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13/11/18

Libro del Giorno: "Sotto il tiro di presagi" di Paul Celan.



Dalla estesa produzione poetica di Paul Celan (1920-1970), Einaudi trasse qualche anno fa questo volume che contiene una parte delle quasi cinquecento poesie che dopo la morte tragica del poeta - annegatosi nelle acque della Senna -  in varie sedi furono ritrovate, in parte già pronte per essere date alla stampa, altre ricopiate più volte, corrette, datate, raccolte in cartelle. 

Una vera sorpresa che arricchisce la conoscenza di una delle voci poetiche più alte del Novecento ben oltre le celebrate raccolte di Papavero e memoria (1952), Luce Coatta (del 1970), Di soglia in soglia (1996) e Conseguito Silenzio (1998). 

Sono poesie drammatiche, terse o oscure allo stesso modo, personali ("Non ho mai scritto una riga che non abbia avuto a che fare con la mia esistenza", scriveva Celan nel 1962 all'amico Erich Einhorn) e collettive, sulla memoria, il tempo, l'incomunicabilità, il Sè e l'altro. 

Un vastissimo corpus - il volume raggiunge le 500 pagine - del tutto eterogeneo, dove si leggono poesie di un unico verso:   .... e la grandine mi colpiva dappertutto attorno a me (pag.205) e sequenze di un centinaio di liriche che si aprono con misteriose parole, neologismi criptici ed evocativi: Skat on, NONDIQUI, Gershom, Supermaestro, Rosipreti, Carriaggio Marino, Crivello, Annera, ecc...

Ad esse si aggiungono e si affiancano le poesie dove l'alta voce di Celan si leva maggiormente riconoscibile, nella luce e nei contrasti che la caratterizzano.  Nel diaframma spezzato che rimanda l'immagine di un'anima tormentata, eternamente alla ricerca di se stessa, perennemente in cerca di una (impossibile) salvezza.

Sotto il tiro di presagi, sempre.

Guardami attraverso,
eccomi, ancora una volta,
vieni 
più vicino, non mai
ero un altro 
che me stesso. 

Fabrizio Falconi

Paul Celan
Sotto il tiro di presagi
Poesie Inedite 1948-1969
Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien
Einaudi 2001 

28/10/18

Poesia della Domenica - "Canzone d'amore" di Ted Hughes.


Canzone d’amore
Lui la amava e lei lo amava
e i suoi baci le succhiavano via l’intero passato e futuro o così tentavano
lui non aveva altro appetito
lei lo mordeva lei lo morsicava lei suggeva
lo voleva completamente dentro di sé
sano e salvo per sempre e poi sempre
le loro piccole urla svolazzavano nelle tende
gli occhi di lei volevano che nulla si perdesse
gli sguardi di lei gli inchiodavano polsi mani gomiti
lui la avvinghiava stretta così che la vita
non la trascinasse via da quel momento
lui voleva che tutto il futuro cessasse
lui voleva buttarsi con le sue braccia intorno a lei
dall’orlo di quel momento e nel nulla
o durevole o quel che ci fosse
l’abbraccio di lei era un torchio immenso
a stamparselo nelle sue ossa
i sorrisi di lui erano soffitte d’un palazzo incantato
ove non vi giungerebbe mai il mondo reale
i sorrisi di lei erano morsi di ragno
così lui giacerebbe immoto fino a che lei non si sentisse affamata
le parole di lui erano esercizi d’occupazione
le risate di lei erano tentativi d’assassino
gli sguardi di lui erano proiettili pugnali di vendetta
le occhiate di lei erano spettri nell’angolo con orribili segreti
i sussurri di lui erano fruste e stivali
i baci di lei erano avvocati che non smettevano di scrivere
le carezze di lui erano gli ultimi ami di un naufrago
i trucchi d’amore di lei erano frantumazione di legami
e i loro gemiti profondi strisciavano sul pavimento
un animale trascinante una grossa trappola
le promesse di lui erano il bavaglio del chirurgo
le promesse di lei scoperchiavano il teschio
lei se ne farebbe fare una spilla
i giuramenti di lei gli mettevano gli occhi in formalina
sul fondo del suo cassetto segreto
le loro urla si appiccicavano alla parete
le loro teste si staccavano nel sonno come le due metà
d’un melone spaccato, ma è duro da smettere l’amore
nel loro sonno intrecciato si scambiavano braccia e gambe
nei loro sogni i loro cervelli prendevano l’un l’altro a ostaggio
il mattino portavano l’uno il viso dell’altro
Lovesong
He loved her and she loved him
His kisses sucked out her whole past and future or tried to
He had no other appetite
She bit him she gnawed him she sucked
She wanted him complete inside her
Safe and sure forever ad ever
Their little cries fluttered into the curtains
Her eyes wanted nothing to get away
Her looks nailed down his hands his wrists his elbows
He gripped her hard so that life
Should not drag her from that moment
He wanted all future to cease
He wanted to topple with his arms round her
Off that moment’s brink and into nothing
Or everlasting or whatever there was
Her embrace was an immense press
To print him into her bones
His smiles were the garrets of a fairy palace
Where the real world would never come
Her smiles were spider bites
So he would lie still till she felt hungry
His words were occupying armies
Her laughs were an assassin’s attempts
His looks were bullets daggers of revenge
Her glances were ghosts in the corner with horrible secrets
His whispers were whips and jackboots
Her kisses were lawyers steadily writing
His caresses were the last hooks of a castaway
Her love-tricks were the grinding of locks
And their deep cries crawled over the floors
Like an animal dragging a great trap
His promises were the surgeon’s gag
Her promises took the top off his skull
She would get a brooch made of it
His vows pulled out all her sinews
He showed her how to make a love-knot
Her vows put his eyes in formalin
At the back of her secret drawer
Their screams stuck in the wall
Their heads fell apart into sleep like the two halves
Of a lopped melon, but love is hard to stop
In their entwined sleep they exchanged arms and legs
In their dreams their brains took each other hostage
In the morning they wore each other’s face

12/10/18

Parla la figlia di Ezra Pound, mentre esce un nuovo libro: "Ho cercato di scrivere Paradiso".



In un castelletto sulla vallata di Merano in Alto Adige c'e' un pezzo dell'eredita' di un grande poeta americano, Ezra Pound

E' qui a Brunnenberg che vive la figlia Mary de Rachewiltz, e il castello e' anche museo, pieno di cimeli dei decenni che Pound passo' in Italia. Poetessa, saggista, traduttrice in italiano di Pound e altri poeti, Mary e' figlia della violinista Olga Rudge. 

Figlia illegittima, perche' Pound era sposato a un'altra donna. 

La sua e' una storia affascinante fra misteri e memorie. 

"Mia madre - spiega - voleva un figlio da mio padre; lui non ne voleva. Lei c`e' riuscita, solo che e' nata una figlia, e per lei e' stato un tale shock che non mi ha voluta". 

La bambina viene affidata a una balia tirolese, con cui vivra' fino ai dieci anni. Fino allora stato e' proprio Pound a occuparsene di piu', scrivendole, tenendo i contatti con la balia

"Lui veniva a Gais a trovarmi, ci sono tante foto" spiega Mary. "Io con mio padre mi divertivo, con mia madre no. Mio padre era divertente". 

Ora, sull'autore dei celebri Cantos e' uscito per Mondadori unlibro di Alessandro Rivali, "Ho cercato di scrivere Paradiso". Spiega l'autore: "Il libro penso possa essere una sorta di biografia intima di Pound; tutto merito di Mary che mi ha regalato tante confidenze, che credo per la prima volta vengano portate in Italia al grande pubblico"
https://www.librimondadori.it/libri/ho-cercato-di-scrivere-paradiso-alessandro-rivali/

In Italia il ricordo di Ezra Pound e' legato al fascismo; Pound apprezzava Mussolini, tenne discorsi dall'Eiar fascista, dopo la guerra fu incarcerato e passo' tredici anni in manicomio in America come traditore della patria. Ma Pound era un poeta, e di politica, dice la figlia, si interessava quasi per paradosso. Aveva altro da fare: leggere, scrivere, studiare. 

Se il grosso del suo archivio e' alla Yale University, qui in Alto Adige ci sono ancora tutti i suoi libri fittamente annotati. Mary de Rachewiltz ha anche portato in tribunale Casa Pound, per chiedere che non potessero usare il nome del padre. Ma ha perso. Oggi, dice, le dispiace solo "per i ragazzi in buona fede che credono di capire Pound attraverso la nostalgia del fascismo italiano. E questo e' completamente errato." 

E se Mary de Rachewiltz ha dedicato molti anni al padre e alle sue opere, non ha dubbi sulla propria competenza, ne' sente di aver vissuto all'ombra. "Almeno in casa mia ha sempre comandato la donna - dice. - A cominciare dalla mia balia, e da mia madre, e mia nonna... e qui credo che anche io ho avuto abbastanza da dire". 

07/10/18

Poesia della Domenica - "Distacco" di Evgenij Evtusenko.


Distacco

Chissà da dove
approdava un soffio
di fresca estate
tra il lungo gemito dei respingenti
e i secchi contraccolpi delle ruote,
e a un tratto - un dialogo:
"Indovina, amico mio, indovina
che ragazza ho incontrato!
Se solo potessi fare amicizia,
conoscerla meglio,
rivederla almeno una volta..."
"Ma piantala con queste assurdità!
Ma dove credi che la rivedrai?"
"La rivedrò"
"Ma davvero pensi che la ritroverai?"
"La ritroverò"
Ascoltavo, come una corda vibra al suono;
come un'eco, ascoltavo
le confidenze di sconosciuti.

Scusate.
Anch'io lasciavo qualcuno,
anch'io mi separavo
dalla mia ragazza.
Sì, mia brava ragazza,
che senso
ha lamentarsi perché ci attende
un nuovo disagio,
una nuova inquietudine?
Non te ne vai forse anche tu?
Ma tu, soltanto,
da una stazione diversa per diversa strada...
Non m'importa che la gente
di casa
dica di me:
"Quando si stancherà,
alla fine,
di ripartire, di andar lontano, sempre ?..."
Si, andarmene lontano, questo per me ci vuole,
correre col treno,
rotolare con la neve,
incontrarti di nuovo
e poi di nuovo -
via! partire.
A ogni nuova separazione,
sempre più ti avvicini.
A te
io vengo
per sentieri di cerca.
"Ma dove credi che la rivedrai?"
"La rivedrò!"
"Ma davvero pensi che la ritroverai?"
"La ritroverò!"


Evgenij Evtusenko
tratta da: Poesie, Traduzione di Alfeo Berdin, Garzanti 1970, p. 10.


30/09/18

La Poesia della Domenica - "La mia ospite di novembre" di Robert Frost.





La mia ospite di novembre
Quando lei, mio Dolore, è qui con me,
pensa che questi giorni melanconici
e piovosi d’autunno sono splendidi
come possono essere i giorni; ama
la nuda pianta che appassisce, e va
sull’umido sentiero in mezzo all’erba.
Il suo piacere m’inquieta: parla
e stupito l’ascolto; ed essa lieta
è della fuga degli uccelli e gode
se l’abito di lana, grigia e pura,
le inargenta la nebbia che l’avvolge.
Questi alberi deserti, desolati,
la terra illanguidita, il cielo cupo,
sono la vera bellezza che ammira:
per loro pensa ch’io non abbia sguardi
e mi chiede, insistente, la ragione.
Non è da ieri che imparai a conoscere
l’amore per i giorni desolati
di novembre, al presagio della neve;
vano sarebbe stato dirlo a lei
perché con la sua lode li migliora.
My November Guest
My Sorrow, when she’s here with me,
Thinks these dark days of autumn rain
Are beautiful as days can be;
She loves the bare, the withered tree;
She walked the sodden pasture lane.
Her pleasure will not let me stay.
She talks and I am fain to list:
She’s glad the birds are gone away,
She’s glad her simple worsted gray
Is silver now with clinging mist.
The desolate, deserted trees,
The faded earth, the heavy sky,
The beauties she so truly sees,
She thinks I have no eye for these,
And vexes me for reason why.
Not yesterday I learned to know
The love of bare November days
Before the coming of the snow,
But it were vain to tell her so,
And they are better for her praise.
(da A Boy’s Will, 1915)

05/08/18

Poesia della Domenica: "Sappi attendere" di Antonio Machado.






Sappi attendere, aspetta che la marea risalga
- come una barca in secco -
né t'inquieti il partire.

Solo chi attende sa che la vittoria tiene,
perché lunga è la vita, ed è l'arte un trastullo.
E se la vita è corta

e non lambisce il mar la tua barchetta,
senza partire aspetta e ancora aspetta,
che l'arte è lunga e, per di più, non conta.


Antonio Machado (1875-1939) - (traduzione di Sergio Solmi, nel Quaderno di Traduzioni, Einaudi, 1977).

01/07/18

Poesia della Domenica - "Ancora io mi solleverò" di Maya Angelou.


Ancora io mi solleverò

Tu puoi scrivere di me nella storia,
con le tue bugie amare e contorte.
Puoi calpestarmi nella sporcizia
ma io, come la polvere, mi solleverò.
La mia sfacciataggine ti irrita?
Perché sei assediato dalla malinconia?
Perché io cammino come se avessi pozzi di petrolio
che sgorgano nel mio salotto.
Proprio come le lune e i soli,
con la certezza delle maree,
proprio come la speranza che alta si slancia,
ancora io mi solleverò.
Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Le spalle cadenti come lacrime.
Indebolita dal mio pianto, che viene dall’anima.
La mia superbia ti offende?
Non prenderla così male.
Perché io rido come se avessi miniere d’oro
scavate nel mio cortile.
Puoi spararmi con le tue parole.
Puoi ferirmi con i tuoi occhi.
Puoi uccidermi con il tuo odio,
ma io, come l’aria, mi solleverò.
È la mia sensualità a disturbarti?
Ti arriva come una sorpresa,
il fatto ch’io danzi come se avessi diamanti
all’incrocio delle mie cosce?
Fuori dalle capanne della vergogna della storia,
mi sollevo.
Su, da un passato che ha le radici nel dolore,
mi sollevo.
Sono un oceano nero, ampio, che balza,
zampillando e gonfiandomi, genero nella marea.
Lasciando alle spalle notti di terrore e paura,
mi sollevo.
In un’alba che è meravigliosamente chiara,
mi sollevo.
Portando i doni che i miei antenati mi diedero,
io sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.


24/06/18

La Poesia della Domenica: "Il canto d'amore di J.Alfred Prufrock" di Thomas S. Eliot.




S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i'odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, «Posso osare?» e, «Posso osare?»
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -
(Diranno: «Come diventano radi i suoi capelli!»)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo -
(Diranno: «Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia!»)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte -
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
. . . . . . . . . . . .
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
. . . . . . . . . . . . .
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » -
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? -
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
. . . . . . . . . . .
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo -
E quasi, a volte, il Buffone.
Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
versione originale: 

01/04/18

La poesia di Pasqua: "Tu mi cammini a fianco" di Ada Negri.


Tu mi cammini a fianco


Ti mi cammini a fianco, 
Signore. Orma non lascia in terra il tuo
passo. Non vedo Te: sento e respiro
la tua presenza in ogni filo d'erba,
in ogni atomo d'aria che mi nutre.
Per la redola scura in mezzo ai prati
alla chiesa del borgo
tu mi conduci, mentre arde il tramonto
dietro la torre campanaria. Tutto
nella mia vita arse e si spense,come 
quel rogo ch'or divampa ad occidente
e fra poco sarà cenere ed ombra:
solo m'è salva questa purità
d'infanzia che risale, intatta, il corso
degli anni per la gioia
di ritrovarti. Non abbandonarmi
più. Fino a quando l'ultima mia notte
(forse stanotte!) non discenda, colma
solo di te dalle rugiade agli astri;
e me trasmuti in goccia di rugiada
per la tua sete, e in luce
d'astro per la tua gloria. 


Poesie, Milano, 1948, p.897




25/03/18

La poesia della domenica: "La poesia che non ho scritto prima" di Raymond Carver.



La poesia che non ho scritto prima
Ecco la poesia che volevo scrivere
prima, ma non l’ho scritta
perché ti ho sentita muoverti.
Stavo ripensando
a quella prima mattina a Zurigo.
Quando ci siamo svegliati prima dell’alba.
Per un attimo disorientati. Ma poi siamo
usciti sul balcone che dominava
il fiume e la città vecchia.
E siamo rimasti lì senza parlare.
Nudi. A osservare il cielo schiarirsi.
Così felici ed emozionati. Come se
fossimo stati messi lì
proprio in quel momento.


(Traduzione di Riccardo Duranti)



The Poem I Didn’t Write

Here is the poem I was going to write
earlier, but didn’t
because I heard you stirring.
I was thinking again
about that first morning in Zurich.
How we woke up before sunrise.
Disoriented for a minute. But going
out onto the balcony that looked down
over the river, and the old part of the city.
And simply standing there, speechless.
Nude. Watching the sky lighten.
So thrilled and happy. As if
we’d been put there
just at that moment.

Raymond Carver

da “All Of Us: The Collected Poems”, New York: Alfred A.Knopf, 1998

08/03/18

Le vite incredibilmente intrecciate di Nelly Sachs e Paul Celan.


Ci sono vite che sono misteriosamente intrecciate, come quella di Nelly Sachs, nata a Berlino nel 1891, sopravvissuta alla Shoah e  quella di Paul Celan, anche lui ebreo, e uno dei massimi poeti del Novecento. 

Nelly (Leony) Sachs era riuscita a scampare ai nazisti grazie ad una lettera scritta quando aveva poco più di 15 anni a Selma Lagerlhof, grande scrittrice svedese prima donna insignita del Premio Nobel per letteratura nel 1909.  

Dopo la morte del padre di Nelly, fu proprio Selma ad aiutare Nelly e la madre, ormai cadute in miseria e con lo spettro incombente della deportazione. Selma Lagerlhof morì nel 1940, poco prima che le due donne arrivassero in Svezia, salve.  

Le condizioni di vita di Nelly a Stoccolma furono inizialmente molto precarie ma, anche lavorando come lavapiatti, le permisero di entrare nel circolo culturale svedese, come traduttrice in tedesco della grade poesia svedese. 

La fuga, promossa dalla Lagerlhof, consentì a Nelly di salvarsi, insieme alla madre, dal campo di concentramento, dove finì l'intero resto della loro famiglia. 

La sindrome del sopravvissuto colpì Nelly nei suoi decenni in Svezia, dopo la fine della guerra, esattamente come accadde a Paul Celan - il quale, di origini rumene, visse direttamente le deportazioni che condussero gli ebrei di tutta Europa all'Olocausto, riuscendo a sfuggire, pur spedito  in diversi campi di lavoro in Romania; al contrario dei genitori catturati dai nazisti e fucilati nel campo di concentramento di Michajlovka, in Ucraina.  

Per Nelly, come per Celan, la poesia divenne il luogo in cui sublimare una parabola di dolore infinito, con l'interrogazione incessante sul senso del destino tragico umano. 

Era forse inevitabile che i due prima o poi si incrociassero. 

Nel 1954 la Sachs infatti inizia una lunga corrispondenza epistolare con Celan. 

Lettere bellissime e accorate che testimoniano di un comune sentire e di una stessa profonda sensibilità, oltre che di una immensa stima reciproca. 

In una di queste lettere Celan scrive alla Sachs: Penso a te, Nelly, sempre, pensiamo sempre a te e ciò che vive grazie a te! Ricordi ancora quando abbiamo parlato di Dio per la seconda volta, a casa nostra, del tuo Dio, il Dio che ti attende, ricordi che c'era il riflesso dorato sulla tua parete ? Sei tu, è la tua vicinanza, che permette di vedere il riflesso, c'è bisogno dite, anche in nome di coloro ai quali tu sei e ti pensi tanto vicino, c'è bisogno della tua presenza qui e tra gli uomini, c'è bisogno di te ancora e a lungo, c'è chi cerca il tuo sguardo; mandalo, quello sguardo, mandalo ancora all'aperto, consegnagli le tue parole vere, le tue parole liberatrici, affidati a lui, affida a noi, tuoi compagni di vita, della tua vita, questo sguardo, fai in modo che noi, già liberi, diventiamo i più liberi in assoluto, facci stare ritti, con te, nella luce! 

Qualche anno dopo, nel 1966, Nelly Sachs veniva insignita del Premio Nobel per la Letteratura. 

Al termine di anni molto duri, con grandi sofferenze psichiatriche e crolli fisici e psichici, Nelly mori il 12 maggio 1970, lo stesso giorno esatto in cui a Parigi si stava celebrando il funerale di Paul Celan, suicidatosi pochi giorni prima, gettandosi nelle acque della Senna.


Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata

notizie tratte da: Elena Buia Rutt, La scrittura come unico appiglio, in Donne Chiesa Mondo, numero 66, marzo 2018, pag. 36 e seguenti. 

04/03/18

Poesia della Domenica: "Credevo" di Rabindranath Tagore.

Rabindranath Tagore con Albert Einstein, 1931

Credevo

Credevo che il mio viaggio
fosse giunto alla fine
mancandomi oramai le forze.
Credevo che la strada
davanti a me
fosse chiusa
e le provviste esaurite.
Credevo che fosse giunto
il tempo
di trovare riposo
in una oscurità pregna
di silenzio.
Scopro invece
che i tuoi progetti
per me non sono finiti
e quando le parole ormai
vecchie
muoiono sulle mie labbra
nuove melodie nascono dal
cuore;
e dove ho perduto le tracce
dei vecchi sentieri
un nuovo paese mi si apre
con tutte le sue meraviglie.

26/01/18

50 anni dalla morte di Salvatore Quasimodo. Grandi iniziative a Messina e in Sicilia.



Convegni, mostre seminari e documentari. Fervono i preparativi a Messina e provincia per commemorare il cinquantenario della morte di Salvatore Quasimodo, avvenuta il 14 giugno 1968. 

Il poeta nacque a Modica (Rg) il 20 agosto del 1901 e trascorse gli anni dell'infanzia in piccoli paesi della Sicilia orientale (Gela, Cumitini, Licata), seguendo il padre che era capostazione delle Ferrovie dello Stato.

Subito dopo il catastrofico terremoto del  1908 ando' a vivere nella citta' dello Stretto, dove Gaetano Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la stazione. 

Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari. Scrisse nella lirica al padre "Dove sull'acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano..." . 

Nel 1941 gli venne concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano 

Insegnamento che terra' fino all'anno della sua morte. 

Il 10 dicembre 1959 a Stoccolma, ricevette il premio Nobel. 

Per programmare le iniziative in sua memoria si e' svolta la prima riunione del comitato scientifico composto dal commissario straordinario, Francesco Calanna, dal magnifico Rettore dell'Universita' di Messina, Pietro Navarra, dal presidente della Fondazione famiglia Piccolo di Calanovella, Vanni Ronsisvalle, dal presidente del Parco letterario Quasimodo, Carlo Mastroeni, e dal dirigente scolastico dell'istituto tecnico "Jaci", Carlo Davoli. 

E' stata stilato il calendario degli eventi. Numerose le proposte avanzate dai componenti del gruppo di lavoro: Calanna, a capo dell'ente che possiede l'archivio Quasimodo, ha annunciato di aver attivato gli uffici per "la realizzazione di un palinsesto di appuntamenti che mettano in risalto la figura del grande letterato che a Messina ha sviluppato le sue radici culturali e umane, citta' nella quale ha studiato e vissuto e che oggi vuol rendere onore al sommo poeta e grande figura nel panorama letterario del Novecento". 

Inoltre, la Citta' Metropolitana realizzera' un cd contenente oltre tremila articoli di stampa, un inedito archivio multimediale di eventi, molti di questi sconosciuti al grande pubblico

Ronsisvalle, ha anche annunciato la realizzazione, in collaborazione con Rai Teche, di un docufilm che ripercorra visivamente tutte le tappe fondamentali della vita di Quasimodo ed ha annunciato "l'intenzione di invitare il presidente del Premio Nobel in occasione di uno degli appuntamenti in cantiere e di ospitare per un mese, a Villa Piccolo a Capo d'Orlando, il prossimo vincitore del riconoscimento per la letteratura". 

Il Prorettore dell'Universita' di Messina, Giovanni Cupaiuolo, ha reso noto l'organizzazione di un convegno che approfondira' l'attivita' di Quasimodo quale traduttore di testi, "una testimonianza di quanto fossero eclettici i suoi interessi culturali". Mastroeni, da molti anni "testimone dell'immenso valore culturale delle opere del poeta", ha assicurato la realizzazione di iniziative anche attraverso l'attivita' del "Club Amici di Salvatore Quasimodo". 

08/01/18

Libro del Giorno: "Per amica silentia Lunae" di William Butler Yeats.



E' un libro stranissimo, che ancora oggi affascina e inquieta. Scritto in pieno Primo conflitto mondiale, nel 1917, Per amica silentia lunae è una delle opere più misteriose del grande William Butler Yeats, qui impreziosita da una bellissima edizione SE, curata da Gino Scatasta, cui è fatta precedere il prologo con la lettera scritta a Maurice, ovvero Iseult Gonne, la figlia di Maud Gonne, uno dei grandi amori di Yeats; la lunga poesia Ego Dominus Tuus, scritta nel 1915; e a cui viene fatta seguire oltre alla postfazione, una minuziosa cronologia della vita di Yeats e, dulcis in fundo, una appendice iconografica con molte preziose foto del poeta che vanno dal 1896 agli ultimi anni di vita. 

Il 1917 - l'anno in cui scrive Per amica silentia lunae - è un anno molto importante nella vita di Yeats: dopo le cinque proposte di matrimonio fatte nel corso degli anni a Maud Gonne, l'amore di una vita, il poeta, dopo aver chiesto alla madre il permesso di corteggiare la bellissima figlia, Iseult, le propone a sua volta di sposarlo. Ma la ragazza rifiuta (pochi anni dopo sposerà Francis Stuart, dichiarando che non aveva mai preso sul serio la proposta di Yeats).  Il poeta allora, il 20 ottobre di quell'anno sposerà George Hyde-Lees che gli darà due figli e che poco dopo le nozze, pensando che Yeats sia ancora innamorato di Iseult, per distrarlo inizia a fare esperimenti di scrittura automatica. 

E' dunque il periodo più intenso degli interessi esoterici di Yeats, che già fa parte (dal 1890) della Golden Dawn, un ramo della organizzazione esoterica chiamata Stella mattutina. 

Per amica silentia lunae è una divagazione su due temi molto cari a Yeats: la maschera e la visione.

E lo fa in due intense sezioni chiamate Anima Hominis e Anima Mundi

Nella prima, Yeats considera i rapporti dell'uomo con il suo destino, con il suo Daimon: desiderio e sconfitta sono i compagni del poeta-eroe chiamato ad amare il mondo fino alla fine. Un lento cammino iniziatico che conduce allo scoprimento di ciò che dalla maschera (e quindi dalla illusione) è celato. 

Nella seconda, Yeats dà voce ai morti, ai poeti morti, fonte di ispirazione per i vivi. Morti e vivi sono calati nell'Anima Mundi,uno scrigno di tesori formato dalle opere dei grandi predecessori, un crogiolo soprannaturale, pullulante di richiami e di voci che si incarnano e infondono il cammino dei vivi. Un grande stagno, scrive Yeats, o un vasto giardino dove i nostri pensieri e le nostre immagini crescono nel modo a esse destinato come grandi piante acquatiche o si diramano nell'aria spandendo tutt'attorno il loro profumo. 

La prosa poetica di Yeats è abbagliante e oscura. Ogni frase rimanda a altro. Questi monologhi procedono senza nessuna logica o coerenza apparente. Sono appunto illuminazioni, sguardi, pensieri incarnati nella sofferenza, nell'impotenza, nella gioia estatica degli attimi concessi ai viti, nel loro continuo interrogarsi sul da dove venga la voce che essi ascoltano dentro se stessi e nel cielo. 

Fabrizio Falconi 





06/01/18

Il Daimon e la Donna, una pagina di William Butler Yeats.



Riporto una bellissima pagina - misteriosa e da meditare - di William Butler Yeats tratta da Per amica Silentia Lunae (1917), libro composto da due sezioni, 'Anima Hominis' e 'Anima Mundi'.

Credo che tutti gli uomini devoti abbiano la certezza che negli eventi della vita ci sia una mano diversa dalla nostra e che, come qualcuno afferma in Wilhelm Meister, ciò che avviene per caso è destino; e credo sia stato Eraclito a dire che il Daimon è il nostro destino

Se penso alla vita come a una lotta contro il Daimon, che vorrebbe sempre che ci dedicassimo all'opera più difficile tra quelle non impossibili, comprendo il motivo della inimicizia profonda fra l'uomo e il proprio destino e perché l'uomo ama solo il proprio destino. 

In un poema anglosassone c'è un uomo chiamato Doom-eager, "avido di destino", uno nome che vorrebbe racchiudere in sé tutto l'eroismo possibile. 

Sono certo che il Daimon ci libera e ci inganna, che sia stato lui a tessere quella rete di stelle per poi scrollarsela via dalle spalle. 

E allora la mia immaginazione va dal Daimon all'amata, e intuisco una analogia che sfugge all'intelletto. Penso agli antichi greci che invitavano a cercare le stelle primarie, che governano sia l'inimicizia che l'amore, fra quelle che stanno per tramontare nella settima casa, direbbero gli astrologi; e che forse "l'amore sessuale", che "è fondato sull'odio spirituale", è un immagine del conflitto che esiste tra uomo e Daimon; e mi chiedo perfino se non ci sia una comunione segreta, un mormorio nel buio fra il Daimon e l'amata. 

Penso al fatto che spesso le donne innamorate diventano più superstiziose e sono convinte di portare fortuna agli uomini che amano; e penso ancora a quella antica storia irlandese dei tre giovani che andarono a Slieve-na-mon, nella casa degli dèi, per chiedere protezione durante la battaglia.  "Dovete prima sposarvi", disse loro un dio "perché la buona o la mala sorte dell'uomo derivano da una donna". 

Al tramonto a volte tiro di scherma per una mezz'ora, e quando poi sono a letto, con gli occhi chiusi, vedo un fioretto ondeggiare davanti a me, il suo bottone sul mio viso. Sempre, nelle profondità della mente, qualsiasi cosa ci portino le nostre azioni, dovunque ci trascinino le nostre rêveries, sempre incontriamo la Volontà dell'altro. 

traduz. Gino Scatasta, SE 2009 

12/11/17

Poesia della domenica - "Tutto è possibile la domenica" di Angelo Maria Ripellino.





Tutto è possibile la domenica: una qualsiasi sorpresa,
un'auto con amici fuggiti da un umido camping alpestre,
uno scroscio, uno screzio, una chiamata inattesa.
Sono deserte le scatole delle finestre,
dormono le qualità, le analogie, le diatrìbe,
dormono la pecoraggine e la villanìa dei profeti,
e le colombine tornate dai balli. Ma tutto è possibile:
una fiammata di ebbrezza, uno scherzo al telefono,
la morte di un giallo uccellino ucciso dal freddo,
il passaggio di una nuvolaglia di crespo esequiale,
l'arrivo di un pittore barbuto da Praga. Tutto è possibile.
L'architettura maldestra del vuoto domenicale
si scompiglia e si amàlgama come il mercurio.
Accada dunque qualcosa, perché la noia verde-malva
non accartocci il castello del cosmo in un disperato tugurio.



Angelo Maria Ripellino, tratto da Poesie, 1952-1978, Einaudi, Torino, 1990, pag.115.

29/10/17

Poesia della Domenica - Il Canto della Tenebra di Dino Campana.




Il canto della tenebra

La luce del crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
Al cuore che non ama più!
Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare,
Sorgenti, sorgenti che sanno
Sorgenti che sanno che spiriti stanno
Che spiriti stanno a ascoltare...
Ascolta: la luce del crepuscolo attenua
Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti ha vinto la Sorte:
Ma per i cuori leggeri un’altra vita è alle porte:
Non c’è di dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più Più Più
Intendi chi ancora ti culla:
Intendi la dolce fanciulla
Che dice all’orecchio: Più Più
Ed ecco si leva e scompare
Il vento: ecco torna dal mare
Ed ecco sentiamo ansimare
Il cuore che ci amò di più!
Guardiamo: di già il paesaggio
Degli alberi e l’acque è notturno
Il fiume va via taciturno...
Pùm! mamma quell’omo lassù!