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07/07/17

Aprono al pubblico (appena restaurate) le Stanze di Elena, la madre di Costantino, a Santa Croce in Gerusalemme.




Nuove scoperte nell'area archeologica di Santa Croce in Gerusalemme all'interno delle Domus costantiniane

Grazie alla nuova indagine della Soprintendenza Speciale di Roma sono emersi tre ambienti finora sconosciuti della Domus dei ritratti, che chiariscono la struttura e le funzioni di questa residenza dei dignitari della corte di Elena, madre dell'imperatore Costantino.

La zona della Domus dei ritratti e della Domus della fontana e' stata anche interamente restaurata, dando risalto alle murature e ai pavimenti, con i loro preziosi mosaici del IV secolo. La pulitura degli ambienti e le nuove scoperte hanno anche reso piu' leggibile ai visitatori il complesso residenziale con le sue divisioni e funzioni.

Le aperture speciali del comprensorio di Santa Croce in Gerusalemme - ha annunciato la soprintendenza - saranno articolate in due fasi: da domani 8 luglio fino al 16, le visite guidate saranno gratuite e senza prenotazione dalle 19 alle 20. 


Dal 21 luglio all'1 settembre tutti i venerdi' apertura gratuita dalle 20 alle 23 con visite guidate su prenotazione

"Lo scavo archeologico di questo lotto espande lo scavo delle Domus. Sono nient'altro che le residenze dei cortigiani di Elena, madre di Costantino che agli inizi del IV secolo si stanzia a Roma come reggente, mentre il figlio va a Costantinopoli", ha spiegato il soprintendente Francesco Prosperetti. "Abbiamo messo in luce nuovi ambienti che danno nuove notizie su un ingresso della Domus principale, la Domus dei ritratti. Il restauro inoltre ha permesso di stabilire meglio le divisioni tra le varie stanze", gli ha fatto eco l'archeologa Anna De Santis.

03/07/17

Fu la Malaria a fermare Attila ? Scoperte affascinanti lungo il Tevere.





Potrebbe essere stata la presenza di una vasta area infestata dalla malaria nella zona dell'attuale Lugnano in Teverina tra i motivi principali che hanno arrestato l'avanzata di Attila, re degli Unni, verso Roma: e' al momento solo una teoria storico-scientifica, ma su di essa stanno lavorando, per cercare di approfondire tutti gli aspetti e trarne un quadro definitivo, gli archeologi di Stanford University, Yale University e Universita' dell'Arizona, impegnati negli scavi nella necropoli di Villa Gramignano. 

Le ricerche potrebbero così dare una risposta a uno dei misteri più resistenti della storia, sul perché cioè, nel 410 durante la sua travolgente invasione dell'Italia, dal Nord al Sud, Attila decise di fermarsi, di tornare indietro, risparmiando così Roma dai suoi saccheggi. 

Ricerche che non e' escluso possano fornire elementi importanti ed utili anche per la ricerca medica, in particolare proprio sulla malaria

Nella necropoli dei bambini, cosi' conosciuta al mondo scientifico, e' stata infatti gia' da tempo scoperta la presenza di numerosi infanti morti a causa di un ceppo della malattia, il plasmodium falciparum, che provoco' molti decessi in poco tempo

"Quelle fatte a Poggio Gramignano sono scoperte eccezionali" ha detto durante la presentazione nella sede della Provincia di Terni dei risultati della campagna di scavi 2016, il sindaco di Lugnano, Gianluca Filiberti. 

 "Cio' che gli archeologi stanno cercando - ha continuato - e' una maggiore e definitiva certezza su cio' che si e' gia' trovato per un sito che potrebbe essere stato molto importante anche a livello storico". 

 La campagna di scavi 2016, svolta dall'equipe coordinata dal professor David Soren, ha proseguito il lavoro avviato sul sito tra la fine degli anni '80 e il 1992, che aveva portato alla luce i principali ambienti abitativi di una villa di epoca romana riutilizzata come necropoli a partire dalla meta' del V secolo d.C., da cui emersero i resti di 47 bambini morti. 

 I nuovi scavi hanno indagato una sezione della necropoli scavata solo parzialmente durante le passate campagne, permettendo di applicare le nuove tecniche d'avanguardia, per individuare piu' facilmente le prove di malaria. 

Oltre ai materiali fittili e ceramici e ai resti delle strutture murarie crollate, gli strati scavati hanno restituito un'abbondante presenza di ossa animali. La campagna di scavi del 2017 - e' stato spiegato stamani - continuera' sul progetto in itinere dallo scorso anno con la speranza di poter trovare sia ulteriori insediamenti relativi alla villa, sia per quanto riguarda la necropoli di bambini alla quale potrebbe aggiungersi quella degli adulti, vista l'epidemia malarica che causo' la morte dei piccoli. 

19/04/17

Torna a casa, in Italia, la meravigliosa Testa di Druso Minore .


Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e il Cleveland Museum of Art hanno raggiunto un accordo per restituire all'Italia una statua in marmo dell'inizio del 1° secolo a.C. raffigurante la testa di Druso Minore (13 a.C. - 23 d. C.). 

"Questa restituzione - ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini - è il frutto di un importante e proficuo accordo culturale e della piena collaborazione dei vertici del Museo con le autorità italiane. Ora attendiamo il ritorno dell'opera, che una volta in Italia verrà restituita al più presto a Napoli e alla sua comunità, da dove fu sottratta". 

"Abbiamo instaurato da molti anni un eccellente rapporto con il Ministero - ha dichiarato il direttore del Cleveland Museum, William Griswold - e non appena siamo venuti a conoscenza che le circostanze relative alla provenienza della scultura erano incoerenti con quanto ci risultava relativamente alla provenienza, la decisione di prendere contatto direttamente con il Ministero è stata facile, alla luce dell'esperienza di collaborazione con i colleghi italiani maturata in questi anni. Abbiamo collaborato proficuamente con il Ministero in primo luogo per chiarire le circostanze relative alla rimozione della statua e, in secondo luogo, per definire la decisione di restituire l'opera".

La scultura, precedentemente venduta in un'asta pubblica a Parigi nel 2004, era stata acquisita dal Museo nel 2012 dopo una ampia ricerca per confermare la sua provenienza. 

Quando il Museo aveva acquisito l'opera, si riteneva che la scultura provenisse originariamente dal Nord Africa. 

Nel momento in cui, in tempi più recenti, il Museo è venuto a conoscenza del fatto che la scultura poteva essere stata asportata illecitamente da un sito nei pressi di Napoli verso la fine della Seconda guerra mondiale, il Museo aveva prontamente contattato il Ministero. 

Druso Giulio Cesare (7 ottobre 14 a.C. – Roma, 14 settembre 23), nato come Nerone Claudio Druso ma meglio conosciuto come Druso minore (Drusus minor, per distinguerlo dallo zio Druso maggiore) o Druso II (per distinguerlo sia dallo zio sia dal nipote Druso Cesare), è stato un politico e generale romano, appartenente alla dinastia giulio-claudia. Figlio dell'imperatore Tiberio, fu sorpassato come erede alla porpora imperiale dal fratello adottivo Germanico, con il quale si instaurò un rapporto di conflitto ma anche di collaborazione. Dopo aver sedato una rivolta militare in Pannonia nel 14, venne eletto console per l'anno successivo.

Visse per un periodo nella capitale e prese poi l'incarico di governatore nell'Illirico, quando nel 19 Germanico morì, lasciando Druso come unico erede del Principato. Il giovane venne eletto console una seconda volta nel 21 e ricevette la tribunicia potestas nel 22, ma cadde nelle mire del potente e ambizioso prefetto del pretorio Seiano, per mano del quale morì.

fonte Lapresse

23/06/16

Torna a splendere dopo 40 anni il magnifico mosaico romano delle Terme di Caracalla .





Dopo 40 anni, grazie al finanziamento di Bulgari, torna a splendere uno dei più bei mosaici della palestra delle Terme di Caracalla a Roma. Il Soprintendente speciale per il Colosseo e l`area archeologica centrale di Roma Francesco Prosperetti e l`amministratore delegato di Bulgari Jean-Christophe Babin hanno annunciato il completamento del restauro della prima parte del mosaico policromo della palestra occidentale e, alla luce dei risultati, Babin ha espresso la volontà di Bulgari di finanziare la prosecuzione dei lavori nella seconda parte del mosaico ancora non restaurata. 

Avviati alla fine del 2015, i lavori sono stati realizzati dalla Soprintendenza grazie a una donazione di Bulgari facilitata dall`Art Bonus, e hanno riportato alla luce dei mosaici pavimentali in pregiati marmi policromi, caratterizzati da un raffinato motivo geometrico a ventaglio, e che da oltre 40 anni non erano visibili ai visitatori perché coperti con un tessuto e uno stato di terra per proteggerli dal possibile degrado

Sensibilizzata dalla Soprintendenza, Bulgari ha sostenuto questo complesso progetto, legato a un tesoro archeologico che in passato aveva affascinato i designer della Maison: infatti per Bulgari il restauro rappresenta il tributo a un luogo che è stato fonte di ispirazione primaria per la collezione di gioielli Divas` Dream, il cui disegno riprende proprio le linee pure e perfette dei mosaici delle Terme di Caracalla. 

"Questo intervento - ha spiegato il Soprintendente Francesco Prosperetti - conferma il rapporto privilegiato che Bulgari ha voluto instaurare negli anni con le Terme di Caracalla. La preziosità dei decori architettonici e gli sfarzi delle Terme costituiscono da sempre una fonte di ispirazione per la creazione, come è anche accaduto a Bulgari, che con generosità oggi ci ha annunciato un nuovo finanziamento per proseguire il restauro. 

L`Art Bonus si è rivelato anche in questo caso uno strumento efficace per la valorizzazione del nostro patrimonio". Jean Christophe Babin, amministratore delegato di Bulgari, ha commentato: 

"Oggi festeggiamo la conclusione di un restauro perfettamente eseguito ma anche l`inizio di un nuovo restauro su un`area adiacente e altrettanto significativa. Le Terme di Caracalla sono un gioiello archeologico nel cuore della Città Eterna, un luogo nel quale si respira tutta la grandezza della storia di Roma. Per un gioielliere come Bulgari, che pone la ricerca del Bello al centro della propria passione creativa, contribuire a valorizzare lo splendore racchiuso in un luogo così suggestivo è un motivo di grande orgoglio. E` stato quindi naturale rinnovare il nostro sostegno a un progetto che restituirà alla città e a questo monumento un tesoro rimasto celato per tanti anni".

Il restauro, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare si è proceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti; questa fase ha permesso il recupero di numerose tessere interrate, cosicché la reintegrazione del mosaico è avvenuta con pezzi originali; infine la pulitura definitiva, delicata per la presenza di incrostazioni minerali e diversificata tra le tipologie dei marmi, è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.

23/07/15

La remora è un pesce (ma nessuno lo sa). Jung e l'Echeneis.






Echeneis è il nome latino di un pesce molto particolare.

Di esso racconta Plinio nella sua Historia Naturalis, in un passo ripreso da Jung, in Aion

“La remora “ scrive Jung, “piccola per statura e grande per la potenza costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio in modo interessante e ameno tocco ‘ ai nostri tempi’ alla quinquereme dell’imperatore Caligola

Mentre questi ritornava dall’Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto

Tornato a Roma, dopo questo viaggio, Caligola venne assassinato dai suoi soldati. 

L’ Echeneis“ continua Jung, “agì dunque come praesagium, come piscis auspicalis, rileva Plinio. Un tiro analogo esso lo giocò a Marc’Antonio, prima della battaglia navale contro Augusto, in cui dovette soccombere

Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell’ Echeneis. La sua meraviglia impressionò evidentemente gli alchimisti al punto di indurli a identificare il ‘pesce rotondo del nostro mare’ con la Remora. 

La Remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio. Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è IL PIU’ PICCOLO DEL PICCOLO, PIU’ GRANDE DEL GRANDE."



24/04/15

Apre a Roma un luogo unico, mai visto: la Basilica Sotterranea Neopitagorica di Porta Maggiore.




Sacralità, mistero, magia. Chiusa al pubblico praticamente da sempre, riapre dal 26 aprile a visite guidate dopo una prima fase di restauri a Roma la Basilica Sotterranea di Porta Maggiore, straordinario e delicatissimo monumento pagano del I sec.d.C, forse luogo di culto o forse edificio funerario, comunque senza eguali in tutto il mondo romano con la sua struttura a tre navate con un grande abside, che anticipa le basiliche cristiane, e i raffinati stucchi che raccontano il suicidio di Saffo. 

Scoperta nel 1917, in seguito ad una frana nella soprastante ferrovia, la Basilica, che secondo alcuni studiosi ospitava un culto neopitagorigo, era stata restaurata più volte nel corso del Novecento, in particolare negli anni Cinquanta, quando a spese delle ferrovie era stata costruita anche una cupola in cemento armato per proteggerne la delicata struttura dalle vibrazioni dei treni e dalle infiltrazioni d'acqua, ma era poi rimasta sempre in condizioni critiche. 


Gli ultimi restauri, finanziati con 500 mila euro da Arcus spa, hanno riguardato la statica dell'edificio, le infiltrazioni d'acqua e l'inquinamento biologico. 

E ora i lavori proseguono con i finanziamenti ordinari della soprintendenza. 

Le visite, con prenotazione obbligatoria allo 0639967700, saranno comunque contingentate ( per il momento II e IV domenica del mese) proprio per non alterare il delicatissimo equilibrio della struttura.




13/02/14

La remora è un pesce (e nessuno lo sa).







Rèmora in italiano ha il significato di indugio, freno.
Secondo la Treccani il s. f. deriva dal lat. remŏra, derivato di mora, ovvero "indugio" nel doppio significato, letterale (coniugato al plurale) che definisce ciò che ritarda o ostacola qualcosa: non porre remore e di ciò che trattiene dall'agire (non avere remore; essere senza remore).

Ma le Remore, pochi lo sanno, sono anche dei pesci che, muniti di una sorta di ventosa, si attaccano a scafi o a pesci più grandi facendosi trainare - e in antichità (e l'immagine rende bene il senso generale di "remora") si pensava che questi pesci potessero addirittura fermare le navi, da cui il loro nome.

Appartengono alla famiglia delle Echeneidi, presenti in tutti i mari del mondo, a eccezione di quelli freddi, con 4 generi, tra i quali Echeneis e Remora. Hanno corpo slanciato, lungo circa 70 cm, manca la vescica natatoria; sono provvisti di un organo di adesione discoidale situato sul capo e derivato da una trasformazione della prima pinna dorsale, con cui si attaccano a grossi pesci e battelli.

È presente anche nel mar Mediterraneo, anche in acque italiane. Il disco adesivo giunge all'altezza delle pinne pettorali. Il colore è grigio scuro o nero con opercoli e bordi delle pinne chiari. Misura fino a 70 cm.

E' ovvio per queste sue caratteristiche, come questo animale abbia, sin dall'antichità attratto su di sé fortissime connotazioni simboliche.

Come scrive Carl Gustav Jung, in Aion – Ricerche sul simbolismo
La Remora, piccola per statura e grande per la potenza, costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio toccò alla quinquereme dell'imperatore Caligola. Mentre questi ritornava dall'Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto. Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell'Echeneis. La sua meraviglia evidentemente impressionò gli alchimisti al punto di indurli a identificare 'il pesce rotondo del nostro mare' con la Remora. La Remora divenne così il simbolo dell'estremamente piccolo nella vastità dell'inconscio, che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l'Atman, quello di cui si dice che è il più piccolo del piccolo, più grande del grande. 

Ispirandoci alle caratteristiche di questo pesce, nel 2003, Filippo Tuena ed io abbiamo creato e diretto una collana di poesia, Le Remore, nel quale sono stati presentati testi poetici di narratori, saggisti e scrittori che raramente hanno pubblicato versi attribuendo a questa forma, il valore di sperimentazione o palestra intima personale.  A volte, l'esigenza di emergere dal mare profondo può spingere queste parole nascoste verso la superficie. Allora, come la remora di Jung, la loro forza può stupire e costringere le grandi navi a fermarsi.

09/12/13

Esce nell'Orsa Maggiore della Treccani, l'Enciclopedia su Costantino I imperatore.



Da sempre l’Istituto della Enciclopedia Italiana svolge il compito di diffusione del sapere umanistico e scientifico, sia nella prospettiva dello studioso che del semplice lettore desideroso di conoscere. In questa prospettiva, un posto di particolare importanza spetta ad alcune opere tematiche di ampio respiro dedicate dall’Istituto ai maggiori protagonisti della storia e della cultura italiana nella collana “Orsa Maggiore”: Virgilio, Orazio, Dante, Federico II, a ciascuno dei quali è stata dedicata un’opera in più volumi. 

In “Orsa Maggiore” si inserisce, in occasione del diciassettesimo centenario dell’editto di Milano (313 d.C.), l’Enciclopedia Costantiniana in tre grandi volumi, che l’Istituto Treccani ha realizzato in collaborazione con la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con l’autorevole e prestigiosa direzione scientifica di Alberto Melloni, Peter Brown, Johannes Helmrath, Emanuela Prinzivalli, Silvia Ronchey e Norman Tanner, e un Comitato d’onore che comprende S.S. Bartholomeus I, Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma e Patriarca Ecumenico e S.Em. Angelo Scola, Cardinale Arcivescovo di Milano.

Alberto Melloni - Storico della Chiesa italiano. Professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia, titolare della cattedra Unesco sul Pluralismo Religioso e la Pace dell’Università di Bologna e direttore della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna. 

Peter Brown - Storico irlandese della cultura tardo-antica, professore di storia alle università di Londra , di Berkeley e dal 1986 di Princeton. Nel 2011 è stato insignito del Premio Balzan per il suo contributo allo studio dell'epoca tardoantica.

Johannes Helmrath – Professore di Storia medievale presso la Humboldt-Universität di Berlino e membro del Comitato pontificio di scienze storiche presso la città del vaticano. Angelo Scola - Ecclesiastico italiano. Dal 2002 patriarca di Venezia, nel 2003 è stato creato cardinale da Giovanni Paolo II; nel giugno 2011 è stato nominato arcivescovo di Milano da Benedetto XVI, succedendo nella cattedra a D. Tettamanzi.

Un imponente affresco su un’intera epoca
L’opera contiene una presentazione ad ampio spettro di ogni aspetto legato alla figura di Costantino I, che, con l’editto, unì per sempre al suo nome il concetto di libertà religiosa e la neutralità dello stato in materia religiosa.
Nei tre volumi si trovano la biografia dell’imperatore romano e la costruzione della sua immagine, la discussione critica e la riproposta, nelle epoche successive, del modello costantiniano. 150 autori studiosi di fama internazionale, scrivono i saggi che contribuiscono a delineare un quadro organico e costituiscono una tappa fondamentale nella storia degli studi e della riflessione su Costantino il Grande, con un bilancio critico ma anche con l’apertura di nuovi percorsi di ricerca. L’Enciclopedia Costantiniana è divisa in sei ambiti tematici, a partire dall’analisi della figura dell’imperatore nel contesto del suo secolo: la vita, la religiosità, le scelte politiche, le realizzazioni architettoniche e urbanistiche, le testimonianze iconografiche ed epigrafiche, la rappresentazione del potere. La prospettiva si allarga poi al contesto storico dell’operato di Costantino: un affresco di ampio respiro, nel quale un’intera epoca è ripercorsa con attenzione ai diversi ambiti della geografia, dell’amministrazione, del diritto, della filosofia e soprattutto della religiosità. Grande spazio è riservato alla storia del cristianesimo prima e dopo Costantino. Un grande dibattito storiografico
Le altre quattro grandi aree tematiche sono dedicate alla formazione dell’immagine di Costantino tra IV e VI secolo attraverso l’opera dei panegiristi e dei biografi, nella letteratura patristica e monastica, nell’iconografia, nella riflessione giuridica e storiografica. Segue la storia del mito di Costantino nell’Europa medievale e nell’Oriente bizantino, mentre nella sezione dedicata all’Europa moderna è studiata la figura dell’imperatore dall’Umanesimo alla Riforma e alla Controriforma, fino all’Illuminismo e alla storiografia dell’Ottocento. Grande rilievo ha anche l’ultima parte dedicata al Novecento, con riferimento al grande dibattito storiografico, alla riflessione teologica e ancora alla fortuna di Costantino nel pensiero giuridico e politico, fino ad arrivare alla letteratura, al cinema e alla televisione.

CARATTERISTICHE DELL'OPERA Edizione limitata e numerata in 2.999 copie 3 volumi di circa 1000 pagine oltre 150 saggi 6 sezioni tematiche 500 illustrazioni Legatura in tutta pelle trattata in fossa della Conceria 800 Ciascun volume è custodito in un cofanetto foderato in moirè

12/04/12

Gli obelischi di Roma - 3. Obelisco Vaticano




Torniamo dunque, ai nostri obelischi (qui le precedenti puntate). E oggi è di volta il terzo in ordine di erezione: l'obelisco vaticano, il più misterioso di tutti, proprio perché l'unico rimasto sempre in piedi.
Se è vero quello che viene riportato dai Vangeli apocrifi, e soprattutto negli Atti di Pietro, questo obelisco ha 'assistito' al massacro dei cristiani, ordinato da Nerone a seguito dell'incendio di Roma nel 64 d. C. per allontanare da sé l’accusa di averlo provocato.
Nerone incrimina di esso i Cristiani e ne mette a morte, secondo le fonti dell'epoca, una multitudo ingens, fra atroci sofferenze, negli horti Neroniani in Vaticano (Tacito, Annali XV, 44). 

Per capire bene lo svolgimento della scena, bisogna capire cosa era il Circo Neroniano, in realtà già di Caligola: era una grande arena (non paragonabile alle dimensioni del Circo Massimo, ma con nella spina centrale proprio il nostro Obelisco ). 

Gli Horti sono quella macchia di vegetazione al di sopra del Circo. Erano - e sono - le pendici del Colle Vaticano. In quell'epoca, lì esisteva una strada di collegamento che permetteva l'ingresso a chi arrivava dal Nord di Roma. 

La storia di questo obelisco ne fa uno degli oggetti più importanti nella storia dell'umanità. 

3. Obelisco Vaticano 

spostato nella destinazione attuale nel 1585 – 

altezza m.23,36.

L’unico sempre rimasto eretto. 

Secondo Plinio, fu originariamente eretto da Nencoreo (Nebkaure Amenemhet II) figlio di Sesotide (1992 – 1985 a.C.), a Eliopoli - oggi periferia de Il Cairo.

Rotto durante i lavori di allestimento romani del Forum Iulium ad Alessandria, compiuti da Cornelio Gallo, l'Obelisco aveva in origine dimensioni gigantesche: 52 m. e 50 cm di altezza !

Dopo la rottura, il fusto superiore alto m.25,36 (l’attuale obelisco) fu trasportato a Roma dalle navi romane per ordine di Caligola intorno al 30 a.C., ad ornamento del suo circo privato sul Colle Vaticano (con iscrizione dedicatoria, ancora visibile, a Cesare, Augusto e Tiberio ). 

Anepigrafo, cioè privo di geroglifici. 

Eretto originariamente sul lato sinistro della Basilica Vaticana (a fianco dell’attuale Sagrestia, dove una lapide sul pavimento ne ricorda ancora oggi l'originaria ubicazione). 



nella foto qui di fianco si legge: ('SITO DELL'OBELISCO VATICANO FINO ALL'ANNO 1586')


Fu spostato al centro della piazza San Pietro (appena 200 metri di 'cammino'), dove è posizionato oggi, sotto Sisto V , dopo incredibili lavori (che coinvolsero 400 carri trainati da quadrighe e migliaia di operai e facchini)  coordinati  dall’architetto Domenico Fontana in tredici mesi dal settembre 1585 al settembre 1586.



La storia di questo obelisco, dunque è lunga 4.000 anni !  E comincia due millenni prima di Cristo, in Egitto. 
Come abbiamo poi già detto, l'Obelisco Vaticano è l'unico risparmiato dall'ondata devastatrice dei Goti, comandati dal Re Totila, che quando entrano a Roma nel 546, mettendola a ferro e fuoco, abbattono tutti gli obelischi, in quanto simbolo della grandezza e della prepotenza di Roma. fermandosi soltanto di fronte a quello Vaticano. 

Di fronte all'Obelisco, infatti, era stata eretta la grande Basilica Costantiniana, in onore dell'Apostolo Pietro, sul luogo della sua sepoltura.  

Anche i Goti rispettarono dunque questa memoria, considerando che non erano ancora passati  500 anni dalla morte di Pietro.

Sull'enorme piedistallo dell'attuale Obelisco si leggono le iscrizioni dedicatorie: 

SIXTUS V PONTIFEX MAXIMUS OBELISCUM VATICANUM DIS GENTIUM IMPIO CULTU DICATUM AD APOSTOLORUM LIMINA OPEROSO LABORE TRANSTULIT ANNO MDLXXXVI PONT II
cioè (più o meno):


"Sisto V Pontefice Massimo fece porre con immenso sforzo l'obelisco vaticano di fronte all'ingresso. Esso era stato originariamento dedicato a divinità pagane attraverso cerimonie profane. Anno 1586, secondo anno del ponteficato".


Le iscrizioni sugli altri lati recitano: 
"CHRISTUS VINCIT CHRISTUS REGNAT CHRISTUS IMPERAT CHRISTUS AB OMNI MALO PLEBEM SUAM DEFENDAT"
e
"ECCE CRUX DOMINI FUGITE PARTES ADVERSAE VICIT LEO DE TRIBU JUDA"   



Fabrizio Falconi © riproduzione riservata. 

28/05/11

Hic iacet - Le parole della soglia - 1



LE PAROLE DELLA SOGLIA

Vorrei parlare delle parole che girano intorno alla morte.
Intendo dire delle parole che vengono pronunciate in circostanze di morte, e che vengono scritte, ripetute, trasmesse in circostanze di morte.

Una volta veniva attribuita grande importanza alle parole pronunciate in punto di morte, nel deliquio della morte – e queste erano spesso interpretate come buono o cattivo segno per l’anima del morituro nel suo passaggio all’altra vita – ma anche alle parole che i sopravvissuti pronunciavano per la morte di una persona.
La parola Epitaffio già dall’etimologia ci spiega il suo senso: ‘sopra’ e ‘tomba’: parole pronunciate sopra una tomba.
L’epitaffio è l’equivalente greco di quella che i romani chiamavano oratio funebris , e solo in epoche relativamente recenti è stato riferito alla scritta, cioè alla iscrizione posta sopra le lapidi.

Originariamente l’epitaffio era il discorso che veniva pronunciato ‘a caldo’ , in rigor mortis , sul corpo appena toccato dalla morte.

Era quindi, per forza di cose, un discorso grave, ispirato, pronunciato da chi conosceva bene il morto, da chi poteva tesserne le lodi e onorarne il ricordo. Tutto ciò non solo per una scarna esigenza celebrativa. Il discorso in memoriam aveva un compito importante, quello di scandire le immagini della persona che non c’è più, di imprimerle nella memoria di chi resta, di chi gli sopravvive.

In mancanza di una immagine reale da poter trasmettere, l’orazione funebre era la ‘fotografia’ di colui che scompariva per sempre, il suo ricordo per le generazioni future, tramandato oralmente. E le parole divenivano dunque ricordo, si facevano carne ancora viva.

L’epitaffio è anche divenuto con il tempo una ‘formula’. Una formula che in qualche modo si pretendeva – e si pretende – possa racchiudere l’anima, lo spirito della persona che non c’è più.

Questa ‘formula’ è divenuta la stessa iscrizione posta sulla tomba, sulla lapide e molto spesso l’epitaffio era proprio una sintesi dell’orazione funebre pronunciata dopo la morte.

L’iscrizione funebre è divenuta subito però qualcosa di fondamentale, non di ‘ornamentale’ rispetto al luogo della morte: simbolo, segnale della presenza di uno spirito ‘ che parla ‘ e che continua a parlare a chi cammina, e a chi, camminando dimostra di essere vivo, e nel suo camminare ‘passa’ di fronte al luogo della morte.

In epoca romana le iscrizioni funebri hanno raggiunto vertici inarrivabili di creatività e questa tradizione, sebbene ridimensionata è giunta fino ai giorni nostri, una caratteristica che differenzia i nostri cimiteri di oggi rispetto a quelli ad esempio anglosassoni che si limitano generalmente a riportare solo il nome e le date di nascita e di morte.

Fabrizio Falconi  © riproduzione riservata

1/5

18/04/11

QUANDO PIETRO DOMANDO’: “DOMINE, QUO VADIS?” – UN LUOGO DIMENTICATO.




Gli americani ci hanno realizzato sopra addirittura un kolossal, uno dei maggiori incassi di sempre al botteghino, quel "Quo vadis ?", regia di Mervyn LeRoy, che nel 1951, ricostruì una Roma antica di cartapesta, commuovendo le platee con la storia dell’amore impossibile tra il patrizio romano Marco Vinicio-Robert Taylor e la bella cristiana Licia-Deborah Kerr.

In realtà il ‘drammone’ sentimentale era solo il pretesto per raccontare, in forma popolare e romanzata, l’alba del Cristianesimo a Roma, il periodo più buio e terribile della sua storia, quando le persecuzioni dei Romani causarono migliaia di vittime presso gli adepti della nuova religione ‘importata’ dalla lontana Palestina.

Il film, basato sull’opera letteraria dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz che per l’omonimo romanzo ricevette il premio Nobel nel 1905, terminava con un famoso passo riportato dalla tradizione storica, quello di San Pietro che lascia Roma, a causa della persecuzione, e lungo la Via Appia incontra Gesù Cristo morto e risorto molti anni prima, che alla domanda di Pietro: “ Domine, quo vadis ? “ , “ Signore dove vai?” , risponde: “ Venio iterum crucefigi, “ , e cioè “ Vengo a farmi crocifiggere di nuovo “.

E’ un severo ammonimento, non il primo a dir la verità, anche leggendo i Vangeli, che il Signore rivolge al suo apostolo preferito, quello sul quale ha stabilito che venga costruita la sua Chiesa. Da questo ammonimento Pietro deduce che non è il caso, per lui, di fuggire il martirio. Cambia direzione di marcia, fa ritorno nell’Urbe, e poco tempo dopo finisce i suoi giorni sul Colle Vaticano nello stesso brutale modo imposto al Messia, e cioè crocefisso, ma, per sua stessa richiesta - giudicandosi indegno di questa emulazione - con la testa in giù.

Tutto ciò noi sappiamo appunto, da una tradizione prima orale, poi scritta, millenaria, giunta fino a noi dalla prima, primissima comunità cristiana.
In realtà del martirio di Pietro, dal punto di vista delle conferme storiche, nulla si sa. Nulla viene detto negli Atti degli Apostoli, così come della morte di San Paolo, che la tradizione vuole sia avvenuta sulla Via Ostiense, dove oggi sorge la Basilica a lui intitolata, e dove riposano le sue spoglie.

Le notizie su ciò che accadde nel primo secolo ai cristiani, nella Roma di Nerone, arriva ai nostri giorni con fonti unicamente pagane, che però, da un punto di vista filologico, sono ancora più attendibili delle credenze o dei racconti religiosi.

Così sia Tacito, che Lattanzio, o Sulpicio Severo, concordano nel racconto del martirio dei due apostoli, simboli della cristianità, nei modi e nei luoghi che la tradizione continua a perpetuare.
E oggi gli studiosi sono in grado anche di speculare sulle date esatte del sacrificio di Paolo, come di quello di Pietro.

Quindi, nonostante l’assenza di un racconto neo-testamentario, ci sono pochi motivi per dubitare che qualcosa debba essere successo in quel punto dell’Appia antica che ancora oggi esiste, quel punto esatto nel quale antica regina viarum si biforca dando vita alla via Ardeatina.
E’ un piccolo luogo di culto, oggi quasi del tutto dimenticato, soprattutto dai romani, anche se per molto tempo fu venerato come uno dei più insigni santuari della città.
Vi si ferma qualche raro torpedone di turisti giapponesi incuriositi dall’aneddoto che qui si celebra.

E invece è, ancora oggi, un luogo denso di fascino e di interesse.
Riedificata nel 1620 la chiesetta del ‘Domine quo vadis’ si chiama in realtà ‘ Santa Maria in Palmis ‘ , e anche questo nome si riferisce all’episodio dell’incontro di San Pietro con il Signore. Al termine di questo prodigioso incontro, infatti, riferisce la tradizione, il vecchio bastone nodoso usato dall’apostolo ormai in là con gli anni per camminare – un bastone scolpito nel legno di ulivo – miracolosamente fiorì, come se fosse appena stato reciso. E si sa che ‘palmis’ è appunto il nome latino della pianta di ulivo.

Entrando nella chiesetta oggi, si resta colpiti dall’atmosfera fuori dal tempo che vi si respira. Una sola piccola navata, e un modesto affresco nell’abside. Poi, facendo attenzione ai particolari, si scopre sul pavimento una striscia lastricata larga un paio di metri, che va da una parete all’altra della chiesa, dove campeggiano due affreschi, uno raffigurante San Pietro, e l’altro Gesù Cristo, nell’atto di quel famoso incontro.

La striscia lastricata, come avverte una lapide sul muro è stata realizzata, in occasione del rinnovo seicentesco della chiesa con i selci prelevati direttamente dalla Via Appia, distante del resto pochi metri.

Ed ecco, al centro di questa striscia, conservata sotto una arrugginita grata di ferro, una antica pietra del tutto consunta dall’adorazione dei fedeli, con l’impronta di due piedi. Cosa significa questo ? Si tratta di una delle reliquie più preziose e più misconosciute esistenti a Roma, perché si tratterebbe, secondo la tradizione millenaria, appunto, dell’impronta lasciata nientemeno che dai piedi di Gesù Cristo. Apparizione immateriale, spirito, ma abbastanza concreta da lasciare una così evidente traccia di sé.

Documentandosi meglio, si apprende poi che questa pietra, lasciata nella chiesa del Domine quo vadis al culto dei fedeli, è in realtà la sostituzione della vera pietra miracolosa che, dalla notte dei tempi fu spostata per una esigenza di maggiore protezione.

Spostata dove ? Non molto lontano, in realtà: la pietra sulla quale avrebbe posato i piedi il Dio dei Cristiani è attualmente sempre lungo la Via Appia, conservata nella chiesa di San Sebastiano, nella prima cappella a destra, detta appunto, cappella delle reliquie.

E’ curioso come molti cittadini italiani, e romani, credenti e praticanti, siano attratti dalla Terra Santa, dalla comprensibile attrattiva di visitare i luoghi che ‘parlano’ della presenza di Gesù, ignorando magari che a pochi metri da casa loro esistono testimonianze così suggestive della presenza del Cristo nella Città Eterna.

Una cosa che ben sapeva Henryk Sienckiewicz, che pure veniva da molto lontano, dalla Polonia, ma conosceva a menadito la storia e l’inesauribile tesoro che si cela nei luoghi di culto e nel sottosuolo di Roma.

Nel corso delle sue numerose visite, lo scrittore polacco visitava spesso, con un’opera di Tacito in mano, e con molto scrupolo, il Foro Romano. Poco prima di iniziare a scrivere “ Quo vadis ? “ , nella primavera del 1893, soggiornò a lungo all’hotel in via Bocca di Leone. Gli faceva da guida nelle sue visite romane un amico, il pittore Henryk Siemiradzki, anch’egli appassionato cultore della Roma antica. Fu proprio lui a condurlo in un giorno di quella primavera attraverso i segreti dell’Appia Antica. Sinckiewicz rimase colpito da quella piccola chiesa, al bivio con la via Ardeatina. Entrarono, e - dobbiamo presupporre – i due polacchi subirono quello stesso fascino che ancora oggi è possibile respirare in questo piccolo edificio dalla storia così alta.

Fu proprio lì, raccontò parecchi anni più tardi, che Sinckiewicz ebbe l’ispirazione per scrivere un grande romanzo storico sulla persecuzione dei cristiani e sulla Roma di Nerone.
“ Quo vadis ? “ battè i record mondiali per numero di traduzioni (uscì anche in arabo, giapponese, persiano ), oltre a coronare il primo premio Nobel per la Polonia. Niente male per un libro scritto in tre anni di lavoro. Sinckiewicz terminò di scrivere a Nizza, nel febbraio del 1896 e le ultime parole del suo romanzo sono ancora oggi molto toccanti:
“ E così trapassò Nerone, come passa il vento e la tempesta, fuoco, guerra o gelo, e la basilica di San Pietro domina da allora dalle vette del Vaticano, sulla città e sul mondo. “

Anche se oggi i romani appaiono piuttosto distratti riguardo la loro storia – ma questa forse è stata una costante nei secoli, con rare eccezioni – segni del passaggio di questo illustre ‘cittadino ad honorem ‘ restano e numerosi ancora oggi: a lui è intitolata una piazza, proprio al limitare di quella Villa Borghese che amava moltissimo. Così come non poteva mancare un ricordo in quella chiesa, che egli ha reso famosa nel mondo. Subito all’entrata di Santa Maria in Palmis, infatti, sulla sinistra, un busto in bronzo riproduce la sua effige, a perenne memoria.

Non solo: in Via Bocca di Leone, una lapide murata nel 1966 ( nel cinquantesimo anniversario della morte ) ricorda lo scrittore con questa dicitura: “Henryk Sinckiewicz, scrittore e patriota polacco, epico narratore delle eroiche gesta della sua nazione, autore del romanzo Quo vadis, premio Nobel per la letteratura, dimorò in questo albergo nell’anno 1893, nel cinquantenario della sua morte, Italiani e Polacchi posero. “


Fabrizio Falconi



09/04/11

IN HOC VINCES - Nuovo libro in uscita.


Sono molto contento di presentarvi l'uscita di questo nuovo libro, che ho scritto a quattro mani, insieme a Bruno Carboniero che è - materialmente - colui che ha compiuto una piccola grande scoperta, riferita ad una delle pagine più note della storia romana e della storia dell'Occidente tutta.

Tutto è cominciato quasi per caso proprio attraverso lo studio e il confronto tra appassionati che per lunghi mesi è andato in scena su un prolifico blog.

Dopo anni interi di lavoro, alla fine questi studi hanno preso forma in un libro che tra pochi giorni sarà in vendita nelle librerie. Questo è in sintesi, l'argomento.

La storia dell’Europa, e di tutto l’Occidente, è cambiata radicalmente con un un sogno premonitore: la notte del 27 ottobre dell’anno 312 d.C. l’imperatore romano Costantino è accampato con le sue truppe a poca distanza da Roma.

Il giorno seguente si scontra in battaglia col nemico Massenzio, schierato a difesa di Roma.

Durante il sonno, Costantino riceve la visione di Cristo che gli suggerisce di iscrivere sugli scudi il monogramma greco del Salvatore “XP” con la leggendaria promessa in hoc vinces (con questo vincerai).

Questo evento ha due fonti storiche principali, riferite da Eusebio di Cesarea (265 – 340) e Lattanzio (250 – 327).

I due resoconti hanno in comune un sogno che vide protagonista l’imperatore Costantino ed una croce, che gli sarebbe apparsa, presagio di vittoria.

La notte ed il cielo ci sono sembrati campi su cui indagare.

“In hoc vinces” è un avvincente viaggio nel tempo, alla ricerca di indizi archeologici, esoterici e astronomici nascosti dalla polvere dei secoli che, insieme al racconto della vita del leggendario imperatore romano e dei molti misteri legati alla vicenda storica che lo riguarda, offrono al lettore di oggi una nuova lettura e una inedita interpretazione di quel “segno”.

L’affermazione del Cristianesimo come religione dell’impero romano, la visione mistica prima della battaglia di Ponte Milvio, il lungo sodalizio con papa Silvestro I, la rivoluzione dell’architettura religiosa con la realizzazione delle prime grandi basiliche cristiane di San Giovanni in Laterano e San Pietro, il fondamentale contributo alla costruzione di una ortodossia teologica ed iconografica, le grandi vittorie ed il prezzo di sangue che tutto ciò comportò si arricchiscono, in questo studio, di nuovi e inaspettati contenuti.

a presto, dunque.

Intanto, altre notizie QUI.