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22/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "8½" di Federico Fellini (Italia, 1963)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "" di Federico Fellini (Italia, 1963)

E' ormai per la critica unanime uno dei film capitali nella storia del cinema. E talmente conosciuto e singolare - genialmente innovativo all'epoca - nella struttura e nello stesso sviluppo narrativo che non serve tornarvi. 

E' più interessante invece dare voce allo stesso Fellini, che così parlava del suo film - su invito del settimanale - a corredo delle immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963:

Forse questa è solo la storia di un film che non ho fatto.  

Mi ricordo che all'inizio, parlo almeno di un anno e mezzo fa, volevo mettere insieme un ritratto a più dimensioni di un personaggio sui quarantacinque anni che, in un momento di sosta forzata (il fegato, una cura termale in un posto tipo Chianciano, la giornata scandita da orari nuovi e precisi, il riposo, il silenzio, e intorno una folla insolita e malata, sovrani nordici e contadine, vecchi cardinali e mantenute un po' acciaccate), sprofonda pigramente in una specie di verifica intima. 

Quasi inevitabilmente gli passano davanti fantasie e ricordi, sogni e presentimenti.  Non riuscivo, all'inizio, a dargli una carta d'identità, al protagonista.  Restava un personaggio generico, piombato in una certa situazione, e credevo che non fosse necessario definirlo meglio.  

Ma il film non riusciva a fare un passo avanti. Per quanto se ne discutesse con gli sceneggiatori, Flaiano, Pinelli e Rondi, non restava altro che l'idea del film.  Poi il personaggio è diventato finalmente un regista che tenta di riunire i brandelli della sua vita passata per ricavarne un senso e per tentare di capire. Anche lui ha un film da fare, che non riesce a fare.

A un certo punto lo troviamo perfino ai piedi di una gigantesca rampa per missili: da quella rampa, nel suo film, dovrebbe partire un'astronave, con il compito di portare in salvo, verso chissà quale altro pianeta, i resti dell'umanità distrutta dalla peste atomica.    Proprio lì, sotto il castello di tubi e di pedane, il mio protagonista dice a se stesso: 

"Mi sembrava di avere le idee chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi sembrava di avere qualcosa di molto semplice da dire: un film che servisse, un po' a tutti, a seppellire quello che di morto ci portiamo dentro. Invece sono io il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio un bel niente.  E adesso mi trovo qui con questa torre tra i piedi e una gran confusione nella testa. Chissà a che punto avrò sbagliato strada.

Un capolavoro che non smette, dopo 60 anni, di ricevere applausi da ogni parte del mondo.

8 ½ 
Regia di Federico Fellini
Italia, 1963 
con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk. 
durata 138 minuti 



05/06/20

A vent'anni dalla morte di Vittorio Gassman ecco la commovente lettera aperta scritta da Alessandro, suo figlio



Riporto qui la lettera aperta scritta da Alessandro Gassman a suo padre, Vittorio, nel ventesimo anniversario della sua scomparsa e pubblicata su IO Donna - Corriere della Sera .

E' molto bella e forte, priva di retorica, e traccia un ritratto veritiero e partecipato di uno dei più grandi attori italiani di sempre. 

Tua madre, piccola donna, giovane vedova, ebrea e con due figli minori a carico, fu straordinaria durante il fascismo a portare avanti una famiglia da sola. Dicevi sempre che il funerale di tuo padre, nonno Heinrich, un gigante tedesco di quasi due metri, fu il primo momento della tua vita nel quale ti sentisti al centro dell’attenzione. E scopristi che starci non ti dispiaceva, anzi. 

A quattordici anni perdere un padre è dura ma, con una madre come Luisa accanto, sicuramente avrete avuto un sostegno incredibile e anche per questo sei diventato quello che tutti conoscono. Con il susseguirsi degli anni, dei figli, delle mogli, dei premi, dei trionfi, forse ti sei accorto che quel bambino che si sentì importante durante il funerale del papà, in realtà non avrebbe dovuto starci lì al centro, ma che magari una collocazione più “laterale” ti avrebbe regalato una vita forse meno esplosiva e divertente ma più felice, più a te consona

Certo avremmo tutti perso tonnellate di risate ed emozioni, molte donne non si sarebbero innamorate, il termine “mattatore” avrebbe assunto altri significati, molti registi non avrebbero trovato il loro straordinario protagonista… Ma tu, forse, avresti vissuto

 Non hai mai una sola volta viaggiato per diletto, ma solo per lavoro. Mai ti sei fatto un regalo, tranne qualche macchina sportiva. Che, peraltro, guidavi male. Ricordo viaggi da Roma alle Alpi, schiacciato nel sedile posteriore pieghevole della tua Porsche verde pisello, con la quale raggiungevi velocità estreme per poi inchiodare immotivatamente; il frastuono assordante del motore dietro la mia testa; quell’odore di pelle che mi dava il voltastomaco. Molte pipì silenti sul ciglio della strada, molte sigarette scroccate, centinaia di pacche inaspettate dietro le spalle, che ti spostavano e che erano sempre seguite da una risata infantile e coinvolgente, e che ora inspiegabilmente mi mancano.

Cosa ti sia perduto in questi venti anni da quando sei andato “altrove”, è difficile da raccontare. Difficile perché molto è accaduto, molto è cambiato il Paese e profondamente lo sono gli italiani, tanto che se esistesse oggi il tuo Bruno Cortona del Sorpasso probabilmente sarebbe considerato dai più uno sfigato. In questo momento storico poi – dove le cose dovranno cambiare per davvero, con una epidemia che ha stravolto e stravolgerà la società, gente impreparata, rammollita da sessanta anni di ozio e perdita di riferimenti culturali – manca la voce della tua generazione, la voce di chi una “guerra” l’ha vissuta e le è sopravvissuto. 

Siete in molti lì, sei in buona compagnia: Ugo, Luciano, Dino, Ettore, Mario, Adolfo, Paolo, Ennio, Suso, Franco (Tognazzi, Salce, Risi, Scola, Monicelli, Celi, Flaiano, Cecchi D’Amico, Zeffirelli, ndr). Sempre se esiste un lì… Se nella frase che ripetevi (penso fosse del tuo amico grande sceneggiatore, Sergio Amidei) «Solo gli stronzi muoiono!» ci fosse verità, lì, dove ti trovi, sarebbe molto meno frequentato

Dell’oggi probabilmente avresti apprezzato l’accelerazione della vita, tu che eri come me iperaccelerato: ti innervosivi, come me, per lungaggini o inceppi di qualunque sorta. Avresti probabilmente fatto un utilizzo puramente letterario dei social, avresti mandato a quel paese tutti coloro – e sono tanti – che parlano sempre, che si occupano della distruzione sistematica della nostra sublime lingua, della perdita dei congiuntivi, della semantica, del fatto che nessuno più sappia cosa sia l’anacoluto. Non possono parlare meglio, perché i pensieri sono piccoli, veloci, furbeschi, corrotti, interessati. 

Avresti tifato tuo nipote Leo a Sanremo (ha vinto il Festival nella categoria “Nuove proposte”, ndr), ti sarebbe piaciuto per la sua voce, il suo coraggio e la sua umiltà. Avresti tifato per Geko (il calciatore della Roma Edin Džeko, ndr). Forse avresti anche apprezzato il mio lavoro. Avresti apprezzato alcuni nuovi registi e attori, detestato il populismo, perché vi avresti riconosciuto avvisaglie di un passato per te spaventoso. Mi avresti visto invecchiare, somigliarti di più, osservare la mia lunga schiena piegarsi leggermente in avanti per la classica lordosi di famiglia che ci accomuna, ma avrei continuato a farti ridere come nessun altro è mai riuscito. Ecco, quello che mi manca di te, soprattutto, è uno spettatore al quale fare da “buffone”. Invecchiando e avendo responsabilità, non lo faccio più spesso, nessuno ride quanto ridevi tu, nessuno adora essere preso in giro da me quanto piaceva a te, eppure penso che invece, quella rimanga la mia dote migliore. Ti abbraccio senza mascherina, e ti bacio anche sulle labbra, cosa che ti avrebbe fatto schifo. Ma con te posso farlo, come faccio da venti anni e come – rassegnati – farò per sempre. Ti voglio bene. 
A.

03/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 67. 'Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto' di Elio Petri, Italia, 1970



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 67. 'Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto' di Elio Petri, Italia, 1970

Uno dei film politici più duri di sempre. 

Il film del grande Elio Petri, uscito nel 1970 e da lui sceneggiato insieme a Ugo Pirro è una satira drammatica, feroce e psicologica sulla corruzione e l'abuso del potere, che racconta la storia di un alto ufficiale di polizia che uccide la sua amante, e quindi - in un meccanismo dostoevskijano - vuole verificare se la polizia sarà davvero disposta ad accusarlo di questo crimine.

Comincia così a manipolare le indagini spargendo indizi evidenti che alcuni poliziotti ignorano, intenzionalmente o no.

Il film ebbe enorme risonanza e si aggiudicò l' Oscar per il miglior film in lingua straniera di quell'anno.

Gian Maria Volontè interpreta - con prodigioso talento - l'ispettore di polizia recentemente promosso che uccide la sua amante (Florinda Bolkan), e quindi copre il suo coinvolgimento nel crimine.

Il "dottore" (di cui non sappiamo il nome) si insinua nelle indagini, fornendo indizi per guidare i suoi ufficiali subordinati verso una serie di altri sospetti, tra cui il marito gay della donna e uno studente radicale di sinistra.

Quindi esonera gli altri sospetti e conduce gli investigatori verso di lui per dimostrare che è "al di sopra dei sospetti" e può cavarsela con qualsiasi cosa, anche mentre viene indagato.

Alla fine, confessa il crimine di fronte ai suoi superiori - che si rifiutano di credergli.

Ormai certo di essere al sicuro da ogni coinvolgimento, ritira la sua confessione e riceve l'approvazione del commissario di polizia.

Il film sconvolse parecchio l'Italia di allora e continua ad essere, rivisto anche oggi, di una modernità impressionante, mettendo in scena gli stessi, eterni meccanismi, con il cui il potere usa menzogne e sopraffazione per perpetrare i suoi piani.

La critica internazionale lo lodò, anche negli USA dove il  New York Times definì il film "un melodramma di suspense con le preoccupazioni morali della vera satira contro il regime. La storia avanza con uno slancio implacabile. È una parabola politica e un film straordinario. "
Altri critici hanno definito il film come "un paranoico poliziesco procedurale , una parabola perversa sugli elementi corruttivi del potere" e "preoccupante oggi come quando è uscito nel 1970. Forse di più".


INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO 
Regia di Elio Petri. 
Italia 1970 
con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Orazio Orlando, Gianni Santuccio, Salvo Randone. 
durata 118 minuti. 



11/02/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 55. "Professione Reporter" (The Passenger) di Michelangelo Antonioni (1975)



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100 film da salvare alla fine del mondo: 55. "Professione Reporter" (The Passenger) di Michelangelo Antonioni (1975)

Appartenente alla fase più felice della produzione di Michelangelo Antonioni, Professione Reporter, che nel titolo inglese si chiamava The Passenger è uno dei film più misteriosi del grande regista, passato alla storia anche per i pochissimi dialoghi, la magnifica fotografia (diretta da Luciano Tovoli). e per la penultima scena, di sette minuti, realizzata interamente dal punto di vista della finestra di una stanza d' albergo, in cui la narrazione drammatica è fatta da azioni viste a distanza, accompagnate da suoni misti. 

Il film racconta le vicende di David Locke (Jack Nicholson), giornalista televisivo, che è nel deserto africano e sta preparando un documentario sui guerriglieri della regione. 

Dopo essere stato abbandonato dalla sua guida ed essere rimasto bloccato con la sua Land Rover nella sabbia, entra in crisi, stanco del lavoro, del matrimonio e della vita. 

Riesce a tornare in albergo e cerca lo strano inglese Robertson, un ospite che gli aveva raccontato un po 'della sua vita, affascinando David con la sua apparente spensieratezza. Quando David entra nella stanza, trova Robertson, morto nel letto per un attacco di cuore e sfruttando il fatto che l'uomo ha una grande somiglianza fisica con lui, decide di indossare l'identità con il morto (cambiando la foto sul  passaporto), continuando a seguire l'agenda che ha trovato in camera sua, andando nei vari luoghi indicati. 

Più tardi David scoprirà che Robertson era invece un trafficante di armi, atteso dai guerriglieri africani, che stavano aspettando lui per concludere l'affare.

Allo stesso tempo, la moglie di David e i suoi collaboratori iniziano a cercare "Robertson" (in realtà David), poiché vogliono sapere di più sulla morte del giornalista.

David quindi inizia a fuggire, facendosi aiutare da un giovane turista inglese.

Una potente meditazione sull'identità, l'alienazione e il desiderio umano di sfuggire a se stessi, che merita di essere rivisto. 

Fabrizio Falconi

PROFESSIONE: REPORTER 
The Passenger
Regia di Michelangelo Antonioni
Italia, 1975 
con Jack Nicholson, Maria Schneider, Ian Hendry, Jenny Runacre, Angel Del Pozo, James Campbell.  durata 126 minuti. 



17/01/20

Centenari di Fellini e Tonino Guerra: "Cento anni di sogni" al Maxxi di Roma domenica 19 gennaio



In occasione del centenario della nascita di Federico Fellini (20 gennaio 1920 - 31 ottobre 1993) e di Tonino Guerra (16 marzo 1920 - 21 marzo 2012), Fondazione Cinema per Roma e MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo celebreranno i due grandi artisti con un evento speciale a cura di Mario Sesti che si svolgera' domenica 19 gennaio a partire dalle ore 17.30 presso l'Auditorium del MAXXI (via Guido Reni 4a). 

"Legati dall'incanto delle fantasie infantili dei borghi romagnoli e successivamente dal cinema e dall'invenzione di realta' visionarie, Fellini e Guerra avrebbero compiuto, nel 2020, cento anni - dice Mario Sesti - Insieme hanno marcato a fuoco la storia del cinema e l'identita' italiana con opere come Amarcord, E la nave va, e Ginger e Fred".

L'evento, a ingresso gratuito, prendera' il via con la proiezione de Il lungo viaggio (Dolgoe putescestvie) di Andreij Khrzhanovskij. 

Nel film, Tonino Guerra trasforma in animazioni i disegni di Fellini: donne dalle grandi forme, vitelloni e personaggi malinconici e Gelsomina che suona la tromba per chiamare a raccolta tutti sul Rex. 

"Ho fatto un sogno - racconta Guerra che, come l'avvocato di Amarcord e' la voce narrante - con gli schizzi di Federico si imbarcano alla ricerca di un'isola lontana, fatata. Ma quando la raggiungono, il Maestro e Giulietta li lasciano, continuando da soli il lungo viaggio".

A seguire, si proietterà il documentario Fellini Fine Mai di Eugenio Cappuccio, applaudito alla 76a Mostra del Cinema di Venezia. 

Dopo aver incontrato, da adolescente, il regista a Rimini ed esserne diventato assistente, l'autore ne ricostruisce il percorso scavando nel ricchissimo repertorio televisivo della e Rai raccogliendo numerose testimonianze originali, fino a inoltrarsi nell'area segreta dei "fantasmi" di Fellini, i film che non riusci' a realizzare: Il viaggio di G. Mastorna e Viaggio a Tulum, imbattendosi, per la prima volta, in nuove scoperte, affascinanti misteri e inquietanti rivelazioni. 

14/01/20

Cinema: "Un sacco bello" compie 40 anni. Verdone ricorda Sergio Leone


"'Un sacco bello' compie 40 anni: usciva 40 anni fa di questi tempi. Leggendo della ricorrenza, nelle belle parole scritte dal critico Filippo Mazzarella, sono tornati a galla tante emozioni, tanti ricordi, su quel mio primo debutto, per il quale devo tutto a Sergio Leone, che punto' su un giovane e disse 'vediamo che sa fa". E anche grazie alla sua protezione ci sono riuscito".

Con queste parole inizia l'emozionato ed emozionante ricordo che Carlo Verdone affida alla sua pagina Facebook in occasione dei 40 anni del film che segno' il suo debutto cinematografico, e l'inizio della carriera di uno degli attori piu' importanti del panorama cinematografico italiano.

Tutto comincio' con i tre personaggi di Enzo, Leo e Ruggero (ma nella pellicola Verdone ne interpretava anche altri) e le loro peripezie tragicomiche in una Roma semideserta, in piena estate. Una Roma "poetica", come la definisce lo stesso Verdone.

"Credo che in quel film - sottolinea - ci sia una mia forte componente caratteriale, un po' malinconica, quella che conoscete, la grande solitudine di questa bella citta' che allora, all'epoca, aveva una grande anima. Nella gente, nel popolo, nelle atmosfere, nei rumori, nei suoni. E aveva tanta poesia, c'era una grande poesia. Poi l'aver ambientato il film a Roma d'estate, deserta, e' stata una bella intuizione. Una citta' dove non ci sono tanti rumori come oggi. Si sentiva il rumore dell'acqua di qualche fontana, qualche campana, qualche macchina che passava, qualche motorino smarmittato. Quella era Roma d'estate, una Roma vuota, quasi tombale, pero' con un gran fascino. E questi tre personaggi, queste tre anime, sole, pero' comiche nel loro modo di parlare, nella loro gestualita', sono stati tre intuizioni veramente notevoli".


L'attore pone l'accento sul fatto che quelle atmosfere, di una capitale piena di sogni e speranze all'inizio degli anni '80, non torneranno piu': "Vi ho consegnato un bel film, e vi ho consegnato un periodo, che purtroppo non tornera' piu'. Pero' non deve essere triste questo, perche' fortunatamente il cinema ha questa magia: quella di rendere immortali certi attori, certe immagini, certi scorci, certe atmosfere. Ce li ripropone. Magari piano piano col tempo diventano sempre piu' in bianco e nero, sempre meno a colori, pero' stanno li', e diventano come una carezza per l'anima. Tutto qua".


"Un pensiero - conclude Verdone - su un gran bel film, poetico, molto poetico. E un grazie, a tutti quelli che mi hanno aiutato a farlo. Mario Brega, Sergio Leone, Ennio Morricone per le musiche, Ennio Guarnieri il mio direttore della fotografia. E i tanti attori, i generici, le comparse, Isabella De Bernardi, la figlia dello sceneggiatore, che fa Fiorenza. Che bei ricordi. Pero', il film sta la', lo potete vedere quando volete. Magari d'estate e vi viene una botta di nostalgia oppure di immaginazione, su una citta' che non conoscevate".

Fonte: Claudio Maddaloni per Lapresse

13/01/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. "C'era una volta in America (Once Upon a Time in America)" di Sergio Leone (1984)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 52. "C'era una volta in America (Once Upon a Time in America)" di Sergio Leone (1984)

Il film testamento di Sergio Leone, il lavoro a cui il regista romano dedicò - tra progettazione e realizzazione - più di dieci anni di lavoro, gli ultimi della sua vita. 

Il film è, come noto, un adattamento del romanzo The Hoods di Harry Gray pubblicato nel 1952. 

Gli attori principali sono Robert De Niro, James Woods ed Elizabeth McGovern, oltre ad una giovanissima Jennifer Connelly. 

Il film racconta, dal proibizionismo agli anni sessanta, quarantacinque anni delle drammatiche vicissitudini del mafioso David Aaronson chiamato "Noodles" e dei suoi amici, dal ghetto ebraico della loro infanzia alle sfere più alte del crimine organizzato a New York . 

C'era una volta in America fu concepito dal suo autore come la terza parte di una saga che copre diversi periodi chiave della storia americana . La prima opera, C'era una volta in Occidente , si svolge al momento della conquista dell'Occidente. Il secondo, C'era una volta,  durante la rivoluzione messicana , e infine C'era una volta in America , ripercorre il periodo di proibizione e l'avvento del gangsterismo. 

Il film è un grande, maestoso, magnifico affresco sui temi dell'amicizia infantile, dell'amore, della lussuria, dell'avidità, del tradimento e delle relazioni interrotte. 

Sergio Leone morì cinque anni dopo l'uscita di questo film, quando stava lavorando a un progetto sull'assedio di Leningrado . 

La trama del film non segue un ordine cronologico lineare, ma si alterna a livello di diegesi tra tre fasi della vita del protagonista principale: la sua adolescenza nel 1922 dove si mischiava con l'ambiente dei piccoli delinquenti del Lower East Side , quartiere ebraico di New York, dove ha vissuto con la sua famiglia, l'età adulta nel 1933 e la vecchiaia nel 1968.  

Il film vinse molti premi in tutto il mondo, ma fu snobbato agli Oscar dove racimolò soltanto 3 nominations. 
Con il passare degli anni però il film di Leone si è sempre più stabilizzato nelle primissime posizioni delle classifiche dei film migliori di sempre, compilate dalle associazione dei critici internazionali e dai sondaggi online. 





19/12/19

Ecco la grande mostra dedicata a Sergio Leone all'Ara Pacis di Roma



'C'era una volta Sergio Leone': e' il titolo evocativo della grande mostra all'Ara Pacis, in programma fino al 3 maggio 2020, con cui Roma celebra, a 30 anni dalla morte e a 90 dalla sua nascita, uno dei miti assoluti del cinema italiano. 

Promossa dall'Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, l'esposizione arriva in Italia dopo il successo dello scorso anno alla Cine'mathe'que Française di Parigi, istituzione co-produttrice dell'allestimento romano insieme alla Fondazione Cineteca di Bologna. 

Il percorso espositivo - curato dal direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini - racconta di un universo sconfinato, quello di Sergio Leone, che affonda le radici nella sua stessa tradizione familiare: il padre, regista nell'epoca d'oro del muto italiano, scegliera' lo pseudonimo di Roberto Roberti, e a lui Sergio strizzerà l'occhio firmando a sua volta Per un pugno di dollari con lo pseudonimo anglofono di Bob Robertson

Nel suo intenso percorso artistico Sergio Leone attraversa il peplum, (filone cinematografico storico-mitologico), riscrive letteralmente il western e trova il suo culmine nel progetto di una vita: C'era una volta in America.

A questo sarebbe seguito un altro film di proporzioni grandiose, dedicato alla battaglia di Leningrado, del quale rimangono, purtroppo, solo poche pagine scritte prima della sua scomparsa. Leone, infatti, non amava scrivere.

Era, piuttosto, un narratore orale che sviluppava i suoi film raccontandoli agli amici, agli sceneggiatori, ai produttori, all'infinito, quasi come gli antichi cantori che hanno creato l'epica omerica.

Ma ciò nonostante, il suo lascito e' enorme, un'eredita' creativa di cui solo oggi si comincia a comprendere la portata. 

I suoi film sono, infatti, "la Bibbia" su cui gli studenti di cinema di tutto il mondo imparano il linguaggio cinematografico, mentre molti dei registi contemporanei, da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da Francis Ford Coppola a Quentin Tarantino, da George Lucas a John Woo, da Clint Eastwood ad Ang Lee continuano a riconoscere il loro debito nei confronti del suo cinema.

Le radici del cinema di Sergio Leone affondano, naturalmente, anche nell'amore per i classici del passato - in mostra i film dei giganti del western, da John Ford a Anthony Mann - e rivelano un gusto per l'architettura e l'arte figurativa che ritroviamo nella costruzione delle scenografie e delle inquadrature, dai campi lunghi dei paesaggi metafisici suggeriti da De Chirico, all'esplicita citazione dell'opera Love di Robert Indiana, straordinario simbolo, in C'era una volta in America, di un inequivocabile salto in un'epoca nuova. 

Per Leone la fiaba e' il cinema. 

Il desiderio di raccontare i miti (il West, la Rivoluzione, l'America) utilizzando la memoria del cinema e la liberta' della fiaba, entra pero' sempre in conflitto con la sua cultura di italiano che ha conosciuto la guerra e attraversato la stagione neorealista. 

A partire da Per qualche dollaro in piu' Leone puo' permettersi di assecondare la sua fascinazione per il passato e la sua ossessione documentaria per il mito curando ogni minimo dettaglio. 

Perche' una favola cinematografica, per funzionare, deve convincere gli spettatori che quello che vedono stia accadendo realmente.

Grazie ai preziosi materiali d'archivio della famiglia Leone e di Unidis Jolly Film i visitatori entreranno nello studio di Sergio, dove nascevano le idee per il suo cinema, con i suoi cimeli personali e la sua libreria, per poi immergersi nei suoi film attraverso modellini, scenografie, bozzetti, costumi, oggetti di scena, sequenze indimenticabili e una costellazione di magnifiche fotografie, quelle di un maestro del set come Angelo Novi, che ha seguito tutto il lavoro di Sergio Leone a partire da C'era una volta il West. 




11/12/19

Si apre a Rimini la Grande Mostra dedicata a Federico Fellini per i 100 anni dalla nascita !




Si alzera' sabato 14 dicembre a Castel Sismondo - nel cuore di Rimini - il sipario su Fellini 100. Genio immortale. 

La mostra, rassegna dedicata al maestro del cinema e primo passo verso le celebrazioni per il centenario della nascita in programma nel 2020, quando saranno tolti i veli al museo internazionale a lui dedicato che si sviluppera' tra Castel Sismondo, Piazza Malatesta e il Cinema Fulgor. 

L'esposizione - il taglio del nastro e' previsto nel pomeriggio poi, in via straordinaria, rimarrà aperta fino alle 24 - ruota attorno a tre nuclei di contenuti: il primo racconta la storia d'Italia a partire dagli anni Venti-Trenta attraverso l'immaginario dei film di Fellini; il secondo e' dedicato al racconto dei compagni di viaggio del regista e il terzo alla presentazione del progetto permanente del 'Museo Internazionale Federico Fellini'. 

Dopo l'allestimento riminese, la mostra, nell'aprile 2020, approdera' a Roma a Palazzo Venezia.

Intanto, nella sua ultima seduta, la Giunta comunale di Rimini ha approvato il progetto esecutivo sul museo dedicato al regista romagnolo per quanto riguarda il Fulgor, sala in cui il piccolo Fellini si innamoro' del cinema

I lavori partiranno a marzo per concludersi entro il 2020 con una spesa prevista di 1.100.000 euro. Il Fulgor si appresta ad ospitare, oltre agli spazi espositivi, i servizi di biglietteria, di bookshop e di caffetteria

Sui primi due piani del palazzo che lo ospita sara' sviluppato e reinterpretato il rapporto tra la terra d'origine e l'intera opera di Fellini, in un gioco di rimandi tra realta' e immaginazione, ricordi e sogni, storia ed espressione artistica, mentre uno spazio aperto caratterizzera' il terzo piano della struttura. 

Uno spazio in cui lo spettatore potra' godere delle immagini dei film di Fellini, delle musiche di Nino Rota e dell'insieme di voci, sussurri, inviti, rumori che fanno da contrappunto alla colonna sonora delle pellicole felliniane. 

14/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. "La Famiglia" di Ettore Scola, Italia (1987)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. "La Famiglia" di Ettore Scola, Italia (1987)


Dal punto di vista del professore in pensione Carlo, il percorso a ritroso, attraverso memorie, nostalgie e lacrime e sorrisi, della storia di una buona famiglia italiana di ceto medio da 80 anni in movimento, iniziata con il battesimo di Carlo nel 1906, quando la sua famiglia posa per un ritratto comune per il fotografo.

Zie, zii, cugini e fratelli - vivono tutti in un grande appartamento a Roma, dove si può godere ancora l spensieratezza della Belle Époque . Ma poi inizia la prima guerra mondiale e i tempi cambiano.

Il nonno, il patriarca della famiglia, muore e Carlo e suo fratello Giulio litigano regolarmente. 

All'inizio dei suoi vent'anni, Carlo è già professore di letteratura, come lo era suo nonno. Si innamora della pianista Adriana, ma alla fine ne prende in sposa la sorella Beatrice, una decisione che rimpiangerà per anni.

Anche se la generosa Beatrice è una buona moglie e una madre amorevole dei suoi figli, Carlo interiormente desidera sempre Adriana, rimesta negli stessi ricordi, specula mentalmente su ciò che poteva essere e non è stato, cerca nuove possibilità, nuovi incontri, ma sempre indeciso sul da farsi.

Col passare degli anni, i singoli membri della famiglia attraversano la Seconda Guerra Mondiale , il difficile periodo postbellico, il boom economico; si provano amore, amicizia e delusioni; si aspettano figli, ci si affligge per i defunti.

E il teatro è sempre l'appartamento di Carlo, dove le anime si incontrano, stanno insieme e si dividono, quasi fosse essa stessa un essere vivente. Dopo la morte di Beatrice, Carlo realizza di aver probabilmente sposato la donna giusta.

Non sarebbe stato contento di Adriana, perché nonostante l'amore passionale, la loro unione sarebbe stata eternamente combattuta, una eterna competizione, fatta di sfide, di gelosie e sofferenze.

Per il suo ottantesimo compleanno nel 1986, l'intera famiglia si riunisce per celebrare il compleanno di Carlo. I suoi figli, i suoi nipoti, suo fratello Giulio e anche Adriana sono venuti e ora posano con Carlo in mezzo a loro per una nuova foto per l'album di famiglia.

La grande saga della famiglia di Ettore Scola, che si svolge per otto decenni esclusivamente nella casa della famiglia, uscì il 22 gennaio 1987 in Italia. Il film ottenne successo in tutto il mondo e fece incetta di premi, tranne di quello più importante, l'Oscar.

Con pura maestria, nell'ambiente privato rappresentato, Ettore Scola dipinge lo sfondo di un mondo interpretato e messo in scena con attenzione alle singole psicologie, e ai rapporti familiari, in continuo contrasto tra aspirazioni personali e legami di sangue.  La struttura della famiglia, e delle sue dinamiche virtuose e patologiche, forse non è mai stata così bene illuminata, nella storia del cinema, risultando La Famiglia, un  grande affresco o un prisma in cui nascita e morte, felicità e dolore si alternano costantemente al cambiamento della società, come colori prodotti da una medesima fonte d'origine.


La Famiglia
di Ettore Scola
Italia, 1987
Con Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Fanny Ardant, Carlo Dapporto, Ottavia Piccolo, Jo Champa, Massimo Dapporto, Athina Cenci, Alessandra Panelli, Monica Scattini, Memè Perlini, Ricky Tognazzi, Philippe Noiret, Sergio Castellitto, Cecilia Dazzi, Dagmar Lassander.
Durata 162 minuti


17/07/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 36. "Il Vangelo secondo Matteo" di Pierpaolo Pasolini (1964)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 36. "Il Vangelo secondo Matteo" di Pierpaolo Pasolini (1964)

Pasolini scopre il Vangelo quasi per caso, durante un soggiorno ad Assisi nel quale voleva incontrare Papa Giovanni XXIII

Ne rimane subito profondamente colpito, per due motivi principali: «Dal punto di vista religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati ingenuamente ontologici: l’umanità di cristo è spinta da una tale forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna contraddizione.  Inoltre: per me la bellezza è sempre una “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentato nel Vangelo.» 

C’è poi il Pasolini marxista che da quindi una lettura più politica del Cristo, ma mai dogmatica, sempre personalissima e aperta ai temi universali dell’uomo: «Seguendo le accelerazioni stilistiche di Matteo alla lettera, la funzionalità barbarico-pratica del suo racconto la figura di Cristo dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione

Il Vangelo doveva essere secondo me un violento richiamo alla borghesia stupidamente lanciata verso un futuro che è la distruzione dell’uomo, degli elementi antropologicamente umani, classici e religiosi dell’uomo.» 

 E’ interessante vedere come le scelte registiche del film prendano una direzione inaspettata per lo stesso Pasolini, come se la materia sacra lo avesse trascinato verso una direzione diversa da quella che si era prefissato di seguire:

"Il Vangelo mi poneva il seguente problema: non potevo raccontarlo come una narrazione classica perché non sono credente ma ateo. D’altra parte io volevo filmare Il Vangelo secondo Matteo, dunque raccontare la storia del Cristo figlio di Dio, dunque raccontare una storia alla quale non credevo. Dunque non potevo essere io a raccontarla. E’ così che, senza precisamente volerlo, sono stato portato a rovesciare tutta la mia tecnica cinematografica e che è nato questo magma stilistico che è proprio al “cinema di poesia”. Perché, per poter raccontare il Vangelo, ho dovuto tuffarmi nell’anima di qualcuno che crede. Qui è il discorso libero indiretto: da una parte la narrazione è vista attraverso i miei occhi, dall’altra attraverso gli occhi del credente. Ed è l’utilizzazione di questo discorso libero indiretto che è causa della contaminazione stilistica, del magma in questione.»

Pasolini però, con grande pudore e rispetto, si ferma nel punto in cui il suo sguardo di ateo e il mezzo cinematografico stesso non possono arrivare: «Io avrei potuto demistificare la reale situazione storica, nei rapporti tra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare quella figura di Cristo mitizzato dal romanticismo, dal cattolicesimo della Controriforma, avrei potuto demistificare tutte queste cose, ma poi come avrei potuto demistificare il problema della morte? Cioè il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso che è il mistero del mondo. Quello non è demistificabile».

Un film, il film, a mio avviso più straordinariamente fedele - nella sua infedeltà - al racconto dei Vangeli e alla inaudita vicenda della vita del Cristo.






07/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 27. "La Grande Guerra" di Mario Monicelli (1959)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 27. "La Grande Guerra" di Mario Monicelli (1959)

Film straordinario, che ebbe e continua ad avere uno straordinario successo all'estero, rappresenta uno dei migliori esempi di sempre del felice connubio di tragedia e commedia che in Italia è stato genericamente chiamato "commedia all'italiana". 

In realtà il film non può essere tecnicamente compreso sotto quella definizione: La Grande Guerra è infatti un affresco corale, ironico e struggente che consiste in un grande apologo contro la guerra, muovendo i passi dalla vita di trincea durante la prima guerra mondiale, con le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916, narrate con piglio neorealista e con una maniacale  attenzione ai particolari storici. 

Monicelli trasse lo spunto per il film da un'idea di Luciano Vincenzoni che si era a sua volta ispirato ad un racconto di Guy de Maupassant, Due amici, affidando la sceneggiatura allo stesso Vicenzoni e ad Age & Scarpelli. 

I protagonisti del film sono due soldati, il romano Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) e il milanese Giovanni Busacca (Vittorio Gassman) che si incontrano per la prima volta in un distretto militare durante la chiamata alle armi  e finiscono sulla stessa tradotta per il fronte, diventando nonostante le rispettive differenze e diffidenze, amici. 

Seppure di carattere completamente diverso, i due sempliciotti sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra. 

Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti". 

Una sera, dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li "trasporta" in territorio nemico. 

Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. 

Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico. 

Ma proprio quando stanno per concretizzare il loro tradimento, l'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani ridà forza alla loro dignità, portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico (il milanese Busacca)  l'altro (Jacovacci), dopo la fucilazione del compagno, fingendo di non essere a conoscenza delle informazioni, finendo così per essere fucilato poco dopo l'amico. 

La battaglia si conclude poco tempo dopo, con la vittoria dell'esercito italiano e la riconquista della postazione caduta in mano agli Austriaci, ignorando il sacrificio nobile di Busacca e Iacovacci, ritenuti fuggiaschi, i quali hanno optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali. 

Tra i molti film contro la Guerra, questo di Monicelli è probabilmente l'unico ad aver mescolato così sapientemente i toni della tragedia a quelli della farsa: una sorta di Orizzonti di Gloria senza il cinismo, la brutalità e la ferocia morale di Kubrick, e con la levità invece, tutta italiana e universale, di Monicelli, virata ad un atavico pessimismo, al quale fornisce una parziale compensazione solo la scelta di restare umani, con tutte le proprie bassezze o debolezze.

Il film vinse il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia (ex aequo con il Generale della Rovere di Rossellini) e ottenne la nomination al Miglior Film Straniero, sia al Globo d'Oro sia agli Oscar.

Fabrizio Falconi

La Grande Guerra
di Mario Monicelli
Italia, 1959 
Durata: 129 minuti
Con: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli.




19/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)

André Bazin definì questo film l'espressione più pura del Neorealismo, e anche se oggi sembra difficile poter ri-guardare questo film estraniandolo dal suo contesto storico, bastano semplicemente venti minuti per dimenticare critiche, studi universitari, e dispute, per ritrovare subito la freschezza universale di questa opera miracolosa, che è riuscita e riesca a parlare direttamente al cuore e alla testa di ogni spettatore, di ogni latitudine censo o etnia. 

Ladri di Biciclette nacque come è noto dalla collaborazione tra Cesare Zavattini e lo stesso De Sica, riadattando un romanzo di Luigi Bartolini ed estremizzandone in contenuti in un poderoso affresco sulla povertà, sul lavoro e sulla dignità umana, grazie a quella forma "poetica del pedinamento" nella quale credeva Zavattini, consistente nel rimanere attaccato alla prospettiva dei protagonisti, nel seguire ogni loro istante, espressione del viso, mutamento caratteriale con un utilizzo di campi medi e lunghi e le figure di attori non professionisti sempre al centro della scena, quasi in tempo reale anche quando le quinte sono quelle ricostruite in studio.

La vicenda raccontata è di una semplicità assoluta: ad Antonio Ricci, il protagonista, rubano la bicicletta nel primo giorno di lavoro, che per lui, attacchino di manifesti in strada, è essenziale.  Inizia così la disperata rincorsa di Antonio, accompagnato dal figlio Bruno, alla ricerca del ladro, in una delirante peregrinazione nei diversi quartieri della città.

Quando ormai tutto è perduto, Antonio cede alla tentazione di rubarne una, ma viene subito fermato e aggredito sotto gli occhi del figlio. E saranno proprio le lacrime disperate del figlio Bruno a evitargli il carcere e a restituirlo alla libertà, in una ultima memorabile scena in cui i due fanno ritorno a casa tenendosi per mano mentre su Roma scende la sera.

Un film monumento su cosa significa (e comporta l') essere umani.


Ladri di Biciclette
di Vittorio De Sica
con Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola
Italia, 1948
durata: 93 minuti


18/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 4. "Roma" di Federico Fellini.



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


4. "Roma" di Federico Fellini (1972).


Come si fa a scegliere dentro la meravigliosa produzione di Federico Fellini?  

Noi scegliamo di salvare, alla fine del mondo, un suo film considerato minore  che pure ottenne la Nomination come Migliore film straniero ai Golden Globe del 1973 e il Gran premio della tecnica al Festival di Cannes del 1972, oltre al premio del Miglior film straniero assegnato in quell'anno dal Syndicat Français de la Critique de Cinéma. 

Perché questa scelta?

Perché Roma viene da sempre considerata una città-mondo. Anzi, come dicevano i padri latini, il caput mundi. Specchio e concentrato degli umani vizi e debolezze e gloria delle virtù umane. 

E' significativo che l'atto d'amore più completo concepito per Roma, la sua storia, le sue rovine, il suo mondo, sia stato realizzato da un non-romano. 

Da non romano, trapiantato a Roma dalla provincia emiliana, Fellini riuscì come nessun altro, grazie allo spirito della sua ispirazione poetica a cogliere l'essenza più intima, nascosta della vita della Città, le sue luci e le sue ombre, l'ombra delle sue immani rovine, le luci della sua resilienza, tra ironia, sberleffo, disincanto. 


Grazie all'espediente di mettersi lui al centro del film - nei panni del giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale - Fellini pesca nei suoi ricordi di allora, la Roma fascista, la Roma del Ventennio che però sa accogliere questo giovane estroso che va subito ad abitare nel popolare quartiere di Piazza dei Re di Roma. 

Da questo punto di partenza, Fellini però intesse un patchwork pieno di ogni cromia, con quadri e personaggi eterogenei e scene tutte memorabili: dal defilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia all'ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare, dal teatrino di un avanspettacolo  all'incontro del regista con giovani universitari a Villa Borghese,  dalla Festa de' Noantri fino alla memorabile scena finale del raid notturno dei motociclisti che attraversano tutta Roma da nord e Sud fino alla Cristoforo Colombo, metafora della vecchia città ormai e ancora una volta cancellata dalla brutale modernità. 

Il passaggio da un topos all'altro della narrazione avviene senza soluzione di continuità e senza filo narrativo: è l'antesignano assoluto di quello che oggi chiamiamo docufilm : né vero documentario, né vero film.  Una lunga guache di un grande artista che si esercita sul tema che gli è più congeniale, muovendo e giocando su tutti i registri: emotivo, nostalgico, ironico, profetico, poetico. 

Una vera opera-testamento che non invecchia e che resta un classico. 

l film venne presentato in prima nazionale al cinema Barberini di Roma il 18 marzo 1972.


Fabrizio Falconi

10/12/18

All'Ara Pacis una grande e bellissima mostra tutta dedicata a Marcello Mastroianni.


Una vita tra parentesi”. Così Marcello Mastroianni amava definire la sua vita. Le parentesi tra un set e l’altro, tra un palcoscenico e l’altro, lungo una carriera fatta di un’infinità di film, di spettacoli, di personaggi.

L’esposizione ripercorre la carriera straordinaria di Mastroianni. Dagli esordi con Riccardo Freda nel 1948 alla collaborazione con Federico Fellini, di cui diventò un vero e proprio alter ego.

Più di cento film tra gli anni Quaranta e la fine dei Novanta, e molti riconoscimenti internazionali: tre candidature all’Oscar come Miglior Attore, due Golden Globe, otto David di Donatello, due premi per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes e due Coppa Volpi al Festival di Venezia.

Un attore entrato prepotentemente nell’immaginario collettivo, identificato dal semplice profilo (pensiamo all’icona creata da Fellini in 8 e ½), ma su cui in realtà c’è ancora molto da scoprire.

E per andare a fondo nella scoperta, come osserva il curatore Gian Luca Farinelli, dobbiamo tallonare la sua filmografia in quanto specchio della sua stessa vita.

Ed è proprio questo il percorso che seguirà la mostra Marcello Mastroianni, a partire da un tratto distintivo della sua personalità: quell’umiltà che gli faceva amare gli altri attori, figure di un pantheon che raccoglieva Gary Cooper, Clark Gable, Tyrone Power, Errol Flynn, John Wayne, Greta Garbo, Jean Gabin, Louis Jouvet, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Amedeo Nazzari, Totò, Assia Noris, e nel quale trionfava, non a caso, Fred Astaire, un attore capace, come sarà poi Marcello, di recitare con tutto il corpo (ricordiamo una delle sequenze fondamentali interpretate da Mastroianni: quella in cui si scatena nel ballo in Le notti bianche, il film di Luchino Visconti che segnerà il suo riconoscimento come attore “importante”).

Tutta la vita e la carriera di Marcello Mastroianni sono raccontate in questa mostra che raccoglie i suoi ritratti più belli, i cimeli e le tracce dei suoi film e dei suoi spettacoli, alternando immagini e racconti e immergendo lo spettatore in quello che è stato ed è ancora il più conosciuto volto del cinema italiano. Un percorso attraverso scritti, testimonianze, recensioni, oltre a un raro apparato fotografico che ritrae l’attore come non siamo abituati a ricordarlo, sul palco, vicino agli altri grandi nomi che hanno fatto la storia del teatro italiano, da Vittorio Gassman a Rina Morelli, da Paolo Stoppa a Eleonora Rossi Drago.

Cinema e teatro, le due anime di uno degli attori più importanti del nostro cinema, raccontate in dialogo costante grazie ai materiali conservati dalla Cineteca di Bologna, dallo stesso Mastroianni e da numerosi altri archivi (da quello dell’Istituto Luce a quello della Rai) con i quali è stato costruito questo percorso privilegiato che accompagnerà lo spettatore attraverso cinquant’anni di cultura e costume italiani.

Museo dell'Ara Pacis , Spazio espositivo Ara Pacis 
Dal 26 ottobre al 17 febbraio 2019 Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima). 24 e 31 dicembre 9.30-14.00 Chiuso il 25 dicembre e l'1 gennaio 

29/11/18

L'ultima intervista al grande Bernardo Bertolucci.


È morto a Roma alle 7 del mattino del 26 novembre dopo una lunga malattia Bernardo Bertolucci. Il regista aveva 77 anni. Ha firmato capolavori come Novecento e Ultimo Tango. Per L’ultimo imperatore ha vinto due Oscar, per la regia e la sceneggiatura. Qui l’ultima intervista che ha dato a Malcolm Pagani di Vanity Fair nella primavera del 2018