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16/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 61. Rosso Sangue (Mauvais Sang) di Leos Carax, 1986


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 61. Rosso Sangue (Mauvais Sang) di Leos Carax, 1986


Mauvais Sang, tradotto in Italia con Rosso Sangue, fu diretto da Leos Carax  nel 1986 e andrebbe la pena di rivederlo oggi, anche perché tratta di tematiche molto contemporanee che riguardano la misteriosa diffusione di un virus (all'epoca, ovviamente, tutti pensarono all'AIDS

Il titolo originale del film si riferisce alla poesia di Arthur Rimbaud "Mauvais Sang" (in Una stagione all'inferno ) e il film è denso di riferimenti a lui e all'opera di Louis-Ferdinand Céline.

La storia, come d'abitudine nella filmografia di quell'originalissimo e genialmente stravagante autore che è Leos Carax non segue un andamento regolare e ordinato. 

Le vicenda prende spunto da Marc e Hans, due vecchi gangster, che si ritrovano con i coltelli sotto la gola, dovendo ripagare un debito da uno squalo mutuo soprannominato "l'americano". 

Stanno pianificando il furto in un laboratorio di un vaccino contro una nuova malattia, chiamata STBO, che colpisce le coppie che fanno l'amore senza amarsi. 

Dopo la morte di Jean, che doveva essere l'elemento centrale del colpo, si appellano ai talenti del prestigiatore Alex, suo figlio. Alex, che vuole volare verso nuovi orizzonti dopo la morte di suo padre, lascia la giovane Liza e accetta di far parte della squadra.

Sulla strada per unirsi a loro nel loro nascondiglio, è attratto da una giovane donna in abito bianco, che il caso gli mette davanti nella persona di Anna, l'amante di Marc. 

Alex è sotto l'incantesimo di Anna che rappresenta un amore impossibile. Il furto delle colture dei virus va male: tradito da un amico, Alex viene colto in flagrante. 

Riuscendo a fuggire Alex si unisce a Marc e Hans, non senza incrociare il suo cammino gli scagnozzi americani, che gli spararono allo stomaco e gli rubano il bottino. 

Alex riesce al momento a sopravvivere e la squadra parte per l'aeroporto che deve portarli in Svizzera; lungo la strada, Alex vede la donna vestita di bianco che non era Anna, seduta al suo fianco. Ferito comunque a morte, collassa tra le braccia di Marc e Anna che manterranno una traccia indelebile del loro amore platonico.

Un film esteticamente ricchissimo, quasi estremo, come nello stile di Carax, che qui però raggiunge il massimo della sua efficacia espressiva collegata al tema dell'angoscia e dell'inquietudine che gli è familiare.  

Memorabile l'incredibile piano sequenza con la corsa del protagonista (attore-feticcio di Carax) Denis Lavant, sulle note di Modern Love di David Bowie.

Il film che ha lanciato Juliette Binoche.




06/04/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 60. "Reds" di Warren Beatty (1981)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 60. "Reds" di Warren Beatty (1981)

Reds  fu girato nel 1980 da Warren Beatty, con uno straordinario cast tra cui figurano come protagonisti lo stesso regista e Diane Keaton .

Il film gira intorno alla vita di John Reed, attivista comunista americano, giornalista e scrittore che ha raccontato la rivoluzione russa del 1917 e autore del celebre Dieci Giorni che Sconvolsero il Mondo, il libro che raccontò in Occidente la rivoluzione russa d'Ottobre. 

Warren Beatty ha ricevuto l' Oscar (edizione 1981) come miglior regista per il film. E 'stato anche in lizza per il miglior film, battuto da Momenti di Gloria (Chariots of Fire) di Hugh Hudson, primo film non americano (inglese) ad aggiudicarsi nella storia la statuetta di miglior film.

Il film racconta la storia di John Reed e Louise Bryant dal loro incontro nel 1915 fino alla morte di Reed nel 1920. La vicenda ricostruita sullo schermo è intrecciata con testimonianze di persone che hanno realmente vissuto quel periodo.

Louise Bryant, scrittrice sposata con un dentista di Portland, si incontra in una conferenza con il giornalista John Reed che è appena tornato dall'aver raccontato con i suoi reportages la Rivoluzione messicana .

Lascia il marito e si unisce a Reed a New York, nel distretto di Greenwich Village, dove inizia a frequentare artisti e attivisti, in particolare l'anarchica Emma Goldman , il drammaturgo Eugene O'Neill (interpretato sullo schermo da Jack Nicholson) e lo scrittore Max Eastman .

Reed e Bryant decidono di andare a Pietrogrado (ora San Pietroburgo) nel settembre del 1917 e sono testimoni diretti e  entusiasti della rivoluzione di ottobre da cui Reed trarrà la sua opera più famosa Dieci giorni che sconvolsero il mondo .

Questo è il secondo film diretto dall'attore Warren Beatty, che interpreta anche il ruolo principale.

Beatty aveva iniziato a preparare Reds negli anni '70, iniziando a realizzare interviste con autentici "testimoni " che hanno vissuto la rivoluzione bolscevica durante la loro vita.   

Il film è stato per lungo tempo l'ultimo ad essere stato nominato contemporaneamente nelle quattro categorie di attori (miglior attore, migliore attrice, miglior attore in un ruolo secondario e migliore attrice in un ruolo secondario) 

Il film ha vinto tre Oscar per: Miglior regista (Warren Beatty) Migliore attrice non protagonista (Maureen Stapleton nel ruolo di Emma Goldman ) Migliore fotografia, andato allo straordinario Vittorio Storaro, che in questo film realizzò uno dei suoi capolavori. 

Complessivamente il film ricevette DODICI nominations. Le altre, oltre alle tre categorie vinte, sono: Miglior film Miglior attore (Warren Beatty) Migliore attrice (Diane Keaton) Miglior attore non protagonista (Jack Nicholson) Migliore direzione artistica Miglior design del costume Miglior montaggio Il miglior suono Migliore sceneggiatura originale .

Reds
Regia di Warren Beatty. 
Stati Uniti, 1981 
con Diane Keaton, Jack Nicholson, Warren Beatty, Maureen Stapleton, Bessie Love, Gene Hackman.  durata 200 minuti




31/03/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 59: La mia vita a quattro zampe (Mitt liv som hund) di Lasse Hallström, Svezia, (1985)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 59: La mia vita a quattro zampe (Mitt liv som hund) di Lasse Hallström, Svezia, (1985) 


Io vivo nella possibilità scriveva quasi due secoli fa Emily Dickinson. 

Ci sono due modi di vivere. 

Quello del sentirsi intero a se stesso, di calcolare la possibilità solo come opportunità, e quello del sentirsi realmente e concretamente aperto al mondo, di vivere cioè la possibilità in quanto tale. 

Possibilità è attraversamento del mondo. Con le sue paludi, le sue zone d'ombra, i suoi territori pericolosi, le sue estasi. 

Non è necessario viaggiare, non è necessario esplorare.  E' necessario aprire il cuore. 
Una operazione niente affatto semplice, niente affatto banale.

E' quello che è chiamato a fare il piccolo Ingemar ne La mia vita a quattro zampe (purtroppo titolo italiano infelicissimo, bruttissimo), di Lasse Hallstrom, Golden Globe per il miglior film straniero nel 1988, quando rimane tristemente orfano.  Il quale avrebbe ogni giustificazione per chiudere, barricare il suo cuore e non desiderare più alcuna possibilità. 

Invece Ingemar imparerà a vivere, nonostante tutto. L'istinto di vivere è più forte in lui del dolore e del lutto e della pesantezza apparentemente insostenibile della vita. 

Io vivo nella possibilità. 

E se io non fossi questo, non sarei nemmeno vivo.  E' questa la grande lezione di un film stilisticamente impeccabile. Da vedere e rivedere.


14/03/20

Covid-19: L'inattività come prova collettiva



Costretti all'inattività. Questo cui stiamo partecipando - con la pandemia da Covid-19 - è un interessante (oltre che angoscioso) - e inedito - esperimento sociale collettivo

Blaise Pascal in uno dei suoi famosi Pensieri, scriveva impietosamente che "Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo." 

Ora siamo costretti obtorto collo, a farlo, come non era mai stato fatto prima, almeno qui. 

Certo, non è la solitudine invocata da Pascal. 

La solitudine obbligata e ritirata del Covid-19 è attenuata parecchio dall'onnipresente schermo dello smartphone, che consola, accompagna, fa viaggiare virtualmente ovunque, intrattiene, diverte, riempie gli spazi, non lascia mai soli, proibisce di annoiarsi, esaudisce ogni desiderio e soprattutto come scriveva Pascal proibisce di starsene nella propria stanza da solo.

Perché come sappiamo, chi è dotato di quella protesi - TUTTI - ormai non è mai VERAMENTE solo. 

E però stavolta, la prova è assai interessante. Perché la versatilità infinita del nostro apparato tecnologico potrebbe - alla lunga - non bastare

Cominciamo ad avvertire, avvertiamo la nostalgia della non virtualità, del contatto soprattutto. Il famoso contatto umano. 

Che abbiamo dato per scontato, ma non lo è.

L'inattività obbligata, alla lunga ci trasformerebbe tutti come gli omini obesi nell'astronave di Wall-E, che vivono mangiando e guardando uno schermo. Non sembra una prospettiva allettante.

Fabrizio Falconi
marzo - 2020 


13/03/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 58: Kolya (Kolja) di Jan Sverak, Repubblica Ceca, (1996)



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100 film da salvare alla fine del mondo: 58: Kolya (Kolja) di Jan Sverak, Repubblica Ceca, (1996) 

Louka Frantisek, violoncellista praghese dissidente squattrinato, durante la perestrojka accetta di sposare per soldi una donna russa, soltanto per farle avere la cittadinanza. 

La donna però fugge all'Ovest e Louka rimane da solo con Kolya, il figlio della donna, un bambino russo di 5 anni, che non parla la sua lingua.

Louka, scapolo impenitente, si industria a far da padre dopo molte riluttanze, e quando finisce per stringere con il bambino un legame profondo, deve riportarlo alla madre. 

E' delicato, poetico il tocco di Jan Sverak e ricorda quello di Jaco Van Dormael con Totò le Heros, o di Kusturica in Papà è in viaggio d'affari. 

Un film magnificamente girato, con interpreti che non si dimenticano e che ha ricevuto numerosi premi tra cui l'Oscar per il miglior film straniero nel 1996. Che scalda il cuore, senza essere mai ricattatorio. 

27/01/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 53. "Il Gattopardo" di Luchino Visconti (1963)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 53. "Il Gattopardo" di Luchino Visconti (1963)


Film leggendario, che parla di un'epoca maestosa del cinema italiano, Il Gattopardo , diretto da Luchino Visconti, adattato dal romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, vinse con ogni merito la Palma d'oro al Festival del cinema di Cannes del 1963.

Il film segue fedelmente le vicende raccontate nel romanzo. 

Nel Maggio 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, a Marsala, il principe don Fabrizio Salina assiste con distacco e malinconia alla fine della nobiltà. 

Questi signori, i "gattopardi", maestri dell'esercizio del potere e del trasformismo, comprendono che la fine della loro superiorità morale e sociale è ormai vicina: infatti, coloro che traggono profitto dalla nuova situazione politica sono gli amministratori e i grandi proprietari terrieri della nuova classe sociale che sta sorgendo. 

Don Fabrizio, appartenente a una famiglia di antichissima nobiltà, è rassicurato dal suo nipote preferito Tancredi, che, pur combattendo nelle colonne garibaldine, cerca di sfruttare gli eventi a suo vantaggio. 

Tancredi spiega a suo zio: "Se non saremo coinvolti in questo business, costruiranno una repubblica per noi. Se vogliamo che tutto rimanga uguale, dobbiamo cambiare tutto. " 

Quando, come ogni anno, il Principe Salina si reca, con tutta la sua famiglia, nella sua residenza estiva a Donnafugata, trova come nuovo sindaco del villaggio Calogero Sedara, un borghese di modesta estrazione, grezzo e scarsamente istruito, che si arricchisce e fa carriera in politica. 

Tancredi, che all'inizio mostra un certo interesse per Concetta, la figlia maggiore del principe, si innamora di Angelica, la figlia di Don Calogero, che alla fine sposerà, sedotta dalla sua bellezza ma anche dalla sua notevole eredità. 

L'arrivo a Donnafugata di un ufficiale piemontese , il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, segna una svolta nella storia: propone a Don Fabrizio di essere nominato senatore del nuovo Regno d'Italia. 

Tuttavia, il principe rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano. Riflettendo sulla realtà siciliana, Don Fabrizio è pessimista: "Adesso sarà diverso, ma peggio ..." , dice all'emissario del nuovo regime. 

L'unione tra la nuova borghesia e la nobiltà in declino è un cambiamento ormai indiscutibile

Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un gran ballo al termine del quale inizierà a meditare sul significato di nuovi eventi e a fare la dolorosa valutazione della sua vita.

Le riprese del film richiesero 15 mesi di intenso lavoro, dal dicemebre 1961 al maggio 1962. 

 L'investimento richiesto da questo colossale progetto si rivelò presto superiore alle previsioni della Titanus , mentre nel 1958, che immediatamente dopo la pubblicazione del romanzo, aveva acquistato i diritti per adattarlo. 

Dopo un accordo di coproduzione fallito con la Francia, l'impegno di Burt Lancaster nel ruolo principale, nonostante la perplessità di Luchino Visconti (che avrebbe preferito Laurence Olivier o l'attore sovietico Nikolaï Tcherkassov), e forse dell'attore stesso, consentì un accordo di distribuzione per gli Stati Uniti con 20th Century Fox . 

Tuttavia, le perdite subite dal film, insieme a quelle di Sodoma, Gomorra causarono il fallimento della Titanus.

La lunghissima scena del ballo, con l'incredibile fotografia di Giuseppe Rotunno, hanno consegnato questo film alla storia del cinema. 

IL GATTOPARDO
Regia di Luchino Visconti.
Italia-Francia, 1963
con Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli. 
durata 205 minuti. 




03/01/20

Torna alla luce dopo 60 anni il carteggio tra T.S. Eliot e la sua musa, Emily Hale


  
T.S. Eliot con Emily Hale nel 1936

 Lui le aveva ordinato di bruciare le lettere

Lei, l'amica di sempre, aveva disobbedito. E cosi' oggi, dopo esser rimasta per 60 anni chiusa in dodici scatoloni negli archivi della Princeton University Library, la corrispondenza tra il poeta premio Nobel T.S. Eliot e la sua confidente e musa Emily Hale vedra' finalmente la luce

Per Anthony Cuda, studioso dell'autore di "La Terra Desolata", "e' forse l'evento letterario del decennio".  

Dagli scatoloni sono emerse oltre mille lettere datate tra 1930 e 1956 che promettono di gettare luce inedita sulla vita e il lavoro di Eliot: su opere ad esempio come "Il libro dei gatti tuttofare" portato a Broadway da Andrew Lloyd Webber con il musical "Cats". 

Il focus è ovviamente sulla relazione con Emily, rimasta al centro di congetture per decenni e che ha ispirato romanzi come "The Archivist" di Martha Cooley, ma non solo: come ha notato Princeton, sorprese potrebbero arrivare "sulla conversione religiosa del poeta, il suo atteggiamento verso le donne, le sue decisioni alla casa editrice Faber and Faber e il loro impatto sulla cultura del Regno Unito"

Era stata la Hale a donare l'archivio a Princeton con la condizione che le lettere restassero segrete fino a 50 anni dalla morte dell'ultimo dei loro autori: lei nel caso specifico, scomparsa nel 1969, mentre Eliot l'aveva preceduta di quattro anni. 

Si erano conosciuti ragazzi a Cambridge, Massachusetts, nel 1912 quando Eliot studiava a Harvard e lui, secondo un saggio pubblicano nel 2002 sul New Yorker, si sarebbe segretamente innamorato dell'intellettuale bostoniana. 

L'amicizia era rinata nel 1927, dopo la crisi del primo matrimonio del poeta con la britannica Vivienne Haigh-Wood, mentre la Hale, che non si era mai sposata, aveva continuato a insegnare teatro in universita' americane tra cui lo Scripps College in California

Secondo Cuda, la relazione con Emily doveva essere "incredibilmente importante" e la corrispondenza contenere "dettagli profondamente intimi", altrimenti non si capisce perche' Eliot fosse cosi preoccupato per la pubblicazione. 

Le lettere cominciano infatti dopo la fine del primo matrimonio con Vivienne, una donna instabile morta nel 1947 in manicomio. Studiosi hanno notato come "Burnt Norton", il primo poema della serie "Quartetti" che prende il nome da una casa in Inghilterra visitata con la Hale, e' significativo per alcuni versi che suggeriscono opportunita' mancate e quel che avrebbe potuto essere e non e' stato. 

18/11/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 46. "La Stangata" (The Sting) di George Roy Hill (1973)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 46.  "La Stangata" (The Sting) di George Roy Hill (1973) 

George Roy Hill, regista sempre troppo poco considerato, dopo averli già diretti qualche anno prima con Butch Cassidy (1969) decise di assoldare nuovamente la coppia Redford-Newman per La stangata (The Sting) che uscì nel 1973.

Sulla base di un soggetto relativamente assai semplice: una coppia di piccoli imbroglioni rapina casualmente un corriere di un gangster di New York: Doyle Lonnegan (Robert Shaw). 

Lonnegan si vendica uccidendo Luther, uno dei truffatori che hanno partecipato alla rapina. Ma questi, prima di essere ucciso, consegna al compagno, Johnny Hooker (Robert Redford) il biglietto da visita di un ex grande truffatore, Henry Gondorff (Paul Newman). 

Johnny va a Chicago per incontrare Henry. I due complici organizzano allora una truffa per vendicare la morte del loro compagno, una "stangata" ai danni di Lonnegan, creando una finta agenzia di scommesse diretta da Gondorff (sotto lo pseudonimo di mr. Shaw), in cui viene fatto credere al boss di poter vincere facilmente delle ingenti somme di denaro grazie a informazioni riservate fornitegli da Hooker. 

Su questo canovaccio quasi elementare, Roy Hill imbastisce un perfetto capolavoro, di tempi, meravigliosi colpi di scena e contenuti, mischiando divertimento e nostalgia. 

David S. Ward ebbe l'idea di questo film, suscitando subito l'entusiasmo di George Roy Hill che si offrì di girare il film, offrendo a Paul Newman l'opportunità di unirsi al progetto. Robert Redford partecipò alla sceneggiatura scegliendo il nome del suo personaggio,  Johnny Hooker  in  omaggio al cantante blues John Lee Hooker .

Il film è in realtà basato sulla vita di fratelli Charles e Fred Gondorff che ha tentato una truffa simile a quella mostrata nel film nel 1914 ma che fallì. 

Il ruolo di Johnny Hooker fu inizialmente offerto a Jack Nicholson , che lo rifiutò, e alla fine fu affidato a Robert Redford . 

Il ruolo di Lonnegan doveva essere assegnato a Richard Boone che decise di ritirarsi dal progetto. Fu allora affidato a  Robert Shaw, il quale si slogò la caviglia poco prima delle riprese. Senza rinunciare al ruolo, gli fu chiesto di restare e la sua zoppia fu incorporata nella sceneggiatura. 

Il famoso brano musicale, The Entertainer , di Scott Joplin è rimasto da allora attaccato alla memoria del film e ha innescato la riscoperta del ragtime, anche se in realtà è stato scritto tra il 1900 e il 1910, 25 anni prima della storia del film. 


Grandemente affiatati sul set Newman e Redford regalarono una interpretazione memorabile. Il film ottenne 10 candidature ai premi Oscar e 7 statuette tra cui quella di miglior film e di miglior regia.




04/11/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 44. "Schindler's List" di Steven Spielberg (1993)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 44. "Schindler's List" di Steven Spielberg (1993) 

Il capolavoro di Steve Spielberg (tra tanti grandi film da lui realizzati) è  ispirato al romanzo omonimo pubblicato nel 1982 da Thomas Keneally e descrive come Oskar Schindler, un industriale tedesco, riuscì durante la seconda guerra mondiale per salvare circa 1200 ebrei dalla condanna a morte nel campo di concentramento di Płaszów senza nascondere i difetti di un personaggio un po 'ambiguo che cerca di trarre un profitto materiale dalla situazione. 

Nel 2004, il film è stato selezionato dalla Library of Congress per la conservazione presso il National Film Registry per il suo "significato culturale, storico o estetico" .

La lista di Schindler è classificato nella Top 100 della American Film Institute in ottava posizione. 

Il film vinse 7 premi Oscar compreso l'Oscar per il miglio film e innumerevoli altri premi nel mondo.

Realizzato in un meraviglioso e gelido bianco e nero il film comincia a Cracovia, durante la seconda guerra mondiale. 

Oskar Schindler è un industriale tedesco, membro del partito nazista . All'inizio pensando solo al suo profitto, corrompe i membri della Wehrmacht e gli ufficiali delle SS per acquisire una fabbrica di metallo smaltato. 

Pertanto, per aiutarlo nella direzione dei suoi affari, assume un contabile ebreo, Itzhak Stern, un rappresentante locale della comunità ebraica che ha contatti nel mercato nero e la comunità imprenditoriale ebraica. 

Stern quindi aiuta Schindler a trovare finanziamenti per avviare la sua attività. Schindler intrattiene relazioni amichevoli con i nazisti, gode della sua fortuna, del suo status di "Herr Direktor" e di Stern come suo braccio destro. 

Impiega manodopera ebrea a buon mercato nella sua fabbrica. 

La liquidazione del ghetto di Cracovia, nel marzo 1943 è il soggetto di un terribile e magnifico (cinematograficamente) segmento di 15 minuti del film. 

Oskar Schindler è davvero consapevole dell'orrore e della follia del nazismo assistendo alla liquidazione del ghetto di Cracovia e soprattutto vedendo una bambina con un cappotto rosso persa nel massacro (questo è uno dei pochissimi elementi a colori del film, girato principalmente in bianco e nero). 

La ragazza si nasconde dai nazisti e, in seguito, il suo corpo (identificabile dal suo cappotto rosso) sarà recuperato in una fossa comune per essere trasportato su un tapis roulant per essere bruciato con le altre vittime della liquidazione del ghetto. 

Schindler mantiene la sua amicizia con Goeth e, attraverso tangenti e doni, continua a divertire le SS per ottenere il loro sostegno. 

Da parte sua, Goeth abusa brutalmente della sua domestica ebrea, Helen Hirsch, e si occupa personalmente dei massacri sparando ai detenuti dal balcone della sua villa che si affaccia sul campo. I prigionieri vivono nel terrore quotidiano.

Alla fine Schindler rinuncia al suo interesse finanziario: la sua priorità ora è salvare quante più vite possibile. 

Corrompe Goeth per ottenere il permesso di costruire il proprio campo per proteggere i suoi lavoratori, per proteggerli meglio. 

Con i tedeschi che iniziarono a perdere la guerra, a Goeth fu ordinato di inviare gli ultimi ebrei da Płaszów al campo di concentramento di Auschwitz . 

Schindler chiede a Goeth il permesso di spostare i suoi lavoratori in una nuova fabbrica di munizioni che intende costruire nella sua città natale di Zwittau-Brinnlitz. Goeth è d'accordo, ma in cambio di  un'enorme bustarella. 

Schindler e Stern creano quindi la "Lista Schindler", una lista di 1.100 persone che saranno trasferite a Brinnlitz e che saranno risparmiate dalla deportazione ad Auschwitz. Tuttavia, un treno femminile destinato alla sua fabbrica viene deviato ad Auschwitz. Sfuggono alla morte grazie a diamanti offerti a Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz. 

Liberati, arrivano sani e salvi nella fabbrica di Schindler. 

Schindler saboterà persino la propria merce in modo che non possa essere utilizzata militarmente durante i sette mesi di produzione della sua azienda. Perde quindi gran parte della sua ricchezza corrompendo le autorità naziste. 

Pochi mesi dopo, nel 1945, la guerra finì. 

Oskar Schindler e sua moglie, rovinati, lasciano il paese.

Schindler non può andarsene senza dire addio ai 1.100 ebrei che ha salvato che gli offrono un anello d'oro fatto di protesi fuse e che porta la massima dal Talmud : "Chi salva una vita salva tutta l'umanità" (Mishna, Sinedrio 4: 5) וכל המקיים נפש אחתישראל מעלה עליו הכתוב כאילו קיים עולם מלא "). Schindler è toccato dal gesto ma si vergogna di non aver fatto di più.

Il film termina ai giorni d'oggi, a colori, per mostrare lo Schindlerjuden al giorno d'oggi, sulla tomba di Schindler a Gerusalemme. 

Un film che resta come una pietra sulla coscienza. Nel cuore dello spettatore e nella sua mente. 




21/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


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100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo's Nest) è un film diretto da Miloš Forman tratto dal romanzo omonimo da Ken Kesey (una delle firme oggi ritenute tra le più importanti più originali e importanti della letteratura americana degli anni '50-'60) pubblicato nel 1962.

La storia è com'è noto, incentrata su RP McMurphy (Jack Nicholson), internato in un ospedale psichiatrico per fuggire dalla prigione dopo essere stato accusato di stupro su un minore, il quale sarà gradualmente toccato dall'angoscia e dalla solitudine dei pazienti.

Con la sua forte personalità, si oppone rapidamente ai metodi repressivi dell'infermiera Ratched.

Nel titolo originale in inglese, il termine "cuculo", che ha come primo significato l'uccello del cuculo, indica anche in gergo una persona mentalmente disturbata, come i pazienti dell'ospedale psichiatrico in cui si svolge la trama.

Randall P. McMurphy sviluppa un comportamento ambiguo per sfuggire alla prigione, fin quando non viene valutato per la sua salute mentale, dopo essersi occupato delle "terapie" del capo infermiere, la autoritaria e cinica Miss Ratched, che cerca rapidamente di sfidare.

Il temperamento allo stesso tempo irruento e gioviale di McMurphy fa presto in modo che altri internati diventino consapevoli della libertà che gli viene negata. Allo stesso tempo McMurphy presto capisce che entrando volontariamente nell'ospedale potrebbe aver perso quella libertà per sempre.

Comincia a fare amicizia con alcuni degli internati, in particolare con il "Capo", un colosso amerindio nativo che tutti credono sordo e muto, che appare morbido e pacifico nonostante il suo aspetto colossale.

McMurphy conduce pian piano gli altri pensionanti alla ribellione e li conduce alla disobbedienza, organizzando addirittura un giro in autobus intorno all'area per andare a pescare su una barca. e corrompendo la guardia per riuscire a far entrare due amici nel reparto. Fino a una festa durante la quale l'alcool scorre liberamente.

Al mattino, Miss Ratched trova uno degli internati, il giovane Billy, in un letto con una delle giovani donne. Miss Ratched riesce a far sentire Billy così in colpa che si suicida proprio quando McMurphy sta per scappare.

Di fronte alla tragedia, quest'ultimo cambia idea e decide di vendicare Billy, cercando di strangolare Ratched, che ritiene responsabile per la morte del giovane.

La reazione dell'ospedale è durissima e viene deciso di lobotomizzare McMurphy.

Il "Capo" , dopo il trattamento, lo trova diventato del tutto insensibile; Non vedendo alcuna soluzione, la soffoca per evitare di farlo vivere in questo stato per il resto della sua vita. Quindi, in una finale e metaforica scena di "liberazione", strappa un'enorme fontana d'acqua e la lancia su una vetrata recintata, eseguendo il piano che McMurphy aveva proposto per evadere, all'inizio del film, senza avere abbastanza forza per realizzarlo.

"Capo", quindi fugge sulle montagne circostanti.

Il film era nato da una idea di Kirk Douglas che aveva acquistato i diritti del libro di Ken Kesey, pensando di adattarlo al cinema, ma l'argomento del film e il contenuto drammatico gli aveva impedito di trovare finanziamenti.

Nel 1966 durante un tour di beneficenza, Kirk Douglas aveva incontrato Miloš Forman a Praga dove aveva scoperto i film del giovane talentuoso regista ceco. Pensò quindi di affidargli l'adattamento cinematografico e prometté di inviargli il romanzo. Ma Miloš Forman non ricevette mai il libro che viene intercettato al confine e Kirk Douglas pensò che il regista non fosse interessato.

Ma dopo la primavera di Praga nel 1968, Miloš Forman andò in esilio negli Stati Uniti e diresse il suo primo film americano, Il decollo. Nel frattempo, Michael Douglas aveva ripreso il progetto di adattamento cinematografico che suo padre Kirk aveva avuto un decennio prima: Kirk Douglas si fa avanti per interpretare McMurphy.

Quando finalmente Miloš Forman riceve il romanzo, è entusiasta: "Per te, questo libro è letteratura, ma per me è vita! Ho vissuto questo libro. Il Partito Comunista era la mia infermiera Ratched 2 ! "

Il film resta uno dei più forti e dirompenti della cinematografia americana e internazionale.  Vinse 5 premi Oscar e 6 Golden Globe più innumerevoli altri riconoscimenti in tutto il mondo.

E con il passare degli anni non ha perso la sua forza rivoluzionaria, e niente della sua perfezione stilistica, dovuta alla maestria e al talento puro di Milos Forman e a un cast fenomenale, azzeccato in ogni personaggio, in ogni singolo caratterista.

Qualcuno volò sul nido del cuculo
(One flew over the cockoo's nest)
di Milos Forman
con
Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Billy Bibbit, Will Sampson, "Chef" Bromden, Danny DeVito, Christopher Lloyd, Taber Sydney Lassick 
Durata 134 minuti
USA, 1974 





05/07/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 33. "Metropolis" di Fritz Lang (1926)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 33. "Metropolis" di Fritz Lang (1926)

Pochi altri film nella storia del cinema hanno influenzato tutto ciò che è venuto dopo, come il capolavoro distopico-kolossal diretto da Fritz Lang nel 1926.


Le immagini del film ispirano da decenni il mondo del cinema, della pubblicità e della musica.  E tanto per citare qualche nome, il Ridley Scott di Blade Runner, il George Lucas di Star Wars o il Terry Gilliam di Brazil sono enormemente debitori al capolavoro tedesco.

L'idea di Metropolis venne a Fritz Lang ammirando lo skyline notturno di New York dal transatlantico con il quale aveva raggiunto gli Stati Uniti qualche anno prima, per la messa in scena del suo I Nibelunghi.

Metropolis venne realizzato dalla casa di produzione tedesca UFA e dal produttore Erich Pommer con una ricchezza di mezzi assolutamente incredibile, con ben diciannove mesi di riprese e un totale di 310 giorni e 60 notti di riprese, 600.000 metri di pellicola impressionata, 36.000 comparse tra uomini, donne e bambini per un costo totale di 50 milioni di marchi tedeschi dell'epoca (che provocò la bancarotta della UFA, la quale fu rilevata dell'editore Hugenberg, membro del partito nazista, che la trasformò nella fabbrica di consenso del Regime.

Metropolis è un film modernissimo e visionario, rappresentando la società della megalopoli Metropolis, che nel 2026 (ci siamo quasi arrivati!) è spaccata in due: vicini al cielo, in vetta ai loro immensi grattacieli, gli aristocratici godono di un'esistenza felice, immersi nel lusso; mentre nelle tenebre delle sconfinate catacombe sotterranee, all'ombra di mostruose macchine che ne dispongono l'esistenza quotidiana, gli operai vivono e lavorano come formiche secondo ritmi ossessivi e disumani.

Per stroncare la ribellione degli operai, il supermagnate Fredersen ordina allo scienziato-mago Rotwang di costruire un robot-femmina che, assunta l'identità della dolce operaia Maria, seduca le masse di lavoratori e le inciti alla rivolta, offrendo così alla classe dominante l'alibi per reprimere una volta per tutte ogni ribellione.

Ma la situazione sfugge ad ogni controllo e a salvare Metropolis saranno proprio il cuore della vera Maria e del suo innamorato, il figlio di Fredersen.

Una parabola definitiva sul potere e le masse, che ha segnato la storia del Novecento e continua a gravitare con i suoi potenti simboli anche sulla contemporaneità. 

Metropolis 
di Fritz Lang
Germania, 1926
durata da 80 minuti a 200 minuti a seconda delle diverse versioni
con Alfred Abel

notizie tratte da "Un secolo di grande cinema", "Il grande cinema di Ciak", vol.II  Milano, Aprile 2000




17/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 29. "The Hours" di Stephen Daldry (2002) 


E' uno dei film migliori degli ultimi due decenni, The Hours diretto nel 2002 dall'inglese Stephen Daldry, basato sul romanzo omonimo di Michael Cunningham, che vinse il premio Pulitzer.

Nel film - come anche nel libro - si intrecciano le vicende di tre donne, in tre diversi momenti della nostra storia. 

Quella della scrittrice Virginia Woolf - il film inizia nel 1941, nel Sussex quando, dopo avere lasciato una lettera al marito Leonard in cui dice di non potere più combattere contro la depressione, ringraziandolo per la felicità che le ha dato, si suicida annegandosi nel fiume Ouse; quella di Laura Brown, una casalinga infelice che aspetta un bambino, nel 1951; quella di una editor bisessuale, Clarissa Vaughan, che sta preparando una festa per il suo ex-amante Richard che sta per morire di AIDS, nel 2001.

Le tre donne sono interpretate rispettivamente da Nicole Kidman, Julianne Moore e Meryl Streep. 

Il film dunque racconta una giornata vissuta da tre donne, nel 1923, nel 1951 e nel 2001.

In quel giorno del 1923 Virginia si è stabilita a Richmond, sperando che l'aria di campagna le faccia passare gli esaurimenti nervosi e il profondissimo disagio psichico con cui convive e quella mattina comincia a scrivere quello che diventerà uno dei suoi romanzi più famosi: La signora Dalloway. Virginia riceve la visita di sua sorella Vanessa e dei due figli maschi di lei, Quentin e Julian. Il disagio aumenta, Virginia tenta una fuga da casa e va alla stazione dei treni, ma viene raggiunta da Leonard, al quale spiega in un drammatico colloquio che non può più restare lì con lui e che  vorrebbe tornare a Londra. 

In quel giorno del 1951, a  Los Angeles invece, Laura Brown è una donna che vive col marito Dan e il figlio Richie. Laura è una donna infelice, e non vuole nemmeno avere il bambino che aspetta. Il marito la ama tanto, ma lei in fondo sa di non ricambiare il sentimento. L'unica cosa che la conforta è la lettura del romanzo La signora Dalloway. E proprio in quel giorno, che è il compleanno di Dan, e in cui perfino la torta che ha preparato non riesce bene, riceve la visita di Kitty, una vicina di casa che le rivela di dover essere operata per la rimozione di un tumore all'utero. E' il campanello d'allarme per  Laura che non riesce più a sopportare la sua vita e decide di suicidarsi nella camera di un albergo, senza riuscire a portare a termine il suo proposito. 

In quel giorno del 2001 a New York, infine, Clarissa saluta la sua fidanzata Sally e va a comprare i fiori per Richard, che la chiama ostinatamente "Signora Dalloway", suo ex amante ora malato di AIDS, che proprio quella sera riceverà un'onorificenza per il suo lavoro nel campo della letteratura. Richard, un premio che lui non ritiene di meritare. Nel pomeriggio Clarissa va da Richard, che confessa alla donna l'amore che ha sempre provato per lei, citando le parole che Virginia Woolf aveva scritto nella lettera d'addio per il marito, e finisce per gettarsi dalla finestra sotto gli occhi di lei.

Il film finisce come è iniziato, ovvero con il suicidio di Virginia nel 1941. Mentre si immerge si sente la voce di Virginia pronunciare le frasi finali del film, rivolte a Leonard: «Caro Leonard, guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita, sempre, riconoscerla per quello che è; alla fine, conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni che abbiamo trascorso; per sempre gli anni; per sempre, l'amore; per sempre, le ore.»

E' un film meravigliosamente riuscito, scandito dalle superbe musiche di Philip Glass, che rappresentano un capolavoro nel capolavoro, impreziosito dalla interpretazione delle tre straordinarie attrici e dai loro comprimari. 

Un film sul dolore del vivere, sulla inquietudine interiore, sulla impossibilità di essere felici e di dimenticare il peso della morte, sulla forza invisibile della vita e degli affetti veri, dell'amore che cura e dell'amore che fallisce. 

The Hours è un film che non si dimentica e si rivede con le stesse emozioni della prima volta, lasciandosi avvolgere dall'intenso profumo di vita e di morte che vi si respira.

Moltissimi premi ricevuti in tutto il mondo, compresa la statuetta per la migliore attrice a Nicole Kidman, autrice di una prova al limite delle capacità interpretative, sotto un pesante trucco che le ha dato le sembianze della grande Virginia Woolf. 

Fabrizio Falconi





10/05/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 19. "Toro scatenato" (Raging Bull) di Martin Scorsese (1980)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 19. "Toro scatenato" (Raging Bull) di Martin Scorsese (1980)

Come può una vita intera confluire in un film ?  Sicuramente, per molti versi, Toro scatenato (Raging Bull) realizzato da Martin Scorsese nel 1980 non è soltanto uno dei suoi più grandi capolavori, ma anche il film che - basti leggere il libro-intervista scritto a quattro mani da Scorsese stesso con il giornalista Richard Schickel, Considerazioni su di me e tutto il resto rappresenta la summa delle esperienze vissute da Scorsese all'inizio della sua vita, nella gioventù e nella adolescenza, vissute in quella comunità newyorchese di italo-americani che è lo sfondo e il centro focale di questo magnifico film. 

Toro Scatenato è, come si sa, ispirato dall'autobiografia del pugile italoamericano Jake LaMotta, Raging Bull: My Story, adattata dal grande Paul Schrader, che aveva già sceneggiato per Scorsese Taxi Driver e da Mardik Martin e girato nel meraviglioso bianco e nero di Michael Chapman.

Robert De Niro, nella sua forse più grande interpretazione (che gli valse l'Oscar e innumerevoli altri premi in tutto il mondo) interpreta il ruolo del pugile peso medio, idiota (nel senso dostoevskijano) dal carattere brusco e paranoico, che, cresciuto nel Bronx, si allena tenacemente per raggiungere i vertici della boxe, per poi subire una vera caduta verticale in un degrado ed un cupio dissolvi inesorabile. 

De Niro poi, è più che il semplice interprete di questa storia, visto che fu proprio lui a proporre all'amico Scorsese di realizzare un film dal romanzo autobiografico di La Motta che aveva appena finito di leggere e per il quale voleva assolutamente vestire i panni del protagonista.

E' un film divenuto con gli anni, leggenda.  Anche per le vicende produttive che lo caratterizzarono: dalle esitazioni della United Artists e dei produttori esecutivi spaventati dalla eccessiva violenza, verbale e non, contenuta nel film; ai problemi di salute di Scorsese che non attraversava un buon periodo, sia per problemi d'asma, sia per l'uscita (poco prima dell'inizio delle riprese) dal "tunnel" della dipendenza da cocaina, sia per il fallimento, su ogni fronte (pubblico, critica e spese), del musical New York, New York; dal pazzesco trainer intrapreso da Robert De Niro per girare la seconda parte del film, che comportò, sotto la supervisione del campione di culturismo Franco Columbu, un aumento di peso di circa 30 chili (esempio lampante di un metodo di recitazione estremo, mirato alla riproduzione più  fedele possibile della realtà); all'incredibile montaggio di Thelma Schoonmaker (anche lei premiata con l'Oscar) che rivoluzionò il modo di riprendere le scene pugilistiche, e che fu completato nell'appartamento di Scorsese; all'attenzione maniacale che Scorsese, insieme alla montatrice, dedicarono ad ogni singola inquadratura, motivata dal fatto che il regista era seriamente convinto che dopo il flop di New York New York, questo sarebbe stato il suo ultimo lavoro da regista (quindi una sorta di testamento artistico).  

La trama del film, come dicevamo ispirata alla realtà della società degli immigrati di seconda generazione italo-americani di New York che Scorsese conosceva molto bene, si presenta come una sorta di moderno dramma schakespeariano, in cui la violenza è il linguaggio (la violenza del quartiere, la violenza che a Jake viene richiesta per diventare "qualcuno" e guadagnarsi la celebrità) e in cui la parte del leone è affidata agli intrighi e alle dinamiche familiari, soprattutto quelle tra Jake e il suo fratello-agente intepretato dal geniale Joe Pesci, un rapporto di amore-odio, rivalità, passione, gelosia, paranoia. 

La scalata di Jake verso la gloria sportiva è accompagnata da un progressivo inesorabile allontanamento dalla vita, dalle relazioni umane, e fondamentalmente dalla realtà, con la seconda parte del film che mostra la triste trasformazione di La Motta in una specie di fenomeno da baraccone, alle prese con surreali monologhi comici in locali di quinta categoria. 

Da questo punto di vista quindi il film è anche una variante del più classico dramma faustiano, nel quale vengono sacrificati alla gloria, al successo,  al denaro e ai riconoscimenti, l'autenticità del proprio essere, l'ingenuità del proprio essere e con esso tutto ciò che di autentico esiste nella propria vita.

Appena uscito, il film ricevette pareri contrastanti: alcuni critici ne denunciarono la violenza e la "difficoltà" del personaggio di LaMotta, altri invece ne lodarono il sapiente montaggio e la regia. 

La critica però si accorse subito del valore indiscutibile del film, reazioni che - insieme alle 8 candidature agli Oscar - compensarono almeno parzialmente Scorsese del modesto risultato ai botteghini americani, dominati dai successi stellari di Spielberg e di Lucas degli anni '80. 

A partire dalla fine degli '80 Toro scatenato cominciò ad essere considerato per quel che era: un classico. Nel 1990 il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al ventiquattresimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito addirittura, e giustamente, al quarto posto. 

Un film che si vede e si rivede, ogni volta emozionandosi, empatizzando e piangendo con il povero diavolo Jake, con le sue vicissitudini molto, ma molto umane. 

Fabrizio Falconi

Toro Scatenato
Raging Bull 
di Martin Scorsese
Stati Uniti, 1980
Durata 129 min
Robert De Niro, Joe Pesci, Cathy Moriarty, Frank Vincent, Nicholas Colasanto