visita privata alla Cappella Sistina. 

Servizi fotografici ad hoc, mappe, approfondimenti e itinerari pedonali corredano questo numero monografico speciale che vuole proporre uno sguardo a 360 gradi sulla città, non certo da semplice guida turistica ma da accompagnatore d'eccezione, proprio in occasione di un evento straordinario come il Giubileo della Misericordia voluto da papa Francesco, durante il quale Roma accoglierà su di se' gli occhi e il cuore del mondo intero. 

"Mi piace chiamare libro questo numero, perchè è ricchissimo e rappresenta una spinta alla riflessione e alla conoscenza", ha detto Urbano Cairo, editore del mensile diretto da Emanuela Rosa-Clot, "da 16 anni abbiamo acquisito la rivista e crediamo che Bell'Italia, con le sue 70 mila copie vendute e il suo livello qualitativo, abbia qualcosa da dire: per questo va preservata e merita investimenti"


Rosa Clot, Antonio Paolucci e Urbano Cairo

In questa edizione speciale, non potevano ovviamente mancare penne eccellenti a firmare gli articoli, come quella del professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, che e' stato protagonista di una lezione speciale all'interno della Cappella Sistina riservata agli intervenuti alla presentazione.

Autore di due scritti, uno dedicato al Colonnato del Bernini e l'altro ai Musei da lui guidati, il professore ha affermato di essere "un uomo fortunato, perchè dal mio ufficio ogni giorno vedo la Cupola che abbraccia tutti i popoli cristiani: la Citta' del Vaticano è grande 44 ettari ma accoglie tutto il mondo se si pensa ai tesori che custodisce", sottolineando che "il pregio di questo numero speciale e' di aiutare il lettore a dipanare il gomitolo d'oro di Roma permettendo di scegliere e capire". 

Accanto alla cura dei dettagli e alla capacita' divulgativa ma mai banale, la varietà degli approcci rappresenta un altro punto di forza di questo numero: all'interno della rivista, infatti, trovano spazio non solo le sezioni piu' strettamente dedicate alla storia dell'arte - come l'itinerario suggerito da Vittorio Sgarbi per esplorare il rapporto tra arte e fede attraverso cinque opere - ma anche pagine dai toni piu' leggeri, come quelle che raccontano al lettore le vie dello shopping, i luoghi dei "peccati di gola", le caratteristiche dell'ospitalita' "per tutti i gusti" o gli eventi previsti durante il Giubileo.


02/12/15

Domenica prossima 6 Dicembre, tre splendide visite gratuite con gli Archeologi di "Artefacto".


Per la prossima domenica, 3 appuntamenti da segnalare, 3 splendide visite guidate con ingresso gratuito. Per partecipare basta inviare una mail.


domenica 6 dicembre
Foro Romano, Museo Etrusco di Villa Giulia, Terme di Diocleziano
Per la prima domenica di dicembre, approfittando della gratuità di ingresso nei musei e siti archeologici, scoprirete le origine di Roma visitando il Foro Romano (con la provvisoria apertura della rampa domizianea) e i capolavori del Museo di Villa Giulia. Il programma si completa con la visita al Museo Nazionale Romano presso le Terme di Diocleziano.

MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE
Per partecipare alle visite è necessario inviare una e-mail ad artefacto.associazioneculturale@gmail.com, indicando la data prescelta, il numero di partecipanti e i nominativi. 
In caso di annullamento dell’evento saranno contattati solo coloro che si sono prenotati. Artefacto è un’associazione culturale; per partecipare alle attività occorre iscriversi all’associazione (l’iscrizione è gratuita e ha durata annuale). 
Per maggiori info: www.artefactoroma.it

EVENTI IN PROGRAMMA

DOMENICA 6 DICEMBRE, ORE 11.30
IL FORO ROMANO CON LA NUOVA APERTURA AL PUBBLICO DELLA RAMPA IMPERIALE DI DOMIZIANO
Durata: 2 ore ca. 
Luogo: Largo della Salara Vecchia (ingresso al Foro Romano su via dei Fori Imperiali)
Contributo di partecipazione alla visita guidata: € 8 a persona con riduzioni per famiglie e minori di 26 anni. € 6.50 per i possessori della tessera bibliocard in corso di validità. 
Biglietto d'ingresso GRATUITO anziché € 12.

DOMENICA 6 DICEMBRE ORE 15.00
NEL MUSEO ETRUSCO DI VILLA GIULIA GUIDATI DA UN VERO ETRUSCOLOGO
Durata: 1 ora e 30 minuti ca.
Luogo: Piazzale di Villa Giulia 9. 
Contributo di partecipazione alla visita guidata: € 8 a persona con riduzioni per famiglie e minori di 26 anni. € 6.50 per i possessori della tessera bibliocard in corso di validità. 
Biglietto d'ingresso GRATUITO anziché € 8.

DOMENICA 6 DICEMBRE ORE 16.00
LE TERME DI DIOCLEZIANO CON I NUOVI AMBIENTI RIAPERTI, LA NATATIO E IL CHIOSTRO PICCOLO
Durata: 1 ora e 30 minuti ca.
Luogo: Viale Enrico de Nicola 79 (Piazza dei Cinqucento) 
Contributo di partecipazione alla visita guidata: € 8 a persona con riduzioni per famiglie e minori di 26 anni. € 6.50 per i possessori della tessera bibliocard in corso di validità. 
Biglietto d'ingresso GRATUITO anziché € 13.

01/12/15

Sono loro i veri eroi. "Per salvare i reperti in Siria rischiamo la vita ogni giorno".





«Certo che ho paura. Ho paura al mattino, quando accendo la radio. Ho paura quando, se c'è la corrente, mi collego a Internet. Ho paura di tutte le mie giornate».

Eppure, ogni mattina, l'archeologo Maamoun Abdulkarim, direttore generale dei Musei e delle Antichità siriane, si alza, va nel suo ufficio di Damasco e comincia una conta difficile: quanti oggetti preziosi sono scomparsi? Dove si troveranno? Come fare per portare in salvo quelli non ancora trafugati da Daesh (il termine dispregiativo con il quale i musulmani definiscono Isis) o dai «mafiosi», come lui chiama i trafficanti di reperti antichi? 

C'è è anche un?altra domanda che qualche volta si affaccia subdola dietro l'orecchio: riuscirò a tornare a casa stasera? Sì, perché la memoria di Khaled al Asaad, il direttore del sito archeologico di Palmira decapitato dal sedicente Califfato islamico, in lui è vivissima. 

Professore, i reperti del Bardo sono in mostra ad Aquileia. In fondo, è un messaggio di speranza. Che cos'è per lei oggi questa parola?

«È una parola indispensabile. Altrimenti non farei parte di questo mondo in bilico, fatto di circa 2.500 persone (tanti sono i funzionari preposti alla tutela delle antichità siriane) che rischiano la vita tutti i giorni. Sia perché l'integralismo islamico minaccia chiunque voglia elevarsi culturalmente, sia perché siamo costretti a salvaguardare il patrimonio da saccheggi e colpi di artiglieria con le nostre risorse. Lo sa che qualche volta portiamo in salvo oggetti preziosi in siti sicuri senza scorta armata? A mani nude, ecco».

Quando avete cominciato questa difficile operazione di messa in sicurezza?

«Ben prima che distruggessero i templi di Baalshamin e Bel a Palmira. Abbiamo nascosto oggetti e statue in auto insospettabili, li abbiamo portati in luoghi di fortuna, catalogati in segreto e fotografati. Abbiamo salvato qualcosa come 300 mila reperti. Pensi che siamo riusciti a mettere in sicurezza più di 30 mila pezzi archeologici che si trovavano nel museo di Deir el Zor, prima che la città cadesse nelle mani di Daesh. Qualche volta abbiamo usato aerei militari, qualche volta vetture comuni, superando i check point. Non dimentichiamo che la Siria è contesa da diverse forze in campo. Ma il nostro patrimonio oggi va difeso da tre pericoli: dai combattimenti, dai saccheggi illeciti e dalla distruzione puramente ideologica».

Lei ha più volte chiesto aiuto alla comunità internazionale. Che risposte ha avuto?

«Sin dal 2013 chiedo rinforzi, mi appello affinché i nostri archeologi non siano lasciati soli. Alcuni Paesi hanno risposto. In testa sa chi c'è? L?Italia, la vostra meravigliosa Italia. L'ex ministro Rutelli, con il grande archeologo Paolo Matthiae (scopritore della città di Ebla, in Siria, ndr ) hanno promosso una campagna che mi ha commosso. Questione anche di sensibilità: c'è un legame fortissimo tra noi e voi. Io sono un po' curdo e un po' armeno ma ho scelto di occuparmi di archeologia perché mi sento legatissimo all'Impero romano».

Dopo l'assassinio di Khaled al Asaad, nell'agosto scorso, qualcosa è cambiato?

«Certo. Innanzitutto gli occhi del mondo si sono aperti sulla situazione del nostro patrimonio culturale. Poi molti archeologi hanno, in un certo senso, allargato i loro compiti: qui ormai molti non fanno più solo ricerca, ma si trasformano in detective. Però, purtroppo, quasi 300 siti archeologici sono stati danneggiati gravemente. Pensi che in alcuni posti vanno addirittura con le ruspe per scavare e per portare via oggetti dal valore enorme. Non possiamo controllare tutto».

Ha mai pensato di andarsene?

«Ho ricevuto proposte, viaggio molto (Maamoun è stato di recente a Roma, dove ha partecipato a una delle conversazioni legate alla mostra La forza delle rovine , ndr ) ma non me ne vado. Ho una sorta di missione. Però il patrimonio è di tutti: non lasciateci soli».


30/11/15

Karl Ove Knausgård, "La morte del padre" (RECENSIONE).




Mi ero piuttosto incuriosito riguardo al fenomeno Karl Ove Knausgård.

Lo scrittore, nato a Oslo nel 1968, ha studiato letteratura all’Università di Bergen e vive a Malmö, in Svezia. 

Per il suo primo romanzo Ute av verden (1991) è stato insignito del Norwegian Critics Prize for Literature, primo caso di assegnazione del premio a un debuttante. 

Il secondo romanzo, En tid for alt, ha vinto molti premi ed è stato giudicato tra i migliori 25 romanzi norvegesi di tutti i tempi. 

Ma dopo questi due primi romanzi, il caso è diventato con quello che in molti hanno definito il suo capolavoro, una vera sfida narrativa: sei volumi intitolati La mia battaglia, più di 3500 pagine autobiografiche, di cui La morte del padre (2014), tradotto in Italia da Feltrinelli - come gli altri - è il primo volume della serie. 

Sono invece rimasto molto deluso dalla lettura. 

Nel corso di più di 500 pagine, Knausgård, racconta sostanzialmente la propria vita. Priva di eventi memorabili, priva di circostanze straordinarie.  Una vita assolutamente comune, ordinaria ma - è questo che conta - raccontata in modo assolutamente ordinario e mai veramente letterario. 

Diviso in due parti piuttosto nette, nella prima, La morte del padre racconta della adolescenza dello stesso autore: una famiglia come tante, nella fredda e quieta Norvegia, i primi ricordi - di quando aveva otto anni (la parte migliore del libro) - le prime sbronze da sedicenne, i sotterfugi, i silenzi del padre, i primi amori immaginati o vissuti, le schitarrate rock, i gusti degli adolescenti che sono comuni in tutto il mondo.    

Nella seconda, entra in scena la morte del padre - molto più avanti dunque temporalmente nella vita di Karl Ove che adesso è sposato e ha due figli, e fa già lo scrittore - che è morto alcolizzato in casa della madre (la nonna di Karl Ove), il ritorno alle origini dello scrittore e di suo fratello Yngve, la scoperta di una deriva e di un degrado totale che ha portato il padre a morire in una casa piena di rifiuti, di escrementi, di sigarette e di bottiglie vuote; lo sforzo dei due fratelli per rimettere in sesto la casa, preparare i funerali, affrontare il dolore silenzioso e traumatico della nonna, divenuta quasi afasica. 

In tutto questo, Karl Ove si mette - o si vorrebbe - mettere a nudo, raccontando tutto di sé, dei suoi moti interiori, delle sue debolezze strutturali e caratteriali - il pianto che affiora decine di volte, prima e dopo la morte del padre - dei suoi piccoli e grandi tormenti, dei suoi silenzi - pochi - dei suoi interrogativi irrisolti. 

Il lettore viene trascinato quindi in una specie di flusso ininterrotto di elementi poco significativi, quasi risucchiato dentro una narrazione minuziosa fino all'eccesso insostenibile, che racconta ogni movimento, ogni dettaglio inutile, ogni particolare trascurabile. 

E' perfino dichiarato dall'autore, nel corso del suo lunghissimo monologo, che il modello è la Recherche proustiana. Ma è un modello molto rischioso per Kanusgard, che non può non perdere la scommessa su tutta la linea. 

La narrazione non decolla mai, non è mai vera letteratura, ma solo accumulo di inutili informazioni. La lentezza inane del racconto smonta ogni ipotesi lirica, ogni sostanza vera, lasciando la continua sensazione di una operazione furba, e nulla più. 

Knausgard non ha molto altro da offrire che questo racconto onanistico, che non arriva mai al punto, e che non aggiunge nulla a quel che c'era prima (del racconto), se non questo compiacimento masochistico, vittimistico. 

Dovendo sintetizzare, mi sovvengono queste parole di Benedetto Croce, che mi pare si adattino perfettamente alla narrazione dell'autore norvegese: 

Il senso comune, quando non pretende di diventare scienza ha sovente ragione. Per esempio ieri una signora mi diceva a proposito di un volumetto di novelle: "Che cosa importano codeste storie, di cui posso raccogliere larga messe sol che presti un momento l'orecchio a una conversazione qualsiasi ? Che m'importano codeste descrizioni di cose o di parti di cose che veggo dappertutto, sol che volga l'occhio intorno ? La vita volgare la conosco anche io. Gran bisogno di leggere un libro per conoscerla ancora una volta !"
E la signora aveva ragione. Non che l'arte non sia libera di rappresentare quel che voglia... Ma l'artista ha il dovere di rappresentare ciò che franca la spesa di rappresentare, ciò che interessa.  Accade il medesimo della verità scientifica. Se io conto a una a una tutte le fave che sono in un sacco, dico forse una bugia o un errore ? No: anche quel numero è una verità. Ma spendo bene il mio tempo ? Chi avrebbe il coraggio di rispondere di sì? (Benedetto Croce, Dal libro dei pensieri, Adelphi, 2002, pag.20). 

Ecco: Knausgard conta molto bene le sue fave. Ma non ho speso bene il mio tempo a sentirle contare.

Fabrizio Falconi 








27/11/15

"Everywhere, Nowhere" di Renzo Bellanca. Alla Galleria Honos Art fino al 15 gennaio 2016.



Con la mostra Renzo Bellanca, Everywhere, nowhere, curata da Loredana Rea, apre al pubblico, nel cuore di Roma, un nuovo spazio espositivo: Honos Art

Galleria d’arte contemporanea e al tempo stesso luogo esclusivo di proposta e ascolto di quanto ci circonda, nato per reinterpretare la realtà e offrire la sua chiave di lettura attraverso un gruppo di artisti, selezionati a garanzia di ricerca, qualità ed unicità. 

Honos Art non è però semplicemente un luogo in cui fruire l’arte ma anche un luogo in cui fare esperienza della complessità creativa contemporanea, in cui possono trovare accoglienza tutti coloro che vogliono approfondire o nutrire il proprio bisogno di conoscenza e di bellezza. 

Everywhere, nowhere, il primo appuntamento con cui Honos Art intende concretizzare la sua filosofia espositiva, presenta una serie di lavori recenti di Renzo Bellanca, di grande fascino e di forte impatto visivo, che contaminano, attraverso calibrate stratificazione di segni e immagini, linguaggi ed esperienze di natura diversa, capaci di trasformare luoghi della geografia in spazi da ricomporre frammento per frammento. 

Sono tele di grandi dimensioni, cui si affiancano come tasselli di un puzzle opere piccolissime, a suggerire un viaggio nei luoghi dove è nata la cultura mediterranea e il pensiero occidentale si è fuso con quello orientale: luoghi di approdi momentanei, di partenze e di arrivi, per raccontare storie di genti diverse e materializzare percorsi da leggere come antiche mappe per nuovi possibili itinerari. 

Tra questi. 
T.E.V.E.R.E. (2014) che contiene, quasi crittografata nell'opera una poesia inedita di Fabrizio Falconi, costruita con un acronimo della parola Tevere.


T.E.V.E.R.E. (2014) Tecnica mista su Tela, cm. 175X262 - Esposta in "Everywhere/Nowhere"

Tempo è passato da quando ti ho aspettato
Eri un ombra o uno spettro
Venivi di notte, camminando ebbro di vita
E di morte, parole seminavi al vento e canti
Ripetevi come fosse l'acqua dolce di un fiume
Estuario o delta, meraviglioso prodigio che lento finisce.

T.E.V.E.R.E. (2014) Tecnica mista su Tela, cm. 175X262 - Esposta in "Everywhere/Nowhere"

Sono inedite cartografie, giocate su una raffinata rarefazione della materia pittorica, intessuta di velature e vedute aeree, che suggeriscono la necessità dell’erranza, dappertutto e in nessun luogo, per recuperare la qualità emotiva del divenire e materializzarla sulla superficie in una polifonia di segni, forme, immagini e colori, che creano pause, sovrapposizioni e intervalli, sorprendenti e inattesi. 

Renzo Bellanca, nato ad Aragona (Ag) nel 1965, artista, scenografo cinematografico e docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze, vive e lavora a Roma da oltre venticinque anni. Ha lavorato per importanti produzioni cinematografiche, televisive e teatrali, collaborando con importanti registi. Dalla fine degli anni ’90 si afferma la necessità di esprimersi attraverso la pittura e l’incisione. Negli ultimi anni è stato protagonista di mostre: in Spagna al Museo d’Arte Contemporanea di Ourense, in Galizia, a Roma al Chiostro del Bramante, alle FAM Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, alla 54^ Biennale di Venezia, Padiglione Italia, e a TRAME Festival delle letterature.

Renzo Bellanca
Everywhere / Nowhere
dal 21.11.2015 al 15.1.2016
HONOS ART ​
Via dei Delfini 35 
00186 
 +39 0631058440 
Orario: martedì/sabato 12.00-20.00


25/11/15

Habermas: "Il fondamentalismo non è una religione".





Non c'e' alcun bisogno di reagire a un pericolo fittizio come l'asservimento a una cultura straniera, che secondo qualcuno ci sta minacciando. Il pericolo e' ben piu' concreto: secondo il filosofo tedesco JurgenHabermas, la societa' civile deve guardarsi dal sacrificare sull'altare della sicurezza le virtù democratiche di una societa' aperta: la liberta' degli individui, la tolleranza verso la diversita' delle forme di vita, la disponibilita' a immedesimarsi nelle prospettive altrui. 

Nel suo modo di esprimersi - afferma Habermas in un'intervista a Le Monde riportata da Repubblica - il fondamentalismo jihadista ricorre a tutto un codice religioso, ma non e' affatto una religione. Al posto dei termini religiosi di cui fa uso potrebbe usare qualunque altro linguaggio devozionale, o anche mutuato da una qualunque ideologia che prometta una giustizia redentrice

Spera che gli attacchi a Parigi non cambino l'atteggiamento della Germania sui rifugiati: Siamo tutti sulla stessa barca. Il terrorismo e la crisi dei rifugiati costituiscono sfide drammatiche, forse definitive, ed esigono solidarieta' e una stretta cooperazione che le nazioni europee non si decidono ancora ad avviare. 

24/11/15

La ragazza di Gaza che è rimasta chiusa in casa per 20 mesi e ha trasformato la sua vita in opera d'arte (Nidaa Badwan).



Attraverso la sua macchina fotografica, Nidaa Badwan ci trasporta nella sua piccola camera da letto, dove è rimasta per un anno e dieci mesi. 

Le sue opere denunciano le tragedie della sua terra e allo stesso tempo rappresentano una realtà vivace e poetica, colorando e creando un percorso luminoso per Gaza

Il 19 novembre del 2013 Nidaa Badwan ha chiuso la porta della sua camera da letto e l’ha tenuta chiusa per ventidue mesi. 

Una reclusione volontaria, decisa e motivata. Il giorno prima i miliziani di Hamas l’avevano fermata mentre aiutava un gruppo di giovani a preparare una mostra. “Perché porti quei pantaloni larghi? Devi indossare il velo non quel cappello di lana colorato. Sei strana, chi sei?”. “Sono un’artista” aveva risposto lei. “Che vuol dire? Che cos’è un’artista e soprattutto che cos’è un’artista donna?”. 

 Da quel giorno Nidaa si è isolata nella sua stanza, piccola, solo nove metri quadrati e con una sola finestra. Al soffitto una lampadina appesa ai soli fili elettrici. Ha colorato le pareti di blu, di verde, una l’ha riempita di cartoni delle uova ognuno di colore diverso, come un arcobaleno e durante i quattordici mesi, ha cambiato e ricambiato, secondo l’ispirazione e soprattutto in base alla poca luce naturale che filtrava dalla finestra

Nella stanza strumenti musicali (un oud, una chitarra rotta), una vecchia macchina per scrivere, una cucitrice, gomitoli di lana, una scala di legno da imbianchino, fanno da scenografia

Nidaa Badwan prepara la sua macchina fotografica, aspetta la giusta luce naturale e scatta, scatta e poi scatta ancora. 



Sono autoscatti in cui il volto si riconosce appena, ma sembrano quadri e non fotografie. I colori, il calore, suscitano emozioni, sensazioni forti, ricordano le nature morte di Chardin, i chiaroscuri di Caravaggio, le scene teatralizzate di David. 

Nidaa Badwan con i suoi ritratti rappresenta i sogni dei giovani della sua terra e l'isolamento del mondo femminile sotto il governo autoritario di Hamas.

Dopo aver esposto a Gerusalemme, Betlemme, Nablus, Herbron in Palestina, a Montecatini Terme e Montegrimano in Italia, e prima di esporre in molti altri paese in giro per il mondo, le meravigliose opere di Nidaa verranno esposte nello splendido scenario del Palazzo Graziani della Repubblica di San Marino, con ben 24 tavole, che rimarranno a disposizione del pubblico dal 23 novembre 2015 al 6 gennaio 2016

 Queste le parole del Segretario alla Cultura Giuseppe Morganti: “In una terra come San Marino, che basa i suoi valori e la sua storia sulla libertà, tu rappresenti un simbolo particolare, perché ti batti per i diritti con strumenti di pace e non di guerra”.

“100 giorni di solitudine” di Nidaa Badwan dal 23.11.2015 al 6.01.2016 Palazzo Graziani Via dello Stradone, 12 San Marino 



23/11/15

"Roma segreta e misteriosa" da oggi in libreria. L'introduzione.




INTRODUZIONE da Roma Segreta e Misteriosa, da oggi in libreria.

Roma per me è un sogno concreto. Non è questione di colori, o di storia. E’ la realizzazione di un sogno misterioso contenuto all’interno di ciascuno di noi, nell’anima di ciascuno. Provo a spiegarmi meglio: Roma esiste prima che nella sua materia, nella sua forma, nelle sue colonne, nei suoi tempi, nei suoi anfiteatri, nei suoi muri scrostati. Roma è secondo me prima di tutto, un’idea. L’idea dei progenitori. Roma è stata fondata, e già dalle leggende relative alla fondazione, noi sappiamo che vi era l’idea di fondare una città perfetta, legata al favore degli dei, degli astri del cielo, e della natura. 

L’idea degli antenati poi, si è legata ad un sogno di perfezione e di centralità – caput mundi. L’idea di perfezione e di centralità, a sua volta, ribadita dalla nuova fondazione cristiana sulla tomba di Pietro, si è deteriorata nel corso dei secoli, si è sgretolata, si è smaterializzata sotto i colpi e le onde di infinite stratificazioni che hanno come disperso il senso di quella centralità, senza mai cancellarlo del tutto. 

Anche oggi, Roma si presenta unica. Unica, perché l’idea che vive sotto le sue viscere continua ad essere viva, ed unica. E la si percepisce con forme mutate, in ogni angolo, in ogni pietra sopravvissuta. L’idea di Roma vive nelle catacombe e nei trionfi barocchi. Essa – quell’idea – è pervasa di sacro e profano, proprio perché fa parte dell’archetipo umano dell’imago urbis che mette d’accordo il favore degli dei con l’armonia della natura. 

Due millenni prima della città utopica rinascimentale, Roma è un progetto di armonia universale, continuamente decadente e decaduto, sepolto dalla polvere, e rinnovato dall’inquietudine umana. Ecco anche perché la sua decadenza è diversa da quella di altre città che furono ‘centrali’ come Heliopolis-Il Cairo o Istanbul-Costantinopoli. 

L’idea di Roma non è morta: essa appartiene all’anima di ciascuno, esattamente come duemila e cinquecento anni fa, e questa affermazione paradossale la si riscontra come vera negli occhi di chi si imbatte, e viene come viandante o pellegrino su una strada tracciata da migliaia di vite prima della sua. Proprio perché l’idea di Roma è l’idea della nostra vita-madre. Qualcosa alla quale non si può fare a meno di tornare, perché appartiene alla nostra origine. E dunque proprio a coloro che amano Roma, ai suoi abitanti, alle centinaia di migliaia di visitatori che ogni anno vengono da ogni parte del mondo a scoprirla, a coloro che la sognano da lontano, questo libro è dedicato. 

Si è scelto un itinerario tematico, che attraversa la Città Eterna, nei suoi più diversi aspetti: nella prima parte La Roma misteriosa dei Papi, si affrontano le uccisioni, i riti segreti e macabri, conclavi come complotti, sparizioni, spie, messaggi segreti, avvelenamenti, cadaveri fatti sparire: la storia di duemila anni di Papato a Roma, oltre alla guida del cattolicesimo nel mondo, è anche questo; la seconda parte è dedicata al mondo sotterraneo: dalle origini della Cloaca Maxima, la rete fognaria più antica del mondo, il mistero dei cunicoli, degli antri segreti della Roma Antica che ancora oggi ospitano vita e leggende, delle Catacombe lungo le vie consolari e nelle antiche chiese: centinaia di chilometri di cunicoli nascosti, passaggi segreti, migliaia di sepolture, una specie di città parallela, la città dei morti, teatro in passato di antichi riti e oggi di complicate esplorazioni; la terza parte si occupa invece delle visioni e dei fantasmi che hanno scandito la vita millenaria di Roma: la città eterna è stata la città che forse più di ogni altro, ha celebrato l’unione dell’uomo con il fantastico, visioni religiose che hanno cambiato la storia del Cristianesimo, e che sono proseguite fino ai giorni nostri e apparizioni di fantasmi pagani, che sin dalla Roma Antica e più indietro nel tempo fin dalla sua fondazione hanno segnato la storia della città; nella quarta parte si affronta la Roma capitale dell’esoterismo (dagli antichi riti mitraici, fino ai Cavalieri di Malta e ai Templari, Roma ha esercitato un potere di fascinazione nei confronti di logge, massonerie, sette alchemiche, una lunga storia che viene narrata attraverso i luoghi più rappresentativi); nella quinta parte sono protagonisti gli obelischi, le guglie, le reliquie, le torri (con i suoi tredici obelischi originali egizi - la città che ne ha di più al mondo - e con il suo incredibile elenco di colonne, torri e campanili, Roma è la città che più ha cercato di elevarsi, nel corso della sua storia, verso il cielo, verso il mistero dell’universo); nella sesta parte verrà dato spazio alla Roma del terrore (da Campo de’ Fiori, teatro del macabro rogo di Giordano Bruno, al Palco delle decapitazioni di Castel Sant’Angelo, dove si esibiva il celebre Mastro Titta, ai martiri cristiani); le rovine sono poi le protagoniste della settima parte (sono moltissime le storie di sapore gotico legate a questi luoghi che esprimono la grandezza della città eterna nel tempo, e il suo lento, continuo decadimento); l’ottava parte è dedicata alle statue di Roma (ci sono nella città Eterna quelle che parlano: dalla più celebre, quella di Pasquino, a quella del Marforio, finita per diventare il simbolo de La Grande Bellezza, il film con il quale Paolo Sorrentino ha vinto il premio Oscar); nella nona parte il protagonista vero è il Tevere, con i luoghi e le storie del fiume che hanno accompagnato quasi tremila anni di storia di Roma; e infine l’ultima parte che è un omaggio agli angoli più nascosti della Città, agli aneddoti e alle storie più sconosciute. Questo libro si propone dunque di non essere solo memoria. Ma  tessuto vivo. Il fascino di Roma è presente ogni giorno proprio grazie alla sua storia millenaria, che non si finisce mai di raccontare. 

Scriveva Sigmund Freud: Facciamo dunque un ipotesi fantastica che Roma non sia un abitato umano, ma un'entità psichica dal passato similmente lungo e ricco, una entità in cui nulla di ciò che un ha acquistato esistenza è scomparso, in cui accanto alla più recente fase di sviluppo continuano a sussistere tutte le fasi precedenti. In questa continua commistione tra presente e ieri, tra storia e quotidiano sta forse il segreto più suggestivo di questa città immortale.

22/11/15

"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così" - "Tumbas", l'ultimo libro di Cees Nooteboom.



«La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare.» Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. 

Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent’anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un’epigrafe toccante o l’incanto di un’atmosfera, hanno ancora da raccontare. 

Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell’isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag

Ogni tomba è un lampo sul mondo dello scrittore che la occupa, rievocando una poesia, un frammento di vita o di libro, ispirando folgoranti riflessioni e inattesi collegamenti, in un appassionante pellegrinaggio indietro e avanti nella storia della letteratura e del pensiero, che con Nooteboom diventa una meditazione poetica sull’uomo, il tempo e l’arte. 

Mentre a ogni pagina cresce il desiderio di andare a leggere e rileggere le opere dei suoi cari immortali


Cees Nooteboom

21/11/15

"A capo della congiura, il tempo", le poesie di Raoul Precht.




Dopo la traduzione e la cura di Schulin di Sternheim, ancora inedito in italia, sempre per La Camera Verde,  e dopo le poesie de I viaggi dell'Ofiuco, portati anche in uno spettacolo a Roma, torna Raoul Precht, con una nuova raccolta poetica, appena pubblicata sempre da La Camera Verde, A capo della congiura il tempo. 

Nella consueta eleganza della veste grafica di queste edizioni, Precht propone due poemetti, Oscure dimore e La festa, già pubblicati nella Italian Poetry Review (VIII, 2013, pp.91-98) e una nuova raccolta di dodici liriche, A capo della congiura, il tempo, scritta nel gennaio del 2015.

Tutti e tre i lavori sono molto interessanti. La voce poetica di Precht è sempre più limpida, nuda ed essenziale. 
In Oscure Dimore, la tentazione di un bilancio di vita - Scoprirò le strade che ho già percorso/ritroverò i ciottoli/ i dolori di un tempo, mummie/ che imperlano il cammino verso la comune/ partenza - si mischiano ad annunci di contese non solo esistenziali (che in questi giorni d'Europa risultano quanto mai profetici): Sussulti di battaglie e la gente / - uno sciame - che s'apre/ alla violenza di ogni ora, / comodamente acquattata tra i tavoli/ del bar, in attesa che tutto taccia.  

Ne La Festa - cinque parti compatte - il desiderio o l'ambizione di estraniarsi dal gioco dissennato del mondo - il biglietto d'invito, l'ho bruciato/ Chi è di spuria origine resti fuori/ dalla mischia: solitudine esigo/ come un flagello, ma è falso il piacere - è colmo di malinconia e sofferenza. 

Infine, nell'ultima parte, A capo della congiura, il tempo, Precht offre una meditazione filosofica e poetica sul tempo, con straordinarie immagini (nella savana dei nostri rimpianti; potrei ritirare le truppe biancorosse/e del mondo tutte le tastiere scordare; un piano inclinato d'alabastro - così/ m'immagino l'amore, che vive di macchie) sui suoi beati inganni e sulla sua imperdonabile condanna. Ma è solo con il tempo, sembra suggerire Precht, che si può gabbare il tempo.  Altro non (ci) è dato, e forse non è poco. 

Fabrizio Falconi 


20/11/15

"Un amore degli anni venti" di Simone Caltabellota, i meravigliosi tempi di Sibilla Aleramo. (Recensione)




Finalmente un libro diverso

Simone Caltabellota, con pazienza certosina e amore appassionato ha ricostruito una storia perduta italiana, dell'Italia degli anni venti, una vicenda d'amore (e non solo amore, ovviamente) tra una grande scrittrice e un giovane mago, Sibilla Aleramo e Giulio Parise. 

Ma il libro è molto di più: è la ricostruzione meticolosa di quella complessa trama di relazioni, intrighi, rancori, disegni politici, tradimenti intellettuali, tradizioni iniziatiche e pratiche magiche - come recita la bandella del volume - che ruota intorno al misterioso «Gruppo di Ur» e alle figure di Julius Evola e del matematico pitagorico Arturo Reghini, avendo come teatro la Roma magica di quegli anni, con i suoi palazzi, i caffè, i teatri, le biblioteche, e anche i commissariati di polizia. 

Fu proprio durante il Ventennio infatti che la storia d'amore tra Sibilla Aleramo, all'epoca una scrittrice già famosa e  Giulio Parise, molto più giovane di lei, bellissimo e misterioso, sfida le convenzioni e la rigida disciplina di quegli anni, rispolverando l'antica e magica Sapienza pagana alle origini della civiltà italica e dell’intera cultura occidentale, quella stessa Sapienza alla quale in quegli anni si rivolgevano diverse associazioni filosofiche, massoniche, esoteriche in diverse parti d'Europa.

Sibilla e Giulio - del giovane Mago si sono perse le tracce definitivamente e al giorno d'oggi non esiste nemmeno una sua foto, per reperirla Caltabellota si è rivolto agli eredi, che ancora vivono a ROma - si incontrano, si amano, si perdono, si allontanano, si ritrovano, si tengono uniti sul filo di una esperienza iniziatica, una serie di prove che Giulio impone a Sibilla insieme alla sua distanza

E Caltabellota ricostruisce questa vicenda, mai raccontata, passo dopo passo, attingendo direttamente dalla Fondazione Gramsci e dall'Archivio Aleramo dove sono custodite le lettere originali, i biglietti autografi, le fotografie. Sono le voci di quel mondo apparentemente lontano e invece molto moderne, con le sue inquietudini, i suoi strappi, i suoi disorientamenti tra desiderio di elevazione e passioni divoranti. 

Pagina dopo pagina affiora il destino perduto di Sibilla, il suo amore che non si è completamente concesso, che è rimasto sempre misteriosamente negato, il volto di Giulio che appare e scompare, tra le diatribe di Reghini ed Evola che si accapigliano sulle riviste dell'epoca su ardue questioni filosofiche che soltanto in apparenza celano i risentimenti e i risvolti passionali, nei confronti di quella donna, Sibilla, che ha saputo tenere magicamente i fili di vicende così diverse, restando protagonista, restando sempre, anche di fronte alla sofferenza, nuda, se stessa. 

Un amore degli anni Venti 
Simone Caltabellotta 
Collana: Scrittori 
Ponte alle Grazie
Pagine: 192Prezzo: € 15.00

Fabrizio Falconi