11/07/18

"L'amore mancato" di Heidegger e Hannah Arendt. Riprendono le pubblicazioni dei Quaderni Neri di Heidegger. Un articolo di Donatella di Cesare.




Dopo una pausa durata più di tre anni, riconducibile al clamore suscitato in tutto il mondo dai primi volumi, riprende la pubblicazione dei Quaderni neri di Martin Heidegger. 

È appena uscito dall’editore Klostermann il volume 98 delle opere complete, curato da Peter Trawny, che contiene le Annotazioni VI-IX e un inserto intitolato Der Feldweg («Il sentiero interrotto»)

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Nelle Annotazioni VIII si trova invece la testimonianza velata del primo incontro, nel dopoguerra, con Hannah Arendt, avvenuto a Friburgo, nel febbraio del 1950. L’incipit è una citazione di Agostino: «Nessun invito ad amare è maggiore di questo: prevenire amando». E poi ancora un’altra citazione, questa volta di Meister Eckhart: il «fuoco dell’amore» alimenta il pensiero. 

L’amore è il motivo di fondo. Heidegger si schermisce non senza imbarazzo: «Si dice che nel mio pensiero l’amore non sia pensato. Lo si può forse pensare?» (p. 233). E ancora: «Amare vuol dire privarsi nell’evento; sostenere l’espropriazione» (p. 235)

Nessun possesso dell’altro, dunque. L’amore irrompe inatteso. 

Nella lontana primavera del 1925 Arendt aveva spezzato l’ordo amoris di Heidegger che da quella passione era fuggito, incapace di far fronte alla presenza di lei nella sua vita

Contrario all’«amore borghese», quello dei «viaggi insieme», aveva mancato la chance che si sarebbe rivelata l’unica autentica. 

Senza Hannah era rimasto spaesato, tra la provincia asfittica e l’erranza spensierata. 

L’aveva abbandonata con un augurio apparentemente rispettoso: «amore è la volontà che l’amata sia (…); non desidera, né pretende nulla». 

Ma che amore è quello che non pretende nulla? Dietro quell’augurio si celava a stento la sua fuga. Il sé lasciava andare l’altro, per non esserne a sua volta toccato. Heidegger era tornato alla filosofia.

Dopo quei cinque lustri, il tempo che «ti ha ingiunto di andar via, che mi ha lasciato errare» (così le aveva scritto in una lettera, subito dopo l’incontro del 1950), emergono le inibizioni, gli impedimenti che lo avevano reso prigioniero nel regno della possibilità. 

L’evento, nella sua vita, non aveva saputo accoglierlo. 

Durante il dopoguerra Heidegger teorizza il «passo indietro» («La somma del mio pensiero», p. 57). Nel caleidoscopio dell’amore viene alla luce quell’abbandono che verrà elevato a categoria filosofica, ma anche una rassegnazione amara che lo accompagnerà sino alla fine.

09/07/18

"Lo Scopone Scientifico" di Comencini, una grande metafora del gioco della vita. Una pagina de "Le Rovine e l'Ombra" .




LuigiComencini era considerato un autore popolare. Forse perfino troppo per la critica militante: non gli si perdonavano i film d’esordio con Totò e la Pampanini, ma il successo clamoroso del Pinocchio televisivo gli aveva guadagnato consensi unanimi

Del resto la sua formazione era impeccabile: l’infanzia parigina, i trascorsi al Politecnico di Milano e alla Cineteca Italiana (come curatore) ne avevano fatto uno dei più solidi registi italiani.  Nel 1972, fresco del successo televisivo collodiano, Comencini aveva deciso di tentare il successo definitivo all’estero, mettendo insieme un super cast nel quale si fronteggiavano le due coppie: Alberto Sordi - Silvana Mangano e Joseph Cotten – Bette Davis.

Rodolfo Sonego aveva scritto un copione formidabile sulla follia del gioco e quando si trattò di pensare all’interprete della vecchia miliardaria americana, grande e cinica giocatrice di carte, Comencini tentò l’azzardo di rivolgersi alla diva americana. Bette Davis si trovava in vacanza in quel periodo alle terme di Carlsbad nel sud della California

Quando ricevette il copione, si entusiasmò.  Impulsivamente, com’era il suo carattere, prese il primo aereo per l’Italia e firmò il contratto, accorgendosi soltanto in un secondo momento – con notevole disdoro - che il film era girato in italiano.

Troppo tardi. La villa dove fu girato il film – la residenza romana della vecchia miliardaria – era la splendida VillaMiani, a Monte Mario. La miserabile borgata dove vivono invece Sordi e la Mangano, con i loro quattro figli e i loro stracci  era quella di Via Anzio, alla periferia sud di Roma, all’Arco di Travertino.

Comencini, sul copione di Sonego, allestì una crudelissima fiaba sul gioco, sul valore dei soldi, sulla povertà e la ricchezza: lo stracciarolo Peppino, e sua moglie Antonia aspettano come ogni anno l’arrivo della vecchia miliardaria americana che gira il mondo insieme al fedele autista George.  Morbosamente appassionata di giochi di carte, la vecchia ogni volta sfida i due poveracci (che si sono allenati per un anno intero) allo scopone scientifico, un gioco che – come spiega il Professore (Mario Carotenuto) della borgata ai suoi due allievi – presenta miliardi di varianti possibili e che «su miliardi e miliardi di partite, non mette mai in mano le stesse carte».

Anche stavolta i due sperano una buona volta di sbancare il patrimonio della vecchia e dare una svolta alle loro vite e a quelle di tutti quelli che vivono con loro nella borgata. Ma l’arpia ne sa una più del diavolo. E dopo aver perso la cifra di duecento milioni, nell’ultima partita che si disputa su quello che sembra essere il suo letto di morte, la miliardaria rivince tutto, gettando i due sul lastrico.
   

Peppino ha sbagliato proprio nella mano fatidica, a scartare la carta giusta.  La rovina si abbatte su di lui, non solo quella economica: Antonia, delusa definitivamente dal marito, consapevole della sua  inadeguatezza, lo tradisce con Righetto (Domenico Modugno), giocatore professionista e baro smaliziato.
   
A Peppino tocca l’infamia di essere considerato impotente al gioco e impotente nel ruolo di marito. Ma anche a Righetto non va meglio.  Quando sembra che stavolta il fato giri dalla parte dei borgatari, la vecchia nell’ultima partita, sbaraglia nuovamente gli avversari. Righetto perde i suoi ultimi guadagni investiti, Antonia perfino la baracca che si è ipotecata.
   
Nel finale da melodramma, Righetto tenta il suicidio, mentre Antonia e Peppino finiscono col riconciliarsi davanti a tutti i compagni di borgata con la dichiarazione: «che m’emporta de la ricchezza.. basta che c’è l’amore!»

Ma il sottofinale amarissimo del film di Comencini è affidato alla saggia figlia quindicenne Cleopatra, la quale ha già visto tutto, sa già quello che succederà il nuovo anno, quando l’americana tornerà un’altra volta a sconvolgere le loro vite e di nuovo il destino – che non è caso e non è caos – si ripeterà immutabile. Per spezzare finalmente la catena, Cleopatra, senza dir niente a nessuno mette il veleno per topi nel dolce che è stata incaricata di preparare per la vecchia in partenza per l’America. 


È l’unico modo per rivoltarsi definitivamente contro i potenti, l’unico modo per liberarsi dalla schiavitù (del gioco e del potere dei ricchi): quello di ricorrere alla eliminazione fisica dell’avversario.  E se questo sicuramente piacque poco al pubblico americano (che lesse il film come un apologo sulla lotta di classe), oggi dice molto sull’ombra personale (sotto forma del gioco), che se non può essere evitata e se ritorna sempre a perturbare e sopraffare, va estirpata.
   

Durante la proiezione di quel giorno, al cinema Augustus, il mio amico John a tratti se la rise di gusto, mentre durante alcune scene – soprattutto le lunghe sequenze delle partite a scopone – rimase con gli occhi ipnotizzati da quel che succedeva sullo schermo.

«Ha ragione Freud,”mi disse alla fine quando si riaccesero le luci in sala, mentre scorrevano i titoli di coda».
In che senso, chiesi.
«Loro non volevano veramente vincere. Peppino e Antonia».
«Come non volevano ?»
« Ma sì, non ti sei accorto ? Loro in fondo amano la vecchia. Amano lei e l’autista, i loro carnefici. Per questo non possono mai vincere. La amano perché lei rappresenta quello che loro non hanno e che non potranno mai avere».
Aveva ragione, ripensando alle immagini iniziali del film, quando il nuovo arrivo della miliardaria è salutato quasi come un trionfo dal popolo dei borgatari, con i cioccolatini e i dolci dispensati da lei ai ragazzini e alle famiglie povere.
Ma che c’entrava questo col gioco ?
«Antonio è contento di perdere, perché in questo modo può mettere alla prova l’amore di Antonia per lui. Non vuole vincere veramente».
«E Cleopatra allora ?»
«Cleopatra no. La ragazzina forse è l’unica che vorrebbe vincere veramente. Per riscattare la sua vita contro l’ingiustizia di quei ricchi.  Ma sa che i suoi genitori non potranno mai vincere, e perciò preferisce ammazzare la vecchia».
«Quindi lo scopone scientifico è la metafora del potere ?»
«No, non credo.  Lo scopone scientifico è un gioco difficile che sembra facile», disse John, «io l’ho imparato da mia nonna, una vecchia che potrebbe reggere il confronto con Bette Davis.  Lei mi ha spiegato che il segreto dello scopone è solo quello di non stare sotto giro: non devi essere tu il primo a scartare, nel giro. Ma devi essere sempre il primo a prendere. È un problema di sottomissione».
Gli risposi che conoscevo il gioco anch’io e che non è per niente facile non stare sotto giro.
«Dipende dalle carte che hai in mano», dissi.
 John sorrise:
«Ma come ha detto il Professore nel film, le combinazioni delle carte sono infinite, sono miliardi di miliardi, e tu non avrai mai due volte le stesse carte. Il tuo compito è quello di uscire dall’ombra. Con le carte che hai ogni volta, non devi farti rinchiudere nell’angolo, cioè dover scartare ogni volta, cominciando il giro. Con il rischio di non avere più carte buone, sicure in mano».
 Facile a dirsi, molto difficile a farsi.
 «Neanche i vincenti sono felici. Bette Davis non era felice di vincere», aggiunse.
 «Davvero ? Sembrava felicissima invece».
 «No. Lei vorrebbe perdere per essere umana, ma è costretta a vincere per assecondare il suo demone».
Queste considerazioni filosofiche, per due ragazzi che erano alle prese con la scoperta di Freud, aprivano scenari interessanti.
«E qual è il tuo demone ?» chiesi, mentre tornavamo a piedi attraversando il Ponte Sant’Angelo che era già notte.
«Il mio ? È quello di tutti: la paura di perdere …»
«Che intendi ?»
« I giocatori professionisti sanno che si perde tutto quando hai paura di perdere …»
«Non si direbbe», puntualizzai, «anche Righetto, che è un professionista, fa la fine degli altri due..»
«Perché anche lui ha paura di perdere. Ha paura di perdere la sua reputazione e soprattutto l’ammirazione incondizionata di Antonia che glielo ha fatto preferire al marito».
 «E la vecchia ? Non ha forse paura ?»
 «Sì anche lei ha paura, ma meno degli altri. È vecchia, può morire da un momento all’altro. Ha meno da perdere».
Più tardi, tornati a casa, John tirò fuori dal cassetto un mazzo di piacentine.   «Questa è la Polla»,rise indicando l’Asso di denari: la grande aquila con le ali aperte e il bollo d’imposta sul ventre, «dicono che quando arriva questa, vinci di sicuro. Ma non bisogna mai fidarsi delle carte.. ricordati di Antonia e Peppino. Ci hanno creduto … »
«Insomma, l’unico modo per vincere è perdere … »
«Proprio così. Quando perdi o quando ti perdi, si imparano molte cose».
Sembravano parole incongruenti dette da lui, che era sempre avanti a tutti, lui con i vestiti sempre appena usciti dal guardaroba, il taglio di capelli impeccabile, la grossa moto con le marmitte tirate a lucido, la collezione di dischi in ordine alfabetico, i panni rossi sulle tastiere, la pila di libri da leggere, le giuste idee in testa, le contestazioni alla vecchia insegnante, la sottile strafottenza di chi aveva visto di più e aveva vissuto molto, molto più di noi.
L’immagine vivente del perfect guy.
Eppure anche questa bella immagine, si incrinò. John, con il suo cognome italiano, e con il suo brillante futuro, fu come ingoiato dalla spirale del tempo. Di lui si persero definitivamente le tracce.
Le nostre strade si separarono, ma la sua non so dove l’ha portato.  Nell’epoca della totale rintracciabilità, di lui non esistono nemmeno segnali digitali; ed è ben strano, considerato quanto fosse interessato alla tecnologia.
Da lui ricevetti soltanto un biglietto, diversi anni dopo il nostro ultimo incontro.
Aveva appena rivisto in televisione California Poker, di Robert Altman, e doveva essergli tornata in mente la nostra conversazione dei tempi delle medie.
«Avevo ragione», c’era scritto, «i vincitori non sono mai felici».
Si riferiva al finale del film, quando una immane tristezza si dipinge sul volto del giornalista Bill Denny (George Segal) dopo che insieme al suo sodale, lo spiantato  Charlie Waters (Elliott Gould), ha sbancato il casinò di Reno, in Nevada, vincendo 82 mila dollari.
Mi era chiara la rovina dei perdenti. Su quella dei vincenti, invece, avrei voluto chiedere ancora molte cose al mio amico.

06/07/18

Libro del Giorno: "Il richiamo del merlo" di Enza Armiento.



Enza Armiento 
Il richiamo del merlo 

Le truppe piemontesi hanno ricevuto l’ordine di radere al suolo il paese. Concetta viene violentata dai militari sotto gli occhi del padre, è creduta morta. Quando rinviene tutto è morte e sangue e fuoco. Si rifugia in un bosco, viene accolta dai briganti. A distanza di anni, Michela, lontana parente di Concetta, vuole intraprendere la carriera militare. La scelta non viene accolta con favore dalla famiglia. Il romanzo segue la vita delle due ragazze: Concetta avviata al brigantaggio, Michela al riscatto dalla sua condizione sociale. Il presente avrà rimandi al passato, alle strategie di pace attuate con strumenti e modalità di guerra. Solo alla fine troveranno risposte le voci silenziose dei parenti di Michela, delle donne del Sud che portavano al collo catenine dorate con volti di morti. Sarà una lotta in nome e per conto degli innocenti. 

Enza Armiento

nata a Manfredonia (FG), è docente di lingua e letteratura inglese. È risultata vincitrice e finalista in diversi premi letterari. Alcune sue poesie sono pubblicate in raccolte e antologie letterarie. Nel 2013 cura, insieme a Antonella Taravella e Sebastiano Adernò, l’antologia a scopo benefico dal titolo No job. Visioni del Paese irreale. Nel 2017 partecipa con un suo racconto, tratto dal romanzo autobiografico La voce delle pietre, al concorso europeo Storie di Resilienza indetto dall’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire e viene premiata come role model: figura di riferimento positivo in campo educativo. Scrive per il Words Social Forum Centro Sociale dell’Arte.


05/07/18

C'erano 5 o 6 antichissimi pianeti nel nostro Sistema Solare. Scoperta l'origine di asteroidi e meteoriti.


La maggior parte dei 200.000 asteroidi che si trovano fra Marte e Giove, nella cosiddetta fascia principale, sono i frammenti di cinque o sei antichissimi pianeti, andati in frantumi quando il Sistema Solare si stava ancora formando. 

La scoperta, pubblicata sulla rivista NatureAstronomy dai ricercatori dell'universita' della Florida, e' importante per capire la storia e i materiali che hanno formato gli asteroidi, e può aiutare anche a proteggere la Terra dai meteoriti. 

Il gruppo guidato da Stanley Dermott ha concluso che l'85% degli asteroidi della parte piu' interna della cintura di asteroidi (da cui provengono la maggior parte dei meteoriti terrestri) ha avuto origine da una manciata di antichi pianeti minori, e che anche il restante 15% si puo' far risalire allo stesso gruppo di corpi primordiali. 

Meteoriti e asteroidi "sfrecciano vicino la Terra. E' quindi naturale preoccuparsi di quanti siano e di che tipo di materiali sono fatti - commenta Dermott - Se anche uno solo di questi arrivasse sulla Terra, e volessimo deviarlo, dobbiamo conoscere la sua natura". 

I ricercatori hanno dimostrato che il tipo di orbita di un asteroide dipende dalle sue dimensioni. 

Il che suggerisce che "le differenze viste nei meteoriti trovati sulla Terra dipendono dai cambiamenti evolutivi verificatisi in questi pianeti esistiti piu' di 4 miliardi di anni fa", continua. 

"Non sarei sorpreso se potessimo far risalire l'origine di tutti gli asteroidi, non solo della parte piu' interna, ma anche della fascia principale, ad un piccolo numero di pianeti conosciuti - conclude Dermott - Conoscere l'evoluzione dei corpi che hanno formato il nostro Sistema solare ci puo' aiutare a rispondere a domande su come possano esistere pianeti come il nostro nell'Universo". 

04/07/18

Il Libro del Giorno: "Cinzia con i suoi occhi" di Pietro Zullino (Sesto Properzio).




Esce finalmente in libreria dall'editore Dante Alighieri, un grande romanzo italiano, postumo, scritto da Pietro Zullino, che ha le potenzialità per diventare un piccolo caso editoriale.  
E' un affascinante romanzo fiume, dedicato a Sesto Properzio, il grande poeta romano vissuto nel I sec. a.C., penalizzato dalla critica storica per secoli, e in tempi recenti riscoperto come forse il più moderno dei poeti antichi. 
Zullino dedicandovisi con passione, ha scritto un libro memorabile. Con l'uso di una lingua geniale e modernissima, erudito (ritraducendo ex novo tutte le poesie di Properzio) e straordinariamente nei suoi risvolti, su ciò che è la ribellione nel campo dell'intelligenza e della produzione artistica. 
Zullino, che era autore di lustro, e aveva pubblicato con i più grandi editori italiani, scelse volontariamente (esacerbato dalle logiche editoriali) di autoprodursi il libro qualche anno prima di morire e di stamparlo in poche copie da distribuire agli amici (senza nemmeno firmarlo, ma attribuendolo direttamente al nume di Properzio). 
Finora dunque erano stati ben pochi coloro che avevano avuto il privilegio di leggerlo.
E' valsa però la pena di aspettare: l'edizione che arriva oggi nelle librerie porta infatti la cura di Olga Cirillo, specialista di poesia augustea all'Univesità Federico II di Napoli. Con un prezioso apparato di note e bibliografico si ricostruisce il materiale filologico al quale Zullino ha attinto e come da lui è stato reinventato per i fini di un bellissimo romanzo italiano.

Pietro Zullino (Sesto Properzio) 
Cinzia Con I Suoi Occhi 
a cura di Olga Cirillo
ISBN: 978-88-534-4201-7 
Società Editrice Dante Alighieri
Euro 16,00 €

03/07/18

Libro del Giorno: "Incidente di Notturno" di Patrick Modiano.



A Parigi, in una notte di parecchi anni fa, un ventenne viene investito da un'auto (una Fiat color verde acqua) in Place des Pyramides. Soccorso nella hall di un vicino hotel, il ragazzo si sveglia in compagnia della donna che era al volante e di un misterioso uomo bruno che si occupa di loro, accompagnandoli a bordo di un cellulare della polizia all'ospedale più vicino. 

Sedato per curare le sue ferite, il ragazzo trascorre alcuni giorni in stato di semi-incoscenza, poi quando viene dimesso riceve - senza altre spiegazioni - dal misterioso uomo una busta con molti soldi: una sorta di indennizzo per il suo silenzio. 

Comincia così Incidente notturno, il romanzo scritto nel 2003 da Patrick Modiano (che qualche anno più tardi - 2014 - ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura), tradotto nel 2016 da Emanuelle Caillat per Einaudi. 

Il lettore che non conosce ancora Modiano però, aspetterà invano di veder scorrere nel breve volgere di 115 pagine, l'intrico di un giallo. 

Come spesso avviene nei romanzi dello scrittore Boulogne-Billancourt, il pretesto del racconto, la chiave - pur efficace per tenere stretta l'attenzione sul racconta - funziona come messa in moto di un meccanismo narrativo introspettivo fondato sullo studio di una coscienza: quello del giovane protagonista, di cui non sappiamo nemmeno il nome, della sua vita randagia, dei rapporti con un padre misterioso che incontra soltanto nei bar in disparate zone della città, della sua infanzia, con un altro incidente subito all'età di sei anni nelle strade di un villaggio di provincia, della ricerca ossessiva della Fiat verde acqua e della sua proprietaria di cui sa soltanto il nome - Jacqueline Beausergent - e della quale conserva solo allucinati ricordi della notte dell'incidente. 

La lingua di Modiano - asciuttissima, lavorata fino a renderla quasi eterea come la trama del racconto - diventa materiale sensibile del viaggio allucinato e picaresco del giovane senza soldi e senza parte, che si muove, come all'interno di una segreta topografia già tracciata - da un quartiere all'altro di Parigi, da una sponda all'altra della Senna, da una strada all'altra, da una piazza a un vicolo. 

Come un delicato gioco di domino, la ricerca del giovane avrà fine. E noi avremo l'impressione di conoscerla retrospettivamente, anche se nulla di esplicito e garantito, nulla di effettivo e razionale verrà spiegato fino in fondo. 

Quello di Modiano è un mondo di sogni. Un mondo che rifiuta ogni tirannia del prosaico e rivolta ogni immagine come se fosse vista e percepita dal vetro di un bicchiere rovesciato. 

Il gioco potrà apparire a qualcuno stucchevole, ma non è mai stato facile e non lo è neanche ora, scrivere un romanzo come questo.



Fabrizio Falconi



02/07/18

Un Cacatua nella Biblioteca Vaticana riscrive la storia delle esplorazioni e della navigazione: l'Australia "scoperta" già nel Medioevo.



Un'illustrazione del XIII secolo di un Cacatua, caratteristico pappagallo che si trova in natura solo nel nord tropicale dell'Australia e in isole vicine, sfata il mito britannico secondo cui l'Australia era un continente sconosciuto e rivela come le rotte commerciali attorno al nord del continente fossero fiorenti sin dal medioevo. 

Il disegno e' stato trovato da ricercatori australiani e finlandesi nella biblioteca vaticana, in un manoscritto siciliano del XIII secolo appartenente all'imperatore romano Federico II

Il manoscritto 'De Arte Venandi cum Avibus' (L'arte di cacciare con gli uccelli) include 900 disegni di falchi da caccia e di altri animali posseduti dall'imperatore

Fra questi, quattro rappresentano un cacatua bianco, dono a Federico II del sultano d'Egitto al-Kamil, indicando che il volatile aveva gia' viaggiato dall'Australia all'Egitto prima di essere portato in Europa. 

"Questo pappagallo apre una finestra in un mondo di vivaci commerci con il nord dell'Australia", scrive la coautrice della ricerca, Heather Dalton dell'Universita' di Melbourne, sulla rivista Parergon. "La scoperta di queste immagini mette in luce il fatto che gia' nel medioevo i mercanti che solcavano le acque appena a nord dell'Australia erano parte di un commercio fiorente, che si estendeva a ovest fino al Medio Oriente e oltre".

I ricercatori hanno esaminato i dettagli, come il colore dell'uccello e la spettacolare cresta erettile lo distingue dagli altri pappagalli

Hanno anche notato che la cresta non era rialzata, come fanno i cacatua quando sono aggressivi, impauriti o sorpresi, o come parte del corteggiamento, e hanno concluso che il pappagallo di Federico "si sentiva calmo e al sicuro" mentre veniva ritratto. I cacatua viaggiano bene con le persone essendo socievoli, sono longevi e quindi sono un regalo ideale, scrive Dalton. In cattivita' vivono fino a 80 anni e allo stato libero fino a 120. 

"Il viaggio attraverso le rotte del commercio avrebbe impiegato anni, e le loro probabilita' di sopravvivere erano molto piu' alte degli altri animali".

Si tratta delle piu' antiche illustrazioni europee conosciute dell'uccello, che precedono di 250 anni quella che era finora considerata la piu' antica, di un cacatua in un quadro di Andrea Mantegna rappresentante la Madonna della Vittoria, che si trova nel Louvre

La stessa Heather Dalton aveva gia' pubblicato uno studio sul cacatua nel quadro di Mantegna, quando fu identificato per la prima volta come tale nel 2014. 


01/07/18

Poesia della Domenica - "Ancora io mi solleverò" di Maya Angelou.


Ancora io mi solleverò

Tu puoi scrivere di me nella storia,
con le tue bugie amare e contorte.
Puoi calpestarmi nella sporcizia
ma io, come la polvere, mi solleverò.
La mia sfacciataggine ti irrita?
Perché sei assediato dalla malinconia?
Perché io cammino come se avessi pozzi di petrolio
che sgorgano nel mio salotto.
Proprio come le lune e i soli,
con la certezza delle maree,
proprio come la speranza che alta si slancia,
ancora io mi solleverò.
Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Le spalle cadenti come lacrime.
Indebolita dal mio pianto, che viene dall’anima.
La mia superbia ti offende?
Non prenderla così male.
Perché io rido come se avessi miniere d’oro
scavate nel mio cortile.
Puoi spararmi con le tue parole.
Puoi ferirmi con i tuoi occhi.
Puoi uccidermi con il tuo odio,
ma io, come l’aria, mi solleverò.
È la mia sensualità a disturbarti?
Ti arriva come una sorpresa,
il fatto ch’io danzi come se avessi diamanti
all’incrocio delle mie cosce?
Fuori dalle capanne della vergogna della storia,
mi sollevo.
Su, da un passato che ha le radici nel dolore,
mi sollevo.
Sono un oceano nero, ampio, che balza,
zampillando e gonfiandomi, genero nella marea.
Lasciando alle spalle notti di terrore e paura,
mi sollevo.
In un’alba che è meravigliosamente chiara,
mi sollevo.
Portando i doni che i miei antenati mi diedero,
io sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.
Mi sollevo.


29/06/18

Perché l'Italia non cambia mai (nonostante i Pifferai magici).



"I più pericolosi nemici d'Italia non sono gli Austriaci, sono gli Italiani. 

E perché ? Per la ragione che gli italiani hanno voluto far una Italia nuova, e loro rimanere gli Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio;

perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro, perché l'Italia, come tutti i popoli, non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero, come contro i settari dell'interno, libera e di propria ragione, finché grandi e piccoli mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere, e non la faccia bene, o almeno il meglio che può.

Ma fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; 

e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una parola sola, il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. 

E purtroppo si va ogni giorno verso il polo opposto: purtroppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gli Italiani". 

27/06/18

Il più grande Programma politico che sia mai stato scritto.


sono passati 2.000 anni eppure non conosco programma politico più grande di questo.
(Discorso della Montagna, Mt, 5)


Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.



Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.



Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.


Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.


Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.



Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.



Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.



Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!


Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella GeennaE se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.


Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran reNon giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.



Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dentema io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.  E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 


Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalleAvete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiustiInfatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


26/06/18

Un viaggio affascinante ed esclusivo nelle viscere di Roma: gli Horrea Vespasiani.



Scarpe comode, un cappellino per il sole, poi e' bastato lasciare che la terra raccontasse la sua storia millenaria pagina dopo pagina, come se fosse un libro: in tanti questa mattina sono diventati "archeologi per un giorno" grazie alla giornata di archeologia pubblica proposta dal Parco Archeologico del Colosseo e dal Dipartimento di Scienze dell'Antichita' dell'Universita' La Sapienza di Roma. 

L'iniziativa, dal titolo Storie dal Palatino, ha permesso a un nutrito gruppo di persone di visitare il cantiere archeologico degli Horrea Vespasiani, uno scavo ormai trentennale in cui l'ateneo capitolino ha formato i suoi archeologi migliori.

Prima tappa dell'itinerario e' lo scavo aperto, con gli operai intenti a lavorare, nel quale sono emersi i resti di un grande horreum, un magazzino per le merci databile alla fine del I secolo d.C.: scavando, gli archeologi hanno scoperto un cunicolo pieno di frammenti di marmo, un pavimento con focolari e tre sepolture di bambini, tracce di vita del VII secolo d.C. che si sono salvate perche' rimaste sotto terra

Proseguendo, si arriva in una zona gia' scavata e ora interrata, dove si puo' avere un'idea complessiva dell'intera area delle pendici settentrionali del Palatino: dalle capanne della fine del X secolo a.C. alle modifiche nell'VIII secolo a.C., con la costruzione di una fortificazione con una porta cinta da bastioni, del santuario di Vesta e di una residenza regia, fino all'allestimento della prima Via Sacra pavimentata con lastre di tufo e di nuove case lussuose, per arrivare all'incendio neroniano del 64 d.C., in seguito al quale nasce una nuova Via Sacra fiancheggiata da portici, con un quartiere residenziale in cui sorge un horreum

Il percorso si conclude poco piu' avanti, con il gruppo di 'ospiti' che ha potuto osservare il lavoro di alcuni universitari, archeologi di domani, impegnati a pulire i reperti trovati nel corso degli scavi: dopo la pulitura, gli studenti si occuperanno di siglare i reperti, dividerli in classi, trovare i tipi ceramici e poi determinare la cronologia. 

A giudicare dall'entusiasmo dei partecipanti, questo esperimento per avvicinare l'archeologia a romani e turisti e' riuscito perfettamente: in tanti hanno fatto domande, alcune a carattere piu' storico altre per soddisfare semplici curiosita', e quasi tutti hanno scattato foto. 

Fondamentale allo scopo e' stato il modo scelto dagli organizzatori per comunicare una scienza cosi' complessa, mostrando da un lato al pubblico il lavoro sul campo, dall'altro offrendo spiegazioni che hanno assunto i toni di un appassionante racconto per bocca di chi lavora in prima persona sui reperti archeologici. 

La prossima giornata con visite guidate ci sara' l'11 luglio, poi un'altra nella seconda meta' del mese, e dopo la pausa di agosto, si ripartira' a settembre, quando verra' presentato al pubblico lo scavo della Coenatio Rotunda sul Palatino

"I luoghi di Roma contengono piu' storia di quella che viene raccontata, ma spesso cio' che si vede non si capisce. Ecco perche' i luoghi devono parlare attraverso racconti che diventano storie: solo cosi' la comunicazione culturale e' efficace", dice all'ANSA il direttore dello scavo Paolo Carafa, professore di archeologia e storia dell'arte greca e romana alla Sapienza. 

25/06/18

L'Età del Dubbio - 5 Antidoti alla nostra vita divorata dal dubbio. Michael Cunningham.



questa che riporto è una anticipazione del testo che sarà letto da Michael Cunningham alla Milanesiana, festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi il 28 giugno alle 21 al Piccolo Teatro Grassi di Milano.


L’età del dubbio

Ho dei dubbi. Chi è che non li ha? Se il diciottesimo secolo è stato l’Età della Ragione, sembra assolutamente possibile che il nostro periodo, quello in cui stiamo vivendo oggi, verrà ricordato come l’Età del Dubbio. 

Persone terribili hanno un potere enorme su di noi. Com’è successo? I nostri telefoni ci stanno ascoltando, proprio mentre noi li ascoltiamo? Ci sarà un futuro? Quando dico che la nostra epoca verrà ricordata come l’Età del Dubbio, lo dico presupponendo che ci sarà un futuro. Pare che tutto quello che sappiamo con certezza è che abbiamo ragione di dubitare di quasi ogni cosa. 

E allora, non dovremmo pensare a qualunque antidoto contro il dubbio che riusciamo a escogitare? 

Perché, in fondo, dobbiamo pur vivere le nostre vite, persino in un’epoca in cui sembra fin troppo ragionevole rimanere dentro casa, con le persiane abbassate. 

Ho un mio, personale elenco di antidoti contro il dubbio. Spero che anche voi ne abbiate qualcuno. 

Uno. Ogni giorno mi concentro su qualunque cosa su cui non nutro alcun dubbio. La bellezza e la vitalità di mio figlio, di ventun anni. La luna quasi piena in una notte d’estate, mentre mi siedo su un tetto di New York City in compagnia di alcuni amici e di una bottiglia di vino. Il pino giapponese di cui mi sto prendendo cura nel balcone del mio appartamento. Le pere che stanno diventando mature sul davanzale della finestra. Ho paura per il futuro di mio figlio, il futuro dei miei amici e del pino. Ma non dubito della loro bellezza e del loro valore, nel presente

Due. Ho fiducia nel fatto che una specie in grado di realizzare Il Gattopardo, la Venere di Urbino e La Traviata – per non parlare del romanzo di George Saunders Lincoln nel Bardo, e l’arte di Mimmo Paladino – non permetterà che il mondo finisca prematuramente, per quanto alcune persone possano adoperarsi per fare esattamente questo. L’arte serve a darci fede, e più fede equivale a meno dubbio. 

Tre. Ogni giorno cerco di aiutare qualcuno, che sia uno sconosciuto bisognoso di soldi o un turista che ha l’aria di essersi perso. Si tratta di semplici azioni, di cui non ho alcun dubbio. Se le persone hanno bisogno di soldi e voi ne avete di più del necessario, gliene potete dare un po’. Non dovete domandarvi per cosa li spenderanno. Se chiedono dei soldi, allora ne hanno bisogno. Se alcune persone si sono perse, potete aiutarle a ritrovare la loro strada. Sebbene probabilmente riuscirebbero cavarsela anche da sole, è sempre possibile che si possano perdere al punto di vagare per il mondo, cacciati di casa, cercando continuamente di raggiungere le loro destinazioni proprio mentre si allontanano sempre di più da esse. Non dovete dubitare dell’onestà del vostro gesto di averle mandate nella direzione in cui dovevano andare

Quattro. Ogni giorno leggo un blog o guardo un notiziario in televisione, con le cui politiche sono fortemente in disaccordo. Credo di sentirmi meglio – o in ogni caso meno nervoso – se vedo il mostro rintanato sotto il letto, invece di sapere solamente che c’è qualcosa sotto il letto. Se si vede il mostro, si ha una consapevolezza maggiore di come combatterlo. È a questo punto che le cose si complicano. Nel guardare il mostro, è possibile che cominciamo a comprendere il suo dolore, la sua paura, i suoi bisogni. Ma in verità è meglio ignorare quell’impulso empatico, almeno finché il mondo non sarà tornato in sé e avrà smesso di cercare così assiduamente di distruggere se stesso.

Cinque. Amore. Ho tenuto l’antidoto migliore per ultimo. Amare gli altri, anche se amiamo una o due persone (benché mi auguri che tutti noi ne amiamo un po’ di più) è più efficace nello scacciare i dubbi di qualsiasi altra misura che conosca. C’è qualcuno nella stanza accanto, c’è qualcuno al telefono, c’è qualcuno che non solo ti conosce, ma sa dove sei e come stai, proprio come tu sai dov’è e come sta l’altra persona. Quando amiamo, quando diamo e riceviamo amore, non possiamo veramente farci del male, non possiamo venire colpiti al cuore, qualunque cosa possa succedere ai nostri corpi, alle nostre città. Alla nostra terra. 

Detto questo… Non possiamo abbandonare i nostri dubbi. Il mondo in pericolo ha bisogno di persone che dubitano. In fondo, ci sono poche persone più pericolose di quelle che non dubitano; che credono incontestabilmente in un sistema politico, in un’ideologia, una fede. E, allo stesso, tempo, dobbiamo vivere e, come specie, non riusciamo a crescere e a progredire veramente con una dieta a base di paura e incertezza. Brindiamo alle nostre vite, allora. Ai dubbi che animano il nostro mondo e a qualunque certezza che ci aiuta a vivere in esso. Brindiamo alla forza che tutti noi possediamo, alla forza che nasce dalla nostra umanità condivisa, alla nostra pura e semplice volontà di continuare a vivere, e affinché i nostri figli continuino a vivere, che per secoli è stata la nostra arma migliore. 

L’ultima cosa che so con assoluta certezza… eccoci qui. 

Sono abbastanza sicuro delle nostre vite per scrivere questo, e voi siete abbastanza sicuri delle nostre vite per ascoltarlo. Eccoci qui, allora. Tutti noi. Eccoci qui, vivi, adesso. Non abbiamo nessuna ragione per dubitarne. Abbiamo tutte le ragioni per esserne lieti. 

Traduzione di Licia Vighi 

MICHAEL CUNNINGHAM

Fonte: Cinquantamila.it

24/06/18

La Poesia della Domenica: "Il canto d'amore di J.Alfred Prufrock" di Thomas S. Eliot.




S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i'odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, «Posso osare?» e, «Posso osare?»
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -
(Diranno: «Come diventano radi i suoi capelli!»)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo -
(Diranno: «Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia!»)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte -
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
. . . . . . . . . . . .
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
. . . . . . . . . . . . .
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » -
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? -
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
. . . . . . . . . . .
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo -
E quasi, a volte, il Buffone.
Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
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