Visualizzazione post con etichetta russia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta russia. Mostra tutti i post

11/09/20

Compare un nuovo misterioso Cratere in Siberia: è il nono dal 2013



Continua il mistero in Siberia: 

un cratere profondo 50 metri e largo 20, quasi perfettamente simmetrico: e' la scoperta fatta quest'estate nella tundra siberiana: si tratta, riporta la Cnn, del nono buco di questo tipo avvistato nella regione a partire dal 2013

Gli scienziati non sono ancora sicuri di come si siano formati: le prime teorie incontrollate che sono circolate a partire dalla prima scoperta spaziavano dall'impatto di meteoriti al crollo di un deposito militare sotterraneo segreto fino a un atterraggio Ufo


Ma ora l'opinione prevalente e' che questi buchi siano legati all'esplosione di accumuli di gas metano, forse un effetto collaterale del riscaldamento delle temperature nella regione. 



09/01/20

Libro del Giorno: "Anni con mio padre" di Tatiana Tolstoj



E' un libro che interessa e interesserà gli appassionati di cultura russa e in particolare dell'opera di Tolstoj, fornendo una prospettiva inedita e assi interessante della sua vita familiare e dei rapporti con la famiglia e con la moglie Sof'ja Tolstaja, sulla quale sono stati scritti fiumi di libri. 

Stavolta però, le memorie famigliari vengono raccontate dall'interno, e per questo motivo il racconto è tanto più prezioso, perché provengono dalla figlia secondogenita del grande scrittore, Tat'jana L'vovna Tolstàja, coniugata Suchotina, che nacque a Jasnaja Poljana il 4 ottobre 1864 e morì in Italia, a Roma il 21 settembre 1950).

Tatiana è stata un'attivista e memorialista. Da ragazza frequentò l'Accademia di belle arti a Mosca, dove fu allieva di celebri pittori russi tra cui Il'ja Repin. 

Come la madre e le due sorelle, aiutò il padre nel suo lavoro in qualità di copista. In proposito, Pietro Citati scrive: «il grande fantasma amoroso, che occupava la mente di Tat'jana, era il padre. Davanti a lui, era come una timida vergine, pronta a venire immolata. Lo riconosceva lei stessa: "Sì, papà è il più grande rivale di tutti i miei innamorati, e nessuno di loro ha potuto vincerlo".» 

Nel 1899, contro il volere di Tolstoj, sposò l'amico di famiglia Michail Suchotin (che morirà nel 1914), un vedovo di quindici anni più anziano, padre di sei bambini, da cui ebbe, dopo quattro aborti spontanei, la figlia Tania. 

Dal 1878 al 1919 tenne un diario; verso il 1913 iniziò le proprie memorie (Infanzia e Adolescenza, pubblicate postume); alla fine degli anni venti scrisse e pubblicò Su mio padre, a cui seguirono Lampi di memoria.

Appassionata ai problemi di pedagogia, conobbe Maria Montessori, s'interessò al suo metodo e ne portò in Russia tutte le pubblicazioni.

Dopo la Rivoluzione, fra il disordine generale, fondò insieme alla madre, alla sorella Aleksandra e al fratello Sergej, il Museo Tolstoj, dirigendolo dal 1923 al 1925, poi lasciò la Russia: fu ospite a Praga del presidente Tomáš Masaryk (vecchio amico di Tolstoj) e a Vienna dall'attore Alessandro Moissi (che aveva recitato come protagonista del Cadavere vivente di Tolstoj); quindi emigrò in Francia (a Neuilly aprì una piccola pensione dove accolse altri profughi russi) e infine in Italia.

Con modeste risorse (Tolstoj aveva rinunciato ai diritti d'autore e quindi la famiglia non poté trarre nessun vantaggio economico dalla sua sterminata eredità letteraria), trascorse gli ultimi vent'anni con la figlia a Roma, dove allestì una «camera tolstoiana», ovvero un piccolo museo dedicato al padre.

Nel dicembre del 1931, il Mahatma Gandhi sostò in Italia per tre giorni: durante quel soggiorno, la visita di Tat'jana Tolstaja fu l'episodio che gli fece più piacere.

Il 3 novembre 1949 scrisse a Jawaharlal Nehru per invocare la grazia verso gli uccisori del Mahatma: «in virtù di ciò che senza dubbio sarebbe stata la volontà della stessa loro vittima Gandhi. Gandhi, che teneva a proclamarsi discepolo di Leone Tolstoj, e mio padre, eleverebbero la loro voce, se potessero, per evitare che un atto di violenza succeda al delitto commesso dai due assassini...» 

Fu sempre una convinta vegetariana, contraria al tabacco e profondamente antimilitarista. Quando si ammalò, poiché desiderava morire in piena coscienza, rifiutò decisamente l'uso di narcotici.

Questo diario di Tatiana si legge dunque come una commovente confessione, che nelle intenzioni della figlia tende a ristabilire la verità sui difficili rapporti tra Tolstoj e sua moglie, Sof'ja, che pur amandosi molto avevano differenze di vedute fondamentali, riguardo al modo di vivere, alla religione, al patrimonio.   Fino alla romantica e tragica fuga da casa di Tolstoj, che nel 1910 ne accelerò la morte, che avvenne come è noto all'interno della minuscola stazione di Astapovo, senza che alla moglie fosse stato concesso di assisterlo. 

Il libro è anche corredato di splendide fotografie dell'epoca.

15/07/19

Intervista a Roberta De Monticelli: "Asserviti al progetto russo di distruzione dell'Unione Europea" (Huffington Post)



A parte il versamento dei rubli, ancora da dimostrare: “Le trattative degli uomini di Salvini con la Russia di Putin rappresentano un tradimento dell’Italia ideale, un’infedeltà alla collocazione occidentale del nostro paese e un’asservimento al progetto russo di distruzione dell’Unione Europa: una cannonata contro l’orizzonte comunitario”. Sul palcoscenico del giallo russo-leghista, Roberta De Monticelli scorge il fantasma della questione morale: “Questa storia – dice, parafrasando Enrico Berlinguer – dimostra che i partiti politici sono diventati delle macchine d’affari senza confini”. Filosofa, docente all’università San Raffale di Milano, per definire l’era politica che viviamo, De Monticelli pesca dalle pagine de La Repubblica di Platone il modello della khakistocrazia:Così il pensatore greco definiva governo dei peggiori, e noi siamo di fronte all’internazionalizzazione di questo schema. Mi riferisco anche a Donald Trump. Ma nel caso di Putin il richiamo al governo dei peggiori è spaventoso.La sua ideologia illiberale è riuscita fondere i residui del bolscevismocon le venature naziste del suo patriottismo esasperato.Un miscuglio ignobile, che pure hatrovato uno spazio notevole nel dibattito politico globale”.
Tutto è cominciato una trentina d’anni fa: “Quando le democrazie liberali occidentali sono entrate in un circolo vizioso che ha alimentato la sfiducia verso le istituzioni. Specialmente, in Italia. Il governo dei peggiori – che è sempre una possibilità della democrazia – ha pian piano preso il sopravvento. Il vero problema è che già Platone considerava questo stadio come l’ultimo gradino prima dell’avvento della tirannia. E purtroppo il Novecento ha dimostrato che la sua analisi ha ancora una corrispondenza con la realtà”.
È una torsione inevitabile?
No, non è inevitabile. Però il rischio c’è: forte, consistente e sostanziale.
C’è anche un rimedio?
Già negli anni Quaranta Altiero Spinelli aveva previsto che gli stati nazionali non sarebbero stati più in grado di alimentare il circolo virtuoso della democrazia, perché troppo schiavi degli interessi particolari. Il rimedio è dunque una sovranità europea realmente sovranazionale, l’unica cosa che potrebbe riaprire la partita.
Il populismo non si nutre proprio delle lacune europee?
Lei di quale Europa sta parlando?
Dell’Europa che c’è.
Ce ne sono almeno due. C’è l’Unione Europea embrionale, ossia l’Europa delle istituzioni veramente comuni, che ha limitato le grandi multinazionali, ha approvato delle norme ambientali decenti, ha investito moltissimo sulla ricerca; e poi c’è l’Europa degli stati, che solitamente si occupa di disfare quel tanto di buono che la commissione e il parlamento sono riusciti a concludere.
Salvini confonde le due cose?
Salvini alimenta il più orribile equivoco, perché definisce europee delle scelte che sono in realtà dei singoli stati, come, per esempio, le politiche sull’immigrazione di Macron.
Sull’immigrazione il vero antagonista di Salvini è il Papa?
Le parole di Francesco dimostrano una grande fedeltà alla tradizione cattolica. L’invito a salvare le persone disperate non è solo un appello a proteggere la vita dalla morte. È un richiamo a portare in salvo la fioritura di ogni singola persona, la felicità che ogni essere è chiamato a realizzare su questa terra.
Eppure, alcuni sondaggi certificano che molti cattolici condividono le idee di Salvini.
Dal punto di vista della teologia cristiana, l’idea delle radici, dei confini, delle patrie fisiche, è una dissacrazione del vero concetto di sacralità.
Perché?
Sono andata per anni, da laica, alla ricerca della spiritualità cristiana, quella che è rimasta sepolta nei conventi, ignorata persino dalla gerarchia ecclesiastica. Ho incontrato Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell, due grandi interpreti di Simone Weil. Mi hanno insegnato che la vera esperienza spirituale è apertura agli infiniti orizzonti dell’anima, inclusi gli abissi che ci attraversano. Basta leggere un trattato spirituale. È un percorso infernale, altro che quiete contemplativa. È un viaggio nella vastità del nostro mondo interiore, che ha le sue estasi e i suoi traumi, le sue esaltazioni e i suoi precipizi. Può offrire tutto, fuorché protezione, riparo, sicurezza.
Ma le persone non hanno diritto anche a questo?
Certo che ne hanno diritto, ma indurli a barattare la libertà con la tranquillità è diabolico. La gran parte delle persone nemmeno conosce tutte le possibilità che offre la vita umana. E non c’è nulla di più criminale che tenere gli uomini lontani da questa conoscenza, offrendogli come riparo una prigione.
L’esperienza spirituale che ha descritto è davvero possibile a tutti?
Sì, lo è. Anzi, è proprio questo il punto in cui si incontrano la grande tradizione umanistica da cui nasce la democrazia e il cristianesimo: la vocazione al risveglio delle coscienze, il richiamo a vivere l’esperienza morale in prima persona, con tutto il proprio cuore.
Perché allora lei ha creduto nei 5 stelle, che sono protagonisti dell’oscurità che denuncia?
Non lo nego, ho nutrito simpatia per i 5 stelle. Credevo che avrebbero potuto immettere nel circuito della politica corrente una spinta all’idealità, diventando un antidoto alla crisi di rappresentanza della democrazia liberale.
Quando si è accorta che sbagliava?
L’allarme è suonato quando ho visto che molti parlamentari erano incapaci di contestare la decisioni che venivano calate dall’alto, ai tempi in cui ancora Grillo impartiva ordini a destra e a sinistra. Quando poi è stato siglato l’accordo con la Lega, sono rimasta semplicemente esterrefatta. La delusione più cocente l’ho provata quando hanno votato sì a uno dei più grandi condoni che siano mai stai fatti, quello di Ischia. Lì le anime belle si sono rivelate per quello che veramente erano: delle anime brutte.
Non crede che si potesse capire già ieri ciò che le è così chiaro oggi?
Forse sì, un occhio politico più attento del mio avrebbe potuto capirlo. Per questo, nella vita, io mi occupo di filosofia.
E però si è spesa molto per un governo Pd-5 stelle.
Direi che mi sono spesa disperatamente per evitare la guerra tra due forze che avevano molti più valori in comune di quelli che erano disposti ad accettare.
Sarebbe ancora possibile, quell’accordo, dopo il governo 5 stelle-Lega?
I valori conservano sempre una trascendenza rispetto alla realtà concreta. Ecco perché la rigenerazione e la rinascita sono sempre possibili. Anche per i 5 stelle, dopo questa tremenda esperienza. Ma l’altro interlocutore, il PD, dove sarebbe?
È lì, con un nuovo segretario.
Le confesso che non ho ancora capito che idee abbia, Nicola Zingaretti.
Per questo non rifarebbe quell’appello?
Il punto non è questo o quell’accordo. Il punto è che tutte le persone hanno un’anima e un corpo, e sono pronte a seguire il meglio, oppure il peggio, a seconda di ciò che gli si offre. Se non gli si prospetta mai niente per cui valga la pensa esaltarsi, è logico che il populismo sarà più difficile da battere. E sarà un male.
Anche Salvini è il male?
Salvini non è il male in assoluto. Però funziona esattamente al contrario di ciò che suggerirebbe l’ideale. Comunica senza articolare un pensiero. Usa le più basse tecniche di comunicazione. Incarna perfettamente la degenerazione della democrazia in atto.
Perché allora ha così tanto consenso?
Questo non deve chiederlo a me.
Però se lo sarà chiesto, immagino.
Sì, certo, che me lo sono chiesto.
E che risposta si è data?
Che quando il circolo virtuoso di una democrazia si inverte, i molti, i più, smettono di accedere alla maturità morale – che è il fine del welfare e dell’istruzione. Ma una democrazia muore senza cittadini maturi, che capiscano cosa sono i valori universali. Gli umani vengono prima degli italiani.


29/01/18

Il Libro del Giorno: "L'arcipelago della nuova vita" di Andrei Makine.



Andrei Makine, lo straordinario scrittore russo trapiantato da molti anni a Parigi (scrive in francese), cambia editore italiano e il suo nuovo romanzo - dopo la lunga permanenza con Einaudi - esce da La Nave di Teseo, tradotto da Vincenzo Vega. 

Per chi conosce l'opera di Makine - Prix Goncourt e Prix Médicis nel 1995 per Il testamento francese - questo L'arcipelago della nuova vita rappresenta una svolta, non tanto nei temi - anche questo, come gli altri romanzi di Makine - racconta  la vita negli anni della Russia sovietica, dallo stalinismo alla perestrojka, quanto nella scelta stilistica. 

Al contrario dei romanzi precedenti, infatti, lo stile è meno sognante e meno frammentato in pagine colme di riferimenti simbolici e di atmosfere poetiche dilatate o concentrate nel breve svolgere di poche struggenti frasi;  qui la trama si dipana in modo molto più classico, in una dimensione uni-direzionale, in una sorta di western siberiano, attraverso il lungo racconto di cinque soldati impegnati nell'inseguimento - nelle terre immense agli estremi confini orientali della Russia, ai confini del Pacifico - di un misterioso fuggitivo, evaso da un campo di prigionia. 

In realtà questo lungo racconto è offerto attraverso l'espediente conradiano di un doppio registro: Pavel, il protagonista dell'inseguimento racconta tutta la storia ad un ragazzo appena arrivato a Tugur, la città dell'estremo oriente siberiano per occuparsi di geodesia. Incontrato quel misterioso cacciatore - Pavel - che sembra vivere come un eremita nella immensa taiga, si fa raccontare la sua storia. 

Il ragazzo viene così a conoscenza di quei terribili anni della Guerra Fredda, degli esperimenti nucleari sovietici, dei campi di prigionia, della estrema crudeltà con la quale i cinque soldati, accompagnati da un cane, danno la caccia all'evaso, fino ad esserne  - uno ad uno eliminati - : tutti tranne Pavel. 

Molti anni più tardi, il ragazzo divenuto adulto tornerà in quella landa desolata, sperduta, immersa nel ghiaccio eterno, per ritrovare le tracce di Pavel e conoscere così la seconda parte della storia. 

E' suprema la bravura con cui Makine riesce a scolpire i caratteri dei quattro compagni di Pavel, delle loro meschinità, crudeltà, messe alla prova dalle condizioni ambientali estreme in cui devono giocarsi una partita così difficile, con un fuggitivo che appare e scompare come un fantasma. 

Ancora una volta Makine va alla radice dei nodi del cuore umano, di tutti i suoi infingimenti, delle sue penose autoassoluzioni, delle sue piccole e grandi tragedie.  L'essere uomo è di tutte le qualità degli umani, la più difficile: sembra suggerirci. 

In una soluzione ancora più radicale del solito, sembra qui, l'unica possibilità, quella di spingersi oltre, fuori; la soluzione di isolarsi dagli uomini. Di continuare a fare il proprio lontano dalla confusione, dalla massa e dalla pazzia. 

Pavel è una specie di santo peccatore ed eremita. Che forse soltanto la grande cattedrale della Taiga, l'immane silenzio, la purezza del ghiaccio e del freddo, riescono a far tornare pienamente e del tutto umano. 

Fabrizio Falconi

24/01/18

Tarkovskij torna a vivere, a Firenze !




'Un nuovo volo su Solaris': questo il nome del progetto artistico interdisciplinare che dal 28 maggio animera' a Firenze gli spazi del Centro internazionale perle arti dello spettacolo Franco Zeffirelli e che sara' realizzato in collaborazione con il Museo Anatolij Zverev (Museo AZ) diMosca. 

A bordo della stazione spaziale di 'Solaris', film del 1972 diretto da Andrej Tarkovskij, si erano ammirati i capolavori dell'arte europea occidentale  e la Trinita' del pittore russo Andrej Rublev. 

In occasione di 'Un nuovo volo su Solaris' verranno esposti i migliori lavori della collezione del Museo Az, opere di artisti contemporanei allo stesso regista. 

L'idea e' di unire il capolavoro di Tarkovskij alle opere piu' significative degli artisti sovietici anticonformisti provenienti dal Museo AZ e dalla collezione privata di Natalia Opaleva

Nello spazio espositivo del Centro Zeffirelli saranno presentati 34 quadri, due sculture e un'installazione video costituita da fotografie e da frammenti cinematografici legati alla biografia di Tarkovskij. 

Il progetto costituisce inoltre la tappa finale della trilogia di mostre le cui prime due parti, ispirate ai film di Tarkovskij Stalker ('Premonizione') e Andrej Rublev ('Irruzione nel passato. Tarkovskij&Plavinskij') sono state presentate dal Museo Az a Mosca nel 2016 e nel 2017. 

12/01/17

"Confessioni di un alfiere decaduto" di Andrei Makine. (Recensione).



Scritto nel 1990 e pubblicato due anni dopo per la prima volta in Francia con il titolo  Confession d'un porte-drapeau déchu da Belfond, questo è il secondo romanzo di Andrei Makine, nato in Siberia a Krasnoyarsk nel 1957 e esiliato con una richiesta di asilo politico in Francia, a Parigi, dal 1987. 

Makine, come è noto, scrive in francese, lingua che conosce e studia dall'età di 4 anni, quando una vecchia signora cominciò a prendersi cura di lui e a impartirgli lezioni private di quella lingua, che poi studiò a Mosca e cominciò ad insegnare a Novgorod, prima di trasferirsi in Francia. 

Durante i suoi primi anni a Parigi, Makine visse la stagione del diseredato, dello sradicato.  In un mondo e in una terra non suoi, agevolato dalla perfetta conoscenza della lingua, cominciò a scrivere furiosamente, soprattutto dei suoi ricordi e del suo mondo russi, cominciando ad essere pubblicato, fino a vincere in pochi anni (1995) il prestigioso Premio Goncourt e ad ottenere la cittadinanza francese l'anno seguente (che fino a quel momento gli era stata negata). Attualmente è anche membro dell'Accademia di Francia (dal 2016). 

Chi conosce Makine, sa quanto può essere sofisticata e ricca la sua lingua.  I suoi romanzi sono sempre prima di tutto un viaggio: un viaggio nella memoria, nelle suggestioni di una lingua, e sostanzialmente nel tempo. 

Anche qui, in Confessioni di un alfiere decaduto, ritorna - in forma di lunga lettera aperta all'amico di infanzia Arkadj, che ormai vive negli Stati Uniti e si è perfettamente occidentalizzato - il mondo perduto della giovinezza, il mondo dei panorami scintillanti, dei cieli di Russia, ma anche delle fanfare e delle bandiere, delle adunate di ragazzi su enormi piazzali in attesa del notabile sovietico di turno.  

Ma è nella descrizione delle cose minute della natura, dei suoi vibratili aspetti che Makine riesce a tessere un ordito di squisita bellezza, raccontando in poco più di 100 pagine la vita di quella piccola corte, formata da tre sole case, in mezzo alla campagna russa, sorta intorno ad una misteriosa Crepa - che si scoprirà essere la cicatrice di antichi e terribili fatti di guerra.   

E' proprio la guerra, protagonista di questa storia. La guerra combattuta per la difesa della Russia contro l'avanzata dei nazisti, la difesa di Leningrado, l'abiezione che ne seguì, nei ricordi e nei racconti dei genitori del protagonista e di quelli di Arkadj.  I padri dei due bambini hanno combattuto insieme. Uno è rimasto paralitico. L'altro - Jasà, il padre di Arkadj . ne è divenuto il custode, il compagno di infinite partite a domino nel cortile della corte. 

Anche le madri nascondono segreti, come ogni abitante di quel luogo desolato.  Anche i nuovi uomini, plasmati dalla retorica sovietica - sedotti da essa, e respinti - sono chiamati alla guerra, una guerra che stavolta si è spostata sui confini dell'Afghanistan. 

Quel tempo perduto, che ha legato i due bambini, non esiste più. La loro formazione li ha portati su sponde lontane, e forse nemmeno si incontreranno più. 

Ma quel cortile, quelle facce, quei sospiri, quelle vigliaccherie e attese, quelle forme di vita così pulsanti e vere, quei sogni sbocciati troppo presto e morti troppo tardi, porteranno segni indelebili nelle vite di uomini - come suggerisce il titolo - definitivamente decaduti (disarcionati da un sogno o da una illusione che, come una guerra persa, li ha respinti lontani). 







06/07/16

Il film del giorno: "Kolya" di Jan Sverak.





Louka Frantisek, violoncellista praghese dissidente squattrinato, durante la perestrojka accetta di sposare per soldi una donna russa, soltanto per farle avere la cittadinanza. 

La donna però fugge all'Ovest e Louka rimane da solo con Kolya, il figlio della donna, un bambino russo di 5 anni. 

Louka, scapolo impenitente, si industria a far da padre dopo molte riluttanze, e quando finisce per stringere con il bambino un legame profondo, deve riportarlo alla madre. 

E' delicato, poetico il tocco di Jan Sverak e ricorda quello di Jaco Van Dormael con Totò le Heros, o di Kusturica in Papà è in viaggio d'affari. 

Un film pulito e commovente (molto premiato) che scalda il cuore, senza essere ricattatorio. 

Kolya
di Jan Sverak
Rep.Ceca-Francia 1996
con Zdenek Sverak, Andrej Chalimou, Libuse Safrankova, Oudrej Vetchi. 



06/01/16

"Il ponte delle spie" di Steven Spielberg (RECENSIONE).



Non è solo una 'operazione nostalgia', questo nuovo film di Steven Spielberg.

Il ponte delle spie (Bridge of Spies), con protagonista Tom Hanks, narra la crisi degli U-2 tra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica durante la guerra fredda, quando Francis Gary Powers, pilota di un aereo-spia Lockheed U-2, fu abbattuto, catturato e condannato dai sovietici

Un avvocato statunitense abitante a New York (nel quartiere di Brooklyn), di nome James Donovan, si ritrova al centro della guerra fredda quando la CIA gli incarica di negoziare il rilascio di Powers, scambiandolo con la spia comunista catturata a New York di nome Rudolf Abel. 

Lo scambio avviene sul Ponte di Glienicke detto il "Ponte delle Spie", tra Berlino Ovest e Berlino Est. 

Donovan riesce anche nell'impresa di far liberare dalle autorità berlinesi della Repubblica Democratica Tedesca, al Checkpoint Charlie, anche uno studente statunitense di economia Frederic Pryor, arrestato dalla Volkspolizei, la polizia della Germania Democratica.

Il film si fa apprezzare oltre che per il solito solidissimo impianto dei film di Spielberg, anche e soprattutto per lo straordinario attore inglese, Mark Rylance, che interpreta il ruolo della spia russa, Rudolf Abel. 

Del tutto sconosciuto in Italia, Rylance è un attore di teatro,  vincitore di tre Tony Awards, grande interprete shakespeariano, dalle capacità espressive semplicemente mostruose.

Rylance fornisce una grande prova proprio perché - come insegnava Stanislavskij - la recitazione "in sottrazione" è la più difficile, molto molto più difficile di una recitazione istrionica. Rylance doveva mettere in scena l'impassibilità, l'apparente imperturbabilità di un personaggio controllatissimo, spia, ma sotto certi aspetti quasi un puro di cuore. Dunque tutto quello che può fare è lavorare su minime sfumature, tic, espressioni e variazioni dello sguardo: ed è incredibile come riesca a farlo, rendendo pienamente l'anima del personaggio.

La sceneggiatura del film è firmata da Joel ed Ethan Coen. Un'altra garanzia per un film che merita di essere visto, e rinnova la grandezza puramente cinematografica di Steven Spielberg. 

02/05/15

La Madonna di Tarkovskij. Il racconto di un piccolo miracolo. (Santa Maria di Portonovo).




E’ stato uno dei più grandi registi del Novecento: Andrej Tarkovskij.

Nato a Zavrazie, Russia, nel 1932. Morto a Parigi, Francia, dopo una lunga malattia e più di dieci anni di esilio, nel 1986, a 64 anni.

Nei suoi film, l’Infanzia di Ivan, lo Specchio, Solaris, Nostalghia, Sacrificio, ma soprattutto con la sua vita ha incarnato i drammi del ‘900.

Consiglio la lettura dei suoi diari, pubblicati con cura dopo la sua morte, dal figlio Andrej A. Tarkovsky. 

Se si affronta questo libro - Martirologio (edizioni della Meridiana,2002) - si scoprirà uno dei testi più spirituali più alti del secolo scorso. 

C’è un episodio poco noto della sua vita, raccontato proprio nei suoi Diari. Che avvenne nel maggio 1980. 

Tarkovskij è già esule da parecchio tempo. Vive in Italia, a Roma, e un po’ dove capita, dove lo portano i suoi film, e i pochi amici veri che si è fatto, nonostante la difficoltà della lingua, e di un carattere introverso e poetico

Uno di questi amici è Tonino Guerra. Con Guerra, Tarkovskij, gira in lungo e in largo per l’Italia alla ricerca di luoghi che lo ispirino, per il prossimo film, che sarà Nostalghia.

Ed ecco quello che scrive quel giorno. 3 maggio 1980.

"Oggi mi è successa una cosa straordinaria. Eravamo a Loreto, dove Franco Terilli ha pregato davanti all’immagine del suo santo patrono, uno dei defunti papi. A Loreto c’è una chiesa famosa ( come a Lourdes ) nel centro della quale sorge la casa, portata da Nazareth, dove è vissuto Gesù. 
Quando mi sono trovato nella Chiesa ho sentito che era un peccato che io non potessi pregare in una chiesa cattolica, non è che non potessi, ma non lo desideravo (ricordiamo che essendo russo Tarkovskij era di religione ortodossa ndr). E’ in qualche modo un ambiente estraneo.
Dopodiché capitiamo per caso in un piccolo paesino in riva al mare, Portonovo, in un’antica chiesetta del X. secolo. Sull’altare vedo all’improvviso un’immagine della Madonna di Vladimir. Mi hanno raccontato che un tempo un pittore russo regalò alla chiesa questa copia della Madonna di Vladimir, probabilmente fatta da lui.
Incredibile ! Trovare improvvisamente nella chiesa di un paese cattolico un’icona ortodossa, proprio nel momento in cui mi rammaricavo di non aver potuto pregare a Loreto… Non è un miracolo, questo ? "

La Theotokos di Vladimir (greco: Θεοτόκος του Βλαντιμίρ), nota anche come Madre di Dio della tenerezza, Madonna di Vladimir o Vergine di Vladimir, una delle icone ortodosse più venerate e famose al mondo 


Per capire bene come questo episodio sia davvero insolito, e del perché abbia così impressionato Tarkovskij, allora, bisogna andare personalmente a Portonovo. 

Io ci sono stato diverse volte. E’ un paese senza case, senza nulla. Un ex porticciolo, oggi raffinata località turistica sotto il promontorio del Conero. 

L’antichissima Chiesa di Santa Maria di Portonovo è praticamente l’unica costruzione esistente, a parte gli stabilimenti balneari. La sua posizione è incredibile.

Questa chiesetta è da molto tempo, completamente spoglia. 

 L’unico arredo è rappresentato appunto dalla copia di quella antica icona russa, sopra l’altare, la Madonna di Vladimir. Che è davvero molto difficile trovare in una qualsiasi altra chiesa italiana.
Ecco perché questo dovette sembrare a Tarkovskij, un piccolo  miracolo…

La Chiesa di Santa Maria a Portonovo

Fabrizio Falconi.

07/09/14

La poesia della domenica - 'E' fuggita l'estate' di Arsenij Tarkovskij



È fuggita l'estate,
Più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
Una foglia dalle cinque punte
Mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Né il bene né il male
Sono passati invano,
Tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
Sotto l'ala mi proteggeva,
Mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
Non si sono spezzati i rami...
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Arsenij Tarkovskij

08/03/14

"Il giunco mormorante" - di Nina Berberova. Un racconto-capolavoro.






Due amanti si lasciano a Parigi prima della guerra, promettendo di rincontrarsi presto. Lui parte per Stoccolma, lei resta per occuparsi di un vecchio zio che non ha più nessuno al mondo. 

Passeranno sette anni e lui - Enjar - si è intanto fatto una nuova vita, sposando Emma, una giovane svedese. 

Lei lo va a trovare, scopre la sua nuova esistenza, cerca un chiarimento impossibile, che arriverà soltanto molto tempo dopo, durante una visita a Venezia, e in modo molto parziale. 

Il giunco mormorante è un capolavoro di stile. In sole 80 pagine la Berberova raggiunge il culmine della tensione narrativa con l'inespresso che diventa essenza (e viceversa). Vibrante, bellissimo, pieno di verità sull'amore, il mistero dell'amare, l'impossibilità, l'abbandono, la sofferenza. 



“C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ognuno di noi ha la propria “no man’s land” in cui è totale padrone di se stesso. [...] Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale; l’una sia lecita l’altra illecita. Semplicemente l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero…”

Nina Berberova, Il giunco mormorante, Traduzione di Donatella Sant'Elia, Adelphi, 1988.

22/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (5.)



Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (5.)


E in questa condanna ai lavori forzati l’unico appiglio sono le lettere alla famiglia, che vengono recapitate con mesi di ritardo. In una di queste Florenskij scrive: qui è tutto vuoto, come se ci trovassimo in un sogno, ho perso il ritmo dei giorni e delle notti e il tempo passa come una striscia ininterrotta e in interrompibile. Ho la sensazione che a questo punto non c’è più niente che di per sé sia interessante  e soltanto il fatto che io, in qualche modo, riesca a comunicare ancora con voi, risveglia il mio pensiero. (15)

Che cosa può salvare un uomo che si trovi in queste condizioni ?
    Questa è un’epoca tanto tremenda che ognuno deve rispondere di se stesso… confida a una delle figlie (16) Io ho compreso che è soltanto l’ascolto della voce di Dio che io devo seguire.
       
Nessuno può sapere se questa voce, la voce di Dio, che Florenskij non si stancò mai di cercare dietro l’apparenza volubile dei fenomeni, dietro la pieghe e le meraviglie del pensiero matematico e scientifico, gli risuonò nella mente anche in quegli ultimi giorni della sua vita quando, a bordo dei cosiddetti vagoni della morte, stipato insieme ad altre centinaia di derelitti, fu portato in quel bosco per essere fucilato.

Il grande filosofo e mistico fu come inghiottito nel nulla in quella notte di dicembre del 1937.  Com’era usanza, all’epoca sovietica, nessuno si prese la briga di informare la famiglia, la moglie, i figli, delle circostanze della morte del loro congiunto. Soltanto più di mezzo secolo dopo -  nel gennaio del 1990 -  pochi mesi prima del definitivo crollo della Unione Sovietica, un freddo dispaccio del KGB inviato alla famiglia riportò il documento ufficiale della fucilazione di Florenskij.

       Vi prego, miei cari, quando mi seppellirete, aveva lasciato scritto nel Testamento, di fare la comunione in quello stesso giorno, o se, questo proprio non dovesse essere possibile, nei giorni immediatamente successivi.  Non rattristatevi e non soffrite per me, se potete.  Se sarete lieti e forti, con ciò mi darete la pace. Io sarò sempre con voi in spirito e, se il signore me lo concederà, verrò spesso da voi e vi guarderò. Voi però confidate sempre nel Signore e nella sua Purissima madre, e non rattristatevi.  (17)    

(5. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

       
15.       E’ la lettera del 14 dicembre 1936, scritta dal lager delle Solovki.
16.       La circostanza è contenuta nelle memorie scritte dalla figlia di Florenskij, Ol’ga, pubblicate con il titolo Martirologio di Leningrado, e si riferisce a uno degli incontri che la famiglia ebbe con Florenskij a Skorovodino nel 1934.
17.      Pavel A. Florenskij,  Non dimenticatemi, op. cit. pag. 413

19/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (3./)





Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (3./)


Durante quegli anni di prigionia spaventosa – dal 1933 al 1937 – Florenskij continuò instancabilmente a lavorare  (a Skovorodino viene messo a capo di un laboratorio interno al lager, che si occupa dell’estrazione dello iodio e dello sfruttamento delle alghe marine) e a scrivere accorate, straordinarie lettere alla famiglia  (la moglie e i tre figli più piccoli lo raggiunsero in Siberia nell’estate del 1934), mentre proseguiva l’iter di un processo kafkiano destinato a concludersi con la condanna alla pena di morte come controrivoluzionario.

Queste lettere, riemerse dopo l’apertura degli archivi del KGB e riordinate pazientemente dal curatore Lubomir Zak vanno dal 23 maggio 1933, quando Florenskij è detenuto alla Lubjanka (ti prego di portarmi della biancheria intima e un lenzuolo… se avrai il permesso mandami due o tre cipolle, perché la mancanza di verdura può essere dannosa...) fino al 18 giugno 1937, pochi mesi prima della morte, quando nella lettera al figlio Tiki scrive profeticamente: io devo continuamente separarmi da qualcosa. Ho dato l’addio al Biosad, poi alla natura delle Solovki, poi alle alghe, poi allo Iodprom. Chissà che non debba dire addio anche all’isola. (6)

La lettura di queste pagine, insieme a  quelle delle memorie famigliari,  scritte negli anni ’20 (7), di questo uomo in cui – come scrisse l’amico teologo Sergej N. Bulgakov – “ si sono incontrate, e  a loro modo unite, la cultura e la Chiesa, Atene e Gerusalemme” (8) è una esperienza che arricchisce e che scalda il cuore.

 Sono lettere che pur provenendo dall’inferno – un inferno fatto di temperature a meno venti gradi, di povere camerate dove la gente dà di matto, di assurde marce nel nulla, di veglie notturne, di desolazione e vessazioni psicologiche – sono piene di incrollabile fiducia, nella vita, nel valore ultimo della esistenza, nella serena attitudine a cercare sempre di scoprire le tracce del mistero e della verità dietro l’apparenza dei fenomeni e delle circostanze.

In queste lettere, i riferimenti espliciti alla fede sono quasi assenti, e il motivo è fin troppo evidente, trattandosi di corrispondenza che veniva passata al meticoloso setaccio della censura sovietica.  

Eppure, quasi ogni rigo di questi scritti riporta un desiderio di assoluto, magari sigillato implicitamente in citazioni come quella di una poesia del poeta persiano Hafez, che Florenskij trascrive per la moglie e i figli, ma che nell’originale è una invocazione all’essere supremo (il te è un maiuscolo):  Mai si cancellerà l’amore per te/ dalle tavole del mio cuore e della mia anima/ E non lascerà la mia mente distratta il pensiero di te/sotto il giogo del destino e dell’afflizione/ impostomi dal mondo. /Fin dal principio il mio cuore/fu legato da un capello del tuo capo/E fino alla fine/non sfuggirà al suo voto. (9)


E in effetti questo essere, questo sentirsi legato a un capello del tuo capo, cioè del capo di Dio, è forse, in estrema sintesi, il pensiero di Florenskij, della sua esperienza, del suo percorso umano e spirituale. 

E’ l’essere legato a un capello, cioè a una sostanza che non è di questo mondo, ma che è oltre, rende l’interpretazione del mondo, per Florenskij, bisognosa di una ridefinizione: ogni cosa e ogni apparenza fenomenica rimanda a un nuovo pensiero, capace di sintetizzare Dio e il mondo, il visibile e l’invisibile, in una concreta riscrittura delle teorie sullo spazio che sembrano tener conto e in qualche caso perfino anticipare le nuove acquisizioni einsteniane e le conseguenze che produrranno sulla conoscenza scientifica. 

(3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 
     
6.     La raccolta delle lettere scritte dal Gulag alla famiglia da Florenskij costituisce una delle testimonianze spirituali più alte del Novecento, che molti hanno paragonato a quella dei diari Etty Hillesum o di Dietrich Bonhoeffer.  L’edizione italiana completa è quella contenuta in Non dimenticatemi, op.cit.          
7.     Le memorie famigliari sono pubblicate in Italia da Mondadori.  Pavel A. Florenskij, Ai miei figli, memorie di giorni passati,  a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak, Mondadori, Milano, 2003.    
8.     La citazione è riportata nella nota biografica su Pavel Florenskij pubblicata nel volume Ai miei figli… op. cit.             
9.     La poesia di Hafiz è riportata da Florenskij nella lettera del 24-25 luglio 1935. Contenuta in Non dimenticatemi, op. cit. pag. 194.