28/12/08

La meraviglia è la speranza cristiana.


In un suo volume di parecchi anni fa, Carlo Maria Martini scriveva: " Ciascuno di noi ha in sè un credente e un non credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l'uno all'altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me."

Io credo che guardando onestamente a quello che è la nostra vita, anche la nostra vita di credenti, questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento, sempre. Quello di capire e comprendere e accettare che siamo sempre in una condizione in bilico.

Una condizione che è esattamente condensata da queste parole del teologo ebreo Stefano Levi della Torre ( in Essere fuori luogo): "Ciò che non mi piace di ogni religione è la pretesa di parlare soprattutto di cose che non si sanno, come se essa invece le sapesse (di quale sia, ad esempio, la volontà di Dio). Ciò che non mi piace della mentalità laicistica è la sua propensione a limitarsi alla cose che si sanno o che si possono sapere, come se queste fossero, in quanto "visibili", più rilevanti dell'invisibile. Eppure è il mistero a dar respiro alla conoscenza, a farla lievitare nelle più mirabili costruzioni della cultura. "

Ecco dunque: il mistero. E' questo, quel che ci resta. E non è poco. Non è poco per niente. Questo grande mistero, per esempio, lo riscopriamo ogni anno, in questo tempo di Natale, noi cristiani.

E dovrebbe essere, secondo me, proprio questa "meraviglia di fronte al Mistero" il dato connotante il nostro essere cristiani. La meraviglia è quel che ci fa vivere compiutamente da esseri umani, sempre.

"La fede-speranza ebraica cristiana" scriveva Filippo Gentiloni, " è non soltanto oscura e povera, ma anche aperta, ariosa. Ha gli occhi del bambino: conosce anche in vecchiaia, la meraviglia. Di fronte a un filo d'erba che cresce a primavera, come di fronte alla resurrezione. La meraviglia proprio come maniera di vivere contrapposta alla chiusura, all'arresto, all'egoismo. "

Di questa meraviglia dovremmo sempre essere pieni.


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24/12/08

Questo è il Natale.


"Questo è il Natale, avvertire dentro di sé, una volta all'anno, questa aspettativa, questo fermo diritto che niente può deludere. Sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo a loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi. Questi sono, carissima mamma, i miei pensieri di Natale per te..." scriveva Rainer Maria Rilke in una delle sue lettere che con regolarità spediva a Natale alla madre. Lettere bellissime.

Questa aspettativa... questo fermo diritto che niente può deludere...

Proprio così. Dovremmo essere capaci, almeno oggi, di tornare quel che eravamo - e quel che siamo ancora dentro il nostro involucro adulto - e credere alla meraviglia dell'inesprimibile. Sapere che qualcosa è lì per noi. Ad attenderci e a rispondere.

Essere come quel bambino - Alexander - che osserva il gioco della Lanterna magica, animata dalla luce delle candele, la notte di Natale, e aspetta... aspetta...

Buon Natale a tutti gli amici del Mantello di Bartimeo dal profondo del mio cuore !
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20/12/08

Il dolore innocente.


Cari tutti, vi riporto qui di sotto l'articolo integrale scritto da Vito Mancuso per 'Il foglio' l'8 dicembre scorso, su "Il dolore innocente", con argomenti che richiamano quelli da lui espressi nel libro "L'anima e il suo destino."



In questo articolo intendo ragionare sul dolore innocente, spronato dalle polemiche dei giorni scorsi sul rifiuto della Santa Sede di sottoscrivere il documento delle Nazioni Unite sulle persone handicappate. Francamente non ho capito bene il senso di tale rifiuto, e ancora meno quello che riguarda il documento sulle persone omosessuali. Ma mi occupo di teologia, non di diplomazia, e posso solo tentare di contribuire con qualche riflessione teologica. Inizio ricordando che il berillo è un minerale che appartiene al gruppo dei silicati, ha cristalli esagonali e nelle sue forme più pure può essere verde (smeraldo), azzurro (acquamarina), o anche giallo, rosa e bianco. E’ al berillo bianco che si rifà uno dei più grandi pensatori cristiani di tutti i tempi, Niccolò Cusano (1401-1464), scrivendo il “De Beryllo”, trattato concluso nel 1458. Vi si legge all’inizio: “Il berillo è una pietra lucida, bianca e trasparente, cui si dà una forma parimenti concava e convessa; e chi guarda attraverso di esso vede ciò che prima gli era invisibile.

Se si applica agli occhi dell’intelletto un berillo intellettuale, che abbia forma parimenti massima e minima, attraverso di esso si coglie il principio indivisibile di tutte le cose” (“De Beryllo”, cap. II; ed. it. Niccolò Cusano, Scritti filosofici, a cura di Giovanni Santinello, vol. II, Zanichelli, Bologna 1980, p. 385). Io assumo il dolore innocente quale “berillo intellettuale” per capire il senso del nostro essere al mondo.

Non tutti i dolori sono innocenti. Se uno viene impiccato perché ha violentato dei bambini si può discutere sulla proporzionalità e la liceità della pena capitale che gli viene inflitta, ma non vi sono dubbi che il dolore che subisce sia riconducibile a una sua colpa e quindi colpevole. Non così invece quello dei bambini violentati: il loro dolore è senza colpa, è innocente. Nel mondo vi sono molteplici tipologie di dolore innocente, di cui il caso esemplare a mio avviso è nelle nascite colpite da una delle svariate migliaia di malattie genetiche finora censite, il cinque per cento dei nati oggi nel mondo. Le statistiche dicono che ogni giorno nel mondo ottomila bambini nascono gravemente handicappati, di questi 76 in Italia. Penso sia compito della teologia porsi la domanda metafisica sul perché di queste nascite, su come conciliarle con l’affermazione tradizionale, così spesso ripetuta, che la vita viene da Dio.

Tre risposte sbagliate. Di fronte al dolore innocente vi sono di solito tre reazioni, a mio avviso tutte sbagliate: la prima è il fideismo, la seconda il razionalismo, la terza la disperazione. Sono tutte e tre una sconfitta della ragione, del logos interiore a ciascuno di noi, chiamato a riconoscere la sua appartenenza al logos che è all’origine del mondo – perché precisamente questo è lo scopo della vita.
1) Il fideismo è quell’atteggiamento mentale che genera il senso opprimente del mistero e della vita umana come nulla, polvere, in balìa di una forza misteriosa e talora anche capricciosa che è la forza divina. A questo livello non ha molta importanza che tale forza venga ritenuta impersonale, come gli antichi greci pensavano il fato, oppure personale, come se la raffigura la fede giudaico-cristiana e anche l’islam: quello che conta è il senso di nullità dell’uomo di fronte a essa, il fatto che non vi sia nessun rapporto stabile, sicuro, affidabile, nessuna vera alleanza di Dio con il singolo uomo. E’ la spiritualità cui invita l’intervento divino nel finale del libro di Giobbe. A Giobbe che si lamenta del suo dolore ritenendolo innocente, cioè ingiustificato, Dio risponde: “Chi è costui che oscura il mio consiglio con parole insipienti?” (38, 2), e poi gli rovescia addosso tutte le meraviglie del cosmo facendolo sentire un nulla. E infatti Giobbe conclude: “Ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me… perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere” (42, 3 e 6).

2) Il razionalismo è l’atteggiamento mentale generato dall’apologetica. Dio governa il mondo con forza e giustizia, quindi non vi può accadere nulla contro il suo volere e il suo senso di giustizia. Non c’è perciò nessun dolore innocente: se c’è un dolore, c’è stata di sicuro, prima, una colpa che l’ha prodotto. Il dolore, quindi, è sempre colpevole. E’ quello che dice a Giobbe il secondo dei tre amici, Bildad: “Può forse Dio deviare il diritto o l’Onnipotente sovvertire la giustizia? Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, li ha messi in balìa delle loro iniquità” (8, 3-4). La stessa cosa dice Zofar: “L’iniquità è nella tua mano, l’ingiustizia nelle tue tende” (11, 14). Il cristianesimo conosce una forma moderata di razionalismo in quella teoria che riconduce il dolore a un progetto di Dio, secondo cui il dolore, innocente quanto al soggetto che lo vive, sarebbe però misteriosamente finalizzato da Dio che lo permette per trarne un bene maggiore, come diceva Agostino e come ribadisce oggi il Catechismo (vedi Compendio, art. 58).

3) Il terzo atteggiamento, la disperazione, nasce quando il dolore vince e si impone alla coscienza che non riconosce più nulla di superiore ad esso. Che cos’è la vita? Un continuo declinare verso l’assurdo, verso il nulla. Si sentono i discorsi dei moderni amici di Giobbe, poi si guarda la realtà, e si giunge alla conclusione che quei discorsi sono solo chiacchiere, la verità è un’altra, la vita è una tragedia, a volte una farsa. Dopo aver sentito i discorsi dei tre amici teologi, Giobbe si rivolge a Dio: “Perché mi hai tratto dal seno materno? Fossi morto e nessun occhio mi avesse mai visto!” (10, 18). Parole che sono una vera e propria bestemmia, molto più dura di quelle rivolte direttamente contro Dio magari solo per abitudine; si tratta di una bestemmia contro la vita, l’azione divina per eccellenza. Si può anche bestemmiare Dio o Cristo per una falsa idea che se ne ha, ma se si bestemmia la vita si pecca contro lo Spirito, ed è il peccato che non può essere perdonato. Questo è stato, ed è ancora oggi, il risultato dei discorsi “teologici” degli amici di Giobbe.

I nostri giorni sono attraversati da una disperazione senza pari. Recentemente ho visto il film di un giovane regista italiano sulla condizione giovanile. Era venuto in università con la troupe per intervistarmi, stava realizzando un film-documentario proprio sul male, poi mi ha spedito a casa il Dvd del suo primo film. Io quindi ero ben disposto, tuttavia guardare quel film è stato durissimo per l’immenso senso di vuoto e di disperazione che conteneva. L’anima contemporanea si dibatte in una morsa: sente di aver bisogno della verità, ma sente al contempo che le risposte tradizionali non funzionano, e non sa dove andare e non sa cosa fare. I nostri giovani spesso non sanno cosa fare di se stessi. Il cristianesimo appare loro inconsistente soprattutto per l’incapacità di rispondere al problema del male. Magari non lo sanno tematicamente, ma lo sentono.

Il limite della dottrina è stato finora, a mio avviso, quello di fare del dolore un problema da risolvere. Occorre invece fare del dolore il berillo intellettuale. E non certo per un malsano dolorismo, ma per il più grande atto di omaggio alla vita, la quale può essere compresa solo guardandola come totalità. Per riconciliare gli uomini col senso della vita, è necessario guardare con onestà al tutto della vita, il che comporta l’inevitabile passaggio attraverso “il travaglio del negativo”. Scrive ancora Hegel nella “Fenomenologia dello spirito”: “La vita di Dio e il conoscere divino possono venire espressi come un gioco dell’amore con se stesso; ma questa idea degrada fino alla predicazione, e addirittura all’insipidezza, quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”. Quante volte sentendo le prediche su un Dio che ci ama, che è amore, che vince il dolore, si sente insipidezza, un vuoto parlare di cose tanto distanti dalla vita reale. Fare del dolore innocente il berillo intellettuale significa comprendere che nel dolore innocente la posta in gioco non è la sorte di qualche sfortunato, ma è la complessiva visione del mondo (metafisica) e conseguentemente l’azione umana in esso (l’etica). La nascita di una sola bambina con una malformazione genetica ha a che fare con il senso della vita di ognuno. E’ il principio formulato da Kierkegaard: “Se si vuole studiare correttamente l’universale è sufficiente ricercare una reale eccezione. Essa porta alla luce tutto più chiaramente… Le eccezioni esistono. Se non si è in grado di spiegarle, non si è nemmeno in grado di spiegare l’universale” (“La ripetizione”, tr. it. di Dario Borso, Guerini e Associati, Milano 1991, pag. 128).

Nel dolore che il mondo riserva ai suoi figli è in gioco la filosofia in quanto fisica + metafisica, e la conseguente costruzione dell’etica.

Il dolore innocente ci dice che l’uomo è natura, fragile natura come ogni altra parte del cosmo, esposta alle ferite del caso. Ma io penso che esso sia il luogo dialettico per eccellenza, dove si scorge l’abisso, ma dove insieme lo si può superare. Il dolore innocente mi ha fatto vedere l’abisso del nulla, ma al contempo mi ha mostrato la luce più intensa che io abbia mai visto intorno alla natura umana, la luce che scaturisce da chi si prende cura di chi nulla mai gli potrà dare in cambio. Di fronte a un’assurdità naturale, l’uomo reagisce creando senso laddove senso naturale non c’è, e si mostra in grado di produrre ciò che di più importante esiste per la vita, cioè il bene.

Coloro che si prendono cura delle vittime del dolore innocente mostrano che vi è qualcosa di più della semplice casualità naturale nel fenomeno uomo. E questa cura avviene, ogni giorno, senza retorica, poche parole, tanti fatti, nella completa gratuità, perché a volte non si ottiene nulla in cambio, talora gli interessati non sanno neppure sorridere. Il bene è l’evento più nobile a cui l’uomo può accedere. Tutte le grandi spiritualità e le grandi filosofie lo hanno riconosciuto. Ma perché l’uomo è capace di bene?

Eccoci all’ultimo punto. Il bene lo si comprende nella sua realtà ontologica come relazione ordinata. Il bene nasce sì dalla volontà, ma non è qualcosa che la volontà inventa. Se la volontà sceglie di attuarlo è perché prima l’ha riconosciuto, l’ha visto, l’ha sentito, e quindi si pone al servizio di un’oggettività che preesiste, che viene prima di lei. Se voglio fare del bene a una pianta, le devo dare la giusta quantità di acqua e la devo esporre alla giusta quantità di luce. Così è per ogni altra cosa.

Il bene è prima di tutto comprendere che cosa ha bisogno chi è di fronte a me, e poi farlo. Esiste un ordine oggettivo preesistente, che è l’origine di ogni essere, dentro cui ogni essere si inscrive. Questo ordine oggettivo è la relazione ordinata, la logica che costruisce il darsi dell’essere.Le nascite di bambini con malformazioni, come tanti altri eventi della natura e della storia, ci mostrano che l’essere del mondo non raggiunge l’ordine necessariamente, ma solo attraverso la libertà delle relazioni. Proprio perché l’essere è energia che costantemente si muove, la libertà è intrinseca al suo darsi. Questa libertà di cui gode l’essere il più delle volte è ordinata e fonda relazioni stabili e benefiche; alcune volte, invece, non lo è e fonda relazioni disordinate. Le malattie, congenite e non, sono descrivibili fisicamente come assenza di ordine. Questa possibilità che vi sia assenza di ordine è il prezzo che si paga per il darsi dell’essere, per la nascita della vita e la sua evoluzione, cioè, supremo paradosso, per la creazione di livelli superiori di organizzazione.

Alcuni più sfortunati pagano sul loro corpo il conto che occorre saldare per il darsi della libertà. Coloro che se ne prendono cura, fanno del bene a tutta l’umanità perché manifestano che il bene esiste, e se qui e ora esiste il bene è lecito inferire razionalmente l’esistenza di una dimensione dell’essere senza più la possibilità di disordine, dimensione che la mente umana di tutti i tempi ha chiamato “Dio”. L’ha riconosciuto anche uno dei più grandi logici del Novecento, Wittgenstein, in un pensiero del 1929: “Se qualcosa è buono, allora è anche divino” (“Pensieri diversi”, a cura di Michele Ranchetti, Adelphi, Milano 1980, pag. 21).

Il bene è la freccia che conduce verso la trascendenza. Per questo tutti coloro che vogliono negare la trascendenza negano con attenta determinazione la possibilità della purezza del bene e dell’amore, riconducendo tutto a istinto, a impulso, a interesse mascherato. Ma il bene puro esiste, e quando si manifesta, la natura compie la promessa che porta dentro di sé. E’ il regno della luce e della grazia, è il mondo divino. Se c’è il bene, c’è Dio. E il bene, c’è.

19/12/08

Noi siamo tutti bambini.


Gli insegnamenti di Cristo sono stati rivoluzionari, nella storia delle religioni e del mondo, sotto molti punti di vista, anche pratici.

Prima della venuta di Gesù Cristo, chi è - nel mondo antico - che valorizzò, quasi sacralizzandolo, il ruolo delle donne ? Prima della venuta di Gesù Cristo, chi è che parlo così tanto, con insistenza, con forza assoluta, mettendoli al centro di tutto, dei bambini ?

Gesù Cristo usa parlando dei bambini, di coloro che ne rapinano l'innocenza, le parole più dure di tutti i Vangeli. Gesù Cristo sembra amare più di tutti, loro. E' soltanto con loro, che nei racconti evangelici, sembra trovarsi veramente a Suo agio. E' solo con loro, in loro compagnia, che sembra poter distendersi, esprimere la Sua vera natura.

I bambini.

Noi, oggi, siamo abituati a pensare ai bambini, anche ai nostri bambini, e al bambino che eravamo, come una semplice fase di passaggio della nostra vita.

Ci dimentichiamo spesso quello che oggi anche le scienze cognitive ci dicono con certezza. "Datemi i primi 7 anni di vita di un bambino, e vi dirò tutto sulla sua vita di adulto, " scriveva Bruno Bettelheim, il più grande psicologo pedagogista di sempre.

Perchè è così importante quel che siamo stati nei primi anni della nostra vita ?

Semplice: perchè noi SIAMO quel bambino.

Tutto ciò che in noi conta ed è veramente importante è in QUEL bambino, che continua a vivere in noi, dentro lo scomodo involucro di un corpo adulto.

Ciascuno di noi si porta nella vita, il carattere, il destino, la determinazione, la passione, le ferite, la purezza, l'innocenza, le aspettative, le speranze, di quel bambino che fu. E gran parte dei guai e dei problemi di noi adulti, deriva da questa cancellazione, da questo ripudio o da questa rimozione di quel bambino che ABITA in noi.

Il nostro nucleo emotivo è, e resta lo stesso. Probabilmente noi ci siamo nati. E nessuno potrà cambiarlo profondamente: potremo crescere, che vuol dire dare forma al nostro carattere, adattarlo alle vicissitudini e alle necessità del momento, della società, dell'ambiente che ci circonda.

Ma noi, noi resteremo sempre quel che eravamo quando siamo venuti al mondo. E questa, è la nostra ricchezza più grande, se soltanto fossimo capaci di riscoprirlo, almeno una volta all'anno.




17/12/08

Il Vangelo della Domenica - Il Battista.


VANGELO (Gv 1,6-8.19-28)
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli

16/12/08

Benedetto XVI, i Diritti Umani, le Polemiche.


Negli ultimi giorni, e proprio in clima di Avvento, abbiamo assistito a tutta una serie di affermazioni di principio da parte di Benedetto XVI, riprese con molto clamore dai mass media e che hanno riguardato diversi argomenti, sui quali cercherò di aggiungere qualcosa.


L'oggetto di queste comunicazioni ( o "appelli" come ama definirli la stampa) avevano per oggetto: - l'applicazione da parte dell'ONU (su proposta francese) della cosiddetta 'moratoria' o depenalizzazione della omosessualità - il nuovo pronuciamento sull'aborto (queste le parole esatte del Papa: "Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà - scrive il Papa - costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani". "Sono in atto campagne di riduzione delle nascite condotte a livello internazionale con metodi non rispettosi nè della dignità della donna nè del diritto alla vita") - la distinzione e l'autonomia tra Chiesa e Stato (in occasione della visita alla ambasciata d'Italia presso la Santa Sede) - il ricorso alla educazione alla morale sessuale come mezzo per combattere l'AIDS nei paesi sottosviluppati (e non con il ricorso ai mezzi contraccettivi) - e infine un pronunciamento sui diritti umani, che racchiude un po' tutti gli argomenti precedenti e che nella sua estrema sintesi suona più o meno così: "l'essere umano NON è la risultante di tutti i suoi diritti."

Prima di scendere nella discussione, per chi vorrà intervenire, è necessario avere con precisione l'idea del pensiero del Papa, di questo Papa, che non è mai banale, mai superficiale, mai "tirato via", e quindi - considerata anche la sua statura teologica - va compiutamente misurato - e non soltanto attraverso gli slogan riportati dai tg, e poi valutato.

Per questo, QUI troverete il discorso del segretario Tarcisio Bertone pronunciato lo scorso 10 dicembre, che esprime e sintetizza l'opinione del Papa e della Chiesa su queste importanti questioni e sulla valutazione della questione sui diritti umani e

QUI potrete trovare un assai interessante articolo su L'Occidentale, che chiarisce ancora meglio la situazione nella quale ci troviamo ora, e le preoccupazioni attuali della Chiesa.

poi, se vorrete, ne parliamo insieme.


15/12/08

Giudizio e Pregiudizio


Credo che molti dei mali che ci affliggono quotidianamente, che alla lunga ci causano problemi nella nostra vita di tutti i giorni, dipendano anche dalla nostra incapacità di astenerci dal giudicare.

"Non giudicare e non sarai giudicato" dice la Parola evangelica. Ma quanti cristiani lo fanno ?

Non vorrei passare per pessimista, ma credo quasi nessuno.

Quasi nessuno resiste alla tentazione di giudicare le cose altrui. Spesso lo si fa in modo subdolo: si induce l'altro - magari proprio il 'puro' di cuore - ad aprirsi, a confidarsi. E lo si 'rapina', appropriandosi delle sue confidenze o delle sue debolezze per poi magari giudicarlo insieme a terze persone.

Lungi da me l'idea di fare del facile moralismo. Le relazioni umane e sociali si basano sulla condivisione delle idee, dei pareri, dei gusti e quindi anche dei giudizi.

E sarebbe semplicemente utopistico pensare ad un mondo nel quale ci si astiene da qualsiasi forma di giudizio riguardante il prossimo (forse soltanto i santi ci riescono).

Ma cosa bisogna dire quando addirittura al giudizio si sostituisce il pre-giudizio ? Quando il pregiudizio è così radicato che alberga dentro di noi, e tutto si muove, nei confronti di quella determinata persona, solo allo scopo di trovare la conferma che cerchiamo ?

Non è veramente anti-cristiano tutto questo ? Non dovremmo sempre, in ogni momento sforzarci di lasciare libero il cuore ? Di non ingabbiarlo dentro i nostri piccoli recinti di certezze (sempre precarie, ahimè) che ci fanno sentire 'al sicuro' ? E' sempre facile e comodo, e molto confortante giudicare: ci mette tranquilli, ci mette su un piccolo piedistallo, ci rassicura nella nostra pretesa di essere diversi, di essere, diciamolo pure, superiori.

Ma che cristianesimo potrà mai essere quello che nasce da questa premessa ?

11/12/08

Canto alla Bellezza.





Per tutta la vita cerchiamo bellezza.

E la mancanza di bellezza intorno, quando non la vediamo e non la sappiamo e non la viviamo, genera guasti irreparabili.

Abbiamo così bisogno di bellezza.

Hermann Broch, ne La morte di Virgilio, scriveva un meraviglioso canto alla bellezza:

Così in dolente tristezza
la bellezza si svela all'uomo,
gli si svela nella sua compiutezza, che è quella
del simbolo e dell'equilibrio,
affascinante e sospesa nell'opposizione
dell'io che guarda la bellezza del mondo colmo di
bellezza,
l'uno e l'altro nel proprio spazio, l'uno e l'altro limitato
in se stesso,
chiuso in se stesso nel proprio equilibrio, e proprio per
questo
entrimani in equilibrio reciproco, proprio per questo in
uno spazio comune
...
il gioco saturo di bellezza, che satura di bellezza e che,
innamorato della bellezza,
ha luogo ai confini della realtà e
ingannando il tempo senza annullarlo,
giocando col caso senza dominarlo,
infinitamente ripetibile, e tuttavia
fin da principio destinato a perdersi,
perchè solo l'umano è divino.

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10/12/08

Il Vangelo della Domenica - Il Precursore.


Mc 1,1-8
Dal Vangelo secondo Marco
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel
profeta Isaia: "Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri", si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: "Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.

Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".


Chi era questo folle che si ritirò nel deserto per ascoltare la voce di Dio ? Che cosa cercava ? Chi o cosa lo ispirava ? E perchè il deserto ?

Il deserto, perchè nel frastuono delle nostre vite non si ascolta nulla, non ascoltiamo nulla.

E' solo nel silenzio, nell'eremo di una ricerca voluta, interiore, sincera e austera, che possiamo ascoltare qualcosa. Quanta gente oggi si lamenta di non trovare Dio: ma dove, quando mai possiamo trovare Dio se le nostre orecchie sono piene di rumore, se i nostri occhi sono accecati da un continuo luccichìo senza posa e senza sostanza ?

Giovanni fu talmente bravo a fare silenzio, che la voce del Signore gli arrivò così netta e precisa, e quasi terribile, preannunciandogli la Sua presenza in mezzo a loro.

Probabilmente Giovanni non ne era neanche DEL TUTTO consapevole: del mistero che si preparava dopo di lui.

Il Battesimo, ha detto oggi Benedetto XVI, parlando nell'udienza generale del Mercoledì, nessuno può darselo da solo.

Il Battesimo è un atto che presuppone l'esistenza di un altro (e di un Altro). Che presuppone una RELAZIONE. Per questo mi sembra veramente eloquente che oggi la pratica dello 'sbattezzo' si cominci a diffondere nell'Occidente, sulla base di un puro atto ego-istico, ego-centrato (e non potrebbe essere diversamente): si può scegliere da soli di sbattezzarsi, ma NON si può scegliere da soli di essere battezzati (se non v'è un altro che ti battezza, che lo fa, in Quel nome).

E' questo il primo atto, quello che dovrebbe essere sempre il primo atto di una vita cristiana: ricevere questo atto impegnativo. Per il quale occorre: silenzio, prima di tutto, consapevolezza, e anche sottomissione. E che però può far nascere, ri-creare (per ricollegarci alla Maria Zambrano del post precedente) sempre qualcosa di nuovo in noi.
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08/12/08

La Ri-Creazione - Maria Zambrano.



Ma, nel fondo del nostro anelito, c'è qualcosa di più; palpita insopprimibile come un sospetto l'idea che tutto il vivente che vediamo e sentiamo dentro e fuori di noi dovrebbe essere ri-creato ancora una volta.

E che da qualche parte, occulto o visibile a tutti, esista un qualche elemento capace di vivificare gli altri, di fissare la vita in modo più imperituro. La verità, la semplice verità, è che le civiltà muoiono e rinascono; che tutto quanto è stato dimenticato, un giorno riappare; che la vita, la vita degli uomini si è sempre nutrita della speranza di essere ricreata o di essere creata completamente e per sempre.

Che l'uomo, finchè tale si può chiamare, è un animale che insegue la conoscenza creatrice.

Maria Zambrano, La Ri-creazione (in Le parole del ritorno, ediz.Città Aperta)
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05/12/08

La questione del Crocefisso nei luoghi pubblici.



Nella cittadina spagnola di Valladolid un giudice ha riaperto le polemiche sui crocefissi nelle aule delle scuole. La vicenda si trascina già da più di tre anni quando alcuni genitori del centro educativo Macías Picavea portarono la controversia nelle aule dei tribunali. Lo scopo: continuare la battaglia contro il consiglio d’istituto della scuola e ottenere la rimozione dei simboli religiosi. E alla fine, il tribunale del contenzioso amministrativo n.2 di Valladolid gli ha dato ragione ignorando la volontà della maggioranza dei genitori del centro che il crocefisso, invece, lo volevano.

E' solo l'ultimo capitolo di una battaglia sul simbolo del crocefisso che sta velocemente investendo il mondo della critianità occidentale, e quindi anche l'Italia.

Pochi giorni fa a Terni un professore della classe terza A dell'istituto professionale per il commercio Alessandro Casagrande ha pensato bene all'arrivo per le lezioni, di togliere l'immagine del crocefisso dal muro e di riporla nel cassetto della cattedra per poi ricollocarla al termine della sua docenza.

Ciò, nonostante il fatto che gli studenti abbiano chiesto di lasciare quel crocefisso al suo posto e sono la maggioranza.

Insomma, sentiamo da tempo già nell'aria i sintomi dell'intolleranza 'a rovescio' che pretende - e ci riuscirà - di cancellare ogni traccia di simbolo religioso cattolico nella vita pubblica laica.

Il problema però non è questo: la scristianizzazione in Italia, come nel resto d'Occidente procede ormai da decenni, e non è questa novità a farci scoprire quel che dovrebbe essere ormai sotto gli occhi veramente tutti.

E' un male ?

Può non esserlo. Mi piacerebbe infatti che i cristiani cattolici in questa, come in altre circostanze, dessero prova di maturità spirituale, di nobiltà, di purezza, senza lasciarsi contaminare da quello spirito ebbro pagano che ormai sembra voler pervadere ogni cosa, ogni comune sentire.

Che senso ha infatti irrigidirsi di fronte a questo procedere del tempo, invocare rispetto per i simboli sacri, quando ormai questo rispetto è - nella sostanza più che nella forma - sentito come irrilevante ? Che senso avrebbe pretendere il mantenimento della forma esteriore di una verità/realtà non avvertita più - dai fatti della maggioranza - come vera e reale ?

Si dice: " la maggioranza degli uomini ormai vive come se il problema dell'esistenza di Dio non esistesse. "

Ma se allora le cose stanno così, che senso ha pretendere il mantenimento di uno statu quo simbolico, soltanto per acquietare qualche coscienza, e per buona pace comune ?

Sì, certo, la tolleranza è sempre una buona cosa. Ma nel momento in cui un crocefisso appeso alla parete di una aula scolastica viene vissuto come atto intollerante, bisogna - io credo - ritrarsi.

I cristiani non devono aver paura. Non dovrebbero. Dovrebbero ricordarsi dei tempi, dei lunghi tempi ai primordi della Cristianità in cui quel simbolo - il Cristo appeso al suo martirio - era massimamente in-tollerato.

Non si poteva mostrare, il crocefisso. Non si poteva raffigurare, esporre. Non se ne poteva neanche parlare. E si rischiava di morire, per questo.

E allora ? Il cristianesimo fu forse annichilito da questo ? Il cristianesimo di quei cristiani fu forse spento o sradicato per via di questo ? Nient'affatto. Il cristianesimo, semmai, si consolidò, divenne ancora più puro ed essenziale.

Nel buio della catacombe, in quegli umidi anfratti, negli sguardi di quegli uomini spaventati, ma fieri della loro fede, consapevoli, il cristianesimo nacque. Trovò le forze per comunicare al mondo - e convincere il mondo - della Lieta Novella.

E' una occasione, forse, per ritornare a quello spirito. Per ritrovare il senso di una fede originaria, che non va certo fondata, ma forse, rin-novata nello spirito, negli spiriti.

A quel crocefisso, penzolante dal collo delle rockstars, o esibito come gadget o come orpello di consumo, avevamo finito tutti quasi per abituarci, per assuefarci.

Dimenticandocene lo scandalo. Lo scandalo che da esso deriva.

Forse se tornerà ad essere considerato, da una maggioranza sorda, simbolo da non tollerare, quel simbolo - il crocefisso - tornerà ad essere veramente il simbolo vero della fede di tutti i cristiani.
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03/12/08

Il Vangelo della Domenica - La Veglia


VANGELO (Mc 13,33-37)

+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Parola del Signore


Vegliate, perchè non sapete quando è il momento. E' il Cristo a dircelo, usando un racconto in parabola, che più chiaro di così non potrebbe essere.

Noi non siamo padroni. Il Padrone è un Altro. E' lui che può disporre della Casa, che può decidere quando e se tornare, e a che ora.

A noi spetta un altro compito, che è quello di vegliare.

"Fate in modo che... non vi trovi addormentati. " E' questa la cosa che sembra preoccupare maggiormente il Padrone. Cosa significa essere 'addormentati' ? Come si è quando si è addormentati ? Si è insensibili, come morti, trasportati in un altro mondo, il mondo dei sogni, sostanzialmente paralizzati.

E il Padrone invece vorrebbe, vuole da noi esattamente l'opposto: vuole cioè che noi 'vegliamo'.

Come è l'attività di uno che veglia ? Sostanzialmente una attività frenetica, instancabile, comunque sempre attiva. Uno che veglia - pensiamo a quando si fa una veglia ad un ammalato grave, all'ospedale (a me è capitato) - non può permettersi di riposare, o se lo fa, deve essere sempre per metà vigile, comunque pronto. Deve essere attivo. Deve mettersi costantemente in gioco.

E' un richiamo che non smette di provocare questo di Gesù. Tanto più oggi, quando le coscienze, molte coscienze, sembrano come addormentate, narcotizzate, anestetizzate, con una emotività - e quindi una reattività conseguente - del tutto rimossa, o sopita.
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01/12/08

Eroi cristiani di oggi. Don Mario Perez.


Scrive Ryszard Kapuscinski: “La povertà non piange, la povertà non ha voce. La povertà soffre ma soffre in silenzio. La povertà non si ribella. Avrete situazioni di rivolta solo quando la gente povera nutre qualche speranza. Allora si ribella, perchè spera di migliorare qualcosa. Ma c’è gente a cui la speranza manca. Questa gente non si ribellerà mai. Così ha bisogno di qualcuno che parli per lei. Questo è uno degli obblighi morali che abbiamo, quando scriviamo di questa infelice parte della famiglia umana. Perchè sono tutti nostri fratelli e nostre sorelle. Ma sfortunatamente sono fratelli e sorelle poveri. Che non hanno voce”.

Queste parole sembrano come pietre. E voglio parlarvi oggi di uno di questi piccoli grandi uomini che danno un senso pieno alla Chiesa di oggi - anche se purtroppo i missionari cattolici nel mondo diminuiscono a vista d'occhio - che danno un senso pieno alla umanità cristiana nel mondo.

Don Mario Perez - lo vedete nella foto, con la maglietta nera - è un missionario venezuelano che da ventotto anni vive nel Congo. E' oggi il direttore del Centro Don Bosco Ngangi di Goma, dove - pensate - sono stati ospitati 4.000 bambini congolesi. A questi, si sono aggiunti in queste ore drammatiche familiari e sfollati, in fuga dalle violenze della guerra civile che incombe in quelle martoriate zone.

Don Mario mi ha colpito per la sua enorme semplicità. Per le sue parole dirette. Per il modo che ha di circondarsi, con naturalezza e sostanza, delle piccole anime di cui si è preso cura, e che vedete in questo breve qui sotto:

http://www.youtube.com/watch?v=bwVqoFnnWFU

" Noi non ce ne andiamo, " ha detto Don Mario ai giornalisti, " Al Centro Don Bosco di Ngangi Goma ci sono ancora 350 dei nostri bambini qui, di cui 70 hanno meno di 3 anni, e non hanno nessuno che si possa occupare di loro se non noi 3 religiosi, le 2 suore Salesiane e i 4 volontari del VIS. Impossibile anche portarli via dalla città. Restiamo e abbiamo fiducia che la situazione si calmi. Abbiamo aperto le porte del Centro a tutti gli sfollati che ci chiedono di essere accolti. Sino ad ora abbiamo 300 sfollati. Molti i sono bambini con problemi di dissenteria e malnutrizione.”

Dobbiamo fare qualcosa tutti.

Le coordinate, per chi vuole aiutare, appaiono in sovraimpressione alla fine del video. Per chi vuole più notizie, si può cliccare sul sito del volontariato italiano, dove ci sono pagine e video dedicate all'Emergenza Goma:

http://www.volint.it/
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27/11/08

La conversione di Gramsci - un "caso" inutile.


Mi colpisce davvero questo presunto "caso" che ritorna a tratti nel dibattito italiano, sulla conversione in punto di morte di Antonio Gramsci, e mi sembra nient'altro che una pedissequa e triste conferma al fatto che questo paese ormai sembra capace solamente di guardare (e di guardarsi) indietro, e totalmente incapace di pensare al (il) futuro.

Adesso, dopo i "rumours" del 1977, le rivelazioni arrivano direttamente dalla chiesa Cattolica e da un vescovo, Luigi De Magistris, il quale ha pensato di rendere di dominio pubblico le confessioni di una suora sarda, Suor Pinna, che sarebbe stata la testimone dell'evento.

Ora, mi chiedo: ma che bisogno c'è di esternare le ragioni o le circostanze di una conversio in puncto mortis di un personaggio storico o pubblico ? A che serve ? A chi giova ?

Il cuore dell'uomo, come dovrebbe essere chiaro soprattutto ad ogni cattolico, è un mistero pressochè inaccessibile. E le circostanze, i desideri, le speranze ultime, la disperazione, la grazia che possono portare un uomo che per tutta la vita è rimasto lontano dalla fede, a implorare il nome di Gesù, resteranno per sempre impenetrabili.

Che ne sappiamo noi di cosa spinge un uomo a convertirsi ? Che ne sappiamo di quel che succede nel suo cuore, ogni giorno, figuriamoci quando vede la morte stagliarsi di fronte a sè ? Davvero serve a qualcuno - serve magari anche alla propagazione di una causa - lo svelare che un uomo politico padre in Italia di una ideologia, non fu insensibile al richiamo di Gesù Cristo ?

Non sarebbe meglio lasciare in pace i morti ? Lasciare che se la cavino da soli, che affrontino quella 'sacra conversazione' come vorranno e se vorranno ?

24/11/08

Il Vangelo della Domenica - I fratelli più piccoli.


VANGELO
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.

Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.


Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".


Anche in questo caso sono molte le considerazioni che si potrebbero trarre dalle parole di Gesù, che parla in parabole - forse mai così chiaramente come qui - per farsi intendere meglio. E' infatti quasi "didascalico" questo Gesù che spiega cosa "vuole il Re", cosa sembra pretendere da noi.

L'aspetto che vorrei mettere in luce è questa definizione che Egli usa sia nel paragone 'buono' che in quello 'cattivo', ovvero " ogni volta che non avete fatto ( o avete fatto) queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli. " Quello che spesso ci sfugge è che il Re considera "suoi fratelli" - testualmente - gli uomini. E gli uomini più deboli: vediamo le categorie: gli affamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i malati, quelli che sono in carcere.

Davvero in questa semplice lista, fatta di cinque aggettivi e una definizione (quelli che sono in carcere, cioè i carcerati) c'è tutta la gamma completa delle possibili difficoltà umane su questo mondo, che in diversa misura, possono riguardare chiunque.

Dunque in questo panorama "ecumenico" di sofferenze, e di doglianze, Gesù ci eleva al rango di "fratelli più piccoli" del Re. Il che appare come una conferma che il filo che lega il Creatore a noi è molto, molto stretto. Siamo cioè - tutti - suoi fratelli (più piccoli), e come ogni fratello è da supporre che noi abbiamo in comune qualcosa - molto più di qualcosa - con Lui.

E' per questo - e sulla base di questo - che Lui sembra avere questa reazione così netta, così decisa, così - diciamolo chiaramente - severa. Se noi facciamo o non facciamo qualcosa non è qualcosa di neutro, che a Lui potrebbe anche - tutto sommato - non interessare.

No: è qualcosa che facciamo o non facciamo a suoi fratelli (più piccoli): come reagiremmo noi se qualcuno facesse o non facesse qualcosa a dei nostri fratelli di sangue ? La cosa ci toccherebbe, oppure no ?

Ecco perchè - credo - la nostra responsabilità nei Suoi confronti è grande. Ecco perchè - ricollegandoci al Vangelo di Domenica scorsa - non possiamo semplicemente "assistere a tutta la faccenda, senza far danni, restandocene tranquilli tranquilli. "

No. Lui ci chiede di fare, di operare, di dimostrare, di muoverci, di uscire, di metterci in gioco, di rischiare, di andare, camminare, muovere la polvere dai nostri sandali.




21/11/08

Pasolini, Cesare e Dio.


Molta dell'opera poetica e letteraria-saggistica di Pier Paolo Pasolini, risulta essere, se letta oggi, profetica. Pasolini sembrò prevedere con 30-40 anni di anticipo molti dei fenomeni di massa che hanno travolto l'Italia - insieme all'Occidente - trasfigurandone completamente il volto.

Anche a proposito di trasformazioni nel modo di percepire la religione e sulla Chiesa Cattolica, Pasolini scrisse e disse cose ferocemente contestate allora, sulla quale oggi molti osservatori - di destra e di sinistra - concordano, ammettendo che forse 'aveva ragione. '

Risulta così quanto mai toccante rileggere questa pagina degli Scritti Corsari, che dice molto, e di grandemente attuale, sui rapporti tra Chiesa e Stato, su cui bisognerebbe grandemente meditare. Scrive Pasolini:

Prima di tutto la distinzione radicale tra Chiesa e Stato. Mi ha sempre stupito, anzi profondamente indignato, l'interpretazione clericale della frase di Cristo: "Dà a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio": interpretazione in cui si era concentrata tutta l'ipocrisia e l'aberrazione che hanno caratterizzato la Chiesa controriformistica.

Si è fatta passare cioè - per quanto ciò possa sembrare mostruoso - come moderata, cinica e realistica una frase di Cristo che era evidentemente, radicale, estremistica, perfettamente religiosa. Cristo infatti non poteva in alcun modo voler dire: "accontenta questo e quello, non cercar grane politiche, concilia la praticità della vita sociale e l'assolutezza di quella religiosa, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, ecc.."

Al contrario Cristo - in assoluta coerenza con tutta la sua predicazione - non poteva che voler dire: "Distingui nettamente tra Cesare e Dio; non confonderli; non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio; non "conciliarli": ricorda bene che il mio "e" è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto "inconciliabili".

Pasolini nel suo inconfondibile stile appassionato, radicale, polemico, avvertiva e avverte di un rischio sempre in agguato nel nostro mondo: quello di identificare Dio con Cesare e Cesare con Dio, di unificare gli scopi di Cesare con quelli di Dio, l'utile di Cesare con l'utile di Dio: la peggiore delle iatture umane.

19/11/08

Il Vangelo della Domenica - I Talenti.


Mt 25,14-30


Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


La pagina del Vangelo di questa domenica ripropone una delle parabole più misteriose, più 'difficile', sul cui profondo significato si discute da sempre. Cosa è il talento a cui allude Gesù ? Cosa rappresenta ? Perchè il Padrone della Vigna è così severo ? Perchè non basta custodire il proprio talento e restituirlo intatto come lo si è ricevuto, per salvarsi ? Perchè invece si è condannati a una fine durissima per questo ?

Ciascuno è chiamato a dare una sua interpretazione, ciascuno è chiamato, come sempre a sentire che cosa la Parola di Gesù gli dice, cosa gli chiede.

Quel che a me oggi appare chiaro, dopo averci pensato per molto tempo, è che Gesù Cristo non ci chiede di 'conservare', non ci chiede di 'rinchiuderci', di 'sigillare', di 'mettere al sicuro', di 'nascondere le cose preziose.' Gesù Cristo, sembra dirci l'opposto: nella fede - ma è così anche nella Vita, certamente - è essenziale rischiare, mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi.
E' solo così, sembra dirci, che il talento può avere significato e valore. E' solo aprendosi, o meglio AFFIDANDOSI - è questa la parola chiave che Gesù usa - che qualcosa cambia. E cambia per noi in meglio, per sempre.

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16/11/08

Vito Mancuso sul Caso Eluana Englaro


Mi fa piacere postarvi questo intervento di Vito Mancuso sul caso Eluana, pubblicato oggi sul Corriere della Sera a firma di Luigi Accattoli. Sono infatti tra quelli che non condividono - per affrontare questo caso così delicato, così moralmente ai limiti - l'utilizzo di definizioni 'tranchant' che ho letto a destra e manca, come 'omicidio', 'assassinio' o 'eutanasia'. Penso che mai come in queto caso bisognerebbe misurare con molta molta prudenza le parole.

«Quando ci sarà il testamento biologico io disporrò di essere mantenuto in vita finché possibile, perché anche un filo d'erba rende lode al Creatore. Ma non posso volerlo per altri e sono convinto che nel caso di Eluana l'interruzione del trattamento non sia omicidio né eutanasia.

Vorrei che le autorità della Chiesa cattolica - alla quale appartengo - si esprimessero con prudenza in una materia che è nuova e ricca di zone grigie»: è l'opinione del teologo Vito Mancuso che insegna all'università San Raffaele di Milano.

Professore perché non si tratterrebbe di eutanasia? «Non è eutanasia attiva, in quanto non ci sarà un farmaco che provocherà la morte. Ma neanche passiva: se l'alimentazione tramite sondino non è "terapia", non è cioè assimilabile a un farmaco, la sua cessazione non può essere detta eutanasia passiva».

Che cos'è allora? Un abbandono alla morte per fame e sete? «È l'interruzione di un trattamento di rianimazione risultato inefficace, deliberata in conformità a un orientamento espresso a voce dall'interessata in anni precedenti l'incidente ».

Possiamo giurare su una battuta detta in famiglia, non attestata per iscritto?
«Purtroppo no, non possiamo tirarne una conclusione sicura. Ma quelle parole di Eluana sono tutto ciò di cui disponiamo per cogliere la sua intenzione e possiamo fare credito ai genitori che le attestano - e che tanto l'amano - e ai magistrati che hanno vagliato la loro attestazione».

Lei è favorevole al testamento biologico?
«Lo vedo come uno strumento di libertà di fronte allo sviluppo delle
tecnologie mediche».

Ma la vita non è un valore indisponibile?
«Concordo sull'indisponibilità della vita, ma reputo che vada rispettata la libertà di chi rifiuta per sé un trattamento che lo mantiene in una condizione di vita che egli reputa non-vita. La vita si dice in tanti modi. Il principio primo non è quello della vita fisica da protrarre il più a lungo ma è quello della dignità della vita e questa si compie nella libertà personale».

Con il testamento biologico uno dovrebbe poter scegliere di non essere alimentato se venisse a trovarsi in stato vegetativo? «Ritengo che vi debba essere questa possibilità. Per me non la sceglierei, ma non sono sicuro riguardo a ciò che vorrei per i miei figli: c'è sempre divario nell'accettazione della propria sofferenza e
di quella dei figli».

Lei contraddice alcune affermazioni dell'arcivescovo Fisichella e del cardinale Bagnasco: che la Corte apra all'eutanasia e che l'alimentazione sia sempre dovuta...
«Auspico una maggiore saggezza nella parola degli uomini di Chiesa. Come si può tenere per certo che l'alimentazione tramite sondino non sia una terapia se gran parte della scienza medica la considera tale? E perché definire eutanasia qualcosa che formalmente non lo è? Non sarà alzando il tono della voce che si difende la vita».

15/11/08

Benedetto XVI - Più spazio alle Donne nella Chiesa.


Benedetto XVI ha voluto ribadire oggi "quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo. "L'uomo e la donna - ha ricordato nel discorso al Pontificio Consiglio per i laici - uguali in dignita', sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella societa' in tutte le sue dimensioni".

In particolare, ha aggiunto, "alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santita', di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell'umano che le caratterizza".

Il ruolo delle donne nella Chiesa e nella societa' era stato esaltato venti anni fa da Giovanni Paolo II con la lettera apostoolica "Mulieris dignitatem" che Papa Ratzinger ha citato oggi esortando i cardinali, vescovi e sacerdoti ma anche i responsabili delle associazioni e movimenti laicali presenti all'incontro in Vaticano a trarne spunto per la loro azione.

Tra le "questioni di speciale rilevanza" per le quali il Papa apprezza l'impegno del Pontificio consiglio per i laici c'e anche "quella della dignita' e partecipazione delle donne nella vita della Chiesa e della societa"'. E "mai si dira' abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo".

Benedetto XVI lo ha detto nell'udienza concessa ai partecipanti alla assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, guidati dal presidente, cardinale Stanislaw Rylko.

11/11/08

Il Vangelo della Domenica - I mercanti del Tempio.


Gv 2, 13-22
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Ho notato che spesso i commenti su questa pagina di Giovanni si soffermano sulla meravigliosa parte finale, metaforica, nella quale Gesù identifica se stesso come il Tempio, lasciando ovviamente i suoi in uno stato di totale in-comprensione, che supereranno soltanto dopo la Resurrezione, intendendo il significato di quelle parole.

Su questo brano, naturalmente si potrebbe dissertare a lungo. Ma a me risulta oggi ancor più interessante riflettere sulla prima parte di questo racconto, e cioè sul celebre episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio. Mi piacerebbe riflettere - e spero che anche la Chiesa di oggi non smetta di rifletterci ( che pesantezza e che rudezza inequivocabile hanno quelle parole: "non fate della casa del Padre mio un mercato" ! ) - sul fatto che, a quanto io ne sappia, questa è l'unica scena in tutti i Vangeli, in cui si vede Gesù Cristo preda di un istinto iroso. Che quasi si trasforma in violenza, rovesciando i banchi dei mercanti, mettendo tutto a soqquadro, usando addirittura una frusta di cordicelle.

Insomma: è l'unica volta in tutti i Vangeli in cui vediamo Gesù alzare le mani, scagliarsi contro qualcuno, usare, potremmo dire come si dice oggi, 'la forza'.

Gesù non alza le mani nemmeno quando vengono a prenderlo, nemmeno quando dicono di lui le cose peggiori, quando lo insultano, quando lo umiliano in ogni modo.

Cos'è dunque che genera questa reazione inaspettata, in Lui ?

E', a quanto ne sappiamo, a quanto vediamo, dal racconto evangelico, il commercio, il mercimonio che si fanno sfruttando la fede. Sono addirittura i discepoli a rimproverargli un eccesso di zelo, ma Gesù, con questa risposta a doppia chiave, non sembra preoccuparsi, sembra quasi che dica: "se il Tempio è diventato questo, tanto vale distruggerlo e ricostruirlo dalle fondamenta. "

Per questo seguo con molto interesse in questo periodo, l'operato di molte persone, fuori e dentro la Chiesa (e quelle 'fuori' in questo momento sono forse anche più importanti) che si adoperano per 'rifondare' la nostra fede. La nostra fede non va fondata. E' stata già fondata da Gesù Cristo. Dalla sua persona. Ma oggi quella costruzione - proprio come esemplifica questo racconto evangelico - sembra essersi 'sfaldata' a causa anche di valori non consoni introdotti nei secoli, a errori, a omissioni e peccati e passi falsi di chi - umanamente, con tutti i difetti degli umani - l'ha costruita. E' per questo che non bisogna aver paura, con la guida e il riferimento unico del Fondatore, di ri-fondare la fede, di darle nuovo impulso, nuova linfa, nuova vita, scacciando anche - se occorre - tutti i mercanti dal Tempio, coloro che dovessero sfruttare la fede per i propri umani profitti.

07/11/08

OBAMA PRESIDENTE - Il commento di Enzo Bianchi


Cari tutti, è una settimana storica: Barack Obama è il 44.mo presidente degli Stati Uniti d'America, il primo con sangue afro-americano nelle vene, in tutta la sua storia. Vi riporto di seguito il bellissimo articolo scritto per l'avvenimento da Enzo Bianchi su La Stampa di ieri.


Il dialogo di Obama
La Stampa, 6 novembre 2008

In una società con tradizioni culturali e meccanismi elettorali segnati dalla personalizzazione delle sfide, non sorprende che chi è o sa apparire portatore di cambiamenti desti attese e susciti speranze dai tratti messianici. Soprattutto se mostra capacità di dialogare con le persone a cui si rivolge, se riesce a far sentir loro che le considera non come massa ma come parti di un corpo solidale, un corpo che nutre sogni condivisi e che è consapevole del fatto che “insieme possiamo farcela”.

Non stupisce allora che alla fine del discorso con cui Obama ha annunciato di aver vinto la corsa alla Casa Bianca, questa interazione tra il candidato e i suoi sostenitori abbia assunto tratti tali da richiamare la dialettica tra coro e protagonista propria della tragedia greca o la dimensione della litania alternata tipica di alcune celebrazioni liturgiche. Rievocare i passaggi salienti della storia della democrazia americana nell’ultimo secolo, ricordarne le lotte, le difficoltà, i sogni e le speranze e suscitare nell’uditorio l’adesione esplicita e ritmata - “Sì, possiamo farcela” - non attiene allora unicamente alla conoscenza e all’abilità nell’uso del “mezzo che è il messaggio”, ma riveste una dimensione più profonda, interiore.



Non basta infatti padroneggiare l’arte oratoria, non basta mutuare meccanismi e strumenti tipici dei concerti live o dei mega-raduni – come sovente avviene in quel paese anche in ambito di celebrazioni religiose ed ecclesiali – non basta far leva sull’emotività. Bisogna aver creato qualcosa prima, più in profondità, in quello spazio di interiorità dove ciascuno coltiva più o meno consapevolmente la propria dimensione spirituale. E per fare questo bisogna saper ispirare fiducia, attivare un dialogo, creare una dimensione che è comunitaria e non solo collettiva. Bisogna che ciascuno, indipendentemente dal colore della sua pelle, dalla sua storia, dalle sue sofferenze, senta di essere parte di una realtà più grande, dove i sogni e i bisogni di ciascuno sono presi in carico da tutti, superando individualismi e divisioni.

Certo, vedere e sentire migliaia di persone rispondere ai sogni rievocati come imprese del passato e impegni per il futuro con una formula analoga all’amen delle liturgie - “Sì, è così, lo possiamo!” - ha un forte impatto, soprattutto quando l’attesa si è caricata di ricordi e di speranze di altri tempi, di stagioni che avevano visto i narratori di un sogno come Martin Luther King e Robert Kennedy finire brutalmente assassinati. Eppure, in questa sorta di liturgia catartica si cela anche una pericolosa insidia: se quel flusso di dialogicità si interrompe, se la percezione di essere ascoltati e capiti si spezza, se la realtà quotidiana della convivenza nella polis contraddice il sogno comune intravisto come possibile, saranno proprio i tratti messianici a rivoltarsi in delusione cocente: troppe volte nella storia abbiamo visto gli osanna mutarsi repentinamente in “crucifige”. Sì, cantare insieme la speranza significa anche non delegare a una sola persona, per quanto carismatica, il faticoso lavoro di costruire insieme un futuro più giusto.

Enzo Bianchi

04/11/08

Il Vangelo della Domenica - Le Beatitudini.


Come si può pretendere di commentare le Beatitudini ? E' im-possibile. Si possono soltanto leggere e rileggere. Lasciare che fermentino dentro ognuno di noi, come è sempre stato. Occorrerebbero trattati e trattati, e nemmeno quelli riuscirebbero a dare forma teorica-esegetica alle parole più intense, più straordinarie, che si siano mai udite da orecchio umano su questo mondo.

VANGELO
Mt 5,1-12

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi
a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Prendendo allora la
parola, li ammaestrava dicendo:
"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".


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02/11/08

STRAORDINARIO RITROVAMENTO IN ISRALE: il più antico testo ebraico mai trovato !



E' davvero una notizia straordinaria:


Cinque righe tracciate da uno scriba di tremila anni fa stanno destando la massima emozione fra alcuni archeologi israeliani secondo cui sembra trattarsi del "piu' antico testo ebraico" mai trovato finora.


Ad accrescere il dramma vi e' lo scenario in cui il coccio di 15 centimetri per 15 e' tornato alla luce: la morbida e verdeggiante valle di Elah, a sud-ovest di Gerusalemme, dove secondo la Bibbia il pastore (e futuro monarca israelita) Davide affronto' spavaldamente il guerriero filisteo Golia.

Secondo la cronologia tradizionale il regno di Davide si sviluppo' mille anni prima di Gesu' Cristo: altri ritengono che il re sia vissuto invece verso il 900 a.C. . Esami al carbonio effettutati su noccioli di uliva trovati vicino al coccio in questione li fanno risalire ad una data compresa fra il 1050 e il 970 a.C.

La scoperta e' il frutto di scavi avviati a giugno da un professore della Universita' ebraica di Gerusalemme, Yosef Garfinkel, nella zona di Khirbet Qeiyafa, nel cuore della valle di Elah. Lo studioso era attirato in particolare dai resti di una struttura possente, la Fortezza Elah. Situata a due giornate di marcia da Gerusalemme e a una decina di chilometri dalla importante citta' filistea di Gath, sembrava essere un avamposto del regno di Giudea. Le mura esterne avevano un perimetro di 700 metri, la loro larghezza era di quattro metri. All'interno c'era una guarnigione di 500 uomini: la assenza nella zona di ossa di suini fa pensare che si trattasse di una postazione di israeliti. Gia' allora si vietavano il consumo di carne di maiale.

Ed e' la' che e' stato ritrovato il coccio, scritto con caratteri che gli studiosi chiamano 'proto-canaanei'. Da quella scrittura si sarebbero poi sviluppati l'ebraico e altre lingue semitiche. Superato lo sbalordimento iniziale, gli studiosi hanno iniziato la decifrazione dei caratteri che non erano incisi, ma erano stati tracciati con un inchiostro prodotto dalla mistura di carbone e di grasso animale.

Dopo un termine iniziale di divieto ("Non fate...") l'anonimo scriba traccio' altre parole, sottolineate da righe nere, che in parte sono state cancellate dal tempo. Tre parole sono state identificate con certezza: 'Re' (Melech); 'Giudice' (Shofet); 'Schiavo' (Eved). Ma non viene escluso che quei caratteri siano solo la parte di nomi privati: ad esempio, Achimelech ed Evedel.

Per proseguire l'esame del coccio gli studiosi israeliani faranno ricorso alla tecnologia. Negli Stati Uniti esiste a quanto pare la capacita' di ricostruire le lettere scomparse, sulla base di labili tracce rimaste nella materia. Secondo gli studiosi della Universita' di Gerusalemme la importanza di questa scoperta potrebbe rivelarsi paragonabile a quella dei Rotoli del mar Morto: testi religiosi che risalivano ad "appena" duemila anni fa.

fonte Aldo Baquis per Ansa - da Tel Aviv, 31 Ottobre 2008.

01/11/08

L'eroismo cristiano.



Oggi nel giorno in cui la Chiesa festeggia tutti i suoi santi, mi tornano in mente le parole che ho ascoltato qualche anno fa pronunciate da Enzo Bianchi, in una famosa e bellissima trasmissione radiofonica, Uomini e Profeti, che da anni conduce meravigliosamente Gabriella Caramore.

Bene, spesso noi cristiani - noi che facciamo riferimento a Cristo, nelle nostre vite - ci sentiamo un po' schiacciati dal Suo esempio di morte in Croce, e dall'esempio di molte vite di Santi che hanno fatto vite eroiche, che sono giunti spesso al punto di dare la vita, per la causa dell'amore.

Allora ci viene da domandarci: "Mio Dio, ma allora cosa mai dovrò fare io, cosa mi sarà richiesto, a me personalmente, per poter entrare nel Regno, per vedere il Suo volto ? "

E' proprio la domanda che la Caramore rivolse a Enzo Bianchi. Il quale rispose, nel suo solito stile, semplice, diretto, essenziale: no, disse, il cristianesimo non esige alcun atto d'eroismo. Il cristianesimo, Cristo, non ha questo tipo di esigenze. Il cristianesimo è esigente soltanto su un punto: sull'amore. E' l'unico comandamento che ci viene richiesto, che è necessario per entrare nel Regno dei cieli.

Un amore che non è un volersi bene generico, però. Un amore che non ha nulla di consolatorio, nulla di romantico, nulla di accomodante. Assolutamente nulla. Un amore totale, un donarsi reale all'altro, un essere solidale con lui, un vivere con lui e come lui: è l'amore di una madre per un figlio, è l'amore di un amico che dà tutto quello che può - e anche di più - per un amico in difficoltà, è l'amore gratuito, senza interessi, senza calcoli, senza doppi fini, senza invidie, senza do ut des.

E' l'amore senza. E l'amore punto e basta. E questo, e soltanto questo, è l'eroismo quotidiano che ci viene richiesto.


Il sito di Uomini e Profeti:

http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/

31/10/08

Vittorio Messori - Gli stupefacenti segnali che ho ricevuto da Dio.



Davvero sorprendenti queste rivelazioni dello studioso cattolico Vittorio Messori (coautore con Papa Wojtyla di "Varcare le soglie della speranza" e con il card. Ratzinger di "Rapporto sulla fede"), che in nuovo libro-intervista racconta di sè, di come si e' avvicinato a Dio quando era un giovane cronista a Torino, nell'estate del 1964, sfogliando dopo tanti anni un Vangelo.

"Il libricino - ricorda - usci' polveroso, non so come, dai recessi dell'armadio. Non ho ricordo di note che, anche se ci fossero state, sarebbero state arse dalla vampata che eruppe da quel testo. Neppure in questo, dunque, ci fu la mediazione di qualcuno: di un biblista che commentasse quei versetti, di una Chiesa, di un prete, di un amico. Un incontro nudo e crudo, nella mia piccola stanza al piano rialzato del 27 di via Medail, dalla quale non vedevo strade ne' persone ma un cortiletto sempre deserto.

Fu un andare a sbattere, senza intermediari, con una Parola che divenne carne". L'episodio e' raccontato dallo stesso Messori nel libro-intervista scritto con Andrea Tornielli, "Perche' credo", edito da Piemme. Molto citato, nella conversazione, lo scrittore Andre' Frossard, autore del best seller degli anni '70 "Dio esiste, io lo ho incontrato". Ma se a Parigi era stato l'atmosfera di una chiesa a aprire il cuore di Frossard, ad accendere il fuoco della fede in quello di Messori non era bastato, qualche anno prima, l'evento straordinario di una telefonata dall'al di la'.

"Erano gli anni del liceo ed ero - rivela - ancora lontano dalla svolta che mi avrebbe 'costretto' alla fede. Era il primo anniversario della morte di Aldo, lo zio materno morto giovane per un ictus cerebrale. Solo in casa dormivo del sonno pesante di quel giovanotto in salute che ero, quando fui svegliato dal telefono. Alzai la cornetta: un gran caos di disturbi elettrici, di fischi, di raschi, i disturbi che c'erano allora sulle linee quando la chiamata era interurbana e veniva da molto lontano. Dopo qualche mio 'Pronto! Pronto!' mi arrivo', chiarissima, inconfondibile, la voce, che ben conoscevo, di mio zio.

Mi disse, affannato, parole che ancora adesso ricordo come se le avessi udite ieri: 'Vittorio, Vittorio! Sono Aldo! Sto bene! Sto bene!'. Subito dopo, il rumore che annunciava la caduta della linea, la fine del collegamento. Guardai l'ora. Come mi confermarono poi i miei genitori, era quella, esatta al minuto, della morte dello zio, giusto un anno prima".

Rispondendo a Tornielli, Messori ammette candidamente di aver "esaminato ogni altra possibilita'" dopo quella straordinaria telefonata. "Ho finito con l'arrendermi all'evidenza, non essendo come gli ideologi, gli atei in primis, che fanno prevalere sui fatti il loro schema aprioristico: era proprio zio Aldo, sua era la voce, non reggono ipotesi di scherzi macabri, equivoci, allucinazioni.

Ne' mi e' possibile pensare a un sogno, visto che ero ben sveglio sia durante sia dopo la telefonata: in effetti, quella notte non tornai piu' tra le coltri e attesi in piedi l'alba".

Una telefonata che tuttavia "non basto'" ad avvicinarlo alla fede: "passata la sorpresa - confida lo scrittore - rimossi presto il ricordo di quella notte, mettendo l'episodio tra le singolarita' inspiegabili in cui a tutti puo' capitare di imbattersi.

Gesu' stesso ci avverte, nella parabola del povero Lazzaro, quando il ricco, ormai morto, chiede ad Abramo di poter avvertire i cinque fratelli perche' non finiscano essi pure all'inferno. Ed Abramo: 'Se non ascoltano Mose' e i Profeti, non sarebbero persuasi neanche se qualcuno risuscitasse dai morti'.

Per Messori, che lo ha sperimentato su se stesso, "c'e' un mistero di accecamento" per gli uomini "che si lagnano del 'silenzio di Dio'. Spesso non e' Lui che e' muto, siamo noi che siamo sordi. E' vero che, per rispettare la liberta' delle creature, il Creatore ha scelto di praticare la 'strategia del chiaroscuro'. Ma, lo dice la parola stessa, accanto al buio c'e' anche la luce: ed e' proprio questa che spesso ci si ostina a non vedere".

Nell'intervista rilasciata a Tornielli, lo scrittore racconta anche di una sua inchiesta compiuta su un analogo episodio "paranormale" accaduto ad un facoltoso professionista torinese che si era rivolto per telefono a un istituto di suore per un'infermiera. La sera dopo si presento' una religiosa nel suo abito austero e da allora, ogni notte, venne puntualmente a vegliare al capezzale dell'uomo. Guarito, decise per prima cosa di andare con la moglie all'istituto della religiosa per salutarla e ringraziarla ancora dell'assistenza. In portineria si stupirono per il nome della suora perche' una di loro aveva portato quel nome: per tutta la vita aveva assistito i malati e che aveva lasciato un ricordo esemplare. Ma era morta da molti anni".

Comprensibilmente, quei coniugi non sapevano capacitarsi. "Li condussero - racconta lo scrittore - nel piccolo cimitero al fondo del giardino del convento e mostrarono loro la tomba, con la foto della defunta sotto la croce: ne segui', ovviamente, un rischio di malore per la coppia, visto che entrambi la riconobbero senza esitazione. Era proprio lei".

"Sulle prime - spiega Messori a Tornielli, che fedelmente riporta - pensai a una sorta di leggenda metropolitana, ma alla fine mi decisi e andai a conoscere quei coniugi. Mi confermarono tutto, senza esitazione, eppure con pudore, temendo, stimati borghesi com'erano di essere scambiati per allucinati. In effetti, mi accolsero con cortesia, mi raccontarono, concordi, com'era andata ma con altrettanta concordia, malgrado le mie insistenze, non mi permisero di parlarne sul giornale. Volli completare, approfittando delle mie conoscenze nel giro religioso per ottenere dalle religiose di mostrarmi quella sepoltura. Vi sostai, ovviamente, con emozione: ma, a quel tempo, la scoperta della fede era gia' avvenuta. Se non potei scriverne allora, lo faccio adesso perche', vista l'eta', credo che quei due siano gia' andati da tempo a salutare e ringraziare quella misteriosa infermiera notturna. Dai cenni che mi fecero, mi parve di capire il perche' di quelle visite: con pazienza, con amabilita', con l'esempio, la suora giunta dall'Aldila' li aveva riavvicinati alla fede, li aveva indotti addirittura a riscoprire i sacramenti. Insomma, le era stato concesso un prolungamento dell'apostolato che aveva esercitato in vita".

Secondo Messori, "in casi come questi si dimostra come il vero libero pensatore sia il credente. Questo constata i fatti e, se sono oggettivi e provati, li accetta, anche se vanno al di la' degli schemi razionalisti e dell'esperienza comune.

Il non credente, invece, e' prigioniero del suo schema ideologico: se i fatti non vi rientrano, tanto peggio per i fatti, una spiegazione 'naturale' bisogna assolutamente cercarla, altrimenti va in crisi il pre-giudizio. E, se non adesso, la spiegazione - conclude - la si trovera' in futuro".

fonte AGI

27/10/08

Il Vangelo della Domenica - Il Comandamento più Grande.



Dal Vangelo secondo Matteo
22,34-40

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?".

Gli rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti".

Amare il Signore e Amare il prossimo tuo, ci dice Gesù, piuttosto chiaramente, sono due lati della stessa medaglia. E sono le due regole principali che Egli ci indica, per rispettare la Legge, e dunque entrare nel Suo Regno.

Ma io direi persino di più: secondo quanto Gesù dice non solo sono due facce, ma sembra essere proprio la stessa cosa: Gesù usa infatti il termine 'simile'. Simile, cioè 'uguale'.

E' già l'etimologia stessa della parola a guidarci: Simile deriva dal latino similem, cioè "che ha sembianza di quello che si dice esser simile. " Dunque, a me piace pensare proprio questo, e non mi sembra di illudermi, ma anzi di interpretare fedelmente le parole riportate da Marco: amare Dio, amare il Signore è la stessa cosa, ha cioè la stessa sembianza, che amare il tuo prossimo.

Ed è la stessa cosa proprio perchè l'uomo è - contiene - la stessa impronta di Dio. L'uomo è strettamente legato a Dio, il suo creatore. L'uomo non è un qualsiasi accessorio dell'immensa creazione. L'uomo è lo specchio di Dio nella creazione. E' anche - potremmo dire - lo specchio critico, nel quale Dio valuta la sua creazione.
Da ciò discendono conseguenze importanti: amare il prossimo E' amare il Signore. Odiare il prossimo E' odiare il Signore.

Ma Dio - Gesù - ci chiede di amare tutti ??? Proprio tutti ??? Non possiamo risparmiarci almeno qualcosa, lasciare il nostro umano risentimento per qualcuno che proprio non riusciamo a sopportare, non possiamo perdonarci almeno la nostra invidia, il nostro rancore, la nostra piccola vendetta per qualcuno che proprio la merita ???

La risposta di Gesù è 'No'.

Per questo la legge cristiana non è affatto semplice, ed è il contrario del 'volemose bene' nel quale il cristianesimo purtroppo - e ancora oggi - è stato così spesso annacquato. Volere bene al prossimo significa volere bene a Dio, e amare il prossimo con la mente, con il cuore e con tutta l'anima, significa amare il prossimo tuo come ameresti e come ami te stesso (perchè solo noi stessi, a quanto pare, riusciamo ad amare con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente).

Ma questo non basta per essere alla Sequela di Gesù. Amare se stessi non basta. Bisogna uscire da se stessi, dal proprio centro di (auto) riferimento. E solo così, soltanto in questo unico modo, si va anche verso il Signore-creatore.
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