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07/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (4.fine)




Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (4./fine)


Ma anche negli ultimi anni della vecchiaia, Panikkar, non ha perso di vista il momento storico, le sfide che al cristianesimo vengono imposte dal rapido sviluppo dei tempi.  Oggi, per questo pensatore, non si può fare a meno di chiedersi: chi è Gesù Cristo per l'Oriente, per l'Africa, per il terzo mondo? Come Gesù può divenire realmente il Salvatore per quei popoli, per le nazioni dell'emisfero povero del Sud che sono le protagoniste del presente, ma lo saranno ancor più, presumibilmente, del prossimo futuro? Ovvio che, in tale chiave, l'assise conciliare del domani dovrà essere un Vaticano III, chiamato a focalizzarsi sulle tematiche della mondializzazione del vangelo, sullo sforzo di adattamento della liturgia, dell'ascolto della Parola di Dio e dell'essere chiesa nei più svariati linguaggi e stili di vita. (9)

La speculazione teologica e filosofica di Panikkar, dunque, non si è ancora fermata, così come il suo interrogarsi dentro il mondo e la chiesa di oggi. 

Nel contempo, a rendere la sua figura esemplare e di forte richiamo per i giovani che accorrono a sentirlo parlare, è la serenità e la piena consapevolezza che dimostra anche di fronte ai temi irrisolti della modernità, come l’accettazione della morte.

Ad un uomo che ha oltrepassato splendidamente la soglia dei novant’anni, è stato chiesto di recente se non abbia paura di morire. E questa è stata la risposta di Panikkar:  Una gran parte dell’umanità non ha paura della morte; ha paura della sofferenza, il che è un’altra cosa.  La paura della morte è un fenomeno molto occidentale: se il tempo è un'autostrada che mi porta al cielo, all'inferno, al limbo, o al nulla, o a dove che sia, allora ho paura di non arrivarci. Ma se il tempo non è questo, se la realtà è piuttosto tempiternità - come uso dire con una parola di mio conio - allora la mia vita ha un senso adesso; e benvenuta sia la mia umana finitudine che mi fa scoprire l'unicità di ogni cosa, il valore di ogni momento, di ogni incontro, di ogni bicchiere d'acqua. Nessuna paura, dunque: Cotidie morior, dice San Paolo. E se la fede non trasforma la mia vita, allora questa fede è morta. (10) .

(4./fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
   
9.     Panikkar espresse queste opinioni in un colloquio informale con Bruno Hussar, fondatore in Israele del villaggio della pace di Nevè Shalom.  Il contenuto di questo colloquio è stato riferito da Brunetto Salvarani nella presentazione del vol.12 – Gesù – del mensile CEM mondialità, collana Le parole delle fedi.
10.     Giovanni Ruggeri, Se Dio diventa un’ipotesi inutile, intervista a Raimon Panikkar, pubblicata sulla rivista on line www.24sette.it



20/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)




Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)

Una straordinaria apertura del cuore e del pensiero caratterizza tutta l’opera di Florenskij.  Cuore e pensiero vanno di pari passo, nella ricerca incrollabile di una vita. Forse mai più precisamente che in  questo passo qui di seguito – nel quale descrive la sua passione giovanile per lo studio dei fiori – Florenskij enuncia lo scopo spirituale che lo ha sempre animato:
      In ogni fibra… vedevo e volevo vedere, cercavo di vedere, credevo di poter vedere l’anima, l’unica essenza spirituale.  E perciò, quanto ferma era la mia certezza che il corpo non fosse solamente corpo, solo un’inerte materia, solo qualcosa che si vede, tanto ferma era la certezza opposta dell’impossibilità, dell’inutilità della presunzione di vedere quell’anima incorporea, spogliata del suo velo simbolico… Il positivismo mi disgustava, non meno, però, mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata. (10)

E questa visione sempre duale, e quindi complessa, della realtà e della verità si traduce anche in una concezione del cristianesimo che – tenendo conto della lezione di Tolstoj – guarda oltre il contingente e il presente: Il cristianesimo, scrive Florenskij, non vive di concetti fissi e intangibili, ma si manifesta in un processo evolutivo che non è riconducibile ad alcuna delle formule (riti sacramentali, formulazioni dogmatiche, regole canoniche, conformazione temporale dell’ordinamento ecclesiastico) che l’ecclesialità assume nel corso della storia.  (11)

La fede, la fede in Cristo, è sperimentabile, secondo Florenskij in ogni evenienza della vita, in ogni circostanza.  Egli si lascia ispirare profondamente dall’apostolo Paolo, ed è “convinto di poter fare l’esperienza viva di fede e di lavorare per la diffusione del Regno di Dio in ogni situazione di vita e in ogni condizione esterna, anche quella di opposizione politica” (12).  

Non si spiegherebbe altrimenti la determinazione di Florenskij, durante la terribile, lunga prigionia,  a non lasciarsi andare, a mantenere la fiducia – ad incoraggiarla, anzi, nei famigliari che lo attendono invano a casa – ad accettare la vessazione e la segregazione che gli vengono imposte cercando un senso anche in questa sofferenza.  E’ il motivo per il quale rifiutò perfino la possibilità, quando già era detenuto nello SLON delle Solovki, di emigrare in Cecoslovacchia, insieme alla sua famiglia, opzione che fu accettata di buon grado da altri intellettuali che si trovavano nelle sue stesse condizioni.
      Sarebbe ora che tu capissi, scrive al figlio Vasilij  il 23 novembre del 1933,  che tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in ultima analisi, la vita si dirige verso il meglio. I dispiaceri, nella vita, non si possono evitare; ma i dispiaceri sopportati consapevolmente e alla luce degli avvenimenti generali ci educano e arricchiscono e, in seguito, portano i loro frutti positivi. (13)

Ma è la visione di quell’oltre, di quella sostanza oltre l’apparenza, a rendere possibile l’identificazione di un senso, che rendono plausibili e sopportabili anche il dolore, i dispiaceri, le privazioni; la sensazione che una nuova luce, quella che non vediamo annebbiati come siamo dalle vicende della nostra condizione umana, una nuova luce verrà a capovolgere le nostre parziali convinzioni, le nostre parziali oscurità: Non è possibile il minimo dubbio, scrive,  riguardo a quanto è detto giustamente della vita eterna nell'Apocalisse di Giovanni: “Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di loro" (22,5). Questo non si può intendere se non della luce vera sensibile con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati. (14)
        
Una delle ultime foto di Florenskij (quella posta in testa a questo articolo N.d.A.) lo ritrae seduto alla scrivania nel laboratorio della stazione dei ghiacci presso il BAMLAG (la sigla è l’acronimo inglese Baikal Amur Corrective Labor Camp del corrispettivo russo) a Skovorodino, nel 1934. 

Alla luce di una debole lampada, di fronte al microscopio protetto da una campana di vetro, il volto di Florenskij appare fortemente dimagrito, gli zigomi sporgenti, ma lo sguardo è quieto e determinato, e un foglio di calendario pieno di annotazioni, che campeggia sulle pareti alle sue spalle è il segnale di un lavorio continuo, nonostante il gelo della Siberia, nonostante la fame, nonostante tutto. Gli schizzi dell’epoca, ritrovati, sono zeppi di disegni, appunti, formule matematiche.

(4./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

  
10.     Pavel A. Florenskij, Ai mie figli, op. cit. pag. 154
11.      A. Maccioni, Florenskij e Bulgakov nella storia di un prodigio, in Slavia, XVII,2,2008, pag. 39    
12.        Così i curatori Natalino Valentini e Lubomir Zak in Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi,  op.cit.  nota a pag. 83        
13.       Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit. pag. 76

16/06/13

Cristo, il proto-femminista.






La lettura dei Vangeli di oggi, quello di Luca, è di modernità impressionante: emerge il Cristo proto-femminista che conosciamo e che forse abbiamo dimenticato. Nessuno, prima di lui ha usato queste parole per le donne, ha restituito dignità, considerazione, rispetto, amore per le donne. 
Non donne di potere, non imperatrici o regnanti, ma donne qualsiasi. Comprese le donne che nella accezione di ieri, e anche di oggi, sono assise sull'ultimo gradino della dignità umana.

Lc (7-36-8,3)

Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 

Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 

Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 

Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 

«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 

E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 

Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 

Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 

Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». 

In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.




25/12/12

Buon Natale .




Appena qualche giorno fa è trascorsa la notte più lunga dell'anno.

Il solstizio d'inverno ha rappresentato per millenni, per l'uomo, qualcosa di oscuro e di temibile: il sole, durante l'autunno cominciava a brillare sempre meno, e poi sempre meno, e le giornate sempre più corte, finché il sole a dicembre, non riusciva nemmeno ad alzarsi, e andava a morire nel primo pomeriggio.

Il solstizio d'inverno è il punto di non ritorno: il momento in cui il sole - e la vita - sembrano abbandonare la Terra. Ma, invece, da quel buio, da quell'oscurità, ecco: il sole rinasce, ricomincia a crescere. Le giornate, una dopo l'altra, tornano ad allungarsi, la luce ritorna.

Tutte le civiltà del passato avevano una grande festa - piena di implicazioni simboliche - legate al solstizio d'inverno. I romani, come è noto, la celebravano con il rito del  Sol Invictus.

E non è un caso che anche la festa del Natale Cristiano sia stata posizionata nel calendario, in questo periodo: simbolo di rinascita, di rinnovamento, di speranza, e di luce.

Nel Natale cristiano non si celebra soltanto la nascita di un simbolo (tanto per tornare a ieri), ma la nascita di un corpo.  

Il Cristianesimo è l'unica religione che si identifica  totalmente con una persona: la persona di Gesù di Nazareth.

Dal Monastero di Bose, la Comunità fondata, vicino a Biella, da Enzo Bianchi, arrivano i preziosi libri delle edizioni Qiqajon.

Da Brucia, invisibile fiamma, antologia poetica pubblicata nel 1998, ecco Nascita di Cristo  di Rainer Maria Rilke.

Non avessi tu il candore, come potrebbe
accadere a te ciò che rischiara ora la notte ?
Guarda il Dio dell'ira sopra i popoli
si fa mite, e viene in te nel mondo.
Vedi, questi re sono grandi,
ed innanzi al tuo grembo a te trascinano
tesori, quelli che ritengono i più grandi,
e tu stupisci forse a questi doni:
ma guarda, tra le falde del tuo panno,
come ora lui su tutto passa oltre.
Tutta l'ambra che lontano in mare, si trasporta,
ogni gioia d'oro e quell'aereo aroma che bruciando
si disperde nei sensi e si consuma:
di fulminea brevità fu tutto questo,
e alla fine fu solo rimpianto.
Ma (lo vedrai): Egli dà gioia.



Buon Natale


Fabrizio Falconi

07/04/12

Pasqua: l'evento della resurrezione.



Su cosa è basata la fede di coloro che si dicono cristiani ?

Viviamo in tempi non semplici per le religioni in generale e per il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare che al di là delle interpretazioni dei numeri e delle nuove conversioni  nei paesi dell'Asia o dell'Africa - sono costrette dalla rapida evoluzione dei tempi e dei costumi, a ri-pensare seriamente le proprie origini: su cosa è realmente radicata la propria fede. Su quale principio si appoggia, su 'cosa' si crede esattamente, come mette in luce anche la pregevole inchiesta sull'ultimo numero di Sette, il supplemento del Corriere della Sera.  

Il fondamento del Cristianesimo - che è una religione personificata, cioè una religione che crede sostanzialmente in una persona e cioè Gesù Cristo, che è figlio di Dio- e non solo e semplicemente in un insieme di precetti morali -  è la resurrezione dell'uomo Gesù.

Resurrezione che per i credenti cristiani non è affatto un evento simbolico o astratto, ma del tutto concreto, cioè storicamente avvenuto.  Questo fondamento paradossale è però il cardine sul quale si edifica l'intera costruzione della fede cristiana e senza del quale la fede cristiana non ha senso alcuno. 

Su questo insisteva, fino a rischiare di essere noioso, Paolo di Tarso.

Il quale nella Prima lettera ai Corinzi, fornisce un dettaglio di cronaca, sul quale spesso anche i cristiani tendono a sorvolare. 

Ma che invece è bene non dimenticare, anche perchè la Prima Lettera ai Corinzi è stata scritta intorno al periodo di Pasqua del 57 d.C. 

Si tratta quindi di uno dei più antichi (o del più antico in assoluto )scritti neo-testamentari - precedente alla stessa redazione dei Vangeli - e redatto a breve distanza dai fatti raccontati, cioè ad appena venticinque anni dalla morte di Gesù Cristo.  

Quando dunque molte delle persone che 'avevano visto' , dovevano essere ancora in vita. 

Ecco infatti quel che scrive Paolo:

Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Cor 15,3-8). 

 Molto si è discusso e si continuerà a discutere sul senso di queste misteriosissime parole (specie le ultime). Ma su di esse, non bisognerebbe smettere di ragionare, quando si parla di Cristianesimo.

13/03/12

"Quel primato degli umili che rovesciò il mondo. Perché la predicazione di Gesù si distingue da tutte le altre" di Pietro Citati.



Un bellissimo articolo oggi, di Pietro Citati, sul Corriere della Sera. Eccolo: 


In quel tempo Gesù rispondendo disse: «Io ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così piacque al tuo cospetto. Ogni cosa mi è stata rivelata dal Padre mio. E nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e gravati, e io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo, e imparate da me, poiché io sono mite e umile di cuore. E troverete ristoro per le vostre anime. Poiché il mio giogo è soave e il mio peso è leggero.
(Vangelo di Matteo 11,25-30; i primi versetti sono, quasi nella stessa forma, nel Vangelo di Luca, 10, 21-22) 

Il frammento del Vangelo di Matteo, che vorrei commentare, comincia con una nota solenne. «Io ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra»: vale a dire, io confesso il mio peccato, e insieme ti lodo, ti ringrazio, ti esalto, invoco il tuo nome, professo la mia fede in te, ti prometto solennemente come tu mi prometti. In queste parole risuona l'eco di un passo di Enoc: «In quel giorno, tutti ad una voce cominceremo a lodare, esaltare, glorificare, magnificare nello spirito della fede, della sapienza, della misericordia, della giustizia, della pace e della bontà, e tutti quanti diranno con una sola voce: "Lodatelo, e il nome del Signore degli spiriti sia glorificato per ogni eternità"». 

Questa solenne glorificazione promette, a tutti quanti confessano che Gesù è il Signore, la salvezza alla fine dei tempi. Perché il lettore di Matteo glorifica Dio con queste parole solenni? La spiegazione potrebbe essere molto semplice: egli glorifica Dio perché ha creato l'universo, o perché è buono, o perché ci soccorre, o perché ci ama. In realtà, il testo dice tutt'altro: Dio ha nascosto qualcosa (che per ora resta indeterminato) agli uni e lo ha rivelato agli altri. Se ci chiediamo chi sono gli uni, penetriamo di colpo nel cuore del paradosso cristiano. Gli uni, ai quali la rivelazione viene nascosta, sono i sapienti e gli intelligenti, cioè i maestri professionali di sapienza e di cultura, che specialmente l'ebraismo ha tanto esaltato, e tutti i sapienti e gli intelligenti che nei secoli cristiani educheranno i popoli e i re, e pretenderanno di conoscere, essi soli, il vero segreto della realtà e della verità. San Paolo insiste con grandioso estremismo: «Disperderò la sapienza dei sapienti e renderò vana l'intelligenza degli intelligenti», sviluppando un passo di Isaia. 

Con queste parole, la storia del mondo è rovesciata: la luce non illumina più chi dovrebbe ricevere e diffondere la luce in tutto il mondo. Né sapienti né intelligenti: il cristianesimo ha sempre avuto scarsa tenerezza per loro, se non ricevono dal cielo un altro dono. A chi va dunque la rivelazione? Con immenso scandalo del mondo greco-latino, Gesù risponde: ai népioi. Nel greco classico népioi significa: i bambini, i figli, i figli degli animali, gli indifesi, gli stolti, gli inesperti, coloro che mancano di discernimento e non comprendono né la realtà né la volontà degli dei né i segni del destino. 

23/02/12

L'affidabilità storica dei Vangeli.


Capita spesso, in discussioni o convivi, di incappare nel vecchio argomento della attendibilità - vera o presunta - dei Vangeli cristiani, della loro potenzialità 'documentale'.  E siccome mi accorgo della dilagante ignoranza in materia - di nozioni storiche, collegata alla perdita di radici millenarie  - vorrei qui riproporre un prezioso résumé che traggo dal sito camcris e che allinea le informazioni storiche relative ai testi più famosi dell'antichità classica.   

Credo che sia utile leggere e conservare. 

L'affidabilità storica del Nuovo Testamento

Come per la maggior parte dei testi antichi, non possediamo gli scritti originali del Nuovo Testamento. Ciò che abbiamo a disposizione sono delle copie dei documenti originali. Queste sono state ricopiate e tradotte nelle varie lingue. Naturalmente la stessa cosa vale per gli altri documenti dell'antichità.


La tabella comparativa che segue - tradotta e adattata dal libro di J. McDowell, "Evidenza che richiede un verdetto" - ci mostra dove si situa il Nuovo Testamento (la tabella è incompleta).




Autore - opera
Periodo di redazione
Copia più antica disponibile
Intervallo (anni)
Numero di copie
Giulio Cesare
100 - 44 a.C.
900 d.C.
1.000
10
Tito Livio
59 a.C. - d.C. 17
20
Platone
427 - 347 a.C.
900 d.C.
1.200
7
Cornelio Tacito (Annali)
56 - 115 d.C.
1100 d.C.
1.000
< 20
   (opere minori)
56 - 115 d.C.
1000 d.C.
900
1
Plinio il Giovane (Storia)
61 - 113 d.C.
850 d.C.
750
7
Tucidide (Storia)
460 - 400 a.C.
900 d.C.
1.300
8
Svetonio (De Vita Caesarum)
75 - 160 d.C.
950 d.C.
800
8
Erodoto (Storia)
480 - 425 a.C.
900 d.C.
1.300
8
Orazio
 65 - 8 a.C. 
900
Sofocle
496 - 406 a.C.
1000 d.C.
1.400
193
Lucrezio
95 - 55 a.C.
1.100
2
Catullo
84 - 54 a.C.
1550 d.C.
1.600
3
Euripide
480 - 406 a.C.
1100 d.C.
1.500
9
Demostene
383 - 322 a.C.
1100 d.C.
1.300
* 200
Aristotele
384 - 322 a.C.
1100 d.C.
1.400
** 49
Aristofane
450 - 385 a.C.
900 d.C.
1.200
10
Omero (Iliade)
1100 a.C.
400 a.C.
700
643
il Nuovo Testamento
40 - 100 d.C.
125 d.C.
25
> 24.000
* tutti dalla stessa copia
** di qualsiasi opera

Il numero di manoscritti del Nuovo Testamento (ben 24.000) è di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altra opera antica. Osservando questa tabella risulta anche chiaro che moltissimi documenti antichi sono stati copiati e ricopiati per secoli prima di giungere alla copia più antica in nostro possesso. Il manoscritto più antico del Nuovo Testamento, ha un intervallo di soli 25 anni dall'originale.

In conclusione, basandoci sul numero di documenti disponibili e sull'intervallo fra l'originale e la copia più antica, risulta chiaro che il Nuovo Testamento è storicamente molto più attendibile degli scritti di qualsiasi altro autore sopra menzionato.

Ma oltre all'evidenza che proviene dai manoscritti, abbiamo anche le citazioni in testi e lettere dei padri della Chiesa. Essi citano brani del Nuovo Testamento. Questa fonte esterna garantisce ulteriore sostegno all'affidabilità storica del Nuovo Testamento.




Autore
Periodo
(dopo Cristo)
Citazioni
Vangeli
Atti
Lettere di Paolo
Lettere generali
Apocalisse
Totale
Giustino martire
100 - 165
268
10
43
6
3 (+266 allusioni)
330
Ireneo
 150 - 200
1.038
194
499
23
65
1.819
Clemente d'Alessandria
150 - 212
1.017
44
1.127
207
11
2.406
Origene
185 - 253
9.231
349
7.778
399
165
17.922
Tertulliano
160 - 220
3.822
502
2.609
120
205
7.258
Ippolito
170 - 235
734
42
387
27
188
1.378
Eusebio di Cesarea
 260 - 340
3.258
211
1.592
88
27
5.176
Totali
19.368
1.352
14.035
870
664
36.289

In tutto il Nuovo Testamento, fra i 24.000 manoscritti ci sono solo circa 40 righe di testo (400 parole) che presentano delle variazioni, peraltro minime. Paragonato all'Iliade di Omero, con 643 copie disponibili, le linee varianti sono più di 700. In percentuale questo significa che il testo dell'Iliade è alterato al 5%, mentre il testo del NT è alterato in misura dello 0,5%. Le variazioni o gli errori del NT consistono essenzialmente in duplicazioni o errori d'ortografia e non incidono minimamente su alcuna dottrina fondamentale. Nessun altro libro al mondo presenta tali garanzie di qualità.

Queste non sono le uniche informazioni sulla validità storica del Nuovo Testamento. Ci sono molti altri documenti che confermano la validità dei testi biblici.

Negli ultimi 100 anni l'archeologia ha scoperto numerosissimi riferimenti a città, luoghi, popoli e nazioni descritti nella Bibbia.


25/01/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 2.



2. Costantino, un predestinato. 

Uomo d’armi, cresciuto sui campi di battaglia, fiero e pratico, geniale stratega, uomo duro e generoso. Figlio di uno dei migliori generali di Roma (Costanzo Cloro), educato con il gladio e l’acciaio, capace comunque di raccogliere, già giovanissimo, l’eredità che il padre gli aveva consegnato, quella cioè di divenire il monarca assoluto (e illuminato) della Roma più gloriosa, al termine di un periodo di spaventose lotte familiari, e di potere infinitamente diviso.   Questo era Costantino.

Anche qui non possiamo permetterci di approfondire ulteriormente, rimandando alla vasta letteratura biografica esistente (3). Quello che preme sottolineare, premettendo una inevitabile semplificazione, è che:  Costantino  apparve sempre cosciente del proprio ruolo di predestinato. La figura dell'Imperatore, com’è noto, a Roma era equiparata a quella di una divinità.  E Costantino crebbe in un ambiente pagano che identificava l’imperatore  romano come un essere allo stesso tempo umano e divino. In questa concezione, era naturale, per Costantino l'auto-identificazione con quel Sol invictus , la divinità del Sole, che Roma aveva ereditato insieme ad altre – assorbendone il culto spesso in forme traslate -  dalle grandi civiltà orientali con cui era entrata in contatto, prime fra tutte quella egiziana con il Dio Horus, e quelle indo-iraniane con il culto di Mitra.  E all'indomani della vittoria di Ponte Milvio – come vedremo – in seguito alla apparizione del misterioso Labaro-croce, Costantino cominciò a identificarsi anche con la nuova divinità con la quale sentiva di essere entrato in qualche modo in contatto. Cominciò in altre parole un lento processo di adesione (forse non pienamente consapevole) alla figura del Salvatore, cioè di Gesù Cristo.  


Testimonianze di questo processo sarebbero ad esempio:  


il grande mosaico nella Basilica Lateranense. Secondo alcuni studiosi il volto del Salvatore potrebbe essere stato modellato sui lineamenti di Costantino, che fu, com’è noto il costruttore di quella prima Basilica romana (4);

la tomba dell’Apostoleion, a Costantinopoli, immaginata e preparata da Costantino per le sue spoglie, formata da dodici sepolcri, per le reliquie dei dodici apostoli, più un tredicesimo, centrale, quello nel quale avrebbero riposato per sempre le ossa dell'Imperatore: dunque, Costantino al centro, tra i dodici apostoli;  


la stessa morte di Costantino, secondo quanto racconta Eusebio, avvenuta il 22 maggio del 337 in Ancirona, presso Nicomedia, giorno della domenica di Pentecoste: anche questo servì ad alimentare post-mortem il mito di quell'identificazione di cui parliamo; il fatto infine che prima di morire, Costantino avesse immaginato una sontuosa cerimonia per ricevere il battesimo nelle acque del fiume Giordano. Questa ulteriore 'emulazione' non poté aver luogo per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, circostanza che lo obbligò  a ricevere il sacramento pochi giorni prima di morire, a Nicomedia. Queste sono le parole pronunciate da Costantino, secondo il racconto di Eusebio, parole  che manifestano il rimpianto per questa mancata realizzazione di intenti ( Vita di Costantino, IV, 62,2): " Finalmente è giunto il tempo in cui anche noi potremo godere del suggello che dà la vita eterna, il tempo della impronta salvifica, che una volta pensavo di poter ricevere nelle acque del fiume Giordano, nelle quali si ricorda che anche il Salvatore venne battezzato per offrirci il suo esempio... "  

(segue) 

QUI la puntata n.1


(C)(riproduzione riservata)

16/06/11

'Considerate ciò che c'è sulla terra !'


Nei giorni scorsi il Vicariato di Roma ha diffuso due dati che, mi sembra, siano passati un po’ sotto silenzio e che invece forse vale la pena di meditare. Sono due dati piuttosto eloquenti che riguardano la città simbolo del cattolicesimo:
1. i matrimoni celebrati con rito religioso a Roma si sono, nel giro del ventennio 1990-2010 quasidimezzati (da circa 8,500 a 5000), mentre quelli civili sono rimasti invariati.
2. 1 bambino su 2 che nasce oggi a Roma, non viene battezzato (14.000 battezzati su 25.200 nel 2010).   Questi dati vanno ad aggiungersi ad un terzo, secondo il quale poco meno del 10% della popolazione partecipa più o meno saltuariamente alla messa domenicale.
I dati potrebbero essere tranquillamente allargati al resto del paese e manifestano quel che già appare evidente e cioè una scristianizzazione in atto – già piuttosto avanzata – della società italiana.
I numeri sono importanti ma di per sé non spiegano tutto. Qualcuno, analizzandoli, anzi vi troverà perfino aspetti positivi: meglio pochi cristiani ma convinti, si dirà, pochi cristiani che credono veramente e che ricominciano daccapo, piuttosto che un cristianesimo ‘di massa’, ma costruito su formalismi, non sentito, e tutto sommato dannoso perché ipocrita.
E però, comunque la si rigiri, i dati sono inequivocabili: Cristo è scomparso – anche come problema, come questione, come interrogativo – per una grande parte di persone, che stanno diventando rapidamente maggioranza.
Ecco: ma perché questo è successo ?  Certamente non è questo un luogo dove si possa tentare un’analisi seria di un fenomeno che ha radici antropologiche, culturali, sociali, complessissime.
Per quanto mi riguarda poi, non vorrei dare risposte – che non ho, ma suscitare domande.
La mia domanda è questa: ma non sarà che il mondo – il nostro mondo – sta diventando meno cristiano perché, molto semplicemente, Cristo è scomparso dalle nostre vite ?
Non sarà che sta finalmente trionfando quel sistema secondo cui la fede è sostanzialmente un fatto privato (il contrario, mi sembra di quanto è stato fondamentalmente e storicamente il cristianesimo) ?
Non sarà che la scristianizzazione dipende semplicemente che il nome di Cristo – e le parole che lui ha professato – sono scomparse dai comportamenti collettivi, pubblici, sociali ?
“Fondandosi sulla vita di un uomo e sulle sue azioni” – constatava amaramente Lev Tolstoj nelle sue‘Confessioni’ – “è assolutamente impossibile  capire se costui sia credente o meno. Se vi è una differenza tra coloro che professano esplicitamente la fede e quelli che la negano, ebbene, tale differenza non va certo a favore dei primi.”
Se una persona si professa ‘di fede’, e cioè cristiana, diceva in sostanza Tolstoj, ma non è intelligente, non è onesta, non è buona, non è retta, non ha sentimento etico (tutte manifestazioni che si sostanziano in comportamenti pubblici), costui, che cristiano è ?
Se il nostro cristianesimo serve a farci stare bene, a farci sentire migliori, più buoni,  ma non produce nullaper il mondo, per il resto della collettività – se addirittura lo stesso nome di Cristo è tabù (io stesso lo sento pronunciare pochissimo anche dagli stessi religiosi, fuori dai riti e dalle messe), cancellato dal consesso della vita comune – a cosa serve ?
Sono le stesse domande che si poneva Dietrich Bonhoeffer in anni cruciali, nei quali il nome di Cristo oltre ad essere tabù rischiava di generare di per sé, una condanna a morte.
Bonhoeffer la sua scelta la fece, e già nel 1932, intravvedendo che la semplice scelta di un cristianesimo timido e individuale avrebbe portato conseguenze tragiche per l’intera società in cui viveva.  Togliere Cristo di mezzo, infatti, relegarlo nei nostri spazi privati, gli sembrava una limitazione colpevole, una rinuncia che tradiva lo spirito stesso dei Vangeli, la parola più rivoluzionaria mai udita su questa terra, per l’uomo e per il mondo.
“Considerate ciò che c’è sulla terra !” scrisse “Da ciò dipendono molte cose: se noi cristiani abbiamo forza sufficiente per testimoniare al mondo che non siamo visionari o sognatori.  Che non lasciamo che le cose rimangano come sono, che la nostra fede non è veramente quell’oppio che ci rende felici in un mondo ingiusto.  Ma che noi, proprio perché tendiamo a ciò che è lassù, protestiamo tanto più ostinati e risoluti su questa terra.”
Fabrizio Falconi