04/12/14

"Dovete dirmi una cosa di cui avete l'assoluta certezza." James, Tòibin e un gioco su Facebook.


In questi giorni mi è capitato di rileggere un libro uscito una decina d'anni fa e considerato uno dei migliori romanzi dell'ultimo ventennio, The Master, dell'irlandese Colm Tòibin.

Con un prodigio stilistico, Tòibin ricostruisce gli ultimi anni di vita di Henry James, mutuandone l'inconfondibile eleganza che ne fa uno dei più grandi scrittori di sempre.

Struggente è, nel libro, il rapporto tra Henry James e l'affascinante cugina Minny Temple, morta giovane, intelligente e sensibile, eternamente indecisa tra nobili corteggiatori e pretendenti, innamorata della vita, che ispirò a James alcuni dei suoi memorabili personaggi femminili, da Isabelle Archer, protagonista di Ritratto di signora a Daisy Miller. 

Tòibin immagina James che dopo la morte di Minny, la rievoca nei ricordi e nei sogni. La rivive attraverso le frasi che lei diceva o scriveva.

In una di queste lettere indirizzata a James, Minny scrive una frase che ritorna a tormentare il pensiero dello scrittore, al quale, in una pagina di The Master  (115, nella edizione Bompiani 2014), pare di sentire la voce della cugina, sussurrarla di notte, vicino a lui. 

Dovete dirmi una cosa di cui avete l'assoluta certezza. 

James si sente interrogato da questa frase, alla quale non ha voluto o saputo, o potuto rispondere, mentre Minny era in vita.

Per gioco, ho postato questa frase in un social network, senza citare la fonte. Sapevo che coloro che avrebbero letto l'avrebbero presa come un suggerimento a rispondere. 

Ne è venuto fuori un meraviglioso catalogo contemporaneo, con 80 e più commenti, che forniscono un ampio ventaglio di quello che noi oggi crediamo 'certo', o possiamo dire che sia 'certo.'

Eccolo:


02/12/14

Lettera notturna al dirimpettaio nascosto.






Alle cinque del mattino, ti scrivo.  

Non c'è più ora, non c'è più notte. Ci sei tu che attendi invano che io mi mostri.  Ma sono rintanato in un corpo non mio, lontano lontano.  

Scende una brezza pura prima dell'alba, la sento dalla finestra. Tu sei diverso da me, tu vivi senza rischi d'apprendista, sei franco nel parlare, sei pieno di calmo desiderio. Ho visto solo la tua ombra, dietro la tenda ma so come sei. 

Non c'è più un rumore in strada.  Ci sono io sveglio e c'è la tua luce ancora accesa. 

Da sempre, ora che ci penso. 
Potrei telefonarti. Non ho il numero. Potrei scendere in strada, non mi apriresti. Potrei pensarti, il sogno mi supererebbe. 

Alle cinque e pochi minuti ti scrivo. 

Io sono diverso da te.  Ho passato un inverno intero ad aspettarti. Ho stretto le mani per implorarti.  Ho i denti guasti, le mani fredde, la barba lunga.  Ho ancora fiato per essere sveglio. 

Dormire ? Io non dormo più.  
Vivo come sempre, vegliando.  Ti invidio molto, poi passa. E preferisco così. 
Dentro di me s'apre un fiore bianco. 
E' ancora intatto, dal giorno che sono nato.
Sono perfino stanco di custodirlo.  Lo affido a te, fanne buon uso.  Buonanotte. Spegni la luce. 



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
foto in testa: David Lynch



01/12/14

Il cammello e l'ago. Solo quello che passa, serve.




Un ago è la nostra vita.

Come aghi, siamo strumenti potenzialmente duttili.

La nostra cruna è sufficientemente ampia per lasciar passare qualcosa di sottile e flessibile, ma non abbastanza da accogliere qualcosa di s-misurato, di eccessivo.

La nostra punta ci permette di infilarci, di pungere, di far sanguinare.
Ma anche, meravigliosamente, di cucire, di tenere unito, di stringere in forma permanente.

Una abilità è quel che si richiede per fare dell'ago uno strumento utile. Un senso grossolano è quello che permette all'ago di diventare un oggetto scarno e pericoloso.

Un cammello non passerà mai dalla cruna dell'ago (Mt, 19-24), ma niente che serva veramente (di duraturo e creativo) potrà non passare attraverso quella fessura.

Conoscere i rischi, imparare, essere abili. E' il cammino quasi zen, che la nostra vita continuamente ci ri-chiede.



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata

30/11/14

Poesia della domenica - "E' molto semplice e chiaro" di Anna Achmatova.




E' molto semplice e chiaro

E' molto semplice e chiaro,
comprensibile a tutti:
non mi ami, non ne dubito,
né mai potrai amarmi.
Perché dunque un estraneo
in tal modo mi attira ?
Perché, sera per sera,
prego il Signore per te ?
Perché lascio il compagno
e il ricciuto bambino,
la città che amo tanto
e la mia terra natale
per aggirarmi, mendicante oscura,
nelle vie di una città straniera ?
Quale gioia, il pensare
che qui ti rivedrò !


Anna Achmatova  (1899-1966) da Poeti russi del novecento, Achmatova, Mandel'stam, Cvetaeva, Esenin, a cura di Raffaella Belletti e Gabriele Mazzitelli, Lucarini, Roma, 1990.

in testa: Kuzma Petrov-Vodkin, Ritratto di Anna Akhmatova, 1922

28/11/14

Ci vuole parecchio per conoscere (e per diventare) un uomo. Damien Rice.




Ci vuole parecchio per conoscere un uomo, scrive Damien Rice, nell'ultimo cd My Favourite Faded Fantasy. Un piccolo grande gioiello.

Lo canta: ci  vuole parecchio per imparare a dare e a chiedere aiuto. Per essere se stessi conoscere e amare ciò che si vive.

Sì, ci vuole parecchio.

Come si impara crescendo, le  cose belle non sono mai facili, le cose che cambiano non sono mai facili, le cose che restano non sono mai facili, le cose che completano non sono mai facili.

Nulla di quello che fa crescere è facile. Ma accade alle persone illuminate (e anche a quelle che lo diventano nella vita) che il tuo mondo interiore se ne freghi delle cose facili.

Bisogna ascoltare bene questa lunga canzone. 

Bisogna ascoltare bene cosa diventa dal minuto 5.01 quando sembra che sia finita (una canzone normale, banale dopotutto).  

No. Bisogna lasciarsi sopraffare da questa onda. 




It takes a lot to know a man
It takes a lot to understand
The warrior, the sage
The little boy enraged

It takes a lot to know a woman
A lot to understand what's humming
The honeybee, the sting
The little girl with wings

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to know a man
A lot to know, to understand
The father and the son
The hunter and the gun

It takes a lot know a woman
A lot to comprehend what's coming
The mother and the child
The muse and the beguiled

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to live, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

What are you so afraid to lose?
What is it you're thinking that will happen if you do?
What are you so afraid to lose?
(You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby saying "this thing is killing me")
What are you so afraid to lose?
(You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby saying "this thing is killing me")
You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry
Crying like a baby saying "this thing is killing me"


Ci vuole parecchio per conoscere un uomo
Ci vuole molto per capire
Il guerriero, il saggio
Il bambino infuriato

Ci vuole un sacco per conoscere una donna
Molto a capire che cosa sta canticchiando
L'ape, il pungiglione
La bambina con le ali

Ci vuole un sacco per dare, per chiedere aiuto
Per essere se stessi, per conoscere e amare ciò che si vive 

Ci vuole un sacco per respirare, toccare, sentire
La lenta rivelazione di ciò di cui  un altro corpo ha bisogno

Ci vuole un sacco per conoscere un uomo
Un sacco per conoscere, per  capire
Il padre e il figlio
Il cacciatore e la pistola

Ci vuole un sacco per conoscere una donna
Un sacco per comprendere quello che sta arrivando
La madre e il bambino
La musa e l'ingannato

Ci vuole un sacco per dare e chiedere  aiuto
Per essere se stessi,  conoscere e amare ciò che si vive 
Ci vuole un sacco per respirare,  toccare,  sentire
La lenta rivelazione di ciò di cui un altro corpo ha bisogno (3)

Di che cosa hai tanta paura di perdere?
Che cosa è che stai pensando che accadrà, se lo farai ?
Di che cosa hai tanta paura di perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace)
Che cosa è che stai pensando che accadrà, se lo farai ?
(Piango come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo")
Di che cosa hai tanta paura di perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace)
Che cosa è che stai pensando che accadrà se lo farai ?
(Piangere come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo")
Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace
Piangere come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo"



27/11/14

E' l'amore che obbliga (Ricoeur).



Nel 1996 intervistai per la radio italiana Paul Ricoeur, uno dei più grandi filosofi del Novecento, nella sua casa a Parigi.

Il pensiero di Ricoeur mi aveva molto colpito per la sua limpidezza. Non è facile trovare infatti un pensiero filosofico che non sia almeno in parte oscuro, poco chiaro. 

Ricoeur confermò questa semplicità del pensiero, con i gesti della sua persona.

Parlammo per quasi un'ora, soprattutto dell'amore, dell'amore nella filosofia del cristianesimo e nella complessità delle dinamiche studiate da Freud.

A un certo punto gli chiesi ragione di quella sua celebre frase, che Ricoeur aveva ripetuto spesso nei libri e nelle conferenze.  C'est l'amour qui oblige.  E' l'amore che obbliga.

Gli chiesi di spiegarlo, se poteva, nuovamente.

Mi rispose sorridendo che quel che aveva scritto era una cosa semplice, semplicemente sperimentabile, anche se piena di conseguenze.

Viviamo, disse, sempre più in un mondo che rifugge dalle responsabilità, dal coraggio vero, da un senso e una direzione. Ed è solo il legame con l'altro che genera un senso. Il quale non può mai arrivare dall'alto.

L'amore, mi spiegò, è l'unica condizione umana in cui si sperimenta l'obbligo spontaneo, non coercitivo, non imposto dall'altro.

Chi ama è legato per sempre.

E questo legame è precisamente ciò che obbliga. Senza condizioni e senza condizionamenti.  L'unica via che in fondo porta veramente dentro se stessi. Perché solo chi si conosce, sa amare.  E solo chi riesce ad amare, attraverso l'obbligo verso l'altro, ritrova se stesso.

Fabrizio Falconi





26/11/14

"Abbastanza" non è (mai) abbastanza.



La parola abbastanza è una delle più misteriose, inafferrabili. 

L'etimologia dice il riferimento a qualcosa che basta (a-bastare).

Ma cosa basta davvero ? Chi stabilisce quanto basta, quanto è abbastanza ? Sembra del tutto aleatorio: non lo è. 

Nelle ricette di cucina, si scrive comunemente, di alcuni ingredienti, 'q.b.', 'quanto basta'. Per alcuni ingredienti c'è il peso esatto, il numero esatto, ma per alcuni - sale, olio, ecc... - è indicato solo 'q.b.' .  E si sa che quel q.b. nelle mani di un non esperto può rovinare tutto quel che si è fatto prima.

Il soggettivo è bastante. Ciascun bravo cuoco SA 'quanto basta'. Ciascun essere umano sa quando ha mangiato 'abbastanza', o quando ha dormito 'abbastanza'. Eppure 'abbastanza' non è mai affermabile in via definitiva. 

Ciò che sembra per qualcuno o per qualcosa 'abbastanza' può essere o non è mai 'abbastanza'. C'è un margine di incompletezza, uno scompenso, un di più, avvertibile soltanto da chi vive la mancanza dell'abbastanza e che chiede di essere colmato per giungere alla completezza del quanto basta.

La misura, si direbbe, è interiore.  Solo qualcosa di molto vicino alla nostra natura di dice ogni volta quanto basta. E qualche volta questo quanto basta è indefinibile, oltre che per sé anche per gli altri, sempre. 

Il gioco degli innamorati lo dimostra:

'mi ami dunque ?'
'sì.'
'ma mi ami quanto? mi ami abbastanza ?'

Ma abbastanza per che cosa ? Forse per essere fedeli a se stessi nella misura (essendolo quindi anche per gli altri).

Fabrizio Falconi

25/11/14

Per dirmi che sei fuoco (Santa Maria di Portonovo, Conero).





Camminano verso la chiesa, Nico davanti e Valentina subito dietro, e in pochi minuti sono al cancelletto verde che delimita il recinto all’interno del quale c’è l’antica costruzione. C’è una targa dove sono riportate notizie storiche, Valentina inizia a leggere. Nico intanto si guarda intorno alla ricerca della casa bianca. La individua nel fitto degli alberi che risalgono il crinale del monte, a pochi metri di distanza.
«Vieni».
Valentina lo segue lungo un sentiero di terriccio. Arrivano su di un piccolo spiazzo, al centro del quale c’è questa casupola di calce, di pochi metri di superficie, cilindrica, con il tetto di legno e tegole, e una finestrella munita di zanzariera.
La porta di legno non è fornita di campanello. Nico batte le nocche più volte, ma sembra proprio che non vi sia nessuno. Provano a sbirciare attraverso la finestra, le cui imposte lasciano spazio a sufficienza. C’è penombra, non si vede null’altro che il profilo di qualche mobile. Nico fa il giro della casa, nota ad un certo punto affisso al muro un quadratino di terracotta raffigurante un cane o un lupo. Nient’altro. Valentina si volta indietro: constata come dalla soglia della casetta bianca si goda una gran bella vista: il profilo della chiesa romanica, i tronchi dei pini, il fianco della montagna, il mare con le scie dei motoscafi al largo.
Tornano indietro.
Quando arrivano alla chiesa, Valentina si accorge che l’antico portone è socchiuso, ed entra. Non ha capito, non sa che intenzioni abbia Nico, se voglia aspettare lì il ritorno a casa del padre, ma intanto lei ne approfitta per visitare l’interno dell’abbazia. Però c’è poco da vedere: è stata da poco restaurata, le forme architettoniche sono romanico puro, ma è completamente spoglia, non c’è nemmeno un quadro alle pareti e agli altari, né un oggetto d’arte, un ciborio, un baldacchino, niente. Soltanto, sulla parete di fondo, una icona della Madonna. Valentina scopre una piccola targa inchiodata al muro: copia della Sacra Madonna di Kazan.
«Andiamo!»
È la voce di Nico, che la chiama, da fuori.
Valentina si prende un altro poco di tempo, poi esce dalla porticina al lato dell’abside e vede Nico già incamminato lungo il sentiero verso il mare. Tornano allo stabilimento dove si sono fermati prima. Nico entra prima di Valentina e va diretto al tavolino dov’era seduto il vecchio. Soltanto che quello nel frattempo non c’è più. Al suo posto, una ragazzina grassa, guarda anche lei la televisione. Nico le chiede del vecchio, e lei fa cenno fuori, verso la spiaggia.
Il vecchio indossa adesso un cappello di paglia, e armato di un rastrello rassoda la ghiaia, tra le fila di ombrelloni.
Nico e Valentina si avvicinano sotto il sole, che fa sudare.
Il vecchio nemmeno si accorge di loro, continua a rimestare col suo rastrello. Nico gli tocca il braccio. Lui si volta, e li guarda come se li vedesse per la prima volta. «Siamo stati alla casa bianca,» dice Nico, «ma non c’è. Ha idea di dove sia? Di quando ritorna?»
Il vecchio lo fissa con aria interrogativa.
«Montefiori!» dice Valentina.
«È una parola,» sbotta allora il vecchio, gettando via il rastrello, e passando il dorso della mano sulla fronte, «che volete che vi dica? Chi ci capisce con quello? Scompare, riappare. Chi sa dov’è… Sarà… tra i monti».


Fabrizio Falconi - Per dirmi che sei fuoco, Gaffi 2012, pag.38

La chiesa che ha ispirato questo brano è Santa Maria di Portonovo, al Conero.


24/11/14

L'incredibile storia di un maglione blu.




Arianna Huffington ha recentemente raccontato questa storia. 

A Jacqueline Novogratz, una delle eroine del nostro tempo, fondatrice di Acumen (cliccate per visitare il bellissimo sito), organizzazione non profit che si occupa di combattere la fame nel mondo sulla base dei metodi ideati da Mohammed Yunus, premio Nobel per la pace 2006,  capitò una cosa veramente incredibile che ruota intorno ad un maglione blu. 

L'indumento le era stato regalato da suo zio Ed, quando aveva 12 anni.

"Lo adoravo", ha raccontato la Novogratz, "era di lana morbida, con le maniche a righe e il disegno africano, due zebre davanti e una montagna innevata sopra."

La madre di Jacqueline, come fanno molte madri, scrisse con un pennarello indelebile il nome della figlia sull'etichetta interna del maglione. 

Durante il primo anno delle scuole superiori, arrivò il momento di disfarsi di quel maglione - i compagni di classe prendevano in giro Jacqueline per il suo gusto naif -  che finì in un negozietto dell'usato collegato a iniziative di beneficenza. 

11 anni dopo, Jacqueline si trovava a Kigali, in Rwanda, dove aveva cominciato a lavorare per un programma di microfinanza per le donne povere di quel paese.  Una mattina, uscita a fare jogging, vide in strada un bambino con un maglione proprio simile al suo.

Corse da lui e chiese di controllare l'etichetta.

Riconobbe subito il suo nome e la calligrafia della madre. Jacqueline.

Il maglione è diventato un libro, The blue sweater e Jacqueline è oggi riconosciuta come una delle donne che più si batte nel mondo contro la povertà e la fame. 

Questo per ricordarci come siamo davvero tutti collegati, in questo mondo.  Una piccola banalità che non dovremmo mai dimenticare.

Fabrizio Falconi
Jacqueline Novogratz con alcuni degli attivisti della Acumen, a Kigali

23/11/14

5 domande per sapere chi sei - Interpretazione delle risposte.




Ieri ho pubblicato qui un piccolo gioco da me escogitato (e sperimentato) per tentare di decifrare qualcosa di più sulla propria personalità (o indole, o carattere, o anima). 

Ecco la chiave per interpretare le vostre risposte. 

Il tipo di risposta appartiene ad un genere che ho suddiviso in:

- intelligenza classica: e sono le risposte  1A - 2A - 3B - 4B - 5A.

- intelligenza romantica: e sono le risposte 1B - 2B - 3A - 4A - 5B. 

Le due definizioni sono prese in prestito da R.M.Pirsig (Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta) e rappresentano due diversi atteggiamenti mentali, due diversi modi di guardare la vita.

Per sapere a quale categoria - o meglio, filosofia - si appartiene, basta conteggiare quante risposte abbiamo dato, in un senso o nell'altro. 

Se ci sono 5 risposte tutte nel segno classico - ad esempio AABBA - vuol dire che si dispone di una intelligenza prettamente classica.   Se ci sono 5 risposte opposte: BBAAB, vuol dire che si dispone di una intelligenza precipuamente romantica.  

Se le risposte sono miste, bisognerebbe valutare il confronto: 3 a 2 o 4 a 1, e si stabilirà comunque una prevalenza dell'uno o dell'altro fattore caratteriale. 

Generalizzando molto, possiamo dire che:

L'intelligenza classica è fondata su una preponderanza della ragione: il rigore perseguito come fine a se stesso, che ha dato luogo a un modello di cultura dove predominano un'esattezza e un ordine stabiliti in base ai criteri del misurabile e del dimostrabile, in una parvenza di scientificità che esclude altri parametri. Essa concepisce la realtà come ordine, schema, struttura logica, in cui è possibile riconoscere delle leggi generali che regolano il tutto. I sostenitori di tale uso della ragione sono dei formidabili teorici, propensi a dedurre più che ad osservare, a ragionare più che a imparare dall'esperienza.

L'intelligenza romantica invece, concepisce la vita come ispirazione, intuizione, autenticità. C'è qui una preponderanza del sentimento, del fattore emotivo come termometro del fenomeno.  C'è la fiducia in una conoscenza del cuore che viene prima e va oltre la comprensione del fenomeno, del visibile, del reale e quindi anche dei rapporti umani, dei legami, ecc.. Il privilegio dell'essere rispetto al come deve essere.

Da questi due atteggiamenti mentali di fronte alla vita, discendono molte delle cose che incontriamo, molte di quelle che facciamo.  Delle volte si vorrebbe essere l'uno o l'altro, ma sul contenuto della natura umana (cioè da quel dato da quale partiamo) è molto difficile prescindere. Come diceva un vecchio proverbio cinese, se nasci sasso, non puoi essere albero (e viceversa).

Fabrizio Falconi

22/11/14

5 domande per sapere chi sei.





Un piccolo gioco ideato da me (e a quanto pare piuttosto efficace) - per chi vuole - per saperne di più su come si è.

Domani fornirò su questo blog una chiave per interpretare le risposte.  Si tratta di rispondere semplicemente, senza starci a pensare molto, a queste 5 domande, che rappresentano un modello di aut-aut  un po' paradossale. 

Bisogna scegliere l'uno o l'altra.  Segnatevi le 5 risposte.
Domani ne parleremo. 

1.

Mozart (A) o Beethoven (B) 


2. 

La pioggia (A) o la neve (B)


3.

Esserci sempre (A) o esserci quando si può (B)


4.

Cerchio (A) o quadrato (B)


5.

Uscita (A) o entrata (B)




Fabrizio Falconi



20/11/14

'Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta.' Un libro-cometa, difficile da dimenticare.




Ci sono libri che ti ronzano dietro per 30 anni e alla fine scelgono loro quando è il momento.

Così è stato con Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta.  

Sono arrivato in ritardo, perché questo fu il libro di una generazione e 30 anni fa, tutti dovevano averlo letto. 

Leggerlo oggi è perfino blasé. 

Forse in Italia.  Questo libro, infatti si è conquistato stabilmente un posto nella letteratura contemporanea e le sue vicende sono curiose e per molti versi inspiegabili (a cominciare dal misterioso motivo per cui questo libro toccò subito il cuore di una massa enorme di persone, pur essendo un libro difficile, con interi capitoli e pagine di pura speculazione tecnica filosofica). 

A partire dalla sua pubblicazione. Come forse qualcuno sa, è quasi incredibile la storia editoriale del libro: il manoscritto inviato dal suo autore Robert M. Pirsig, fu infatti respinto nel corso di 4 anni da 121 diversi editori. 

Pubblicato dal piccolo editore William Morrow nel 1974 con un anticipo pagato all'autore di 3.000 dollari, stampato in quell'anno, ottenne un successo immediato di proporzioni mondiali, continuamente ristampato, con più di 5.000.000 di copie vendute in tutti i paesi del mondo. 

William Morrow, dopo aver letto il manoscritto, telefonò a Pirsig e gli comunicò che intendeva pubblicare quello strano libro perché "lo aveva costretto a chiedersi perché facesse l'editore. Era molto scettico sull'esito di vendite: "questi sono i primi e gli ultimi soldi che ti procureranno i tuoi libri," disse a Pirsig.  Non andò così.

Come è noto, l'autore Pirsig, compì il viaggio descritto, da Est a Ovest, attraverso gli Stati Uniti nel turbolento 1968. Questa foto ritrae il primo giorno di viaggio insieme al figlio Chris nel North Dakota.


Quest'altra foto del viaggio invece, scattata dallo stesso Pirsig, ritrae Chris e gli amici John e Sylvia, più le due moto, protagoniste del lungo viaggio (in realtà i due amici lasciano l'impresa a metà del libro).  
                                 

Questa invece è la piantina dettagliata del viaggio. 



Ma quello che conta nel libro non è il viaggio (o comunque non solo quello) e nemmeno i riferimenti allo Zen che sono del tutto secondari, o alla manutenzione della motocicletta che è soltanto la metafora di quel cammino interiore che riguarda tutti, prima o poi nella vita. 

Il libro non ha  nemmeno una qualità letteraria particolare. Ci sono romanzi stilisticamente molto più importanti di questo, in quello scorcio di Novecento. 

E' un libro importante per altri motivi

Ci sono libri infatti libri così, di tanto in tanto, che sono come meteore, oggetti strani. Che appaiono nel cielo per motivi imperscrutabili. 

Leggendolo, ho capito perché.

Quel che appassiona è la storia umana del libro. E' struggente scoprire che Chris, il ragazzino del libro, il figlio di Pirsig, che accompagna il padre in questo lungo viaggio  a tratti crudele e folle, e ne è in fondo il vero protagonista, sia stato ammazzato durante una rapina, a San Francisco, in modo assurdo appena 4 anni dopo l'uscita e il successo mondiale del libro.

Lo racconta drammaticamente Pirsig nella postfazione al libro e le cronache di allora ne riferirono abbondantemente. 

Forse è anche per questo che il libro ha avuto questo destino singolare. 

Perché il suo spirito, lo spirito di questo libro, è legato a quello di persone vive che hanno lottato con la follia, con la consapevolezza e con l'insensatezza: il cammino che tutti sfioriamo ogni giorno nella vita, e che da ogni padre si trasmette ad ogni figlio, da ogni generazione ad ogni generazione, il compito della vita: quello di districarsi nelle trappole dell'entusiasmo, attraversare le ombre, riconoscere la Qualità delle cose (che preesiste alle cose, il vero tema del libro) e attraverso questo dare un senso. 

Si tratta anche di un aspro confronto tra due modi (platonico e aristotelico, in definitiva), di interpretare il mondo. Scrive Pirsig:

All'intelligenza classica interessano i principi che determinano la separazione e l'interrelazione dei mucchi (di sabbia), i nessi, le cause gli effetti, i torti le ragioni, le conseguenze, gli errori, le responsabilità le mancanze gli arbitrii i bisogni, l'intelligenza romantica si rivolge alla manciata di sabbia ancora intatta (guarda cioè all'essenza, a quello che le cose sono). Sono entrambi modi validi di considerare il mondo, ma sono inconciliabili. 

In fondo da questa dicotomia dipende anche il risultato che lo Zen induce nel lettore di turno. Chi è dotato di prevalente intelligenza classica, sarà portato a valutare il libro come un tentativo pretestuoso di dare nome all'innominabile; viceversa, chi dispone di intelligenza romantica sarà portato a entrare senza indugio nella disputa filosofica pazzoide di Pirsig con tutte le scarpe e a lasciarsi travolgere dal vissuto del legame di vita drammatico e unico che si ripete in ogni passaggio generazionale. 

Comunque la si pensi e comunque lo si senta, il libro eccolo qua: che gira ancora il mondo (nell'anno di grazia 2014) e porta il suo... disegno ancora lontano, come appunto una cometa. 

Fabrizio Falconi

19/11/14

"Non aver capito la vita."





Mi ha molto colpito leggere la risposta data dal grande cartoonist Mordillo (l'inventore di Mafalda) ad un questionario di Proust apparso su un settimanale. 

Il brillante uomo alla domanda: Qual è il suo rimpianto ? ha risposto: "Non aver capito la vita."

E' una risposta filosofica, molto interessante. 

Chi, infatti, potrebbe dire di "aver capito la vita?"

Alcuni, in effetti lo sostengono.  Ma si tratta per lo più di interpretazioni, convinzioni, deduzioni che afferiscono più al sentire che al capire.

Dal momento che la vita è - per sua stessa natura - incomprensibile e il senso di essa, come sosteneva Wittgenstein in una sua celebre proposizione, se esiste, esiste solo al di fuori di essa, oltre di essa.

Mordillo però dice questo con dolente constatazione, come se si trattasse di aver mancato ad un compito. 

In effetti, da un certo punto di vista, lo è. 

Perché il nostro vivere è precisamente questo: cercare di trovare un senso, affermare un senso all'incomprensibilità della nostra vita.

Se però lo scopo della vita è preceduto da quel qualcosa di inafferrabile che  Robert M. Pirsig nel suo best-seller on th road/filosofico Lo Zen e l'arte di manutenzione della motocicletta, definiva la Qualità (e che nel corso della storia della filosofia è stato diversamente denominato come Bene, o Ideale, ecc..), valore o significato che dà il senso alla vita stessa per chi se ne fa tramite, anche Mordillo deve stare tranquillo: la Qualità lui l'ha incarnata, nel suo campo.  Ha dato senso alla Qualità, e con essa stessa, anche alla sua vita - anche se non lo sa.

Fabrizio Falconi