17/08/22

Proust e l'aforisma tradito!


Un giorno qualcuno dovrà pur scrivere la storia degli aforismi traditi, equivocati, sbagliati.

Uno degli esempi più eclatanti riguarda uno attribuito a Proust e quasi sempre del tutto travisato, distorto, male interpretato.

Lo si scopre a pag. 264 del Quinto Volume della Recherche - La Prigioniera - dove si trova il fin troppo celebre aforisma attribuito a Marcel Proust che la vulgata generale - e purtroppo ormai l'ignoranza on line, che lo riprende e lo rimanda all'infinita - vuole reciti: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi."

Il problema è che esso, scritto così, viene completamente frainteso da chi lo legge e anche da chi lo pubblica. La frase di Proust infatti non termina in quel punto.

Il pensiero è più esteso - l'aforisma estratto è una arbitraria sintesi - e recita: "L'unico vero viaggio, l'unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, VEDERE L'UNIVERSO CON GLI OCCHI DI UN ALTRO, DI CENTO ALTRI, VEDERE I CENTO UNIVERSI CHE CIASCUNO VEDE, CHE CIASCUNO E'. LO POSSIAMO FARE CON UN ELSTIR (uno dei pittori della Recherche), CON UN VINTEUIL (uno dei musicisti della Recherche): CON I LORO SIMILI, VOLIAMO VERAMENTE DI ASTRO IN ASTRO.

Quindi quello che dice qui Proust NON è che bisogna avere "nuovi (propri) occhi", cioè un diverso sguardo personale, cambiare cioè il modo di guardare (da soli). Quello che ci sta dicendo è che (solo) attraverso la creazione artistica, la mediazione delle grandi anime degli artisti, è possibile per noi guardare le cose diversamente, avere un punto di vista realmente diverso, molto diverso dal cambiare semplicemente lo scenario che abbiamo davanti agli occhi e che cambiamo di volta in volta per colmare la nostra irrequietezza.

Fabrizio Falconi - 2022

16/08/22

L'amore di Sammy Davis Jr. con la svedese May Britt: un matrimonio che mandò in crisi l'America razzista

 



May Britt è un'attrice svedese che raggiunse la massima popolarità sul finire degli anni '50 interpretando al cinema "I giovani leoni" (The Young Lions) di Edward Dmytryk (1958) dove recitava da protagonista al fianco di mostri sacri come Marlon Brando, Montgomery Clift e Maximilian Schell.

Britt era stata scoperta da adolescente dal produttore Carlo Ponti (futuro marito di Sofia Loren) e dallo scrittore e regista Mario Soldati, nel 1951. 

I due si trovavano in Svezia per scegliere una giovane bionda per il ruolo di protagonista in Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, che Mario Soldati avrebbe diretto l'anno seguente. 

Si recarono nello studio dove lei lavorava come assistente di un fotografo di Stoccolma, per visionare album e di modelle. Dopo averla incontrata, le proposero la parte. 

May Britt, come fu ribattezzata professionalmente (il nome completo era May Britt Wilkens), si trasferì a Roma. Come previsto, fece il suo debutto al cinema come attrice protagonista nel film di Soldati, e in seguito lavorò in una decina di produzioni a Cinecittà, partecipando anche al film epico Guerra e pace del 1956. 

Alla fine degli anni Cinquanta, la Britt si trasferì a Hollywood dopo aver firmato con la 20th Century Fox. 

Recitò in alcuni film, tra cui I giovani leoni (1958), I cacciatori (1958) con Robert Mitchum e Robert Wagner e Murder, Inc. (1960) con Peter Falk, oltre a un remake molto criticato de L'angelo azzurro (1959) nel leggendario ruolo creato da Marlene Dietrich nel 1930.

Britt aveva nel frattempo sposato Edwin Gregson, uno studente universitario, nel 1958. 

L'anno seguente, chiese il divorzio.

Nel 1959 incontrò Sammy Davis Jr., allora popolarissimo. I due iniziano a frequentarsi e, dopo un breve fidanzamento, si sposarono il 13 novembre 1960. 

Il loro matrimonio suscitò una vasta eco e molte polemiche nell'America puritana e razzista di allora.  Basti pensare che all'epoca il matrimonio interrazziale era vietato per legge in 31 Stati americani e solo nel 1967 queste leggi (ormai ridotte a 17 Stati) furono dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Circola perfino la leggenda che John F. Kennedy e Robert F. Kennedy chiesero a a Frank Sinatra di intercedere con Davis per rimandare il matrimonio con May fino a dopo le elezioni presidenziali del 1960.

Prima delle nozze, Britt si convertì all'ebraismo. La coppia fu infatti sposata dal rabbino riformista William M. Kramer.

Harry Belafonte, che all'epoca era sposato con una donna bianca, fu invitato a esibirsi durante la festa di matrimonio. 

Una volta sposata, Britt lasciò il cinema. Lei e Davis ebbero una figlia, Tracey (nata il 5 luglio 1961 - morta il 2 novembre 2020), e adottarono due figli: Mark Sidney Davis (nato nel 1960, adottato il 4 giugno 1963) e Jeff (nato nel 1963). 

Fu un grande amore anche se i due divorziarono nel 1968 dopo che Davis ebbe una relazione con la ballerina Lola Falana. 

Dopo il divorzio, Britt riprese a lavorare con sporadiche apparizioni televisive, l'ultima nel 1988. 

Da allora si è ritirata e si dedica principalmente alla pittura. Attualmente risiede in California. Il suo terzo marito, Lennart Ringquist, è morto nel 2017.

Fabrizio Falconi - 2022 




15/08/22

Poesia di Ferragosto: "Follia sacra" di Rumi

 





Follia sacra - di Rumi.

Lascia ogni ipocrita astuzia, o amante, diventa pazzo, diventa pazzo !
Entra nel mezzo del fuoco, diventa falena, diventa falena !

Tu sei notte di Tomba, va e divieni notte del Destino
e, come il Destino, agli spiriti tutti diventa nido, diventa nido !

I tuoi pensieri mirano a un luogo e là ti trascinano:
tralascia i pensieri e, come il Destino, diventa veggente, diventa veggente !

Fin quando andrai, come Torre, solo in due direzioni ? Fin quando sarai debole come Pedina ?
Fin quando andrai storto come Alfiere ? Diventa Regina, diventa Regina !

Hai ringraziato finora l'amore dei doni e dei beni ch'egli ti ha dato:
dà ora in dono te stesso, diventa un grazie, diventa un grazie !

Per lunga era fosti pietra, per altra fosti bruto,
e ancora un'era anima fosti, diventa Amato, diventa Amato !

O spirito loquente finché correrai qua e là per tetti e per mura ?
Lascia ogni discorso di lingua, diventa muto, diventa muto !

Gialal ad-Din Rumi - circa 1260.

14/08/22

Alla disperata ricerca di una identità: Chi sono?

 


"Sono alla disperata ricerca di una identità". Potrebbe essere questa la frase simbolo dei nostri anni. 

Il problema è che l'Occidente ha del tutto tradito le sue origini del Conosci te stesso di Delfi, sul quale ha costruito la sua intera storia da Odisseo a Dante fino a Baudelaire. 

Conosci te stesso significava che nessuna identità è possibile, se non si viaggia dentro se stessi, alla scoperta di sé stessi (cioè della propria anima). 

Questo viaggio per vari e diversi motivi primo fra tutti il fatto che comporta sofferenza e attraversamento di territori oscuri - nessuno vuole più farlo

Oggi l'occidentale galleggia su bolle d'aria e preferisce tentare di darsi una identità interpretando a caso dei ruoli, intercambiabili. 

Ma, come insegna tutta la letteratura del Novecento, non è indossando maschere che si assumono vere identità. 

Nella baraonda del carnevale ci si diverte pure ma quando arriva il mercoledì mattina si è ancora più soli e ancora più ignoti a se stessi. 

Crescere costa fatica, vivacchiare no. 

Crescere vuol dire cambiare, vivacchiare vuol dire rintanarsi nella comfort zone dello status quo.

Fabrizio Falconi - 2022 



13/08/22

I mancini? Un esercito di talenti: da Einstein a Hendrix - ecco l'elenco




Tre presidenti degli Stati Uniti e un premio Nobel per la fisica, il piu' grande genio di tutti i tempi

Ma anche grandi artisti passati e presenti e grandi sportivi che hanno saputo fare di quello che un tempo veniva definito un handicap da correggere un grande vantaggio competitivo o piuttosto una manifestazione tangibile del genio e qualche volte della sregolatezza

Sono i mancini, un esercito che copre il 10% della popolazione e che un tempo veniva 'corretto' perche', e' il caso di dire, per maestre e genitori, era l'unica strada possibile da seguire. 

Un numero sempre crescente di persone piu' o meno note che conserva, sopite o espresse fino al successo, caratteristiche di genialita' e intelligenza a tratti non comuni. 

E oggi, 13 agosto, e' la giornata a loro dedicata, una giornata istituita nel 1992 dal Left Handers Club, nel Regno Unito.

Ed ecco che orgogliosamente si citano tra i piu' illustri mancini il principe William, ben tre presidenti degli Stati Uniti, Barack Obama, Bill Clinton e George Bush padre, il premio Nobel per la Fisica Albert Einstein, che pero' usava la destra per scrivere perche' era stato costretto alla correzione, ma anche quello che e' considerato uno dei piu' grandi geni dell'umanita', Leonardo Da Vinci. 

Ma le abilita' riconosciute ai mancini anche dalla scienza si manifestano in tutte le discipline: Diego Armando Maradona che trasformo' la tanto vituperata mano sinistra definita in passato mano del Diavolo, nella 'mano de Dios', la mano di Dio, il 'Profeta del Gol' Johan Cruijff, forte con il piede destro e quello sinistro, John McEnroe, mancino dotato di un talento che ha deliziato il mondo del tennis, per la musica il premio Nobel per Letteratura Bob Dylan, il bassista dei Beatles Paul McCartney, il chitarrista Jimi Hendrix, dall'indimenticabile tocco mancino e non solo, visto che la chitarra la suonava anche con i denti e l'asta del microfono. Julia Roberts e Nicole Kidman. 

E secondo la scienza i mancini ricordano meglio gli eventi, hanno cioe' una migliore memoria episodica perche' i loro emisferi cerebrali sono piu' strettamente connessi, sono piu' abili in matematica, nella risoluzione dei problemi complessi piu' che nell'aritmetica semplice. 

Hanno un vantaggio anche negli sport quali ping-pong o baseball, che richiedono reattivita'. Sono forti nel pugilato. I mancini avrebbero una loro specificita' anche nelle diverse aree della salute. 

Le donne mancine, in particolare quelle in menopausa, possono essere piu' a rischio di sviluppare tumore al seno e in generale chi usa la sinistra come dominante puo' essere maggiormente soggetto a disturbi del sonno e schizofrenia, ma al tempo stesso risulta essere piu' protetto da artrite, ulcere e ha un vantaggio nel recupero dopo un ictus. 

I mancini sono anche capaci di pensare maggiormente 'fuori dagli schemi' quando si tratta di trovare soluzioni ai problemi. Ma essere mancini non e' ancora facile , anche se non vengono piu' corretti, il mondo non sembra ancora a loro misura: le disposizioni di case e uffici (porte, cucine, lavelli) sono progettate per il comfort di chi usa la destra come mano dominante, apriscatole e le forbici se non specifici possono essere difficili da usare.

Per non parlare di oggetti come mouse dei pc, tradizionalmente posizionati a destra della tastiera (anche in questo caso ve ne sono di specifici da acquistare), chitarre, ma anche banalmente delle posate al ristorante che tocca invertire, delle sfide nella scrittura a mano e nello sport. Non piu' pregiudizi e correzioni ma ancora qualche scoglio da superare ma che i mancini sanno bene come aggirare. 


12/08/22

Quando eravamo free-lance : una parola oggi scomparsa

 

Fabrizio Falconi a ventisette anni 

Per molti anni ho fatto (o sono stato) un free-lance e solo ora mi accorgo che questa parola ormai non la usa più nessuno.

Il motivo è che l'instabilità lavorativa è diventata la norma.

Per noi che la vivevamo allora era una splendida opportunità.

La lente a ritroso di quello che allora era il futuro ci ha mostrato quanto fortunati fummo all'epoca, quando il lavoro c'era, accadeva spesso che premiasse i talentuosi, ed era anche ben retribuito.

Non pensavamo alle garanzie, alla pensione, al domani.

Ci buttavamo nella mischia, e si passava attraverso mille collaborazioni e cose ed esperienze assai diverse, che a volte stordivano e inebriavano. E che era poi bello raccontare.

Ci si innamorava anche, e non solo del lavoro.

Si imparava, più che altro, da chi era più bravo.

Poi certo anche allora era pieno di quelli che conoscevano bene e praticavano silenziosamente mille scorciatoie privilegiate e di quelli che tenevano ben serrate le porte a chi non aveva patentini di casta da esibire.

Ma anche di questo ce ne fregavamo.

La più importante medaglia da portare a casa era il lavoro che si era fatto, a tuo padre che sgobbava in officina da quando aveva 16 anni e a tua madre che hai visto piegata a cucire, in ogni giorno e ogni stagione, dalle 8 di mattina a mezzanotte, sempre.

Fabrizio Falconi 

11/08/22

Un grande romanzo italiano da riscoprire: "La dura spina" di Renzo Rosso


Ho appena finito di rileggere La Dura Spina, pubblicato da Renzo Rosso nell'aprile del 1963.

È stata una fatica trovarlo.
Il libraio di fiducia che trova tutto non riusciva a reperire copia alcuna.
Il romanzo, dopo la gloriosa edizione negli Elefanti di Garzanti, era caduto nell'oblio, risollevato solo per poco da una edizione Isbn, casa editrice oggi fallita, del 2010, ormai introvabile.
Nell'oblio come del resto tutta l'opera di Rosso, di cui oggi, sia in libreria, sia su Amazon et similia, non si trova più nulla di nulla.
Mentre se si cerca il nome dello scrittore su Google bisogna districarsi tra 8 milioni di occurrances dedicate al suo omonimo "fondatore della jeanseria Diesel" (O tempora o mores).
La Dura Spina è uno degli ultimi grandi romanzi italiani. Uscì lo stesso anno de Il male oscuro di Giuseppe Berto e come quello coniugava sperimentalismo (anche se qui ispirato alla grande tradizione mitteleuropea) con quella che in gergo letterario potrebbe chiamarsi "catastrofe dell'Io".
Triestino, Rosso si iscriveva sulla scia di Svevo e di Saba (a cui rubò il verso che dà il titolo al romanzo), modernizzandoli, raccontando il vuoto (e il pieno) esistenziale di un pianista acclamato, Ermanno Cornellis, e pieno di (troppe) donne, che torna a Trieste per un concerto e rimane invischiato in una imprevista storia sentimentale.
Il romanzo arrivò finalista allo Strega ma non vinse (tanto per cambiare). Nei decenni successivi divenne però vero libro di (ristretto) culto.
Nel frattempo Rosso, musicista anche nella vita, si era trasferito come tanti intellettuali friulani prima di lui, a Roma. Aveva vinto il concorso in RAI come assistente musicale e tra Via Asiago e viale Mazzini aveva lavorato per più di trent'anni continuando sempre a scrivere (e a pubblicare con sempre maggiore difficoltà), prima di finire i suoi giorni nel suo piccolo eremo a Tivoli, nel 2009.
Ora che anche La Dura Spina sta finendo nell'oblio, almeno dei libri cartacei pubblicati, non è inutile continuare almeno a parlarne (e a leggere se possibile) nella speranza che qualche editore lo ripubblichi ancora. Perché i libri che valgono davvero sono pochi e quelli che valgono dovrebbero poter continuare a procurare piacere a chi legge.

Fabrizio Falconi - 2022

Renzo Rosso
La Dura Spina
Isbn Edizioni - 2010
p. 347
ISBN-10 ‏ : ‎ 8876381686 ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8876381683

10/08/22

L'incredibile storia del ristoratore romano che finì protagonista del Fellini's Satyricon


Nel Satyricon, realizzato nel 1969 da Federico Fellini, film oggi assai ostico, colmo di visioni apparentemente scollegate, privo di una vera e propria trama, cupo e volutamente respingente, è centrale il personaggio di Trimalcione, che Fellini riprende fedelmente dal testo di Petronio.
Anzi, il peso della cena da Trimalcione (liberto arricchito che sfoggia un lusso volgare) risulta inferiore nella pellicola. Diciannove minuti e cinquanta secondi, il sedici per cento del totale del film. Mentre nel “romanzo” l’episodio occupa più di un terzo di spazio, il trentasei per cento per la precisione.
Altra differenza fondamentale è che nel libro il poeta Eumolpo, interpretato dal grande Salvo Randone non è presente nella cena, e nel film sì.
La cosa geniale è che Fellini scelse per il ruolo di Trimalcione, così importante, il "Moro", all'anagrafe Mario Romagnoli, oste capitolino, titolare del ristorante “Al moro” e come tale (“il Moro”) accreditato nei titoli di coda.
Il ristorante, piccolo, intimo, era uno di quelli preferiti da Fellini, a due passi da Fontana di Trevi.
Fellini fu colpito dallo sguardo “sabbioso” dell’uomo, dalla sua faccia di “Onassis tetro”, immobile, quasi una mummia.
Una faccia più "romana" di questa, in effetti, sembra impossibile che potesse essere trovata.
"Il Moro" si era portato sul set la moglie e la figlia che, nei primi giorni, avevano tentato invano di fargli ripassare le battute.
Nonostante tutta la sua buona volontà da alunno delle scuole elementari se ne stava li col faccione buio e greve.
La lentezza, la concentrazione per cercare di ricordare una parola erano tali per cui l'impresa risultava patetica e impossibile.
Racconta Fellini: "Allora per sbloccarlo gli dissi: senti Moro, prova a dire i numeri, unoduetrè, quattrocinque... Senonché il ritmo della mia voce che gli dava le battute a questa nuova emozione di dover dire dei numeri non combinava nulla di buono. Come fare? Alla fine fu lui, geniale, a suggerire una soluzione. "Potrei dire dei menù. Perché lì io vado come un treno". E così Trimalcione raccontava al poeta Eumolpo, un artista cialtrone, miserabile e scroccone, come aveva fatto le sue ricchezze dicendo "Oggi ciavemo du' cotolette a scottadito che ve magnate pure le dita, poi n' insalata con la rughetta, ' na goccia d' olio, tutto limone e niente aceto che l' aceto sulla rughetta non ci sta bene..."
Geniale.

22/07/22

Tornano a splendere - e aperte al pubblico - a Roma, le Corsie Sistine! 1200 metri quadrati di affreschi!

 



Mille e 200 metri quadri di affreschi. Il ciborio con i gigli Farnese in foglia d'oro e la pala d'altare firmata da Carlo Maratta. E soprattutto gli otto secoli di storia, accoglienza e bellezza. 

Dopo due anni di restauro, tornano a mostrarsi in tutta la loro luce al pubblico le Corsie Sistine al complesso Monumentale di S. Spirito in Saxia, l'ospedale piu' antico d'Europa

Un incredibile esempio di architettura civile e arte, voluto nel 1475 da Papa Sisto IV, alla cui riapertura è intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

"La corsia Sistina - racconta la soprintendente speciale di Roma, Daniela Porro - era la corsia storica dell'ospedale voluto Sisto IV Della Rovere in occasione del Giubileo". 

Reclutando l'architetto Baccio Pontelli e lo scultore Andrea Bregno, il Pontefice aveva infatti voluto ristrutturare tutto l'Arcispedale

L'edificio era costituito da due imponenti sale che prenderanno il nome dei medici Lancisi e Baglivi, raccordate da un tiburio ottagonale sotto il quale svetta un elegante ciborio, probabilmente unica opera romana di Andrea Palladio, arricchito dalla pala d'altare dedicata a San Giobbe, eseguita da Carlo Maratta. 

Ma ci sono anche due maestosi portali, il piu' esterno del Bernini e quello interno, detto del Paradiso, opera di Bregno

E poi la seicentesca Ruota degli Esposti dove venivano depositati i neonati, altrimenti tragicamente abbandonati sulle rive del Tevere.

"E' una sorta di cappella Sistina degli ospedali storici, sia per l'importanza del committente, sia per la straordinaria bellezza dell'apparato decorativo e l'ampiezza del luogo - prosegue la Porro -. Gli affreschi ci raccontano la storia degli anni '70 del '400 e le imprese voluta dal Papa, dalla costruzione di ponte Sisto alle chiese realizzate in quegli anni". 

In tutto, oltre 60 scene realizzate da artisti di scuola umbro-laziale e da discepoli di Melozzo, Ghirlandaio, Pinturicchio e Antoniazzo Romano. 



"Poi, pero', la storia continua - aggiunge la Porro - e il complesso è stato arricchito con il Palazzo del commendatore, con la Chiesa di S. Spirito in Sassia, con la Biblioteca Lancisiana".

Finanziati dalla Regione Lazio per la Asl Roma 1, i lavori di restauro si sono concentrati anche sul ciborio, nei secoli, racconta la restauratrice Maria Rosaria Di Napoli, "segnato da sporco e percolamenti dall'alto. La difficolta' maggiore, equilibrare i diversi materiali, perche' questo e' un gioiello: abbiamo il legno policromo e dorato, lo stucco, la tela, i marmi. I colori non si vedevano quasi piu'. Anche il lanternino, tutto di legno, proprio per l'acqua, aveva perso molta superficie pittorica. Ma l'emozione piu' grande è stata riportare finalmente alla luce la firma originale di Maratta sulla pala dedicata a San Giobbe". 

Per l'occasione, il complesso dell'Arcispedale verra' valorizzato con un progetto di illuminotecnica, aperto ai cittadini dal 22 al 24 luglio.

21/07/22

Il Circo Massimo (46 a.C.) diventato ormai un via vai di TIR e megapalchi da migliaia di watt. Arresi a un declino inarrestabile?

 


Scrivo una cosa completamente contro corrente rispetto al sentire contemporaneo e al sentire di questa città meticcia che ormai si è abituata - assuefatta, meglio dire - a tutto. Roma:

Ma perché l'area archeologica del Circo Massimo (il più grande anfiteatro dell'antichità - 46 a.C.) deve essere diventato a Roma l'unico spazio per qualsiasi concerto da Vasco a Ultimo con 100.000 persone a botta?
Ma possibile che anche questa giunta "progressista" sia così povera di idee e soluzioni?
Davvero bisogna sottoporre ogni santa settima estiva, o ogni due giorni il centro archeologico più famoso e prezioso del mondo intero allo strazio selvaggio, con i mega Tir sull'arena, i cessi in file chilometriche sullo sfondo della Passeggiata Archeologica, i mega amplificatori che sparano 800.000 watt addosso ai palazzi imperiali del Foro Romano, le 100.000 persone che lasciano un porcaio ogni sera in tutta la zona a 100 metri dal Colosseo ??
Lo so che sembra una figata per tutti. Ma che non si riescano ad allestire concerti in altri luoghi di Roma, meno nobili e fragili, mi sembra una vera eresia.
E la Sovrintendenza, la famosa sovrintendenza romana ai Beni Archeologici, che quando c'è da spostare un sampietrino avanza mille vincoli? Che fa, dorme? Va tutto bene? Aspettiamo i crolli definitivi?
Quod non fecerunt barbari fecerunt moderni ludus !

Fabrizio Falconi - 2022

20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead. 

19/07/22

In un'epoca senza maestri, un grande tributo a Philip Glass da Woody Allen, Scorsese e tanti altri


Credo sia un'epoca così sbandata perché viviamo in un'era - come dice Zagrebelsky - senza maestri.

I maestri buoni sono spariti (morti, uccisi, ripudiati) e così anche quelli cattivi.
Perché nell'epoca imperante del selfness (che a quanto pare, tra l'altro, sta portando il pianeta all'autodistruzione) ciascuno - secondo la profezia di Nietzsche, ma in modo ahimé assai più radicalmente basso - vuole essere ed è maestro di se stesso.
Così, i pochi maestri che restano vivi e in giro, per chi ancora li apprezza e sa quanto siano essi fari nella notte ormai divorante, sono quanto mai importanti. Ed importante conoscerli, ascoltarli.
Una occasione è data dal magnifico documentario (purtroppo in-tradotto e in-distribuito ancora in Italia, dove Amazon preferisce fare documentari su gianluca vacchi e su wanna marchi) dedicato al maestro, "Glass: A Portrait of Philip in Twelve Parts", diretto da Scott Hicks nel 2007 e nominato agli Emmy Awards e all'AFI Award
Chi ha l'occasione di vederlo, oltre che conoscere la vita, la personalità e la spiritualità di Glass, forse il più celebre compositore vivente, cioè contemporaneo, ha la possibilità di ascoltare l'opinione (su Glass, e sulla sua opera) di Joanne Akalaitis, Woody Allen, Holly Critchlow, Errol Morris, Nico Muhly, Godfrey Reggio, Dennis Russell Davies, Martin Scorsese e Ravi Shankar.
Un meraviglioso viaggio nella musica e nell'intelligenza. Glass, una delle ultime "grandi anime".

Fabrizio Falconi - 2022

18/07/22

L'incredibile, tragica morte di Percy Bysshe Shelley in Italia, poeta romantico per eccellenza

 

Louis-Edouard Fournier, Il funerale di Shelley 
oggi conservato alla Walker Art Gallery di Liverpool

Percy Bysshe Shelley è ancora oggi un poeta amatissimo e - anche in anni di crisi della lettura - uno dei più letti. 

Un destino abbastanza strano per un poeta che non raggiunse la fama durante la sua vita, ma che invece conobbe il successo dopo la sua morte, esercitando poi una importantissima influenza sulle successive generazioni di poeti tra cui Robert Browning, Algernon Charles Swinburne, Thomas Hardy e WB Yeats.

Il critico letterario americano Harold Bloom lo ha descritto con una delle sue fulminee immagini: "un superbo artigiano, un poeta lirico senza rivali e sicuramente uno degli intelletti scettici più avanzati che abbiano mai scritto una poesia".

E le sue opere, come "Ozymandias " (1818), "The Spirit of Solitude" (1815), "Adonais" (1821), "Prometheus Unbound" (1820), sono oggi considerate capolavori assoluti della poesia mondiale, anche se gran parte della sua poesia e della sua prosa (saggi politici, sociali, filosofici),  non fu pubblicata durante la sua vita, o pubblicata solo in forma espurgata, a causa del rischio di censure e persecuzioni.

Nonostante ciò, dal 1820, le sue poesie e gli scritti politici divennero popolari nei circoli politici, suscitando l'ammirazione di Karl Marx, del Mahatma Gandhi o di  George Bernard Shaw.  

Quasi come per adeguarsi allo spirito tragico della sua poesia, la vita di Shelley è stata segnata da crisi familiari, problemi di salute e problemi causati dal suo ateismo e dalle sue opinioni politiche in sfida alle convenzioni sociali. 

Andò in autoesilio permanente in Italia nel 1818, e nei quattro anni successivi produsse alcune delle più belle poesie del periodo romantico. 

La sua seconda moglie, Mary Shelley, fu la celebre autrice di Frankenstein

Percy, come è noto, morì in un incidente in barca nel 1822 all'età di 29 anni. 

Il 1 ° luglio 1822, Shelley e l'amico Edward Williams salparono sulla nuova barca di Shelley, la Don Juan , da Genova, dove il poeta viveva in quel periodo, per Livorno, dove Shelley incontrò Leigh Hunt e Byron per prendere accordi per un nuovo giornale, The Liberal

Dopo l'incontro, l'8 luglio, Shelley, Williams e il loro timoniere salparono da Livorno alla volta di Lerici. Poche ore dopo, il Don Juan e il suo equipaggio inesperto si persero in una tempesta, a poche centinaia di metri dalla riva.  

La nave, una barca aperta, era stata costruita su misura a Genova per Shelley. 

Mary Shelley dichiarò nella sua Note on Poems of 1822 (1839) che il progetto aveva un difetto e che la barca non era mai idonea alla navigazione

In realtà, invece, il Don Juan era sovra-alberato; l'affondamento è stato dovuto a una forte tempesta e alla scarsa abilità marittima dei tre uomini a bordo. 

Il corpo gravemente decomposto di Shelley fu portato a riva a Viareggio dieci giorni dopo e fu identificato dai vestiti e da una copia della Lamia, scritta dall'amico John Keats nella tasca della giacca

Il 16 agosto il suo corpo fu cremato su una spiaggia nei pressi di Viareggio e le ceneri furono traslate nel Cimitero Acattolico di Roma, a fianco di quelle dell'amico Keats. 

Il funerale di Shelley fu immortalato dal pittore Louis Édouard Fournier (1889): nella tela, al centro si vedono in piedi, gli amici Trelawny, Hunt e Byron. In verità però Hunt non assistette alla cremazione e Byron se ne andò presto. Anche Mary Shelley, che è raffigurata inginocchiata a sinistra, non partecipò a quella cerimonia. 

Il giorno dopo che la notizia della sua morte raggiunse l'Inghilterra, il quotidiano Tory London The Courier scrisse: "Shelley, lo scrittore di alcune poesie infedeli, è annegato; ora sa se Dio esiste o no". 

Infine, un particolare macabro, ma eloquente per l'amore che gli amici nutrivano per il poeta: quando il corpo di Shelley fu cremato sulla spiaggia, il suo cuore "insolitamente piccolo" resistette al rogo, probabilmente a causa della calcificazione dovuta a una precedente infezione tubercolare. 

Trelawny diede il cuore bruciato a Hunt, che lo conservò sotto spirito  e si rifiutò di consegnarlo a Mary. 

Alla fine cedette e il cuore fu infine sepolto nella chiesa di Saint-Peter, a Bournemouth o nel priorato di Christchurch.

Fabrizio Falconi - 2022 

15/07/22

*Ingmar Bergman privato e pubblico. Arriva il documentario girato da Margaretha von Trotta sul grande maestro: "In Searching for Ingmar Bergman*

 


Gli amanti del cinema di Bergman non possono perdere il docu "In Searching for Ingmar Bergman", che si può vedere sui canali Sky interattivi, dopo essere andato in onda su SkyArte.

Si tratta di un'opera firmata da Margaretha Von Trotta, che Bergman ha conosciuto personalmente e che ha l'onore di essere l'unica regista ancora in vita (e l'unica donna) che il maestro svedese inserì in una lista di 11 film (e 11 registi) che gli avevano chiesto di scegliere come riferimento per il suo cinema (il film in questione era Anni di Piombo, che vinse il Leone d'Oro a Venezia nel 1981).

La Von Trotta si mette letteralmente in cerca delle tracce lasciate da Bergman nei luoghi dove ha vissuto e dove ha girato.

E già la prima sequenza del documentario è da brividi perché realizzata oggi proprio sullo stesso tratto di scogliera in cui fu girata la celebre scena del cavaliere e della Morte, ne Il Settimo Sigillo (1957).

Si susseguono interviste a grandi registi (Carlos Saura, Olivier Assayas), attrici-muse del maestro e sue compagne di vita (Liv Ullman, Gunnel Lindblom), compagni di lavoro e di set (la sua segretaria di edizione per 30 anni), figli avuti dai diversi matrimoni, alternate a spezzoni dei suoi (ormai mitologici) film.

Ne viene fuori un ritratto vivo e vero di un maestro completo, un genio umanista che ha lasciato una eredità enorme nel mondo del cinema, del teatro, della cultura.

Ma anche un uomo interiormente inconcluso, imprigionato dai fantasmi e dai ricordi del suo mondo infantile e adolescenziale, e dalle questioni filosofiche irrisolte: il senso della vita, il mistero dell'anima e del destino, i sogni, la complicazione della psicologia delle relazioni, la scoperta dell'altro e di sé.

Il film ripercorre le tappe della sua vita e dei suoi film: gli inizi folgoranti come genio precoce, la celebrità, lo scandalo finanziario e l'esilio volontario in Germania, il ritiro nell'isola sperduta dell'artico, le bellissime muse/mogli, i molti figli, la vecchiaia.

Bellissimo.

Fabrizio Falconi - 2022

14/07/22

*Quando Rimbaud a 18 anni trafisse con un colpo di spada Etienne Carjat, il fotografo che lo aveva ritratto nella foto divenuta iconica.*

 

La celebre foto realizzata da Etienne Carjat al giovanissimo Rimbaud,
colorizzata con tecnologie moderne

La breve vita del grande Arthur Rimbaud (solo 37 anni), uno dei più grandi geni della letteratura di tutti i tempi, è costellata di episodi "scandalosi", che testimoniano il carattere difficile, umbratile, bipolare si direbbe oggi, del "ragazzo dalle suole di vento", destinato a diventare un mito.
Uno dei meno conosciuti è forse quello che risale al 2 marzo 1872, quando il poeta aveva solo 18 anni, ma stava già conquistandosi, a furia di scorribande, furibonde letture, e provocazioni, un suo posto nella scena letteraria parigina.
L'incresciosa scena avvenne durante un pranzo dei “Vilains Bonshommes”, nella stessa rivendita di vino in cui Rimbaud cinque mesi prima aveva stupito un gruppo di poeti già affermati o in odore di notorietà, con le sue straordinarie poesie.
Questa volta tra i poeti c'era perfino il grande Mallarmé, e a quanto risulta, fu probabilmente l'unica volta che Rimbaud e Mallarmè si incontrarono, durante le loro vite.
Al termine del pranzo c’era l’abitudine che i commensali leggessero i loro versi.
Come al solito, i poeti più noiosi si prendevano più tempo.
Rimbaud scalpitava e si mordeva la lingua, reso forse anche più intollerante da abbondanti dosi di alcol.
Venne il turno di August Creissels, un poeta mediocre, che si alzò e cominciò a recitare il suo “Sonnet du Combat”, un poemetto che sembra fosse piuttosto imbarazzante, qualitativamente.
Rimbaud cominciò ad aggiungere una parola alla fine di ogni verso:
“Sottoposta questa legge, la terzina in uniforme” – e Rimbaud dice: “merde!”
“Sta austera e inflessibile al suo posto designato” – e Rimbaud dice: “merde!”
Ad un certo punto il poeta-fotografo Etienne Carjat - che aveva già fotografato nel suo studio Rimbaud, giovanissimo - intimò a Rimbaud di smetterla, chiamandolo “piccolo rospo”.
Rimbaud, raggiunto alle spalle da Verlaine, afferrò il bastone da stocco dell’amico (all’interno del bastone c’era una vera e propra lama) e la affondò verso Carjat, sfiorandogli la mano.
Rimbaud venne disarmato, sollevato in aria da Carjat stesso, e scaraventato fuori.
Arthur però attese pazientemente all’esterno il termine delle letture, e quando Carjat uscì gli si parò davanti all’improvviso e lo trafisse allo stomaco con lo stesso bastone-spada.
Per fortuna la ferita fu di poco conto, ma Carjat si infuriò a tal punto da distruggere i negativi delle due foto che aveva fatto a Rimbaud. Per fortuna le foto si salvarono lo stesso e - essendo praticamente le uniche esistenti del poeta - sono diventate nel tempo vere e proprie icone.
L’altro risultato fu ovviamente l’espulsione di Rimbaud dal gruppo dei “Vilains Bonshommes”.
Purtroppo non conosciamo la reazione di Mallarmé alla scena a cui gli capitò di assistere. Ma forse non è difficile immaginarlo, visto il carattere del tutto dissimile, di quello che è stato ed è venerato come il padre del simbolismo poetico francese.

Fabrizio Falconi - 2022

12/07/22

"Kinski, il mio nemico più caro" - La follia, gli aneddoti, l'ossessione psicotica del suo attore feticcio raccontato in documentario bellissimo da Werner Herzog


"Kinski, il mio nemico più caro (Mein liebster Feind - Klaus Kinski)", è un atto d'amore, prima ancora che un documentario. Visibile su Chili al prezzo di noleggio di 1.99.

Werner Herzog lo ha realizzato nel 1999, otto anni dopo la morte di Klaus Kinski, avvenuta per infarto, a sessantacinque anni.
Come tutti sanno, Kinski divenne negli anni l'attore-feticcio di Herzog, che con lui protagonista realizzò i suoi film più celebrati: "Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes)" (1972); Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht) (1978); Woyzeck (1979); Fitzcarraldo (1982); Cobra Verde (1987).
Herzog conosceva Kinski da quando era piccolo e ne scoprì subito il lato pazzoide, aggressivo, incontrollabile.
Il documentario inizia infatti con la commovente visita di Herzog alla pensione - oggi completamente trasformata in un borghese bellissimo appartamento - a Monaco, in cui visse da bambino con la madre e la sorella, la stessa in cui un giorno capitò il già esagitato e giovane Klaus, aspirante attore, genio incompreso e difficilmente gestibile.
A partire da questo esordio, Herzog mette in scena, poeticamente, il rapporto nemico/amico che instaurò con Kinski nel corso degli anni. Herzog, per motivi dovuti probabilmente al suo carattere diametralmente opposto, divenne per molti anni l'unico in grado di gestire l'aggressività, l'insopportabilità di Kinski, i suoi leggendari colpi di testa durante le riprese dei film, i litigi furibondi, le minacce, che vengono ricostruiti nel documentario con le riprese originali, i backstage, vera ghiottoneria per gli amanti di cinema.
Nel corso dei 95 minuti, la pellicola suggerisce l'idea che Herzog fu capace - impresa non da poco - di convogliare l'energia bollente di Kinski, le sue intemperanze, ai fini creativi che perseguiva con i suoi film.
Era come se la dinamite di Klaus esplodesse al suo meglio incontrando la miccia di Herzog.
Le scene di Fitzcarraldo e di Aguirre parlano da sole, mostrando quanta follia creativa ci fosse nelle riprese, non solo tra i due ma nell'intero cast.
Herzog parla (anche) di Kinski con enorme affetto, come chi ne abbia compreso la profonda natura ostile (prima di tutto a se stesso) ma anche capace di di-mostrare grande umanità.
Il film è interamente girato nei luoghi dove furono ambientate le riprese dei più famosi film di Herzog, ed è perciò particolarmente suggestivo.
Herzog mantiene il suo punto di osservazione fisso sul Kinski-attore. Evita, prudentemente, di scendere sul versante privato. E fa bene. Probabilmente anche lui sarebbe stato a disagio a girare questo film in tempi più recenti, dopo il 2013. Quando una delle due figlie di Kinski, Pola (l'altra è la celebre Nastassja) dichiarò pubblicamente che suo padre, Klaus Kinski la violentò regolarmente da quando aveva 5 anni fino a quando ne ebbe 19.
Rivelazioni terribili che gettano una luce sinistra sull'uomo Kinski.
Il film è stato presentato fuori concorso al 52º Festival di Cannes.

Fabrizio Falconi - 2022