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18/11/14

Interstellar - Una domanda sulla morte.




Anche Interstellar - come ogni altro film di Christopher Nolan - ha attirato critiche da parte della comunità scientifica per le inesattezze contenute (Qui si può leggere anche la risposta del regista). 

Ma è fin troppo ovvio che ad un artista non si chiede di fare divulgazione scientifica (con lo stesso metro quale scienza approverebbe il Bambino delle Stelle finale di Kubrick nella Space Odissey?) ma di raccontare una storia e possibilmente aiutare a riflettere sulla contemporaneità. 

Nolan lo fa. 

Interstellar è un film prezioso, perché costringe a riflettere sul tema della morte e della distanza. L'astronauta Cooper perso nei meandri di un buco nero (lo scienziato di cui sopra boccia l'ipotesi che si possa sopravvivere ad una caduta in un buco nero, ma ad essere esatti nemmeno si è guardato con attenzione il film, perché qui si parla tecnicamente di uno wormhole e non di un buco nero, sono due cose diverse e a quanto pare ancora nessun umano c'è mai finito dentro), si ritrova - come morto - in una dimensione quantistica separata dal piano terrestre reale, ma non del tutto. 

Cooper può vedere (?) davanti a sé squadernati tutti i tempi di vita, della sua vita terrestre, quelli di sua figlia, come se fossero disposti sullo scaffale di una libreria. 

La morte è dunque forse proprio questo essere fuori, questo essere oltre, questo essere prigionieri ?

La morte di Cooper non è - per esigenze di copione, come scopriremo alla fine - una morte.  Ciò che è morto però è il tempo, che non riusciamo mai ad immaginare per quello che esso effettivamente è: una convenzione, soltanto una delle dimensioni possibili. 

Non ho paura della morte, ho paura del tempo, dice in una memorabile battuta il professor Brand, alias Michael Caine, teorico della Nasa nel film.

Sembrano la stessa cosa, ma non lo sono. 

Fabrizio Falconi

13/04/13

Si nasce soli, si vive insieme, si muore soli. .. O no ?






Il pensiero contemporaneo - quel che ne rimane, spappolato in mille apps, in mille rivoli, in mille frammenti - sembra non volerci convincere altro che di questo: Si nasce soli, si vive insieme, si muore soli.

E' la nostra condizione umana, viene asserito. 

Ma è proprio così? Nasciamo soli ? Se nascere soli vuol dire che nel trapasso dalla non-vita alla vita, cioè nel momento del parto siamo soli (l'avventura è da soli), non è propriamente vero. Anzi: non è vero in senso assoluto.   Quando un bambino nasce, non nasce solo. Nasce propriamente dal corpo stesso della madre. Vive dapprima una vita segreta nel corpo della madre e quando viene al mondo lo fa attraverso la partecipazione stessa del corpo della madre. 

Viviamo insieme ?  Indubitabilmente sì.  Sembra che per nessuno sia possibile vivere completamente solo. L'uomo è un animale sociale, anzi l'animale sociale per eccellenza. Ciò che gli ha permesso di dominare il pianeta è esattamente questo.  Per quanto siano esistiti uomini che hanno scelto la solitudine o l'eremitaggio, nessun uomo ha vissuto mai la sua intera vita isolato, da solo. Solo nella socialità, nei rapporti umani, nella parentela, nella cura, nell'amore, nella generosità, nell'amicizia, ma anche nella guerra e nell'antagonismo, l'uomo ha realizzato la sua indole, la sua missione su questa terra. 

Moriamo soli ? Se per questo si intende che ogni uomo è chiamato a compiere in prima persona il trapasso dalla vita senza poterlo condividere con altri, non c'è dubbio che ciò è profondamente vero. 

La morte sembra essere l'elemento connaturale di ogni vivente. (Anche se oggi sappiamo che esistono forme di vita quasi eterne, nella profondità dei ghiacci antartici o nelle viscere degli oceani o della terra, che esistono immutate nella loro costituzione da milioni e milioni di anni).

Ma cosa è la morte ? E cosa ne sappiamo esattamente ?  Ogni cosa in natura - e nelle grandi leggi della fisica e dell'astrofisica moderne - ci insegna che nulla sparisce definitivamente - o si annichilisce, nel linguaggio della fisica - ma tutto si trasforma.  In qualcos'altro.  Siamo abituati a pensare in forma di individuazione, di forma. Ma nella vita universale l'energia, i moti, e soprattutto le relazioni tra oggetti sono molto più importanti degli oggetti stessi. 

E' la relazione, il rapporto, che determina tutto. 

Pensiamoci. 

Pensiamoci anche quando l'istinto - se non altro verbale - ci suggerisce che dopo una nascita da soli - almeno nella individualità del trapasso alla vita - e dopo una vita insieme e una morte da soli, si potrebbe concludere la sequenza affermando che si ri-nasce insieme.  

Fabrizio Falconi


11/08/12

La scala dell'Universo - un meraviglioso sito.





E' un meraviglioso sito - ormai tra i più cliccati della rete - e nasce da una geniale idea di due ragazzi Cary e Michael Huang che hanno creato un mezzo sorprendente, rapido ed efficace per darci conto della immensa complessità nella quale è calata la nostra vita, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo. 

Con un semplice movimento del vostro mouse è possibile compiere un viaggio nel nostro intero universo tra pianeti, batteri, monumenti, galassie, animali e atomi. 

Sembra un gioco, ma il tutto è perfettamente rispondente alle attuali conoscenze scientifiche. E se vi va, potrete spingervi fino all'estremo large del nostro universo - ma chissà cosa c'è oltre - e fino all'estremo small della nostra realtà sub-atomica che ci porta ad un altrettanto inconoscibile mistero su cosa vi sia... oltre.

E' una bella lezione di umiltà (e di conoscenza). Buon viaggio, allora.

Cliccate qui:

http://scaleofuniverse.com/

24/07/12

Il Paradosso dell'Orologiaio. L'argomento teleologico, ancora attuale.





Inaspettatamente, si torna a parlare dell'argomento teleologico. 

Si tratta del celebre paradosso formulato nel 1802 dal teologo e pastore anglicano William Paley (Peterborough, 14 luglio 1743 – Lincoln, 25 maggio 1805) :  Questi sosteneva che se trovassimo in terra un orologio da taschino, quando anche non ne avessimo mai visto uno, capiremmo all'istante che si tratta di un oggetto prodotto da un'entità intelligente.

Lo stesso valeva, secondo lui, per la natura: la sua complessità dimostrava che era frutto di un progetto intelligente.

In realtà Paley non aveva inventato nulla: l'argomento teleologico - cioè l'evidenza della esistenza di Dio giustificata dalla complessità, dall'armonia, e dal mistero della natura - era già stato utilizzato dai grandi pensatori del passato: primi fra tutti, Averroè e Sant'Agostino.

Il primo era un convinto assertore che la Verità può essere conquistata con la Ragione, oltre che con la Fede.

Per il secondo, la creazione del mondo (che è finito e mortale) è avvenuta fuori dal tempo.

La dimensione del tempo insomma, NON è sempre esistita, ma è stato creata. Solo l'anima del primo uomo è stata creata direttamente da Dio.

L'argomento teleologico fu ferocemente contestato, nel corso dei secoli, e venne 'smontato' razionalmente da Hume prima, e da Kant poi.

Ma l'obiezione razionalistica non è riuscita a prevalere del tutto. Per un semplice motivo: Al tempo di Agostino prima, e di Hume e Kant poi, era difficile anche lontanamente immaginare la reale complessità che all'esterno ci circonda e all'interno ci penetra.

Nessuno - neanche tra i più grandi visionari del passato (pensiamo a Giordano Bruno), poteva lontanamente immaginare quello che la Fisica oggi ci sta rivelando sull'Universo, sulla sua nascita, sulla sua consistenza (il 75% del quale è composto da materia oscura e da energia oscura della quale tutto ignoriamo), sul suo sviluppo, e sul fatto che l'Universo da noi abitato è soltanto uno dei molti, infiniti universi probabilmente interconnessi.

Né avrebbe potuto immaginare la complessità spaventosa della fisica sub-atomica, o della biologia molecolare.

Ecco dunque che le argomentazioni teleologiche trovano oggi una inaspettata revanche motivata dalla complessità di quanto scopriamo: sappiamo per certo, ad esempio, che la vita è un fenomeno che si è verificato sulla Terra, in tutta la storia della Terra (4,5 miliardi di anni) una sola volta. Tutta la vita che oggi esiste sul pianeta discende da quel misterioso fenomeno, del quale non sappiamo quasi nulla. 


Sappiamo soltanto che per nascere, la vita, la vita biologica, dovette superare un esame difficilissimo, anzi potremmo dire matematicamente ai limiti dell'impossibile: la probabilità che solo una molecola di proteine venga formata a caso (ci dice la scienza molecolare) è 1 verso 10 alla 243ma (cioè il numero dieci seguito da 243 zeri). E una cellula è costituita da milioni di molecole di proteine. Come la mettiamo ? Chi o cosa  - si chiedono i moderni teleologi -  ha permesso o causato questo evento così imponderabile ?


Fabrizio Falconi 

21/10/11

Nihil ad Excludendum .




Mi sembra che un atteggiamento mentale molto diffuso oggi, che riscontro tra amici anche colti o intelligenti,   quando si affrontano i cosiddetti ultimi, cioè le questioni fondamentali – sempre le stesse della nostra vita - chi siamo da dove veniamo e dove andiamo –   sia quello di asserire con certezza, a prescindere da una qualsiasi fede, ma di asserire con certezza soltanto in negativo , cioè escludendo a priori
I fantasmi ? Bah. La vita dopo la morte ? No, non ci siamo.  Le percezioni extrasensoriali, le visioni, la metempsicosi ? Buonanotte !

Eppure io credo invece che, proprio alla luce delle attuali conoscenze della fisica, e di quello di incredibile che stiamo scoprendo, occorrerebbe da parte di noi umani nelle nostre valutazioni di giudizio, una dose infinita di umiltà. E basterebbe dedicare un po’ di tempo alla lettura di uno qualsiasi dei grandi libri di fisica divulgativa disponibili sul mercato, per concludere che l’unica verità che potremmo affermare, sostenibile senza timore di smentita è questa: ” Nihil ad excludendum”. 

 Non possiamo escludere nulla, dovremmo mantenere la mente molto molto aperta, se possibile. Ecco quel che scrive ad esempio Martin Rees, uno dei maggiori astronomi moderni, Research Professor della Royal Society all’Università di Cambridge e Astronomo Reale d’Inghilterra in un libro capitale, Il nostro ambiente cosmico ( edizioni Adelphi, pag.183).

 “Svariati scenari conducono a universi multipli. Andrej Linde, Alex Vilenkin, e altri hanno simulato al calcolatore un’inflazione “eterna”, nella quale più universi emergono da big bang distinti in regioni disgiunte dello spaziotempo. Alan Guth e Lee Smolin hanno immaginato, partendo da ipotesi diverse, che all’interno di un buco nero possa germogliare un nuovo universo che espandendosi formerà un dominio spaziotemporale a sè stante, a noi inaccessibile.
Lisa Randall e Raman Sundrum suppongono invece che possano esistere altri universi separati dal nostro grazie a una dimensione spaziale in più. Questi universi disgiunti potrebbero tanto interagire gravitazionalmente quanto non avere nessun effetto uno sull’altro.
Gli altri universi sarebbero domini spaziotemporali separati; non potremmo neanche dire sensatamente se sono esistiti prima del nostro o esistono insieme o esisteranno dopo, perchè questi concetti hanno senso solo finchè possiamo usare una misura del tempo unica, comune a tutti gli universi.
Alan Guth e Edward Harrison hanno addirittura ipotizzato che si possano fabbricare universi in laboratorio facendo implodere un certa quantità di materia fino a trasformarla in buco nero. Per caso il nostro universo è il risultato di qualche esperimento eseguito in un altro ? Secondo Smolin, l’universo-figlio potrebbe essere governato da leggi che recano l’impronta di quelle che prevalgono nell’universo-genitore; ma in tal caso potremmo resuscitare, sotto nuova veste, l’argomento teologico del progetto, rendendo ancora più incerto il confine tra fenomeni naturali e soprannaturali.”
Alla luce di queste semplici conclusioni alle quali sta giungendo non qualche stregone, ma  la fisica moderna - e cioè che NESSUNA conclusione è attualmente praticabile e nemmeno pensabile per definire una spiegazione logico-razionale del mistero -  come è possibile per noi escludere qualcosa ?  Come è possibile escludere l’esistenza o la realtà di fenomeni che non comprendiamo ? Quale diritto, quale libertà arbitraria può indurci a dire: “le cose stanno così” ?

19/10/11

I diversamente vivi.


Mi piace spesso usare per i nostri morti, la definizione di ‘diversamente vivi’.

Non è un eufemismo e non è un gioco di parole.

Dipende da come ci si pone di fronte al grande mistero della morte. Per molti, specialmente oggi, la morte non è altro che la fine biologica, e quindi la fine – in-sensata – di un’altra cosa in-sensata, che è la vita, frutto del caso.

Per altri, e io sono uno di quelli, la morte non è la fine, ma il fine. Cioè lo scopo della nostra vita.

Ed è molto curioso e interessante che la nostra lingua, la lingua italiana, nasconda nell’etimologia di questa parola, fine, un doppio significato così opposto.

Se si ragiona in termini religiosi, trovare una spiegazione a fenomeni bizzarri di spiriti che scelgono di manifestarsi dall’oltre-morte attraverso persone a loro care, con scritti o manifestazioni di varia natura, è piuttosto semplice.

Fa infatti parte di qualunque tradizione religiosa, la convinzione che esista una vita oltre la morte, e che i morti possano manifestare la loro presenza in diversi modi anche ai vivi.

Ma l’interesse per questo tipo di fenomeni – chi è cristiano e chi crede nella resurrezione, non si meraviglia di certo, non dovrebbe meravigliarsi - trascende le convinzioni puramente religiose. 

C’è infatti da considerare che noi sappiamo attualmente molto poco, quasi niente anzi, di cosa sia la morte, e soprattutto di cosa sia la vita.

Siamo calati in un mistero infinito, che solo ora cominciamo ad esplorare a tentoni, come un bambino che cammina nel buio.

Viviamo in un ambiente cosmico, un universo, che LA SCIENZA – non la religione – ci dice essere ‘vecchio’ di circa 14 miliardi di anni. Questo universo, ci dice LA SCIENZA – non la religione – non è L’UNICO universo, ma uno degli infiniti (?) universi che formano il cosiddetto ‘multiverso’. Questi universi, ci dice LA SCIENZA – non la religione – sono probabilmente collegati tra di loro attraverso quelle ‘smagliature’ chiamate buchi neri. Il tempo e lo spazio, come ci dice LA SCIENZA – non la religione – sono solo un accidente, una convenzione delle dimensioni che formano o fanno da sfondo al multi verso. La materia visibile, come ci dice LA SCIENZA – non la religione – è solo un accidente, appena il 5% di quanto è contenuto nell’universo, o negli universi. E il restante 95% è formato, ci dice LA SCIENZA – non la religione – da ‘materia oscura’ e da ‘energia oscura’, che non sappiamo ancora assolutamente cosa siano. In più, LA SCIENZA – non la religione – ci dice che esiste l’antimateria, e che ad ogni particella di materia, anche la più infinitesimale, corrisponde una particella contraria, invisibile, di carica opposta.

Ora, alla luce di questo, di questo enorme, abbacinante mistero, come si può escludere a priori che le voci e le presenze di coloro che non sono più visibili e presenti in questa vita limitata e ‘reale’, esistano ancora, seppure in una forma per noi in-visibile ?

 A parte la logica, ciascuno di noi, se soltanto fa un po’ di silenzio nella propria chiassosa vita, può sperimentare una ‘forma di dialogo’ con le persone che non ci sono più, che può passare anche attraverso la semplice interpretazione di segni, di segnali che ci sembra di cogliere nel corso delle nostre giornate.

Sono fenomeni di diversa natura, nei confronti dei quali io nutro il più profondo rispetto. Anche e soprattutto perché i ‘diversamente vivi’ spesso sembrano avere molte cose da raccontare, e importanti, a noi che siamo ancora qui; se soltanto noi abbiamo l’accortezza di fare, almeno per un poco, silenzio.

Fabrizio Falconi.

30/08/09

"O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca !"


Credo che una delle grandi prerogative della preghiera è quella di - potenzialmente - essere accessibile anche da parte di chi 'non crede'. O anzi, sarebbe meglio dire, parafrasando Gianni Vattimo, di chi "crede di non credere".

Credere o non credere sono infatti stati di coscienza 'cristallizzati' per così dire, sulla base di un convincimento personale, basato sull'esperienza (volatile) della nostra vita, sui ricordi (volatili) della nostra vita, sulle idee (volatili) della nostra vita.

Ed è per questo che è profondamente vero che - come insegna l'esperienza - dentro un qualsiasi credente esiste un 'non credente' (potenziale o parziale o reale), e dentro ogni 'credente' esiste un 'non credente (potenziale o parziale o reale).

"Credente" e "non credente" sono niente più che formule che ci diamo - anche quando ci ritroviamo sinceramente e profondamente in esse - che ci aiutano ad avere una riconoscibilità esterna ed una riconoscibilità interiore.

Ma proprio perchè nella natura umana non sembrano esistere nè certezze, nè verità assolute, si possono concepire - e possono esistere - 'scenari di confine' molto delicati, nei quali il 'credente' lascia aperta e coltiva gli spazi del dubbio, e non finisce mai di interrogarsi sul senso e sulla verità della sua fede; e nei quali il "non credente" può interrogarsi, e anche 'chiedere' la voce e la risposta di un Dio al quale non crede (o non crede fino in fondo).

Viviamo un tempo estremamente propizio per questo. Le ultime scoperte dell'astrofisica ci indicano che la nostra conoscenza del tutto - microcosmo/uomo/macrocosmo - è estremamente labile, e che gli scenari (da dove veniamo ? esistono altri, infiniti universi oltre il nostro ? Cosa esisteva prima del Big Bang ? Esistono una decina di dimensioni almeno oltre alle nostre umane, come afferma la 'teoria delle stringhe' ? Ecc...) possibili sono molto estesi, ed è molto difficile escludere anche razionalmente una eventualità, piuttosto che un altra.

In questa larghezza di vedute, che toglie il fiato, si può - lo possono anche coloro che si sentono 'non credenti' - dire: " O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca. "

Non è una bestemmia. E' forse, anzi, la più umana delle preghiere.

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